venerdì 1 aprile 2005

PADRE MAGGI A PALERMO


Augusto Cavadi

“Centonove”, 1.4.05

Miracolo a Palermo

Anche in Sicilia lo si può notare: mentre le chiese si spopolano, tendoni e teatri vengono gremiti da predicatori infuocati. Le religioni tradizionali, cattolica in primis, perdono adepti a favore di aggregazioni extra-istituzionali dagli orientamenti teologici disparati. Persino le vie dell’etere, grazie al moltiplicarsi dei canali televisivi, registrano questo fenomeno di dimensioni ormai mondiali.

Per questo pochi si saranno stupiti nel constatare, qualche settimana fa, che l’aula magna della facoltà di Economia e commercio sia stata affollata – per tre giorni di seguito, da un venerdì sino alla celebrazione liturgica conclusiva  domenicale -  da centinaia di persone accorse ad ascoltare un frate che spiegava brani biblici.

Chi ha voluto varcare la soglia  - e mettere il naso dentro l’assemblea di gente tanto diversa per età ed estrazione sociale - ha potuto però constatare un dato spiazzante. Questa volta non si trattava del solito convegno di uno dei movimenti fondamentalisti, integralisti, neoconservatori che riescono a mobilitare le masse sfruttando paure ancestrali e minacce recenti. Protagonista è stato, infatti, un prete cattolico noto nel mondo degli specialisti, dotato di eloquio efficace, ma misurato nei toni e nei gesti. Un prete che, sfogliando un’edizione critica in greco, ha proposto, senza fanfare né rullo di tamburi, di provare a leggere – “se ciò non dovesse riuscire di turbamento” – la Bibbia con gli occhiali della moderna scienza esegetica.

Come mai il pubblico è uscito tanto entusiasta dall’esperimento?  Che cosa può esserci di tanto rivoluzionario nell’applicare all’interpretazione della Scrittura i metodi che, già da qualche secolo, sono collaudati nella lettura di Omero o di Virgilio?

Padre Alberto Maggi ha basato le diverse spiegazioni evangeliche su un dato a suo avviso evidente: che Gesù di Nazareth non è venuto a fondare una nuova religione ma a “strappare le radici fradicie di ogni religione per aprire nuove possibilità alla fede”. Karl Barth e altri rinomati teologi lo hanno sostenuto ormai da decenni: ogni religione è, per essenza, un apparato repressivo che instilla sensi di colpa, angoscia davanti ai propri errori, sentimenti di inadeguatezza morale. Il Cristo è vissuto, ed è morto, per spezzare questa cappa di oppressione; per annunziare un Dio che dona e perdona senza condizioni; per ridare a ogni creatura “la consapevolezza della propria dignità e delle proprie risorse nascoste”. Fede è nient’altro che accettazione di questo annunzio liberante. Non si tratta quindi di chiudere gli occhi sui propri difetti e sulle proprie imperfezioni, ma di evitare che qualche altro li strumentalizzi. E, soprattutto, si tratta di relativizzarli in nome di un progetto di vita molto più ampio e costruttivo: il progetto di chi vive cercando la propria felicità nella responsabilità per il benessere altrui.

Il biblista non ha voluto sorvolare sulle conseguenze politiche del primato della fede sulla religione e si è chiesto, senza troppi giri di parole, come mai le autorità religiose alimentino nei fedeli un costante sentimento di inferiorità. Altrettanto netta la sua risposta: perché così, da che mondo è mondo, possono dominare con più facilita le masse. E proprio questo effetto narcotizzante fa delle autorità religiose le alleate naturali di ogni autorità politica. Entrambe, infatti, si spalleggiano a vicenda per ottundere le capacità critiche della gente, per prevenire eventuali ribellioni e per perpetuare situazioni sistemiche di ingiustizia.

A differenza della fede, tipica di chi crede senza voler vedere prodigi, la religione si basa sui miracoli. Maggi ha sottolineato, in proposito, come non sia un caso che i vangeli abbiano accuratamente evitato questo vocabolo tanto ambiguo ed ha evidenziato, con soddisfazione, che la più recente traduzione ufficiale dei vescovi cattolici ha corretto l’uso precedente e finalmente sostituito ‘miracolo’ con ‘segno’. Dire che Gesù è stato operatore di ‘segni’ significa, tra l’altro, affermare che il credente è uno che né riceve né opera miracoli: in quanto destinatario di ‘segni’ di solidarietà è piuttosto chiamato a diventare, nella fedeltà quotidiana,  protagonista di ‘segni’ altrettanto efficaci a favore degli altri.   

Se di miracolo si volesse parlare, dunque, a tutti i costi, si dovrebbe dire che è consistito proprio in questo: che, nell’epoca dei Padri Pii ubiqui e delle Madonnine in pianto, centinaia di persone abbiano seguito con intensa partecipazione interiore l’invito – non proprio usuale -  a vivere la dimensione spirituale della vita senza aspettarsi miracoli da nessuno e senza prometterne a nessuno, nella convinzione che non c’è nulla di più alto che fare della gioia altrui la misura della propria autorealizzazione.

Nessun commento: