venerdì 27 agosto 2004

LA FILOSOFIA DELLE PICCOLE COSE


Centonove 27.8.04

Augusto Cavadi


Piccolo non è solo bello, ma anche pulito. E vero. 

La brocca per l’acqua, il ferro da stiro, la tromba e l’imbuto, le forbici e il rasoio, il secchio dei rifiuti, la tazzina di caffè, la scopa, il sapone, il pane, la rosa. Persino il letame. Oggetti a prima vista senza rilevanza su cui, sorprendentemente, Francesca Rigotti costruisce una filosofia. No, mi correggo: da cui apprende – sulle tracce di pensatori d’ogni risma - una, anzi più, lezioni di filosofia.

Per esempio, impara che conoscere non significa solo usare la vista: “le piccole cose non sono solo lì per essere guardate ma anche per essere ascoltate, palpate, annusate e, perché no, mangiate. Si chiede quindi al filosofo o all’apprendista filosofo di saper vedere le cose, ma anche di saperle ascoltare e gustare, toccare e odorare. Gli si chiede di cogliere l’essenza delle cose magari col naso, dal momento che essenza significa sia sostanza sia profumo, e nous era per i greci, prima di assumere il significato di mente e ragione, la facoltà di odorare” (p. 11).

Per fare ancora un altro esempio, impara che “la democrazia è un governo senza eroi, è il compito di uomini e donne ragionevoli che fanno cose ordinarie, e qualche volta straordinarie, su base costante e ripetitiva, regolare e continua, come fare le pulizie di casa” (p. 71) perché – fa dire Friedrich Dürrenmatt ad un suo personaggio – “la ragione ha bisogno di tempi lunghi per affermarsi e perché togliere il letame dalle stalle è questione non di una ma di molte generazioni”.

La filosofia delle piccole cose  - come s’intitola questo gioiellino illustrato da Elena Salvini Pierallini (Interlinea, Novara 2004) -  non può non implicare le sue questioni di metodo. Per i cultori della disciplina sarà intrigante la considerazione della metafora come registro linguistico obbligato e non valicabile: “non è la scala che lancio via da me con un calcio dopo aver raggiunto le sublimi altezze del concetto” in quanto “interna al processo stesso di elaborazione del concetto” (p. 21). Per i lettori meno interni alle problematiche teoretiche, invece, riuscirà più coinvolgente “l’associazione del ‘piccolo’ col femminile” (p. 75). Non è facile, in proposito, mantenere – per così dire – la linea giusta; ma, se a un maschio è lecito metter bocca in queste faccende, la Rigotti ci si è avvicana di molto. Non nega, infatti, né condizionamenti storici passati né ragioni di emancipazione per il presente; tuttavia vorrebbe che “il ruolo del pensiero femminile nella filosofia non fosse quello o non solo quello di rivalutare la differenza, la passione o il sentimento, il ruolo delle viscere o dell’anima, il privato, il personale, il familiare o il domestico. Senza nulla togliere al valore e al coraggio di tutte le iniziative differenzialiste, vorrei che il ruolo del pensiero fosse quello di pregiare l’unità della persona, il soggetto come un tutto unitario, il pensiero, per esempio, come insieme di logos/sperma/mitos: il pensiero come luogo di produzione e riproduzione e proposizione di sé agli altri e viceversa, in una filsoofia ceh sia movimento discorsivo e deambulatorio, che sia un andare e un venire del pensiero e della persona, al di qua e al di là della soglia, dall’interno all’esterno all’interno” (p. 26). Un pensiero, insomma, che faccia “la spola, un pensiero deambulante che va avanti e indietro, come la navetta del telaio”; che ripeta, “come pendolo sapiente, il movimento della spoletta tra i fili del telaio, dell’aratro sul campo, della scrittura sul foglio” (ivi).

sabato 21 agosto 2004

L’IRAN


“Repubblica – Palermo”, 21.8.04

Augusto Cavadi 


Come l’Italia, settant’anni fa 

Aereoporto di Teheran. Ho appena varcato la linea dei controlli per chi arriva dall’estero e mi chiedo cosa ci stiano a fare, dietro i banchi della pasticceria, delle suorine rigorosamente in nero e col soggolo che lascia libero solo il viso. I loro sguardi intensi, in cui concentrano la magia della seduzione orientale, mi orientano verso la risposta esatta: sono ragazze ‘normali’ che obbediscono alle norme vigenti in fatto di abbigliamento. Obbediscono per timore o per convinzione? L’ambivalenza della risposta simbolizza la situazione iraniana.Alcune, infatti, ci hanno dichiarato che e’ il loro modo di esprimere la fede in Allah e nei suoi rappresentanti terreni (a ben riflettere, la pensano esattamente come le nonne dei paesini siciliani sino a qualche decennio fa). Altre, piu’ numerose, hanno sommessamente confessato il proprio dissenso, tradotto nella scelta di tessuti piu’ leggeri, colorati; di jeans attillati al posto dei goffi calzoni; di foulard raffinati che lasciano maliziosamente scoperti abbondanti ciuffi di capelli.

L’impressione generale e’ di vivere una fase di transizione.
Con pregi e difetti, l’ordine inasturato - o restaurato - da Khomeini e dalla sua rivoluzione islamica e’ certamente solido. Vi e’ un vivo senso della famiglia: nelle colline boscose che dominano Teheran, come nella piazza fiabesca di Isfahan dopo il tramonto, la gente ama raccogliesri per mangiare insieme, bere un the’ o soltanto chiacchierare. Le voci sono sommesse: per il resto siamo molto vicini ai pic-nic del proletariato urbano alla Favorita o a Monte Pellegrino.Questa dimensione comunitaria, lontana dalla fretta e dalla dispersione individualistica delle societa’ occidentali, non lascia indifferente il visitatore europeo. Al canto dei muezzin, le moschee continuano ad affollarsi di fedeli per le preghiere corali: non e’ azzardato ricollegare a questa religiosita’ diffusa il senso di sobrieta’, di cordialita’ e di sostanziale correttezza che si percepisce abitualmente nei rapporti umani, anche commerciali.Questi aspetti positivi non compensano le ombre del sistema attuale. La sensazione e’ di viaggiare nell’Italia di settanta anni fa: la stessa poverta’, la stessa paura di essere se stessi. Con, in peggio, la forma piu’ irritante di discriminazione: il sessismo. Come sono costrette a sperimentare sulla propria pelle (non e’, in questo caso, una metafora) le straniere, portare il velo in testa e le maniche lunghe sotto un sole implacabile equivale ad una tortura. Se qualcuna attenua i rigori imposti e si concede qualche tocco di femminilita’, scatta subito la sanzione sociale: qualsiasi maschio puo’ importunarla (intendo: fisicamente). Come tutte le politiche repressive, l’effetto boomerang e’ disastroso sin quasi a sfiorare il ridicolo: il mondo maschile, che isola le donne in spazi angusti e predeterminati (persino sugli autobus), si autocastra al punto da diventare assetato di sesso. Sfiorare con il dorso della mano, anche per qualche secondo, il sedere ipercoperto di una donna e’ un bisogno irresistibile per il ragazzino quindicenne che trasporta frutta come per il vecchietto settantenne che custodisce una moschea. Ad una festa privata, il padrone di casa (sposato con figli adulti) ha subito sferrato un attacco strategico concentrico su una giovane del nostro gruppo, rea essenzialmente di non essere accoppiata: la sua insistenza e’ stata tanto clamorosa da risultare patetica. “Iraniani e italiani siamo simili” e’ uno degli slogan che senti piu’ frequentemente. E’ davvero cosi’? Lo e’ ancora oggi o, anche nel Meridione, la rivoluzione femminista ci ha liberato, almeno in parte, da una tensione verso l’altro sesso che deturpa la dignita’ maschile in misura forse non minore di quanto leda i diritti delle donne?Ma il quadro, come accennavo, appare in movimento. Non ci sono molte occasioni per divertirsi e i giovani, soprattutto le donne, sono indotti a studiare. L’alto indice di scolarizzazione comporta conoscenza delle lingue, accesso ad internet, desiderio di viaggiare. Sotto la cenere, cova il desiderio del nuovo (che, ovviamente, noi sappiamo non coincidere necessariamente col meglio). Chi conosce approfonditamente la situazione prevede, in tempi non lunghi, mutamenti culturali e socio-politici significativi. A meno che gli Stati Uniti d’America non decidano d’importare anche qui la democrazia a suon di bombe e di ricompattare, intorno alle forze dell’integralsimo conservatore e fondamentalista, gli orientamenti piu’ progressisti presenti nel governo e soprattutto nel Paese.