mercoledì 28 febbraio 2007

INDAGINE SULL’ALBERGHERIA


Repubblica - Palermo 28.2.07

IL DISAGIO DIMENTICATO
“Se ognuno potesse scegliere il luogo della propria nascita ” - ha scritto Eric Linklater - “certi paesi sarebbero completamente disabitati”. Palermo rientrerebbe nel novero? Le risposte possibili sono, in genere, impressionistiche. Manca un’analisi scientifica sulle effettive condizioni di vita nella nostra città. Nel 1990 Amelia Crisantino, nella ormai introvabile La città spugna, ha provato a dare conto dei pochi studi sociologici sino a quella data dedicati al capoluogo siciliano: Danilo Dolci, Vincenzo Guarrasi, Judith Chubb, Costantino Caldo, Giacinto Lentini, Vincenzo Masini, P. Andolina con L. Fontana Russo, Cresm, Gaetano Ingrassia, Dipartimento Città e Territorio (V. Cabianca, D. Costantino, I. Pinzello, E. Stella), Gustavo Cecchini, Ada Becchi Collidà. Cosa si è prodotto in questi ultimi diciassette anni? Non molto. Alcuni studi sulle “vecchie strade” del centro storico (E. Sgroi, A. La Barbiera, G. Gerbino) ed un saggio di Michela Morello limitato al piano regolatore della città e al suo semi-fallimento.

In attesa che venga finalmente elaborata una visione complessiva, un gruppo di ricerca dell’Università di Palermo (costituito da statistici, economisti, architetti, sociologi, giuristi non senza l’apporto di operatori sociali volontari) ha intanto lavorato per due anni sul quartiere Albergheria. Il risultato è un corposo volume (Al centro del margine. Standard di vita in un quartiere del centro storico di Palermo, a cura di V. Capursi e O. Giambalvo, Franco Angeli, Milano 2006) di quasi quattrocento pagine (verrà presentato nella Chiesa di S. Francesco Saverio alle 17,30 di giovedì 1 marzo) che si caratterizza per almeno due ragioni.
La prima: nasce dalla felice circolarità tra le esigenze operative di un gruppo di volontari (desiderosi di procedere attraverso una progettualità lucida) e le competenze scientifiche di un gruppo di ricercatori (intenzionati a non restare chiusi all’interno dell’autoreferenzialità accademica). Come evidenzia nella premessa don Cosimo Scordato, “questa pubblicazione può servire da incoraggiamento sia all’università che alla società civile e, forse ancor di più, alla politica e ai politici nel momento in cui volessero finalmente avvalersi della ricerca sia per comprendere meglio la situazione locale sia, ancor di più, per cambiarla”.
Una seconda caratteristica del volume è che esso documenta la fecondità dell’approccio multiplo e convergente: come si legge nell’introduzione, costituisce “un caso di studio dal quale si evince che la conoscenza è un processo interdisciplinare, faticoso, lungo, ma sempre affascinante e appagante”.
Impossibile riassumere in tutte le articolazioni i passaggi della ricerca su un quartiere che, a differenza di certe periferie urbane, riesce a essere marginale antropologicamente pur essendo centrale spazialmente. Ma la prefazione di Lorenzo Bernardi suggerisce una chiave di lettura istruttiva: “quasi come un semplice pretesto esamina un quartiere della città di Palermo per spingere di fatto l’attenzione verso il tema generale dell’emarginazione sociale, accogliendo i paradigmi interpretativi più moderni, superando schematismi ideologici e letture a tesi, evitando la caduta in spesso comodi umori moralistici o addirittura colpevolisti”. Lo stato di “marginalità” si conferma come “condizione di libertà limitata per quanto riguarda opportunità nell’immediato, potenzialità di prospettiva, effettivo dominio della propria volontarietà“.
Ma il disagio di larga parte dei cittadini che abitano in questa zona - disagio che è “sanitario, economico, abitativo” e pure “umano”, connesso a carenza di “capitale sociale” - è un dato senza speranza? Gli autori, fedeli al rigore descrittivo del loro approccio, non si sbilanciano. Hanno diagnosticato i mali, ma non spetta loro proporre terapie. Preferiscono offrire dei punti di orientamento a quanti possano e vogliano agire, a vario titolo, per eliminarli. Convinti che “aggredirli senza la consapevolezza di una realistica fattibilità” e “affrontarli senza incisivi mezzi conoscitivi” possono essere “azioni più minacciose dell’immobilismo, capaci di generare nuovi, ignoti, più marcati conflitti, disagi, insicurezze”.

Augusto Cavadi

martedì 27 febbraio 2007

Presentazione “E, per passione, la filosofia”.
Giovedì 1 marzo ore 17,30


Giovedì 1 MARZO ORE 17.30-19.30

AUGUSTO CAVADI
incontra i lettori sul tema
“La filosofia al servizio dei non … filosofi”

a partire dal suo volume

“E,PER PASSIONE,LA FILOSOFIA.
BREVE INTRODUZIONE ALLA PIU’ INUTILE DI TUTTE LE SCIENZE”

(DG editore Trapani 2006)

Biblioteca Comunale di Palermo (piazza Casa Professa)

venerdì 23 febbraio 2007

E’ SUCCESSO IN SOMALIA


Centonove 23.2.07

STRANO DESTINO DI UN BIOLOGO TRAPANESE

1990: Giuseppe Salvo, biologo siciliano quarantenne, dirigente dell’Istituto superiore della sanità di Roma, viene invitato dalla Facoltà di medicina dell’Università di Mogadiscio per tenere una conferenza scientifica. La sera prima del volo di ritorno dalla Somalia in Italia viene accompagnato da due colleghi in un lussuoso hotel per provare a contattare telefonicamente casa. Ma non torna più in auto, anzi sparisce senza lasciare tracce. Verrà trovato impiccato in una cella della caserma del corpo di guardia presidenziale.

Questi i fatti. Molti gli interrogativi che Salvatore Mugno raccoglie (in agile volumetto all’incrocio di diversi generi letterari: Mecca maledetta. Una storia italiana nella dissoluzione della Somalia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2005) dalla testimonianza dei congiunti, degli amici e dei colleghi: perché uno scienziato professionalmente affermato ed affettivamente appagato si sarebbe tolto la vita in maniera così repentina, così inaspettata? Come conciliare la versione ufficiale delle autorità somale con le caratteristiche (”la sobrietà, la spiccata capacità autocritica, l’understatement e il costante umorismo”) riconosciutegli dalle persone a lui vicine? Infatti, quando finalmente un medico legale potrà effettuare l’autopsia, la versione cambia: decesso per “contusioni cerebrali dovute a mezzo contusivo”. Il ministro degli esteri De Michelis, forse troppo occupato nell’organizzare le sue serate in discoteca, tarda ad accettare e a divulgare le risultanze delle indagini svolte dalla Procura militare somale con la collaborazione di un funzionario italiano dell’Interpol .
Le ragioni più plausibili del delitto? I “berretti rossi” del dittatore Siad Barre (al potere, dopo un colpo di Stato, da più di vent’anni) fermano l’ematologo trapanese nottetempo, lo sottopongono a un duro interrogatorio per capire se si tratta di una spia e, quando si accorgono di aver esagerato con le violenze fisiche, decidono di inscenare un improbabilissimo suicidio. Poco dopo la situazione precipita e trascina con sé, “nel definitivo disastro, anche la politica somala italiana, costellata di scandali, di costose realizzazioni lasciate poi a marcire”: con l’assenso, negli anni, del PCI, della DC, del PRI ma - soprattutto - del PSI.
Augusto Cavadi

giovedì 22 febbraio 2007

LA VIOLENZA GIOVANILE


Repubblica – Palermo 22.2.07

IL BULLISMO DEI GIOVANI NELLE FAMIGLIE SICILIANE

Le cronache di questi giorni hanno inanellato eventi (che riguardano anche, ma non esclusivamente, la nostra regione) attraversati da un filo rosso su cui vale forse la pena riflettere. I dati di cronaca cui mi riferisco sono, soprattutto, le strategie ministeriali per combattere il bullismo scolastico e per prevenire il teppismo negli stadi. Lo dico subito, per evitare equivoci: ogni rettifica normativa dell’andazzo prevalente - che spaccia per garantismo la condiscendenza verso chi viola le regole; per apertura mentale il giustificazionismo psico-sociologico da quattro soldi; per nobiltà d’animo il perdonismo a buon mercato (specie quando si tratta di perdonare i crimini commessi a danno di terzi) - è da salutare con estremo favore. Ma, subito dopo, va aggiunto che gli interventi istituzionali sono tanto necessari quanto insufficienti. Bisogna guardarsi dall’illusione (riscontrabile a destra come a sinistra) che distorsioni radicate possano essere sanate da provvedimenti amministrativi: sarebbe una sorta di feticizzazione della politica. Davanti alle emergenze è comprensibile che s’invochi la presenza dello Stato e del suo diritto-dovere di esercitare “il monopolio della violenza”: meno comprensibile è che questo appello si configuri - oggettivamente, se non nella coscienza dei cittadini - come una delega deresponsabilizzante. In ultima analisi, come un alibi liberatorio.

Per fare in breve un ragionamento molto più articolato, la logica della delega ai politici di turno zoppica per almeno due ragioni. La prima è che si dà per scontato che i poteri statuali vengano esercitati da concittadini che, per il solo fatto di essere stati eletti, posseggano la competenza lungimirante adeguata alla loro funzione sociale. Ma, ammesso che i dirigenti pubblici siano all’altezza delle sfide della storia, o per lo meno della cronaca, c’è una seconda ragione che s’impone: i provvedimenti politico-giudiziari possono, nella più felice delle ipotesi (dunque quando non vengono attuati con l’insipienza di cui anche abbiamo avuto prova nelle piazze di Napoli e di Genova), dissuadere dai reati, non certo motivare in senso propositivo. Ed è, invece, proprio di una continua rimotivazione che ogni generazione abbisogna. Il richiamo, trito e indisponente, ai “valori” perduti (che, in verità, raramente sono stati mai posseduti) può avere solo un significato: che nessun ragazzo si trattiene dal molestare i compagni più deboli, o dall’inscenare ignobili guerriglie urbane intorno ad uno stadio di calcio, solo per timore dei castighi. Anzi, il rischio delle sanzioni può rendere più affascinante - agli occhi dei compagni e suoi propri - l’idiozia della trasgressione. O incrementare il suo senso di insicurezza e, dunque, spingerlo ulteriormente ad immergersi nel branco.
L’unico deterrente veramente efficace (nel senso di diminuire, non certo di azzerare, il numero degli scervellati) può essere costituito da proposte costruttive seducenti: la passione per l’arte o per la ricerca scientifica, l’impegno per combattere con gesti precisi la fame nel mondo o lo sterminio degli animali, il coinvolgimento in attività concrete di difesa dell’ambiente…Insomma: quasi tutto ciò che né la scuola né i partiti né i sindacati né le chiese né - ancor meno - la “cattiva maestra televisione” riescono a suscitare. Se più di mezzo secolo fa Churchill poteva sostenere che gli italiani perdono le guerre come fossero partite di calcio e le partite di calcio come fossero guerre, potrebbe darsi che certi drammi odierni abbiano radici antiche e che sarebbe da miopi trattare i teppisti della domenica come corpi estranei: in quei soggetti particolarmente sbandati esplodono contraddizioni che covano dentro il tessuto sociale ‘normale’. E’ doloroso accettarlo, ma sono lo specchio che riflette e amplifica un vuoto propositivo di cui ognuno di noi è responsabile. Alcune cronache ci hanno lasciato immaginare volti di genitori (tra cui un poliziotto) arrossiti per la vergogna di vedere imputati i propri figli: come non vedere in questo stato d’animo qualcosa di emblematico? Chi di noi può negare una certa condivisione di genitorialità rispetto a questi ragazzi rincoglioniti? Se non si entra in un’ottica realistica del genere, nessuna terapia darà risultati. Solo confrontandoci su cosa è possibile fare, qui ed ora, per ridimensionare la banalità dominante (che non infesterebbe i giovani se non avesse istupidito la stragrande maggioranza degli adulti e delle agenzie educative) ci si potrà liberare dal comodo autoinganno di questi giorni: che la politica possa prestare alla società il “supplemento d’anima” necessario a differenziarla da uno zoo di belve impazzite.
Augusto Cavadi

venerdì 16 febbraio 2007

PRIMARIE A PALERMO


CENTONOVE 16.2.07

CON ORLANDO, NONOSTANTE MOLTO

Il risultato delle primarie ha incoronato Orlando candidato a sindaco per il centro-sinistra con un vantaggio numerico superiore ad ogni aspettativa. Secondo le regole del gioco, adesso tutti quelli che contavano su un nome nuovo - o, per lo meno, diverso - devono mettere da parte riserve (e, in qualche caso, risentimenti) e impegnarsi, in squadra compatta, nell’improba fatica di rimandare Cammarata ed il suo schieramento elettorale all’opposizione. E’ quanto Siragusa e Catania, per primi, hanno raccomandato - appena appresi i risultati - al popolo delle primarie.Se le regole sono, in astratto, chiare e condivise, non si può negare la difficoltà pratica - intendo: psicologica ed etica - di rispettarle nel concreto di questa situazione. E ciò per una serie di ragioni.La prima - e più decisiva - è che in molti è radicata la convinzione, non certo infondata, che, in caso di sconfitta, Orlando non avrebbe rispettato i patti. Come nel caso della campagna per le precedenti elezioni comunali, si sarebbe aristocraticamente allontanato dalla mischia e avrebbe lasciato Siragusa o Catania a sbrigarsela da soli (o, al più, con i fedelissimi che li hanno accompagnati nel corso di questi mesi). Nessuno ha la sfera di cristallo (soprattutto se non si tratta di anticipare il futuro ma, addirittura, di indovinare il futuribile: “ciò che sarebbe accaduto se”).

Comunque sia, la logica del male minore impone ai non-orlandiani progressisti di comportarsi correttamente: di fare, con Orlando, ciò che Orlando non avrebbe fatto (probabilmente) con nessuno. So che una simile conclusione operativa è esposta ad altre obiezioni. Per esempio che il voto a ‘questo’ Orlando - all’Orlando più trasversale e più antipartito che mai - sarebbe difficilmente differenziabile da un voto a favore di Cammarata o di qualsiasi altro candidato di centro-destra. E, ancora, che il voto di cittadini in grado di esprimere idee e valori (e non soltanto, o prima di tutto, interessi privati e corporativi) andrebbe a supportare un personaggio senz’altro onesto (dal punto di vista della morale individuale) ma incapace (dal punto di vista del metodo politico) di valorizzare gli alleati, di coinvolgere i cittadini più liberi, di entrare in dialettica con le intelligenze critiche. Sono obiezioni più che giustificate dalla storia della città: quante volte Orlando ha preferito circondarsi da ominicchi , il cui merito maggiore era di essere troppo stupidi per fare ombra al Lider Maximo? Quaquaraqua talmente assetati di potere da trasmigrare in altre aree politiche pur di tentare - ovviamente invano - di restare a galla? E sono obiezioni a cui solo l’interessato può iniziare a dare risposte convincenti perché effettive. Per esempio presentando prima delle elezioni amministrative la sua squadra di assessori, individuati con una franca ed aperta discussione con i vertici dei partiti di centro-sinistra ma anche con le organizzazioni sociali (sindacati, associazioni di imprenditori, centri culturali, movimenti…) più credibili del panorama cittadino. Se le leggi della psicologia hanno un minimo di scientificità , Orlando non darà nessun segno di ripensamento strategico e, se mai, accentuerà le note individualistiche e superoministiche (in salsa isolana) del suo stile pubblico. Correrà alla méta cercando di scompaginare le carte e di attrarre il consenso dei settori più improbabili dell’elettorato. Imbarcherà nelle sue tre liste - proprio come ha fatto spesso Di Pietro - pentiti di destra che, come penitenza, scelgono di candidarsi alle assemblee elettive. Si circonderà di collaboratori fedeli, ma arroganti nei confronti dei cittadini. Chi voterà per lui da posizioni democratiche e progressiste dovrà, molto probabilmente, rassegnarsi a molti imprevisti ed accontentarsi di poche certezze. Tra queste, di votare per un personaggio che non solo non prenderà mazzette né confabulerà con mafiosi (e questo, per fortuna, sarebbe garantito anche in caso di rielezione del sindaco attuale), ma che lotterà con convinzione, sia pur a modo suo, per evitare che i gangli dell’amministrazione municipale e le sue diramazioni (vedi ex-municipalizzate) continuino ad essere gestiti con criteri clientelari che privilegiano l’appartenenza partitica, ridicolizzando meriti professionali e motivazioni civiche. Non è molto: ma dalle nostre parti ottenere l’ovvio è già sorprendente. Augusto Cavadi

venerdì 9 febbraio 2007

“UN DIO DA PROTEGGERE”


Centonove 9.2.07

UN MODO MOLTO PERSONALE DI CREDERE

A ottanta anni compiuti, Paul Abela - un ingegnere nato in Egitto, vissuto in Libano e infine naturalizzatosi in Francia – decide di raccontare un po’ della sua vita e, soprattutto, della sua ricerca religiosa. Il frutto è un breve libretto, non particolarmente profondo ma particolarmente sincero, dal titolo eloquente: Credo, ma diversamente (L’Harmattan Italia, Torino 2003). In esso, infatti, l’anziano autore espone il bilancio di ciò che non si sente di accettare della dottrina cattolica ricevuta dall’infanzia e di ciò, che, invece, gli sembra ancora illuminante per sé e per la storia dell’umanità.

Nella parte destruens ci sono quelle formulazioni dogmatiche che, a suo avviso, sono compromesse “dall’influsso della mitologia e della cosmologia antica, ormai prive di significato” (p. 69): dalla verginità biologica della Madonna all’infallibilità del papa, sino a toccare dei punti abitualmente ritenuti essenziali come la personalità divina di Gesù e la Trinità. Di fronte a questi enigmi concettuali, “per far accettare ciò che appariva poco ragionevole, ma importante da credere, si ricorreva all’adagio ‘Credo quia absurdum’ (Credo perché è assurdo o nonostante sia assurdo). A partire da Tertulliano, a cui viene attribuita, con questa regola si faceva accettare qualsiasi cosa, anche le più aberranti: le sette, il razzismo, le guerre, le peggiori mistificazioni” (p. 68). E’ stata una strategia consapevole, intenzionale e maligna o solo frutto dell’ignoranza umana che affligge tutte le persone e le istituzioni, anche – e forse soprattutto – quelli che si ritengono onniscienti? In ogni caso, col suo buon senso del tecnico più incline all’operatività che alla speculazione filosofica, Abela non ha dubbi: “Errare humanum est, perseverare diabolicum “(p. 65). E aggiunge una notazione che trovo estremamente saggia: “In molti casi, per evitare lo scandalo per i deboli, si preferisce non contraddire le formulazioni tradizionali e non ci si preoccupa per lo scandalo che si offre alle persone più consapevoli e critiche, che, nei nostri Paesi, diventano sempre più numerose. L’onestà intellettuale dovrebbe andare di pari passo con la fiducia che ‘la verità vi farà liberi ’ (Gv . 8, 32)” (pp. 68 – 69).

Ma allora, spogliata da mitizzazioni e tabù, cosa resta della fede cristiana? Anche qui la risposta dell’autore è di una semplicità disarmante: “Ho deciso che il Dio che m’interessa non può essere meno buono e meno intelligente di me” (p. 30). Ogni immagine di Dio che ne fa un despota capriccioso, non può essere accettata: “il rifiuto di questo Dio fa onore all’uomo e a Dio” (p. 30). Il Dio annunziato, testimoniato - e in qualche modo reso visibile nel mondo - da Gesù di Nazareth è invece un Dio che ama in maniera tanto paterna quanto materna: “Dio è Amore, ecco il criterio in base al quale vanno riletti la Bibbia, la teologia e i dogmi. Ogni interpretazione che vada in senso opposto è sospetta” (p. 31). Un Dio che ama è, per ciò stesso, inevitabilmente, un Dio “vulnerabile” 8p. 35). Abela cita in proposito delle intuizioni fulminanti, di cui almeno quattro esigono d’essere riprese. La prima è dal romanziere Graham Greene: “Dio è fragile e disarmato, spetta a noi proteggerlo da noi stessi”. La seconda è del teologo Maurice Zundel: “Non è Dio che deve proteggere noi, ma noi che dobbiamo proteggere lui”. La terza di una giovane pensatrice ebrea vittima del nazismo: “Dio non mi aiuta, sono io che devo aiutare lui”. La quarta, infine, della scrittrice Margherite Yourcenar: “Quanti infelici, turbati dall’idea della sua onnipotenza, non accorrerebbero dal fondo della loro miseria, se si chiedesse loro di venire in aiuto alla debolezza di Dio”.

Ma credere, nella prospettiva ebraico-cristiano-islamica, non è essenzialmente un’accettazione di ‘verità’: piuttosto un atteggiamento esistenziale ed un orientamento pratico. Dunque ciò che Abela conserva della fede giovanile è che il Dio di Gesù Cristo – che “sfugge a qualsiasi definizione” – “ci ami al di là di quello che possiamo immaginare; che, per la nostra felicità, ci chieda di rispettarci a vicenda, di essere creativi e solidali, di amarci gli uni e gli altri” (pp. 58 – 59). Non è un caso che al centro della vita liturgica ci sia la celebrazione eucaristica: non “un rito magico che fa precipitare Gesù sulla terra” (così ancora il padre Zundel citato a p. 49), bensì un “gesto di condivisione attorno ad un tavolo” (p. 48). Non è forse la volontà di condividere il pane, i beni materiali e immateriali, che ci trasforma in “provvidenza gli uni per gli altri” (p. 51)?

Il volumetto, che solleva più interrogativi di quanti riesca ad analizzare con la necessaria documentazione, è impreziosito da una Postfazione, acuta come al suo solito, di Giovanni Franzoni,. In essa, tra l’altro, l’ex abate del Monastero benedettino di San Paolo di Roma richiama una sentenza che il Talmud attribuisce a Dio. Gli angeli che Gli chiedevano una punizione per un certo Mikha, un ebreo che consumava sacrifici agli idoli, si sarebbero sentiti rispondere: “Lasciatelo in pace. Il suo pane è offerto ai viaggiatori poveri”. Una risposta che bene illustra la convinzione di Abela (“l’ortoprassi è più importante dell’ortodossia”, p. 95) riformulata da Franzoni come il sogno di una Chiesa che, deposte le pretese dogmatiche, si presenti piuttosto come “una mensa in cui il Dio Amore sostituisce alla sua centralità quella degli affamati di pane e di giustizia, e invita i suoi adoratori, in spirito e verità, a seguirlo nel cammino di servizio reciproco” (p. 111).

Augusto Cavadi

COMUNITA’ STRANIERE A PALERMO


Centonove 9.2.07
IN FESTA CON I TAMIL

Come avviene spesso la domenica, la sala-teatro dell’Istituto “Don Bosco” di via Libertà si è gremito di pubblico. Ma, questa volta, si trattava di un pubblico un po’ speciale: non era bianco di pelle, non era cristiano di religione, non era italiano di lingua. Era infatti la festa dei Tamil palermitani. Una fetta di popolazione che ormai incontriamo quotidianamente sugli autobus o al supermercato ma di cui sappiamo ben poco. Li collochiamo, vagamente, nella categoria geopolitica degli asiatici: in effetti provengono dalla grande isola dello Sri Lanka, nota anche come Cylon, a sud dell’India. Ma una scelta miope del colonialismo inglese li ha consegnati alla convivenza con il popolo cingalese che, maggioranza schiacciante, in questi ultimi decenni ha fatto di tutto per assimilare i Tamil cancellandone l’identità sociale e culturale. Sino all’inizio degli anni Ottanta essi hanno tentato di reagire soprattutto ricorrendo ai metodi gandhiani della nonviolenza attiva, ma , scoraggiati - a torto o a ragione - per la scarsità dei risultati raggiunti, hanno infine deciso di scegliere la lotta armata. I nostri telegiornali parlano dunque, ogni tanto, di terroristi: anche se sottile è la linea che li distingue dai patrioti partigiani.

I Tamil immigrati in Sicilia sono, comunque, dei profughi: tra i più laboriosi, onesti e gentili degli “extra-comunitari” che animano le nostre strade. Accettando l’invito alla loro festa, ho capito che sono anche tra i più ricchi di dignità interiore. Già al momento di entrare mi è arrivato il primo segnale: era previsto un biglietto d’ingresso per tutti, tranne che per gli italiani di nascita. Ho accennato ad una cortese insistenza, ma il ragazzo alla porta è stato deciso: “Voi palermitani siete, oggi, i nostri ospiti”. Poi, una volta dentro il teatro ‘Ranchibile’, è stato un tripudio di colori, di suoni, di movimenti. I primi dieci minuti sono stati dedicati ad una silenziosa cerimonia di omaggio (fiori e lumicini) alle vittime - in particolar modo ai bambini - delle due maggiori sventure che hanno colpito questo popolo mite: la guerra civile e lo tsunami. Poi canti, musiche, danze della loro tradizione. Con l’aiuto di giovani musicisti palermitani (alcuni dei quali impegnati in vere e proprie ricerche di etnomusicologia) si sono alternati sul palco adulti, ragazzi e bambini. Se si pensa che la maggior parte degli ‘artisti’ lavora duramente almeno otto ore al giorno - e dunque ha avuto pochissimo tempo per preparare lo spettacolo- , i risultati sono stati impressionanti: la dolcezza struggente delle musiche, l’eleganza dei passi, la bellezza abbagliante degli abiti hanno inciso profondamente nell’animo degli spettatori. Era come se la performance artistica lasciasse emergere l’anima più profonda di questi nuovi concittadini: e che fosse l’anima di un popolo di re e di principesse.
Difficile non pensare - o per lo meno non sperare - che questa corrente di nobiltà morale possa entrare nelle vene della società siciliana, smussandone certe asprezze di tono e di tratto: per contribuire, con l’ennesimo tassello, al mosaico variegato che una storia millenaria si è divertita a comporre nella nostra bella ma contraddittoria isola.
Augusto Cavadi

lunedì 5 febbraio 2007

GLI AVVOCATI DEL SINDACO POSSONO AIUTARE LA CITTA’


Il sindaco Cammarata assume un avvocato per querelare quanti offuscano l’immagine dell’amministrazione comunale: e l’opposizione che fa? Lo invita a revocare l’incarico. C’è da restare disorientati. A me, cittadino ingenuo, sembrava invece una buona – anzi ottima – notizia. Dal momento che Cammarata è egli stesso un uomo di legge, e di idee liberali, non può certo avere in mente - anzi: nel mirino - i giornalisti che, con indagini accurate, lo possono aiutare a conoscere meglio i drammi della città dandogli spunto per perfezionare la sua azione politica. Né può, certo, riferirsi a quegli opinionisti che - basandosi su dati oggettivi – esercitano il loro diritto, anzi dovere, di critica con interventi che, se convincenti, possono suggerire alla maggioranza che governa delle scelte opportune e, se faziosi, possono rafforzare nell’opinione pubblica i meriti di chi amministra

A chi, dunque, può indirizzarsi lo strano provvedimento cammaratesco? Confesso di immaginare scenari innovatori che potrebbero incoronare Palermo a modello internazionale. Intere zone della città sommerse da auto in doppia e tripla fila, con livelli di inquinamento atmosferico ed acustico molto al di sopra dei massimi consentiti? Ecco che l’avvocato Giovanni Rizzuti prende carta e penna e manda un ultimatum al comando dei vigili urbani: o fate rispettare il codice della strada o vi denunzierò per offuscamento dell’immagine dell’amministrazione cittadina. Uffici comunali e para-comunali (vedi ex- municipalizzate) con alto tasso di disservizi, causati soprattutto dall’assenteismo dei dirigenti e dalla scarsa professionalità degli impiegati , per altro talora assunti essi stessi in base a criteri clientelari? Ecco che il solerte avvocato lancia l’ultimatum: o ripristinate legalità, trasparenza ed efficienza o vi denunzio per palese lesione dell’onore della città. Scuole elementari senza impianti sportivi, senza mense, senza impianti di riscaldamento? Ed ecco che il procuratore legale con licenza di querela si fionda nell’assessorato alla Pubblica Istruzione e intima di eliminare, entro sessanta giorni, le ragioni di tanto cattiva pubblicità per la città più ‘cool’ d’Italia. E se per caso - ma sto per fare un’ipotesi del tutto fantastica e slegata dall’esperienza effettiva degli ultimi cinquant’anni – gli stessi consiglieri comunali (di maggioranza o di opposizione) marinassero le sedute e ritardassero l’approvazione di provvedimenti urgenti a favore della popolazione (mettiamo, dei senza-casa), l’avvocato di cui sopra non ricorrerebbe a ogni possibile strumento di pressione sui consiglieri per evitare che, delle vicende di Piazza Pretoria, si possano occupare programmi televisivi nazionali? Non parliamo, poi, della situazione in strutture sanitarie (a cominciare dall’Ospedale Civico) più o meno direttamente sottoposte al controllo del primo cittadino: se qualcosa non dovesse andare per il verso giusto, rischiando che i Nas gettino discredito sull’immagine dell’amministrazione, il legale del sindaco non interverrebbe con solerzia ? Questo scenario del tutto roseo sarebbe intaccato solo dalla macchiolina di un piccolo, trascurabile rischio di autogol o, se si preferisce, di effetto-boomerang. Come quando, una dozzina di anni fa, i vigili urbani intervennero con fermezza a far sgombrare da una casa fatiscente dell’Albergheria una famiglia che vi si trovava da molto tempo in locazione. Animati da sacra fame di legalità, chiesero nome e cognome del proprietario di casa colpevole di aver lasciato gli inquilini in tali miserevoli e precarie condizioni abitative. Ma furono gelati dalla risposta che fece cadere dalle loro mani i taccuini: “Veramente la mensilità dell’affitto la paghiamo al Comune”. P.S.: Qualora queste mie ipotesi interpretative della decisione dell’avvocato Cammarata dovessero risultare infondate e lesive dell’onore dell’attuale amministrazione municipale, mi dichiaro sin d’ora colpevole di eccesso di fantasia e disposto a spostarmi – con le mani in alto e senza fare movimenti bruschi - su prospettive ermeneutiche più realistiche e più rispettose delle autorità legittimamente costituite. Augusto Cavadi

sabato 3 febbraio 2007

LA BELLEZZA DELLA SOFFERENZA


Repubblica – Palermo

4.3.06

Nei rudi Cristi di Rouault la bellezza della sofferenza 

Nella formazione di alcuni di noi ha inciso non poco l’incontro intellettuale con un terzetto particolare. Lui, Jacques Maritain, era soprattutto un filosofo; sua moglie, Raissa, e la sorella di questa, Vera, soprattutto letterate e mistiche. Nelle loro opere ricorre spesso il nome di un pittore ‘primitivo’, apparentemente naif, che frequentavano e che, insieme a Chagall, ammiravano sconfinatamente: Georges Rouault. Questi (soprattutto nella fase in cui si è ispirato alle vetrate delle cattedrali gotiche) stava effettuando nelle arti figurative ciò che i Maritain tentavano, con i meriti e le ambiguità del caso, nell’ambito filosofico-teologico: riattualizzare il meglio del Medioevo come antidoto alla decadenza del Moderno. Come antidoto – per riprendere il loro comune amico Leon Bloy – alla “infamia borghese”: ad ogni “mediocrità” benpensante incapace di prendere posizione contro le ingiustizie della società. E, per seguire tale ispirazione, Rouault (che a ventitré anni aveva già dipinto quadri alla Rembrandt che gli attiravano fama e soldi), non esitò ad incamminarsi in una stretta strada di coerenza con sé stesso, di ricerca del nuovo, nella solitudine e nella ristrettezza economica.

Tabularium del Loggiato San Bartolomeo alla Marina (per ulteriori informazioni tf. 091.6682989 / 338.6671989): alle 17 di questa sera sarà la stessa Anna Rabot (direttore della Galleria d’Arte contemporanea della Pro Civitate d’Assisi) a guidare la prima visita, impreziosita dagli interventi del coro polifonico “Sancte Joseph” diretto da Mauro Visconti. Questa determinazione nel perseguire “la purezza della sua coscienza d’artista”, rinunziando a “fare della pittura che si vende subito, facilmente a tutti”, entusiasmò i Maritain (Raissa non esita a considerarlo “uno dei più grandi pittori di ogni tempo”). E il loro entusiasmo non poté che rivelarsi contagioso, spingendoci - nell’ultimo trentennio del secolo scorso - quasi in pellegrinaggio alla “Cittadella cristiana” d’Assisi dove sono custodite le 58 incisioni su rame note col titolo complessivo di “Miserere” (pubblicate originariamente qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale). Da oggi – e sino al 26 marzo – una riproduzione fotografica delle tavole, realizzata dal maestro Elio Ciol e corredata da didascalie scritte di pugno dall’artista francese, sarà liberamente accessibile presso il

Al di là delle risonanze emotive legate alla biografia di alcuni di noi, che rilievo oggettivo assume questa mostra didattica itinerante a Palermo?

Innanzitutto s’impone una ragione di carattere generale: la nostra città ha bisogno di iniezioni di bellezza. Lo storico Paolo Viola, da poco scomparso, mi diceva che l’aveva scelta – lui piemontese d’origine, laureato a Pisa, abitante a Roma – perché a suo parere sarebbe una delle città più belle d’Italia. Ma è imbruttita. Anzi – per evitare di pensare ad un processo biologico ineluttabile - abbrutita. Quanto scriveva Vincenzo Consolo ne Le pietre di Pantalica del 1988 resta ancora, per troppi versi, attuale: “Le zone di case lesionate, pericolanti, fatte evacuare, sono state chiuse da mura di cinta. Dietro queste fresche mura di tufo, si accumulano le immondizie del mercato, degli abitanti, le ossa delle macellerie, vi razzolano bambini, cani, gatti, vi ballano topi. Qui Palermo è una Beirut distrutta da una guerra che dura ormai da quarant’anni, la guerra del potere mafioso contro i poveri, i diseredati della città. La guerra contro la civiltà, la cultura, la decenza”.

Ma se la situazione fisica, materiale, è questa, la bellezza di cui abbiamo bisogno in città come la nostra non deve avere neppure l’apparenza della retorica. Dev’essere nuda, schietta, asciutta. Proprio come i quadri di Rouault che – com’è tipico dell’espressionismo - non concedono nulla all’eufemismo, all’abbellimento artificioso. (Leon Bloy, non sapendo di fargli un complimento, lo accusava di “essere attirato soltanto dal brutto”). Basta fare un confronto fra questo Miserere e una Via Crucis ‘media’ esposta nelle nostre chiese, dove il Messia sofferente ha i lineamenti stucchevolmente piacenti di un attore di Hollywood. È un po’ la differenza fra il Gesù di Pasolini e il Gesù di Zeffirelli (e non è un caso, forse, che Pasolini abbia avuto proprio alla Cittadella d’Assisi l’idea del suo film). Dico di Pasolini, non di Mel Gibson perché non si tratta di essere realisticamente truculenti: l’arte compie la magia di rendere liberatrice la contemplazione persino delle deformazioni. L’arte di Rouault rispetta la sofferenza dell’uomo Gesù in tutta la sua cruda concretezza, ma la trasfigura poeticamente: la fa diventare, per così dire, il prototipo della sofferenza di ogni uomo. 

Augusto Cavadi

Percorso formativo per consulenti filosofici


Aggiornamento:

Il primo incontro sarà a Palermo sabato 28 aprile.

Dare la propria adesione entro il 21 aprile.

Intanto chi intende seguire il percorso formativo è invitato a iscriversi, tramite internet, a “Phronesis” (e, possibilmente, partecipare all’assemblea nazionale prevista a Roma per i giorni 21 - 22 aprile 2006).

Per altre informazioni contattare Norma Romano.

**************

Avviso precedente:

Gentile amica, cortese amico,
ti spediamo questo messaggio perché abbiamo motivo di supporre che tu sia interessato ad un percorso formativo per consulenti filosofici.
Come sai, attualmente questa nuova professione non è prevista ufficialmente ma tre associazioni italiane (Sicof, Acif e la nostra, Phronesis) hanno fatto domanda di registrazione presso il Consiglio nazionale del lavoro. Dunque, un primo passo concreto, sarebbe conseguire una qualifica professionale presso una di queste tre associazioni.

Per quanto riguarda la nostra, abbiamo realizzato a Palermo un laboratorio teorico-pratico nel novembre del 2006 con Neri Pollastri, presidente del consiglio direttivo nazionale. Constatato in quell’occasione un vivo e diffuso interesse, abbiamo pensato di avviare anche in Sicilia (nelle sedi di Palermo e di Catania) un Itinerario Formativo per il conseguimento della qualifica di “Consulente Filosofico” dell’associazione.

La nostra proposta è così articolabile:
a) tra marzo e maggio 2007, tre giornate nelle quali studiare la letteratura specifica e far presentare esperienze da professionisti;
b) un seminario nazionale estivo di 4 giorni (in località da definire e con la partecipazione di tutti i formandi e tutti i formatori nazionali) nel quale svolgere attività di pratica, sia professionale che di formazione personale. Al termine vi sarà una sorta di verifica/esame;
c) tre giornate di formazione tra l’autunno 2007 e la primavera del 2008;
d) dalla primavera al termine del secondo anno sono previste attività di “specializzazione” (scelte dal formando) con esperti specifici e con il tutor locale, in gruppo e personalizzate, che avranno il momento più alto nel secondo seminario nazionale annuo (estate 2008).

Sono previste attività (computate) di lavoro personale, come studio, sperimentazione, produzione di lavori scritti, che verranno supervisionate individualmente dai tutor.

Il costo attualmente previsto è 1500 euro annui, che includono:
- il costo delle 6 ore di consulenza individuale e dei colloqui/esami
- il vitto/alloggio del seminario nazionale.
A questo primo Itinerario Formativo saranno ammessi solo quanti, in possesso dei requisiti previsti (laurea in filosofia), ne faranno formale richiesta all’indirizzo norma.romano@libero.it (entro il 28 febbraio 2007).
Poiché la quota definitiva dipenderà dall’approvazione ufficiale del progetto formativo da parte dell’assemblea nazionale di Phronesis, è previsto, all’atto dell’iscrizione, il versamento di una prima rata di 150 euro (come quota di partecipazione ai primi tre seminari della primavera 2007). Ovviamente tale rata s’intende come anticipo sulla quota di partecipazione complessiva che sarà stabilita con precisione dall’assemblea nazionale (prevista tra marzo ed aprile 2007): solo a quel momento l’iscrizione all’IF si attuerebbe in maniera formale.

Per ogni ulteriore informazione, restiamo a disposizione
i soci attuali della sezione siciliana di “Phronesis”
Augusto Cavadi (Palermo) - acavadi@alice.it
Davide Miccione (Catania) - perelandra@supereva.it
Rosario Costanzo (Acireale) - italya@alice.it
Norma Romano (Trapani) - norma.romano@virgilio.it