venerdì 4 agosto 2006

RANDAGISMO IN SICILIA


Repubblica - Palermo
4.8.06

ANIMALI: UN’ESTATE DIFFICILE

I ‘padroni’ che vanno in ferie, i loro ‘amici’ animali abbandonati al randagismo. Un quadro nazionale ben noto ma che, in Sicilia, acquista tinte - se possibile – ancor più fosche. Qui infatti la legge nazionale 281 del 1991 è stata recepita con nove anni di ritardo, ma senza decreti attuativi: in poche parole, rimane sulla carta. Come scrive sull’ultimo numero di “Impronte” Marcella Porpora, coordinatrice della Lav (Lega antivivisezionista) siciliana, la sua associazione ha inviato a gennaio un questionario ad Asl e ai Comuni capoluoghi di provincia per conoscere la situazione del randagismo nell’isola, ma ricevendo “risposte scarne e in alcuni casi grossolanamente contrastanti”. In particolare, rigoroso silenzio dal Comune di Palermo e dall’Ausl 6 (la quale, per altro, ha in cantiere un canile consortile di ben 800 posti in quel di Monreale): così come nel caso delle amministrazioni municipali di Catania, Enna, Trapani.

Niente di stupefacente, per altro: gli enti pubblici incaricati per legge “intervengono poco o nulla in tema di sterilizzazione ed inserimento dei microchip nei randagi” né si preoccupano di controllare “la presenza dei microchip nei cani padronali (principale fonte del randagismo)”. E dire che non si tratta di un fenomeno trascurabile: secondo l’Assessorato regionale alla sanità, nel dicembre 2005, vagavano per le nostre strade circa 68.000 cani senza guinzaglio (e la cifra è approssimata certamente per difetto) e solo uno scarso 30% dei 246.000 cani di proprietà è dotata di regolare microchip.
Risultato: gli incoscienti potranno continuare, impuniti, a disseminare per l’isola animali in balìa di fame, sete e amarezza. Gli unici beneficiari: i canili privati convenzionati che dichiarano una mortalità vicina al 100% dei loro ospiti, ma ricevono profumate sovvenzioni pubbliche. Così la nostra regione si candida al primato nel numero dei lager: per immigrati (i famigerati “Centri di permanenza temporanea” sui quali si attendono ancora decisioni radicali da parte del neo-governo nazionale) e per cani. E non per caso. L’insensibilità verso la sofferenza dei viventi è raramente settoriale: di solito, chi fa il callo al dolore di qualcuno sarà più predisposto ad assuefarsi al dolore altrui. Quando si legge della gara di caccia ai conigli organizzata a giugno a Racalmuto (con tanto di patrocinio della Provincia di Agrigento), nonostante il divieto di porto d’armi in periodo di silenzio venatorio, come non ricordarsi delle dichiarazioni di mafiosi che avrebbero imparato a non aver paura del sangue proprio partecipando alle prime battute di caccia della loro adolescenza?
So già che queste denunce incontrano l’obiezione di chi sostiene che in Sicilia abbiamo emergenze ben più gravi della condizione dei cani e dei gatti. E’ vero. Ma è anche vero che tutto si tiene e le illegalità, intrecciandosi, non si sommano: si moltiplicano. Ogni punto dolente può dunque essere scelto come avvio di una - ahimé tardiva – ripulitura: basti pensare al nesso fra pesca abusiva e inquinamento della concorrenza fra operatori del settore (nel 2005 sono state sequestrate 800 kilometri di reti spadare, bandite dall’UE sin dal 2002) o fra le corse clandestine dei cavalli (l’ultimo intervento della polizia nella notte fra il 10 e l’11 giugno a Messina) e la speculazione dei mafiosi sulle scommesse. O anche fra la macellazione incontrollata dei bovini e le conseguenze sanitarie sui consumatori ignari (nessun vigile urbano passeggia per i mercati di Ballarò o della Vucciria nelle ore in cui si scaricano le celle frigorifere? I cittadini insospettiti sussurrano ipotesi inquietanti ma non osano esporsi con una denunzia formale). Senza contare i risvolti positivi in termini occupazionali (veterinari, infermieri, custodi) di una politica più attenta ai diritti di chi non ha parola per rivendicarli, ma muscoli, nervi e affettività per subirne la sistematica violazione.

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