martedì 19 luglio 2005

INTERROGARSI DI CONTINUO


Repubblica - Palermo
19.7.05
Augusto Cavadi


QUEL PRETE DOGMATICO CHE INSEGNAVA IL DUBBIO

Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento difficilmente si sarebbe trovato a Palermo uno studente liceale che non avesse partecipato ad almeno un incontro nella “Sede di don Elio Parrino”. Quei ragazzi si sono poi sparpagliati nel mondo e non pochi hanno raggiunto posizioni di prestigio, dall’Europarlamento alle Università. Anche quella piccola organizzazione giovanile ha fatto la sua strada: diventando prima sezione della FUCI (Federazione Universitari Cattolici Italiani), poi il Centro di formazione cristiana. All’inizio degli anni Ottanta, quando ormai gravitavano intorno ad essa centinaia di persone (ed alcuni soci avevano già realizzato un’esperienza di vita comunitaria, nel nome di San Tommaso d’Aquino), una scissione interna ne ha provocato l’eclissi dal panorama sociale e culturale cittadino. 

Che ne è stato di quel nucleo originario di fedelissimi discepoli del “padre fondatore”? L’evoluzione, per certi versi strabiliante, viene raccontata dallo stesso Monsignore in un libro pubblicato in questi giorni. Nell’immaginario collettivo, l’austero insegnante di religione è stato un po’ l’emblema dell’ortodossia intransigente, geloso custode dei dogmi e dell’interpretazione tomistica che ne davano teologi e filosofi soprattutto francesi;  e la sua comunità ha ospitato, per conferenze e seminari,  alcuni dei massimi esponenti del pensiero cattolico ufficiale. Ma tanta fedeltà alla Tradizione avveniva in nome di un principio metodologico basilare: la consapevolezza critica. Credere sì, ma solo se un sano esercizio della ragione avesse autorizzato il superamento della ragione stessa. Ebbene, apprendiamo che l’autore e i suoi sodali hanno portato alle estreme conseguenze logiche quel criterio di ricerca: arrivando alla conclusione che le verità essenziali del messaggio biblico (Dio ama l’uomo e si è manifestato in maniera singolare nell’uomo di Nazareth) sono state, in questi due millenni, sovraccaricate da una massa schiacciante di superfetazioni, credenze, riti e precetti. Da qui la decisione di lasciarsi alle spalle le vecchie strutture cattoliche e di fondare un’associazione laica  che sin dal nome (“Logos e koinonia”) lasci intuire le finalità: studiare tutta la cultura dell’Occidente e salvare, in un’esperienza di condivisione esistenziale, le perle tuttora valide che possono rintracciarsi in un fiume per molti versi melmoso e inquinato.

Chi osserva la vita cittadina, non può che augurarsi che il tentativo del prete ormai ultrasettantenne e dei suoi amici vada in porto. Ma non può neppure nascondersi le ragioni di perplessità sulla riuscita dell’iniziativa, sintetizzabili in una considerazione di fondo: l’assenza quasi totale della prospettiva del ‘noi’. La proposta viene presentata come frutto dell’illuminazione carismatica di un solo uomo: agli altri non spetta che il compito di aderire o meno, in posizione molto chiaramente subordinata. Più ancora: la proposta viene presentata come l’impresa di una èlite spirituale che non prevede sinergie con altre associazioni similari né, tanto meno, con organizzazioni impegnate nella trasformazione delle strutture economico-sociali. Insomma: un progetto squisitamente a-politico che difficilmente potrà contribuire a rincollare la dimensione aristocratica degli intellettuali con la pratica, generosa ma convulsa, degli operai del vangelo.  

EMANUELE   PARRINO

Logos e koinonia

Pagine 286

Euro 15,00

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Emanuele Parrino, nato nel 1931, è canonico della cattedrale di Palermo. E’ stato docente di religione al liceo Garibaldi, assistente diocesano della Fuci prima di don Pino Puglisi, rettore del Seminario. Alla fine degli anni Cinquanta ha fondato un movimento giovanile (noto come Centro di formazione cristiana) centrato sull’intento di coniugare l’esercizio dell’intelligenza con la dimensione della fede religiosa. Liberato dal carattere confessionale, il movimento intende adesso rilanciarsi come Associazione culturale “Logos e koinonia”: questo volume inaugura un’omonima casa editrice.

venerdì 15 luglio 2005

GLI ALUNNI E GLI ESAMI


“Centonove”, 15.7.05

INCUBO DI UN PROFESSORE DOPO GLI ESAMI DI MATURITA’

Anch’io qualche volta sogno. Questa notte, per la verità, è stato piuttosto un incubo. Facevo parte di una commissione di esami di Stato e dovevamo stilare, nero su bianco, la valutazione di trenta alunni. Veramente li avevamo valutati in tre anni almeno sei volte (l’ultima delle quali solo quindici giorni prima): perché – col caldo bestiale e nove mesi di lavoro alle spalle – sottoporre loro e noi ad ulteriori stress? Perché, se ormai non sono previsti commissari esterni e tutto continua ad essere affidato allo stesso consiglio di classe, questo sadico duplicato? Domanda bizzarra: ma si sa, i pensieri onirici non seguono i principi della logica diurna.

Avevamo dunque corretto elaborati di italiano, traduzioni dal latino, test di storia dell’arte, questionari di inglese…Avevamo ascoltato excursus multidisciplinari, percorsi transdisciplinari, tesine in cd-rom…Era finalmente il momento di tirare le somme (letteralmente: con la calcolatrice tascabile). A questo punto del sogno mi assale una sensazione fastidiosa, un amaro in bocca. Non riesco a verbalizzare, neppure mentalmente, il disagio. Poi – all’improvviso – un lampo. Vedo, per brevi attimi ma  con chiarezza abbagliante, quel che ogni magistrato avrà presentito almeno una volta nella vita: nessun giudice è migliore di chi gli sta seduto innanzi in attesa di sentenza.

Nel sogno, ascoltavo diciottenni sbarbatelli leggere e tradurre tragedie greche, discettare di astronomia, confrontare filosofi, risolvere equazioni. Certo con incertezze, errori, lacune. Ma ciascuno di loro si confrontava, da solo, con sei distinte professionalità: chi di noi docenti sarebbe stato in grado di affrontare, con maggiore spigliatezza, un colloquio di verifica con gli altri cinque colleghi? Credo (ma non ne sono sicuro: dormivo profondamente) che mi sia tornata alla mente una battuta di Massimo Troisi: “E’ chiaro che sono sempre indietro: loro sono tanti che scrivono libri, io sono solo a leggerli”.

Quei ragazzi sfoggiavano non solo una preparazione culturale più ampia, poliedrica, di quanto fosse dotato ciascuno di noi insegnanti (almeno dai tempi lontani del proprio esame di maturità): in alcuni casi erano anche – come dire ? – più svegli di noi. Erano pronti nell’intuire il senso di una domanda, veloci nel creare connessioni, abili nel trovare le parole appropriate per formulare la risposta. Credo (se il meccanismo della rievocazione del sogno non m’inganna) che alcuni di loro fossero più intelligenti di non pochi di noi. Questa vaga percezione, che in un genitore probabilmente suscita solo compiacimento e soddisfazione, in noi  - che incubo ! -  provocava un senso di fastidio. Invidia, competitività, preoccupazione di essere messi in difficoltà? Non saprei concettualizzare. Certamente non era la gioia che solo i grandi maestri avvertono quando constatano che qualche discepolo li sta superando in talento e creatività. Era piuttosto il disagio di chi non riesce a gestire il rapporto con una persona più giovane, ma più geniale.

Stavo, per fortuna, svegliandomi quando nel sogno la visione – già conturbante -  si allargò su un nuovo squarcio. Ancora più conturbante, se possibile. Quei ragazzi mi apparvero, d’un tratto, non solo più freschi mentalmente: erano anche più autentici di noi. Non certo più diligenti né più riflessivi: no. Hanno dato anche troppe prove di pigrizia, discontinuità nell’impegno, impulsività nei gesti e nelle parole…. Ma mai un segnale di esibizionismo, di volere emergere spocchiosamente e di sgomitare per il ruolo di prima donna. Dal punto di vista della sincerità, della trasparenza, della corrispondenza fra ciò che pensavano e ciò che dicevano (anche a costo di risultare scortesi, antipatici), erano davvero – di norma – esemplari. E’ forse questa allergia all’ipocrisia - questa incapacità di navigare nella menzogna e di covare sentimenti di vendetta - la ‘purezza di cuore’ esaltata nelle beatitudini evangeliche? E in pochi anni l’avrebbero perduta perché noi adulti  - anche noi insegnanti, anche nel corso di questi esami – gli avremmo fatto capire che bisogna preferire la diplomazia alla spontaneità, il tatticismo alla manifestazione immediata della propria voglia di equità?

A questo punto mi sono svegliato davvero. Era già ora di alzarsi  e tornare a scuola. Che sollievo constatare che avevo soltanto sognato un brutto sogno e che, nella vita reale, niente di questo è vero! Che conforto potermi ribadire che noi adulti siamo intellettualmente e moralmente migliori di loro! E che siamo anche psicologicamente più equilibrati, più sereni, più risolti…Posso inforcare gli occhiali e, col sorrisino di sufficienza, avviarmi alle operazioni di scrutinio finale in cui, con i colleghi,  condenseremo in poche righe ciò che pensiamo di questi alunni ogni anno più diversi da noi.

Augusto Cavadi