venerdì 16 giugno 2006

NON SONO I PENTITI


“Repubblica – Palermo” 16.6.06

TESTIMONI DI GIUSTIZIA. I diritti dimenticati.

Non è scritto da nessuna parte che di mafia si debba parlare solo in Sicilia. Inevitabile, però, che – dovunque se ne parli - si parli anche della Sicilia e dei siciliani. Così è avvenuto nei giorni scorsi anche alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze, dove si è svolto il “Forum nazionale contro la mafia” organizzato dall’associazione degli studenti di sinistra. Impossibile rendere conto degli innumerevoli e prestigiosi interventi (Vigna, Caselli, Ingroia, Tescaroli,Veltri, Santino, Sanfilippo, Cozzo, Piscitello, Licata, Borsellino, Arnone…) ascoltati in assemblea e nei seminari. Né, forse, necessario: la stampa, anche nazionale, ha dato spesso voce a questi protagonisti di rilievo sì che difficilmente accade che offrano elementi inediti. Tra questi, almeno uno avrebbe meritato maggior risalto. Stimolati anche da una relazione precedente di Marco Travaglio, alcuni ragazzi hanno chiesto al giudice Grasso come mai sia stato permesso a Vespa e a La Rosa di entrare, con la troupe televisiva, nel covo di Provenzano col duplice danno di inquinare le impronte dei visitatori clandestini e di distrarre, con particolari folcloristici e culinari, l’attenzione del pubblico dai nodi problematici seri di quella cattura e, soprattutto, di quella latitanza. La risposta del procuratore nazionale antimafia è stata sornionamente disarmante: nessuno ha mai dato l’autorizzazione, lui stesso si è rifiutato di prendere parte alla trasmissione, le riprese sono state operate in un locale attiguo dove Provenzano non ha mai messo piede. Insomma: i due tanto celebrati volti televisivi – dunque, a monte, la Rai - hanno raggirato la buona fede di milioni di spettatori.

Almeno un cenno, poi, merita a mio avviso un’esperienza massmediaticamente poco nota - ma non certo poco significativa - raccontata da un avvocato e da un prete di una città dell’Italia settentrionale. Entrambi hanno fondato, in stretta cooperazione col vescovo della loro diocesi, un’associazione per tentare di dare una risposta – assistenziale nell’immediato, politica in prospettiva - ad una richiesta precisa: una mano per sopravvivere. Da parte di chi? Di cittadini che vivono, o che hanno vissuto, sotto un programma statale di protezione. All’interno di questa categoria (centinaia di soggetti) sono compresi - e confusi nell’immaginario collettivo, anche del pubblico istruito – sia i “collaboratori di giustizia” (impropriamente detti ‘pentiti’) sia i “testimoni di giustizia” (cioè le persone che, avendo assistito a delitti di mafia, si sono spontaneamente offerte di andare in tribunale a deporre contro i colpevoli). Agli uni e agli altri lo Stato promette legislativamente protezione in cambio di cooperazione. Ma, in effetti, questa protezione arriva tardi, funziona parzialmente, si esaurisce troppo presto. Per questo quasi sempre finiscono sul lastrico e bussano alla porta di centri sociali o parrocchie per avere quel sostegno che la norma garantisce e la burocrazia nega. Da qui l’idea di fondare un’associazione che accompagni collaboratori e testimoni (molti dei quali siciliani) a reinserirsi nel contesto sociale da cui si sono - più o meno volontariamente - staccati e, ancor più, a lottare per migliorare a loro vantaggio radicalmente le leggi e soprattutto le pratiche. A parere dei responsabili dell’organizzazione di volontariato “Ezechiele 37”, i ritardi nel settore sono gravi. Poiché le conseguenze appaiono preoccupanti (già, dal 2000 ad oggi, si sono registrate in Italia circa 1200 vittime di omicidi mafiosi), essi guardano con apprensione alle iniziative ormai indilazionabili che la nuova maggioranza parlamentare dovrebbe assumere. E, per preparare il terreno, hanno inviato ai sindaci della Toscana una lettera per suggerire che, alle soglie dei diciotto anni, tutti i giovani ricevano solennemente – dopo un breve corso di formazione - una copia della Costituzione italiana come “viatico laico”. La proposta non sarebbe inopportuna neppure dalle nostre parti: analfabetismo politico e qualunquismo elettorale, per quanto non necessariamente, di fatto si accompagnano spesso. Se avevamo bisogno di un’ulteriore conferma, ce l’ha data quel 40% ed oltre di elettori siciliani che - dopo cinque anni di lamentazioni – lo scorso 28 maggio sono rimasti a casa. E che, probabilmente, il prossimo 25 giugno se ne andranno a mare.

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