lunedì 1 maggio 2006

Chiese e mafia


Casablanca
Maggio 2006

Chiese e mafia

Provenzano si cibava di cacio e bibbia. Non è stato il primo - né probabilmente sarà l’ultimo – dei mafiosi devoti. Vogliamo provare ad approfondire?
Partiamo dai dati storici (al di là dei pregiudizi ideologici). Anche se molti sono stati cristiani e mafiosi senza problemi, non è vero che tutti i mafiosi sono stati cristiani né, ancor meno, che tutti i cristiani sono stati mafiosi.
Tra mondo ecclesiale e mondo mafioso si sono alternati, e sovrapposti, rapporti molteplici: qualche volta di complicità (preti organici a cosche o comunque in sintonia con capi-mafia), qualche altra volta di conflittualità (preti che, sin dai moti sociali di fine XIX secolo per la distribuzione dei latifondi ai contadini, si sono schierati dalla parte delle vittime del sistema di potere mafioso), più spesso di estraneità (preti che ritengono la mafia un mero fenomeno criminale di competenza delle autorità statali preposte all’ordine pubblico).

Se questo quadro storico è, nella sostanza, veritiero, si possono trarre due o tre considerazioni per capire l’attualità e, soprattutto, per immaginare un futuro alternativo.
Una prima considerazione deve evidenziare il rilievo dell’abituale distrazione del mondo ecclesiale nei riguardi del dominio mafioso. Né complicità né conflittualità sarebbero possibili senza lo sfondo di estraneità: è l’indifferenza degli ignavi che rende possibile sia i patti scellerati (con vescovi, parroci, frati e dirigenti dell’associazionismo cattolico) sia le punizioni esemplari (di chi, come don Pino Puglisi a Palermo o don Peppino Diana a Casal di Principe, osano disubbidire agli ordini).
Una seconda considerazione: nonostante il vistoso calo d’incidenza nel tessuto sociale, la chiesa – come la scuola - svolge un ruolo pedagogico da non sottovalutare. Come ogni altra agenzia educativa, può contribuire (con l’estraneità o con la complicità) a riprodurre il consenso socio-culturale (senza il quale la mafia non sarebbe mafia ma delinquenza generica) quanto ad innescare, se invece esalta gli aspetti della conflittualità, elementi di dissenso popolare intergenerazionale e transclassista
Una terza considerazione: una eventuale, auspicabile strategia di scardinamento del consenso socio-culturale alla mafia presupporrebbe, da parte delle comunità cristiane, delle revisioni radicali (e, in taluni casi, dolorose). Intanto (e questo riguarda in particolare i cristiani – cattolici) una revisione della dottrina teologica alla luce della Bibbia: troppe superfetazioni ideologiche hanno fatto del messaggio biblico originario un efficace apparato di legittimazione dei poteri mondani. Ma non basterebbe (come attesta l’esperienza dei cristiani-protestanti) questo pur necessario passo indietro dalle teologie del potere alla fonte originaria costituita dai Libri del Primo e del Secondo Testamento. Infatti le Scritture, lungi dall’essere un Testo da venerare feticisticamente, documentano una fase storica dell’incessante ricerca religiosa dell’umanità. Se le assumiamo letteralisticamente (o, nel suo significato etimologico originario, ‘fondamentalisticamente’) esse offrono il fianco a interpretazioni opposte: ci consegnano l’annunzio di un Dio ‘padre’, libero e liberatore dell’uomo, ma anche di un Dio ‘padrino’, che persegue i suoi fini senza risparmiare violenze e vendette.

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