lunedì 29 maggio 2006

PER PASSIONE LA FILOSOFIA


LA NONVIOLENZA E’ IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 1310 del 29 maggio 2006

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: In digiuno contro la guerra
2. Medea Benjamin colloquia con Diane Wilson
3. Per il 2 giugno
4. Lidia Menapace: Intervento nella seduta del Senato del 18 maggio 2006
5. Robbie Davis-Floyd: Mettere al mondo il futuro
6. Letture: Augusto Cavadi, E, per passione, la filosofia
7. La “Carta” del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu’

6. LETTURE. AUGUSTO CAVADI: E, PER PASSIONE, LA FILOSOFIA
Augusto Cavadi, E, per passione, la filosofia. Breve introduzione alla piu’ inutile di tutte le scienze, DG Editore, Trapani 2006, pp. 190, euro 16,50 (per richieste all’editore: e-mail: info@ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.ilpozzodigiacobbe.com). Riveleremo minimo un segreto: da tempo  speravamo che nella sua feconda vena pubblicistica Augusto Cavadi (autore di  attente ricognizioni introduttive alla piu’ adeguata ricerca e alla piu’ aggiornata riflessione e discussione in ambito teologico e morale, della filosofia politica e del dibattito antropologico culturale, ma anche di una pubblicistica di intervento civile particolarmente impegnata contro la mafia, e di agili opere di felice vena pedagogica, anzi diremmo dolcianamente maieutica) prima o poi si decidesse a scrivere un protreptico brillante e saporito alla “piu’ inutile di tutte le scienze”; beninteso: speravamo, ma senza mai fargliene parola. E quando mi e’ arrivato questo volumetto, approfittando di una mezza giornata liberatasi da un impegno fortunosamente e fortunatamente “saltato”, subito mi ci sono tuffato, a bracciate vigorose percorrendolo, e poi di bel nuovo centellinandone le parti che piu’ mi sono garbate.

Naturalmente si puo’ discutere se questo genere di opere abbiano o meno una loro ragion d’essere - e chi scrive queste righe e’ anche in questo caso del partito dei perplessi anziche’ di quello dei persuasi -, ma certo nella oggi fiorentissima - e sovente penosissima - produzione divulgativa afferente a temi filosofici questo lavoro ha pregi che raramente si incontrano; ed anche a chi non ama ne’ la scrittura talora forse troppo ammiccante e per cosi’ dire giornalistica e cursoria (ma forse le nostre preferenze ciceroniane e quintilianee non sono oggi granche’ condivise dal pubblico cui il libro innanzitutto si rivolge in forma di invito sobrio e bonario, senza prosopopea per scelta, e forse anche per necessita’), ne’ che troppo si agevoli l’accostamento a cose che e’ bene restino impervie dacche’ nulla vale se non richiede sforzo, ebbene, piacera’ tuttavia la fluidita’ dell’argomentazione, la sintesi senza forzature, l’apertura e per cosi’ dire la laicita’ dei ragionamenti, l’esplicito riconoscimento della umana parzialita’ delle proprie tesi, l’invito alla
discussione e all’approfondimento, e - come dire - un sentore di fresco e pulito che ameno e amichevole aleggia per l’intero volume. E tralasciando qui l’ovvia considerazione che su alcune opinioni nel libro espresse si possono avere punti di vista anche alquanto diversi - che e’ il bello dei libri di pensiero quando sono buoni, che invitano alla critica e al dissenso, e quindi al dialogo ed alla conricerca -, piuttosto vecchi barbogi malati di dispeptica acribia come noi vorrebbero discutere fin puntigliosamente della bibliografia ragionata (il capitolo degli “avvisi ai naviganti” in cui si segnalano anche testi che invero ci sembra non meriterebbero altra collocazione che nella prima cantica dantesca), e suggerire semmai per una seconda edizione l’abolizione delle epigrafi e una titolatura in alcuni punti (p. 7, p. 153) assai meno sbarazzina. In cauda: impreziosisce il libro una “lettera di un’amica”, Francesca Rigotti, di cui particolarmente l’incipit e’ piaciuto al vecchio ateista umorista che scrive questa nota (se e’ possibile essere umoristi essendo ateisti, come crediamo, ma forse i nostri maestri Pascal e Kierkegaard avrebbero deliziosamente e sottilmente, e fin rissosamente, obiettato). E per esser questa una breve segnalazione bibliografica forse l’abbiamo fatta fin troppo lunga - ma, si sa, al cuore non si comanda.

7. DOCUMENTI. LA “CARTA” DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l’esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell’apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita’ mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d’azione del movimento nonviolento sono:
1. l’opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l’oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell’ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un’altra delle forme di violenza dell’uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell’uccisione e della lesione fisica, dell’odio e della menzogna, dell’impedimento del dialogo e della liberta’ di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l’esempio, l’educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU’
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l’altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir@peacelink.it, luciano.benini@tin.it, sudest@iol.it, paolocand@libero.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E’ IN CAMMINO

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Numero 1310 del 29 maggio 2006

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sabato 27 maggio 2006

ELEZIONI REGIONALI: PIU’ ETICA PER I SICILIANI


Repubblica – Palermo 27.5.06

L’ISOLA CHE CAMBIA CHIEDE PIU’ ETICA

Non si vincono le elezioni solo in nome dell’etica: è necessaria anche la politica. Questo, in sintesi, il messaggio che, con la consueta lucidità, Giovanni Fiandaca ha inteso trasmettere al popolo progressista siciliano: un popolo talmente intontito per la batosta elettorale del 28 maggio da stentare, ancora, a riconoscerla come batosta (solo perché non si è trattato di una Caporetto).
Prima questione: in Sicilia, per avere la maggioranza, proporre principi etici è insufficiente o è vietato? D’accordissimo: gli elettori di centro-destra non vanno demonizzati ed, anzi, vanno moltiplicate le occasioni per ascoltarne le ragioni. Evidente che non si tratti di una massa famelica abilmente pilotata da astuti mafiosi (anche se, come e forse un po’ più che nel centro-sinistra, non mancano i famelici né i mafiosi).

Si tratta però - l’esperienza quotidiana lo attesta implacabilmente – di concittadini che, in genere, nutrono una spontanea, ancestrale, viscerale refrattarietà ad alcune costellazioni etiche: più precisamente ai valori-guida della convivenza sociale. Col massimo candore considerano ammissibili quei reati pubblici che, in privato, aborriscono sinceramente. Non ruberebbero un euro al passeggero del sedile accanto, ma trovano ovvio evitare di pagare il biglietto per l’autobus. Non getterebbero sul lastrico un padre di famiglia che si guadagni da vivere facendo lo spazzino o il vigile urbano, ma trovano naturale evadere le imposte comunali. Non alzerebbero un dito contro un bambino indifeso, ma nessun rimorso li sfiora se la loro azienda avvelena le falde acquifere per generazioni, se il loro fuoristrada intossica l’aria o se gli scarichi del loro villino abusivo inquinano il tratto di mare che lambisce la spiaggia demaniale. Non strapperebbero mai il tubo dell’ossigeno a un malato terminale, ma ritengono ovvio scavalcare per raccomandazione chi li precede – anche per gravità oggettiva - nella lista d’attesa delle operazioni chirurgiche. Fanno scivolare volentieri due spiccioli in mano all’immigrato che pulisce i vetri delle auto all’angolo delle strade, ma non sono disposti a versare i contributi previdenziali alla moglie dello stesso che lavora come domestica o come badante nelle loro case. Proverebbero orrore nel frequentare gli assassini a servizio di Cosa Nostra, ma si onorano di frequentare i salotti dei mandanti altolocati e dei complici che ne riciclano i profitti illeciti…Per tutti questi elettori, più incoscienti che malvagi, la sola ipotesi che - non solo simbolicamente – si possa voltare pagina è inammissibile. Immuni dalla tentazione di sostituire la politica con l’etica, si servono della politica per difendersi dall’etica.
Ma se è così, siamo ad una seconda questione: che significa approntare una strategia politica adeguata da parte del centro-sinistra (dove, per altro, non mancano le tentazioni di illegalità o almeno di alegalità)? Numerosi interventi su queste pagine, nei giorni scorsi, hanno insistito - oltre che sugli aspetti organizzativi (lo zigote siciliano del futuro Partito Democratico) - sui contenuti programmatici (l’attenzione strategica agli interessi socio-economici degli elettori) e sui fattori antropologici (il ricambio di un ceto dirigente che da tempo colleziona sconfitte e le spaccia ai propri iscritti per pareggi, se non addirittura per quasi-vittorie). Tutto vero. Tutto importante. Ma, in concreto, si può procedere in questa direzione con l’alto tasso di analfabetismo politico imperante? Se la media dei cittadini (a causa della deficienza di formazione di base in sociologia, in diritto, in economia) non è in grado di capire il merito delle diverse proposte legislative, come fa a scegliere le opzioni non solo più etiche ma anche più convenienti? Molti, ad esempio, si lamentano da anni per gli interessi molto bassi con cui lo Stato gratifica chi gli presta soldi acquistando Bot: come fargli capire che, se questo è dovuto ad un’inflazione significativamente minore rispetto al passato, per i loro risparmi è comunque un vantaggio? Altri si rallegrano se l’ICI per la prima casa si abbassa di un centesimo: ma come fargli capire che non si tratta di una buona notizia se corrisponde a tagli nell’assistenza sociale dei ragazzi a rischio o degli anziani abbandonati alla loro solitudine?
Ma non basta. Riscoprire che la politica è anche azione culturale, riattivare da parte dei partiti i luoghi ormai cassati della formazione iniziale e dell’informazione aggiornata, potrebbe ampliare il cerchio degli iscritti e dei militanti. O, per lo meno, migliorarne la selezione. A partecipare attivamente alla politica non sarebbero più (come accade oggi troppo spesso, in tutte le formazioni partitiche) i giovani ricchi di ambizioni e poveri di competenze, ma anche personalità qualificate. E ciò renderebbe meno arduo trovare i soggetti adeguati ad un serio ricambio generazionale.
Non solo etica, dunque, ma anche politica; non solo politica, ma anche cultura. In attesa che i partiti attuali lo capiscano - e lo traducano in iniziative sul territorio – possono mobilitarsi le altre agenzie educative. Qui ha ragione da vendere Beatrice Monroy quando chiede agli intellettuali siciliani di uscire da un certo limbo autocelebrativo: non per inventarsi nuove funzioni sociali, ma per fare sino in fondo gli intellettuali. Cioè non solo per scrivere libri e per recensire i libri dei colleghi, ma per imparare a dialogare con chi i libri non li scrive né li legge, ma a votare ci va lo stesso e con un voto che pesa quanto gli altri. La realtà effettiva è infatti desolante. L’alfabetizzazione civica resta fuori dalle aule scolastiche, dai centri sociali, dalle parrocchie, dalle sedi sindacali. La stragrande maggioranza vota senza essere in grado, preventivamente, di soppesare la posta in gioco. Da questo punto di vista, non ci sono forti differenze fra città e provincia, fra quartieri bene e quartieri degradati, fra ceti abbienti e ceti indigenti, fra adulti e giovani: l’ignoranza dei meccanismi istituzionali e dei progetti politici accomuna e livella, come la morte secondo Totò de Curtis, tutti gli strati sociali e generazionali. In questo contesto veramente gli elettori stentano - come recita un modo di dire meridionale –a distinguere la destra dalla sinistra. Inchiodano l’isola alla sua fastidiosa anomalia ma, tranne pochi capipopolo, “non sanno quello che fanno”.

mercoledì 17 maggio 2006

I PRIVILEGI ALLA CHIESA TRADISCONO I CATTOLICI


Repubblica – Palermo
17.5.2006

FEDE E LAICITA’ IN SICILIA

Nello Musumeci lamenta un’eccessiva polarizzazione mediatica sugli altri due candidati alla presidenza della regione. Certo, sarà difficile per gli storici di domani spiegare come mai il centro-destra siciliano non abbia lasciato a Cuffaro il tempo e la tranquillità necessari ad affrontare i processi in cui è incriminato e non abbia addossato il peso della campagna elettorale su altri esponenti liberi da impegni giudiziari. Ma, dal momento che la scelta dello schieramento moderato-conservatore è stata questa, anche Musumeci deve rassegnarsi: è ovvio che le sue possibilità di farcela siano vicine allo zero.
Mai come in questa occasione la scelta fra i due contendenti effettivi sarà anche fra due visioni differenti della società, dell’amministrazione, dell’economia, della giustizia.

E - nonostante si tratti in entrambi i casi di due cattolici dichiarati e praticanti – persino della religione. Infatti c’è chi intende la propria identità confessionale come alternativa alla laicità: dunque ritiene del tutto normale chiamare a raccolta i propri correligionari e promettere loro, anche sulla base di varie dimostrazioni concrete già offerte negli ultimi cinque anni, un trattamento privilegiato. Una volta si tratterà di assumere in pianta stabile i cappellani ospedalieri, un’altra volta di sovvenzionare gli alunni delle scuole cattoliche private, un’altra volta ancora di finanziare restauro e costruzione di edifici di culto (o, comunque, di proprietà ecclesiastica). Di contro, qualche altra ritiene che ogni opzione di fede presupponga – e non possa in alcun modo scavalcare o cancellare – la propria dimensione laicale. E che dunque il consenso vada chiesto da cittadina a cittadini, in nome non di affinità teologiche bensì di ideali, progetti e strategie apertamente proposti e liberamente accettati. In questa prospettiva, essere credenti non si configura come un privilegio da condividere, ma come un motivo in più di spendersi per gli altri responsabilmente.
Sono in gioco – lo si vede facilmente – questioni culturali che vanno ben oltre la contingenza della polemica partitica. Per questo va salutata come preziosa la duplice occasione, che il “Dipartimento di studi su politica diritto e società” dell’Università di Palermo offre alla città in collaborazione con l’Istituto “Gramsci”, di riflettervi e discutervi con due protagonisti del dibattito italiano: Gian Enrico Rusconi, che ha parlato l’altro ieri, e Carlo Augusto Viano che (alle 16.30 nell’Aula Magna della facoltà di Giurisprudenza in via Maqueda) incontrerà oggi i cittadini interessati. L’insigne filosofo torinese si soffermerà su un tema – “La religione fra pubblico e privato” - di scottante attualità che ha avuto modo di affrontare nel suo ultimo volume laterziano dal titolo assai eloquente: “Laici in ginocchio”. Al di là di qualche opinione discutibile (non sembra, per esempio, che egli accetti la distinzione concettuale e terminologica fra ‘laicità’ e ‘laicismo’: tra un atteggiamento di apertura, di senso critico, di pluralismo, da una parte, e la chiusura immanentistica ad ogni forma di religiosità che esuli dall’intimo della coscienza individuale), la sua tesi è di solare evidenza: il clericalismo tracima ed invade gli spazi pubblici là dove i laici (atei, credenti o agnostici che siano) glielo consentono. In particolare, la propaganda del cattolicesimo illiberale – integrato, nel Meridione, da una crescente presenza di protestantesimo fondamentalista ‘teocon’ - ha successo nell’adescare il consenso perché utilizza strumentalmente i ‘valori’ mentre, di contro, il mondo laico sembra eticamente in disarmo e preferisce giocare in difesa.
Se questo è vero, il 28 maggio sarà una data decisiva per la sorte non solo amministrativa della nostra terra. Abbiamo registrato, di recente, le preoccupazioni anche da parte di donne e uomini di autentica fede che vedono minacciati da questo andazzo non solo l’eguaglianza dei cittadini ma lo stesso annunzio del vangelo. E’ lecito sperare che le intelligenze riflessive, anche se sinora concentrate a difendere i propri interessi immediati, sapranno alzare per una volta lo sguardo sul futuro e garantire col voto - a sé e ai propri figli - un clima più laico e, perciò, più libero?

sabato 13 maggio 2006

GLI APPARATI REGIONALI


Repubblica - Palermo
13.5.2006

Le mostre del libro

Per una serie di coincidenze che sarebbe lungo spiegare – e, per chi legge, noioso da ascoltare - mi sono trovato in questi ultimi mesi ad osservare da vicino due ‘vetrine’ dell’Assessorato regionale ai beni culturali. In coincidenza con la Fiera internazionale del libro per bambini, dal 24 al 26 marzo ha avuto luogo a Bologna “Docet”, una rassegna di buone pratiche educative e di strumenti didattici innovativi; dal 4 all’8 maggio a Torino si è, poi, tenuto il Salone internazionale del libro. In entrambi i casi, la Regione siciliana ha deciso – benemeritamente – di essere presente. Ma con risultati assai differenti. Quasi opposti.

A Bologna, infatti, il personale in missione si è fatto notare dai visitatori per la forte motivazione ad accogliere, a illustrare i progetti pionieristici in corso (dai musei utilizzati come laboratori agli itinerari didattici naturalistici), a distribuire materiali di documentazione, a invitare insegnanti e scolaresche di tutta Italia a sperimentare il viaggio nella nostra isola come occasione pedagogica.
Diverso, completamente diverso, l’atteggiamento di funzionari e impiegati nel corso dei quattro giorni torinesi. Anche qui lo stand siciliano si è contraddistinto rispetto agli spazi delle altre regioni (anzi, persino rispetto agli spazi predisposti dal alcune amministrazioni provinciali come Catania e Siracusa): ma in negativo. Dei tredici addetti, doverosamente spesati di tutto e doverosamente gratificati per lo straordinario prestato, difficilmente se ne trovavano più di due o tre in compresenza. Forse la restante decina si trovava non in giro turistico per il Piemonte ma impegnata in riunioni di lavoro o gruppi di studio riservati. Di sicuro, comunque, chi era presente di volta in volta non mostrava alcun reale interesse a contattare i visitatori. Non senza significato il fatto che lo stand della Regione siciliana sia stato l’ultimo a completare l’allestimento ed il primo a smontare (parecchie ore prima della chiusura della Fiera). Il personale in rappresentanza dell’Emilia Romagna, del Friuli Venezia Giulia o dell’Umbria era costantemente impegnato o nel dialogo con gli ospiti o nell’offrire degustazione di prodotti tipici o nell’attuazione di eventi culturali. Tranne tre o quattro manifestazioni, co-organizzate con un’associazione di editori siciliani sovvenzionata con soldi pubblici ma non brillante a sua volta per efficienza, un clima moscio e sciatto. E in queste poche occasioni è accaduto un po’ di tutto: dal successo della commemorazione dell’esploratore D’Arrigo recentemente scomparso o della presentazione di un intrigante volume su donne siciliane illustri all’imbarazzante mancanza di amplificazione acustica nel corso di un dibattito sull’educazione antimafiosa.
Qualcuno ha osservato ironicamente che sarebbe stato eccessivo pretendere persino il microfono ‘istituzionale’ per una manifestazione dedicata a stigmatizzare l’intreccio fra poteri politici, ecclesiastici e mafiosi. Unico conforto: non è stato difficile ai relatori far capire, con quell’esemplificazione in diretta, quali effetti di inefficienza possa produrre un sistema gestionale fondato sul favoritismo clientelare.
Per dirla proprio tutta - anche se può non risultare consolante – l’opposto esito delle due missioni a Bologna e a Torino attesta un dato: la relativa autonomia della burocrazia regionale rispetto alle maggioranze politiche di volta in volta in sella. Questo significa che dirigenti e impiegati - animati da senso civico - possono funzionare anche in regimi allegri; ma che, per la stessa ragione, non ci si può aspettare che un eventuale cambio di maggioranza a Palazzo dei Normanni comporti, nell’immediato, un mutamento di stile nei soggetti carenti di competenze e di correttezza deontologica. La battaglia per una Sicilia che investa 50 mila euro su una rassegna libraria di pochi giorni senza dare l’amara impressione dello spreco non si profila per nulla facile: l’auspicabile capovolgimento di posizione degli schieramenti partitici attuali sarebbe una tappa necessaria, ma insufficiente. Lucidità e onestà di alcuni leaders, quando ci sono, sono preziose: decisivo sarebbe però, qualora scattasse, l’autocoinvolgimento etico nel quotidiano di una cittadinanza finalmente stanca di farsi male da sola.

martedì 9 maggio 2006

FENOMENI PSICOLOGICI


Repubblica – Palermo
9.5.06

ALDO SPINNATO
Melancolia
Sellerio
Pagine 82
Euro 10,00

La psichiatria incontra sempre più spesso l’esperienza della “depressione”: sottile, infatti, il confine fra la “malinconia” (che, secondo Tennyson, “rende miti” ) e la “melancolia” (ben più drammatico sentimento di “oppressione primaria”). Davanti a tanto dolore, ogni strumento efficace va bene. Ed Aldo Spinnato, medico palermitano, ricorre anche agli apporti della filosofia. Per essere più precisi: di quella corrente filosofica, derivante da Husserl, nota come “fenomenologia”. L’operazione non è certo inedita: con umiltà, l’autore si mette alla scuola di Binswanger e di quanti altri hanno lavorato in direzione di una “fenomenologia psicopatologica”. Ne risulta un breve saggio che lascia molti interrogativi ma, come aperitivo, può funzionare. L’idea centrale è, comunque, chiara: “il melanconico, privo di propulsione verso il futuro pur conoscendo la successione dei movimenti cronologici, non può che permanere in una situazione di stallo temporale; in una fonte di angoscia insopportabile, il passato non si distanzia e opprime il presente, l’avvenire è precluso”.

sabato 6 maggio 2006

I MANIFESTI PER LE ELEZIONI REGIONALI


Repubblica - Palermo
6.5.06

Il messaggio nascosto nello slogan elettorale

Quasi quasi ci mancavano. Dopo la campagna per le politiche - tu scegli il simbolo, il partito ha già scelto per te la sequenza degli eletti - tornano i faccioni sui maxi-manifesti elettorali per le regionali. Bisogna ammetterlo: se non fosse per lo scempio degli alberi (e per lo sfregio delle città: avete notato Palazzo Comitini?), è un ritorno troppo divertente per non rallegrarsene. Divertente e anche istruttivo: permette di misurare l’idea che i candidati si sono fatti (forse a propria immagine e somiglianza) dell’intelligenza dei cittadini. Che accade, infatti, secondo le loro aspettative? Che tu passeggi tranquillamente per via Libertà o sei bloccato in auto alla Circonvallazione, lo sguardo si posa distratto su un manifestone e - colpito da una frase ad effetto o anche solo da un volto accattivante - avverti l’indicibile esperienza dell’illuminazione: ora sai, finalmente, per chi votare. Non perché quello slogan ti sintetizzi un programma di governo o, per lo meno, una specifica strategia su questo o quell’altro argomento. No: solo perché è riuscito - distinguendosi dalla marea amorfa di innumerevoli stimoli pubblicitari - ad attirare, per un momento, la tua curiosità.

Ci avevi mai pensato che, se evidenzi certe lettere, “il momento di esserci” contiene l’abbreviazione usuale dei Democratici di sinistra? Ora che lo sai, non puoi coltivare inutili dubbi. Forse non saprai mai che cosa propone quel candidato sulla questione dell’immigrazione clandestina o dei finanziamenti pubblici alle scuole private: ma hai un motivo ben più determinante per sceglierlo.
Talora, però, con la ricerca dell’effetto speciale si esagera. Con conseguenze controproducenti in cittadini poco esperti in giochi di parole. Qualcuno, ad esempio, davanti al cesto di mele rosse di Manlio Mele ( “un politico che lavora” : per evitare d’essere confuso con i colleghi ancora in cerca di prima occupazione) si è rallegrato della novità proletaria: finalmente un contadino a Sala d’Ercole! Altri, con più malizia che sprovvedutezza, si sono chiesti perché tanta insistenza sulla “forza di Miccichè”: “Ma la Casa delle libertà non era per il proibizionismo?”.
D’altronde, quanti preferiscono entrare - per così dire - nel merito propositivo, corrono i loro rischi. Se quell’esponente dell’Udc ti promette “la certezza del lavoro”, come fai a non essere d’accordo? Puoi solo chiederti – visto che appartiene al partito del governatore - perché quell’obbiettivo così affascinante si è allontanato in questi cinque anni anziché ravvicinarsi; oppure sospettare che la certezza del lavoro c’è solo per chi vota in un certo modo e promette di mantenersi fedele. Mimmo Russo, di Alleanza Nazionale, ti chiede “Aiutatemi a difendervi”: e se per caso tu avessi paura proprio di persone come lui, con la fissazione della sicurezza, a chi ti devi rivolgere? Il suo collega di partito, Bartolo Sammartino, dichiara di volere una Sicilia “giovane, forte e fiera”: che ne sarà, allora, in caso di vittoria dell’ex vicesindaco di Palermo, di gente, come me, over 50, con qualche acciacco e un po’ di pudore nel dirsi siciliano? Un altro di AN, Guido Virzì, proclama che per i pensionati regionali, dopo “una vita di doveri” è arrivata la stagione dei “diritti”. E’ commovente questo partire dalla categoria di lavoratori notoriamente più sfruttata e peggio pagata dell’isola: tanto è vero che si stenta a trovare qualcuno disposto a farsi assumere dalla Regione. Per restare nell’area, un Tricoli chiede il voto in nome della “destra che si rinnova”: volto - e soprattutto cognome - davvero inediti nel panorama politico siciliano… Può consolare apprendere che Cuffaro ama i siciliani. Però quando vaghi col pensiero, tornando a casa dopo una giornata di fatica, nella tua mente stanca può insinuarsi una curiosità: ma i siciliani quanto amano Cuffaro?
E’ allora che capisci la genialità dei candidati che non si perdono in troppi giri. O ti ingiungono, senza complimenti, “sulla scheda scrivi…” (sottinteso: e poche chiacchiere) o fanno addirittura a meno del comando. Si limitano a fissarti con grandi occhioni chiari, rotondi, magnetici, resi ancor più irresistibili dall’amplificazione della gigantografia: quasi a dire “e poi vediamo se, nel segreto dell’urna, riesci a dimenticare Scoma”. “Anche se sei un uomo”, per citare miss Ars, Simona Vicari. Però, in questo caso, è più facile che ti ricordi, invece, di Alessandra Siracusa.
Per quanto mi riguarda, so già per chi votare e non voglio farne mistero. Devo solo trovare un candidato che prometta, come primo punto programmatico, la ferma richiesta alle autorità di polizia di punire esemplarmente politici, partiti e imprese di affissione che se ne fregano della normativa in vigore (tanto per far capire il senso civico che li spinge a scendere in campo). E, come secondo punto, l’incremento di tassazione per quanti - non paghi di bombardarci con messaggi immateriali - si intestardiscono ad assediarci (a spese loro? ) anche con la propaganda cartacea .

lunedì 1 maggio 2006

Chiese e mafia


Casablanca
Maggio 2006

Chiese e mafia

Provenzano si cibava di cacio e bibbia. Non è stato il primo - né probabilmente sarà l’ultimo – dei mafiosi devoti. Vogliamo provare ad approfondire?
Partiamo dai dati storici (al di là dei pregiudizi ideologici). Anche se molti sono stati cristiani e mafiosi senza problemi, non è vero che tutti i mafiosi sono stati cristiani né, ancor meno, che tutti i cristiani sono stati mafiosi.
Tra mondo ecclesiale e mondo mafioso si sono alternati, e sovrapposti, rapporti molteplici: qualche volta di complicità (preti organici a cosche o comunque in sintonia con capi-mafia), qualche altra volta di conflittualità (preti che, sin dai moti sociali di fine XIX secolo per la distribuzione dei latifondi ai contadini, si sono schierati dalla parte delle vittime del sistema di potere mafioso), più spesso di estraneità (preti che ritengono la mafia un mero fenomeno criminale di competenza delle autorità statali preposte all’ordine pubblico).

Se questo quadro storico è, nella sostanza, veritiero, si possono trarre due o tre considerazioni per capire l’attualità e, soprattutto, per immaginare un futuro alternativo.
Una prima considerazione deve evidenziare il rilievo dell’abituale distrazione del mondo ecclesiale nei riguardi del dominio mafioso. Né complicità né conflittualità sarebbero possibili senza lo sfondo di estraneità: è l’indifferenza degli ignavi che rende possibile sia i patti scellerati (con vescovi, parroci, frati e dirigenti dell’associazionismo cattolico) sia le punizioni esemplari (di chi, come don Pino Puglisi a Palermo o don Peppino Diana a Casal di Principe, osano disubbidire agli ordini).
Una seconda considerazione: nonostante il vistoso calo d’incidenza nel tessuto sociale, la chiesa – come la scuola - svolge un ruolo pedagogico da non sottovalutare. Come ogni altra agenzia educativa, può contribuire (con l’estraneità o con la complicità) a riprodurre il consenso socio-culturale (senza il quale la mafia non sarebbe mafia ma delinquenza generica) quanto ad innescare, se invece esalta gli aspetti della conflittualità, elementi di dissenso popolare intergenerazionale e transclassista
Una terza considerazione: una eventuale, auspicabile strategia di scardinamento del consenso socio-culturale alla mafia presupporrebbe, da parte delle comunità cristiane, delle revisioni radicali (e, in taluni casi, dolorose). Intanto (e questo riguarda in particolare i cristiani – cattolici) una revisione della dottrina teologica alla luce della Bibbia: troppe superfetazioni ideologiche hanno fatto del messaggio biblico originario un efficace apparato di legittimazione dei poteri mondani. Ma non basterebbe (come attesta l’esperienza dei cristiani-protestanti) questo pur necessario passo indietro dalle teologie del potere alla fonte originaria costituita dai Libri del Primo e del Secondo Testamento. Infatti le Scritture, lungi dall’essere un Testo da venerare feticisticamente, documentano una fase storica dell’incessante ricerca religiosa dell’umanità. Se le assumiamo letteralisticamente (o, nel suo significato etimologico originario, ‘fondamentalisticamente’) esse offrono il fianco a interpretazioni opposte: ci consegnano l’annunzio di un Dio ‘padre’, libero e liberatore dell’uomo, ma anche di un Dio ‘padrino’, che persegue i suoi fini senza risparmiare violenze e vendette.