martedì 17 gennaio 2006

DIALOGO TRA RELIGIONI


Augusto Cavadi

“Repubblica – Palermo” 17.1.06

LA SICILIA LUOGO IDEALE DEL DIALOGO TRA LE  RELIGIONI
Hans Küng, il teologo fieramente critico da decenni nei confronti di Joseph Ratzinger e che comunque il neo-eletto papa ha voluto invitare a cena in segno di stima, lo ha ribadito da decenni (anche nel recentissimo Scontro di civiltà ed etica globale, Datanews, Roma 2005): “Non c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni. Non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni”. La sua preoccupazione è condivisa da quanti intuiscono che la dimensione simbolico-culturale s’intreccia, inestricabilmente, con la dimensione socio-politica ed entrambe concorrono a determinare il corso effettivo della storia.

Se è vero che la nostra isola ha costituito nel passato e continua a costituire un crocevia di migrazioni (ufficiali ed ufficiose), il compito di favorire questo dialogo inter- religioso le spetta in maniera peculiare. Non è dunque strano che, nelle prossime settimane, Palermo ospiterà una serie di iniziative centrate proprio su questo obiettivo.
Si è iniziato domenica 15, alle ore 17, nella chiesa di S. Mamiliano in Santa Cita (via Squarcialupo, 1): alcuni Salmi biblici saranno commentati a turno, con intermezzi musicali e poetici, da esponenti di varie comunità cristiane (cattolici, greco-ortodossi, valdesi-metodisti, anglicani ed evangelici della riconciliazione). Laddove, nell’immaginario collettivo, cristiano equivale a cattolico, è stato possibile (direi quasi scenograficamente) rendersi conto della pluralità di presenze cristiane nel nostro territorio. Il fatto poi che queste diverse organizzazioni religiose, non di rado in sana dialettica reciproca, riescano a trovare momenti di riflessione comune non può che costituire un segno incoraggiante per chi è convinto che le differenze non vadano percepite come minaccia bensì come risorsa.

Per quanto importante, il dialogo all’interno dell’arcipelago cristiano sarebbe drasticamente insufficiente se si fermasse davanti alle frontiere con le altre religioni. Per questo è stato rilevante l’incontro che di ieri, presso il Liceo “Umberto I”, con Bruno Segre  su “Ebraismo e laicità”. Il relatore non è solo un noto studioso dell’ebraismo in Italia, ma anche attivo presidente dell’associazione “Amici di Nevè Shalom”.  E’ questo il nome ebraico di un villaggio (situato in Israele, su una collina a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv) che ha anche il nome arabo Wahat al-Salam: entrambe le denominazioni significano “osai di pace”. E’ infatti il laboratorio pionieristico in cui  venticinque famiglie di ebrei e venticinque famiglie di palestinesi, in tutto centosessanta uomini e donne, da trent’anni coabitano e lavorano gomito a gomito. Con orgoglio, ma anche la fatica,  di considerare  Nevé Shalom/Wahat al-Salam la loro casa comune.
Dal ceppo ebraico-cristiano è derivata, grazie alla creatività di un geniale mercante arabo del VII secolo, la terza grande religione del Libro. Molto opportunamente, dunque, il dialogo fra ebrei e cristiani si allarga all’islamismo, la versione del monotesimo che maggiori preoccupazioni  - talora fondate, molto spesso infondate – sta suscitando in Occidente. Oggi alle 17 e trenta, sempre nella nostra città (questa volta nell’Auditorium del “Centro educativo ignaziano” di via Piersanti Mattarella) avrà luogo un dibattito a due voci (tra il gesuita Samir Kalil Samir e l’editorialista di “Repubblica” Klaled Fuad Allam) su “Cristianesimo e islam: conflitto di civiltà o integrazione pacifica?”.
Come è stato acutamente osservato dal filosofo Luigi Lombardi Vallauri, sarebbe da ingenui rallegrarsi per la sola notizia che ebrei, cristiani e islamici imparino a parlarsi. Non è secondario, infatti, sapere cosa si dicono. Qualora infatti la convergenza, teorica ed operativa, dovesse avvenire verticisticamente tra le gerarchie più conservatrici delle tre confessioni religiose, il risultato sarebbe una temibile triade cementata da una comune ispirazione integralista, se non addirittura fondamentalista. Ben diverso si squadernerebbe il panorama qualora il dialogo si realizzasse anche, e soprattutto, a livello di ‘base’ e con uno spirito di ricerca, di autocritica, di apertura alle ricchezze altrui. Senza la convinzione che la propria tradizione teologica possieda tutta la verità e soltanto la verità. In una parola: se tra credenti nell’unico Dio ci si incontrasse per approfondire, insieme alla fede, la propria più genuina laicità.

Augusto Cavadi

sabato 7 gennaio 2006

OMELIA PER DOMENICA 15 GENNAIO


ADISTA 7.1.06

DIO SI FA TROVARE IN CASA
Giovanni 1, 35 – 42

Tra i paradossi che rallentano l’evoluzione storica, sotto tutti i cieli, è un dato inquietante: di solito sono gli stessi personaggi carismatici ad aprire sentieri inediti e ad ostacolarne l’entrata. Da una parte, infatti, se non si è una personalità carismatica non si riesce a vedere oltre il grigio orizzonte del conformismo: ma proprio quel carisma che ci rende creativi, pro-attivi, poli di attrazione per spiriti inquieti e volenterosi, è il medesimo che fa di noi degli autoreferenziali e dei possessivi. Giovanni il Battista  - almeno in questo delizioso quadretto dipinto con mano agile e sicura dall’autore del quarto vangelo canonico – costituisce una felice eccezione. Ha strappato dal chiasso e dall’equivoca agitazione urbana alcuni discepoli, conducendoli con sé nel deserto del silenzio e della revisione di vita: ma non si affeziona oltre misura al ruolo di leader. Conosce l’arte del gioco di squadra: non vuole segnare lui tutti i goal, sa quando - e a chi -  deve passare il pallone. Evitando di sclerotizzarsi nella posizione di guru, sa indicare con lo sguardo “l’agnello di Dio” che può accompagnare i discepoli lungo il cammino di crescita appena intrapreso. In questa consapevolezza del limite, Giovanni il Battezzatore diventa davvero esemplare per quanti, in ambito ecclesiale o in altre situazioni gruppali, hanno il compito di svegliare le coscienze senza accaparrarsene.

Il ‘cugino’ Gesù Nazareno non sembra, in questo, da meno. Quando Andrea e un anonimo compagno lo avvicinano, su indicazione di Giovanni Battista, egli non ha una tavola pronta e apparecchiata da offrire. Verificata la loro apertura dinamica (“Chi cercate?) e ottenuta in risposta una domanda (“Maestro, dove stai?”), non si presenta come la Meta agognata e raggiunta. Indica, piuttosto, la possibilità di proseguire insieme la strada: “Venite e vedrete”. Lungi dal proporre un insegnamento autoritativo e preconfezionato, invita a fare esperienza: ad entrare nella stessa avventura in cui egli stesso è coinvolto in prima persona, senza garanzie e senza reti sottostanti di riserva. Se la teologia e la spiritualità sono state improntate ormai da secoli al cristocentrismo, una lettura onesta e spregiudicata rivela l’infondatezza di questa impostazione: Gesù – e conseguentemente i vangeli –  sono teocentrici. Anzi, per essere più precisi, sono centrati sul rapporto di autodonazione del Padre all’uomo: sull’imminenza del “Regno di Dio”, di un regime in cui Uno solo è Signore e tutti gli altri sono fratelli.. Solo se si comprende quest ’ ottica, così lontana dal devozionismo dei ‘sacri cuori ’ e dei ‘prigionieri del tabernacolo’ , si può  condividere  la preghiera, apparentemente scandalosa, di Kierkegaard: “Tu stesso eri la Via e la Vita ed hai chiesto unicamente imitatori. Tu non venisti al mondo per essere servito e quindi neppure per essere ammirato o adorato in quel senso. Allora scuotici se ci siamo addormentati in quest ’ illusione, salvaci da questo errore di voler ammirarti o adorarti rapiti d’ammirazione invece di voler imitarti e assomigliarti”.
Aver fede significa, dunque, seguire Gesù detto il Cristo non per riceverne mirabolanti rivelazioni metafisiche, quanto per condividerne l’atteggiamento di ricerca e di servizio. E di preghiera. Solo a queste condizioni si può sperare di essere in realtà, e non solo nominalmente, “pietre” miliari come Simone, il fratello di Andrea. Difficile? E’ lo stesso pensatore danese a prestarci le parole più efficaci di figli che si rivolgono, al Padre comune, insieme al Fratello maggiore: “Il Dio dei poveri non può essere un Dio complicato: mostraci che davvero ci ami, rendici capaci di amare, e non chiederemo più oltre”.

Augusto Cavadi svolge la sua attività di ‘consulente filosofico’ soprattutto a Palermo dove è impegnato in iniziative di formazione per insegnanti, studenti, volontari e militanti del movimento antimafia. Opera all’interno della Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone”, del Centro siciliano di documentazione “G. Impastato” e, più recentemente, dell’Ucc (“Università etica per la condivisione della conoscenza”).