venerdì 17 marzo 2006

LA VITA DI BIAGIO CONTE


Centonove
17.3.06

LA CITTA’ DEI POVERI

La prima volta che le cronache si interessarono di lui fu all’inizio degli anni novanta, quando i genitori preoccupati lanciarono un appello a “Chi l’ha visto?” e – implacabilmente – fu riacciuffato dalla Grande Sorella. Biagio Conte era già in Calabria e non si lasciò fermare: incontrò i familiari accorsi a Paola, ma proseguì a piedi verso Assisi. Tornato a Palermo, vagabonda per la città con la verga e l’inseparabile cagnolino. Davanti il bivio decisivo: la lenta dissoluzione, psichica e fisica, del barbone o il farsi carico di chi da barbone vive e agonizza e muore. Sappiamo come è andata, come sta andando: e lui stesso, con l’aiuto determinante di Giacomo Pilati, ha voluto raccontarlo in un libro breve ed intenso (La città dei poveri. La mia vita per gli ultimi, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2005).

Pur se filtrato dall’abile mediazione del giornalista che traduce in scrittura la narrazione verbale, in molte pagine traspare un intento apologetico – talora persino agiografico – che può infastidire. Sarebbe stato, però, sleale cancellare quest’aura di carisma, di missione profetica: fa tutt’uno col personaggio reale. E’ la debolezza, ma anche la forza, dell’esperienza di Fratel Biagio. E’ la debolezza perché, in questi lunghi anni di attività in città, non ha voluto fare gioco di squadra con nessuna organizzazione, cattolica o laica: convinto di obbedire a una voce che non è di questo mondo, ha preferito assumere l’iniziativa, scegliersi i compagni di strada e costruire da zero la sua opera. Nel suo stile anarchicamente francescano rivive qualcosa del furore spiazzante dei “folli di Dio” di medievale memoria. Eppure proprio questo piglio leaderistico, questa imprevedibilità che gli fa seguire l’ispirazione del momento senza nessun (almeno riconoscibile) progetto condiviso, è anche la ragione del suo fascino. Più guru che stratega del sociale, costituisce ciò non ostante - o, forse, proprio per questo - un polo d’attrazione straordinario. Qualche frate e qualche suora, un prete salesiano e soprattutto centinaia di volontari laici (di ogni età e condivisione sociale: studenti, medici, pensionati, casalinghe…) gli hanno consentito di aprire a Palermo tre grandi centri di accoglienza per emarginati: la “Missione Speranza e Carità” in un ex disinfettatoio comunale in via Archirafi; l’Accoglienza femminile nell’ex convento di Santa Caterina in via Garibaldi e, soprattutto, la “Cittadella del povero” nella caserma aeronautica abbandonata di via Decollati. Tenere in piedi tutti i giorni una mensa che sforna tre pasti al giorno per 600 persone, un ambulatorio medico con specialisti, una roulotte che la notte gira per offrire assistenza a chi preferisce il marciapiede al ricovero non è esattamente uno scherzo.
E’ ancora presto per farsi un giudizio su questa storia, non poco contraddittoria, che va svolgendosi sotto gli occhi - ora solidali ora indifferenti – dei concittadini. Non è facile (e forse neppure lecito) scavare nel groviglio psicologico delle motivazioni che spingono tante persone ad un’impresa del genere: ma l’atteggiamento di base non può essere che di attenzione. E di rispetto. Turbati dallo spettacolo di tanti connazionali emarginati dai meccanismi capitalistici, le cui fila sono di giorno in giorno ingrossate dai disgraziati in fuga dal Terzo e dal Quarto Mondo, Biagio Conte e i suoi collaboratori provano a dare, con ammirevole fedeltà quotidiana, una prima risposta: “La miseria non è una professione. E non è vero che c’è un destino segnato per ciascuno di noi. E’ una bugia che il tondo non può morire quadrato, come si dice a Palermo. Una geometria che assolve dal peccato di non cambiare le cose. Tutti hanno diritto ad un tetto, ad un po’ di affetto, ad un pezzo di pane” (p. 53). Il problema non sta in questa generosità di slancio, ma nella strumentalizzazione che le istituzioni civili ed ecclesiastiche possono operare. Benedicendo Francesco d’Assisi e approvandone con modifiche la “Regola”, la chiesa medievale ha trovato l’espediente per non mettere in discussione i privilegi del clero né le gerarchie sociali. La situazione odierna è diversa? Mostrarsi benevoli con questo volontariato un po’ naif non potrebbe servire a legittimare il moderatismo all’interno e all’esterno delle strutture ecclesiali? Che il cardinale De Giorgi vada a pranzo con i barboni di via Archirafi è un gesto certamente apprezzabile: ma questo non deve mettere in sordina la questione (annosa, sinora irrisolta) della trasparenza nella gestione dei tanti beni immobili di proprietà della curia arcivescovile (e di tante congregazioni religiose presenti in diocesi) . Altrettanto ammirevole è che il Comune rimborsi alle strutture di Biagio Conte le spese essenziali (luce, gas, acqua): ma questo non deve servire a distrarre l’attenzione da un bilancio comunale che ogni anno taglia i fondi per i servizi sociali ed aumenta le disponibilità per le spese di rappresentanza del Sindaco e della sua giunta. Solo pochi mesi fa, in occasione del Natale, l’amministrazione cittadina ha consegnato a ciascun consigliere comunale 100 panettoni da distribuire, a piacimento, ai ‘poveri’ del suo giro. Per quanto mi risulta, solo i due consiglieri di Rifondazione comunista hanno rimandato al mittente il pacco, contestando questa visione distorta e umiliante della solidarietà sociale e chiedendo, con un documento, una diversa destinazione del denaro pubblico.

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