martedì 15 gennaio 2008

NOBILTA’ E CARITA’


REPUBBLICA – PALERMO
15.1.2008

IL CLUB DELLE NOBILDONNE FRA I POVERI DELL’ALBERGHERIA

Chi ha il privilegio di visitarla, in occasione della celebrazione di qualche matrimonio, ne rimane incantato. E’ la così detta Cappella delle Dame, all’interno di un complesso barocco in via del Ponticello, fra l’Università di via Maqueda e il mercato di Ballarò. Una recentissima, lussuosa pubblicazione a cura di Raffaella Riva Sanseverino e Angheli Zalapì (Oratorio delle Dame al Giardinello, Abadir, San Martino delle Scale - Palermo 2007, pp. 207) ne indaga la storia, la struttura architettonica, l’apparato decorativo. Le due autrici principali sono coadiuvate dai contributi di Maria Concetta Di Natale (che illustra alcune opere d’arte in relazione alla committenza nobiliare) e di Cosimo Scordato (che, con la solita eleganza, propone una lettura estetico-teologica dell’iconografia).

Ma quali vicende umane e quali ideali di vita hanno originato, e mantengono tuttora in piedi, questo prezioso contenitore? Il nocciolo è un’associazione di nobildonne che, tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, decidono di aggregarsi a scopi sia di edificazione religiosa personale che di servizio nei confronti degli strati più indigenti del quartiere Albergheria. Nasce così (secondo l’erudito settecentesco Antonino Mongitore, proprio nel 1608, esattamente quattro secoli fa) la “Congregazione di Maria Santissima dell’Aspettazione al parto”, formata da dame sposate o nubili che, pur restando nei ruoli sociali di appartenenza, si danno una struttura organizzativa di tipo monacale: con una Superiora, due Assistenti o “congiunte” (di “man destra” e di “man sinistra”: inutile aspirare alla carica, almeno un tempo, se si era nobili per meno di “quattro quarti”…), una “Secretaria”, una Tesoriera, una Maestra del coro e così via.
Dal punto di vista storico va notato subito - come fa Leonardo Urbani nella presentazione del volume - che, per una lettura a più livelli della città antica, “la comprensione del fenomeno religioso delle Congregazioni e delle maestranze” consente di apprezzare, accanto alle “superbe architetture monumentali”, “l’importanza delle vanelle, di piazzette, di piccoli episodi urbani e di tutto quello che viene con una parola definito tessuto minore”.
Ma procediamo con ordine.
Sono gli anni della Controriforma cattolica: artigiani ed artisti (come segnare con precisione il confine?) vengono mobilitati per magnificare la gloria di Dio e di quella Chiesa romana che se ne autoproclama l’unica legittima rappresentante in terra. Ma non basta: a contrastare le possibili infiltrazioni protestanti d’Oltralpe, sono altrettanto necessarie delle strategie di apostolato religioso e di impegno assistenziale.
Palermo, sede di un vicerè spagnolo, non vuole sottrarsi alla chiamata alle armi: clero, nobiltà e alta borghesia si coalizzano per fare la loro parte. Quando viene iniziata la costruzione dell’Oratorio si è in una fase in cui la città “trasforma i suoi modelli culturali tardomedievali, modifica radicalmente gli elementi architettonici per incrementare quella comunicazione urbana, che sempre più andava diventando un elemento indispensabile nella divisione gerarchica delle parti della città per la identificazione degli uomini e dei luoghi”. Se si sfoglia il volume manoscritto con l’Elenco delle cariche dal Seicento ad oggi, scorrono sotto gli occhi i cognomi più prestigiosi dell’intera isola: dalla Principessa di Bonfornello alla Principessa di Butera, dalla Principessa di Rosolini alla Principessa di Cerami, dalla Principessa Lanza alla Marchesa dell’Alimena, dalla Duchessa di Camastra a Donna Anna Maria Paternò ed Alliata… Quando, all’alba del XIX secolo, la corte borbonica di Napoli, per sfuggire alle truppe napoleoniche, si rifugia a Palermo, il titolo di Superiora viene assegnato addirittura a Sua Maestà Maria Carolina: da allora, sino al crollo della dinastia sabauda, saranno le regnanti in carica (tra cui Margherita di Savoia dal 1878 ed Elena Petrovich di Montenegro dal 1900) ad avvicendarsi. Dall’avvento della Repubblica italiana ad oggi è ritornato il turno di signore della nobiltà palermitana: da Carolina Valguarnera, duchessa della Verdura, a Maria Giulia de Spuches, duchessa di Santo Stefano Notarbatolo, alla contessa Maria Felice Boscogrande Riva Sanseverino sino all’attuale Superiora Agata Orlando Riva Sanseverino.
Ma non ci lasci abbagliare da nomi e titoli altisonanti: come attestano i contratti, le ricevute, le relazioni tecniche conservate in questi quattro secoli, la costruzione dell’Oratorio e del complesso architettonico che lo ospita (inclusivo di un delizioso giardino abitato - all’interno di “una bordura di asparago” - da “un enorme albero di alloro, un fico, un nespolo, un pesco, un albero di limoni, due varietà di gelsomino, una pianta di glicine, rose rampicanti e tanti papiri”) ha coinvolto maestranze di ogni ceto sociale. Il quadro che emerge è di “un contesto cittadino” che appare “una grande azienda articolata e complessa”. Sì, la Palermo testimoniata dalla storia di simili realtà è stata anche questo: una “città azienda” in grado di fornire servizi e di dare lavoro ai suoi cittadini, “fronteggiando assieme con le aziende agricole e commerciali, soprattutto marittime, le sue esigenze per la produzione e il consumo”. Purtroppo questo “insieme di produttori e di consumatori, preciso nell’agire ed efficiente nel produrre”, si rivelerà dal Seicento ad oggi sempre “più statico ed autoreferenziale”, anche per la mancata erezione - o per la prematura decadenza - delle “cattedrali del nuovo ordine capitalistico”: “la borsa, la banca nazionale e il cambio dei mercanti”. Il parassitismo economico delle associazioni mafiose farà il resto.
L’Oratorio è a due passi da Casa Professa, quartier generale dei Gesuiti siciliani: questo spiega perché l’assistenza spirituale delle congregate venga abitualmente affidata a un presbitero del medesimo Ordine (per tradizione, come è noto, non refrattario a curare anime catapultate in contesti familiari potenti e danarosi). Gli ultimi tre, compreso l’attuale, sono nomi celeberrimi in città: padre Giuseppe Cultrera (già preside al “Gonzaga”), padre Guglielmo Neri (importatore in città di “Gioventù studentesca”, da cui si sarebbe sviluppata “Comunione e liberazione”) e, infine, l’evergreen padre Angelo La Rosa (il cui candore ed il cui entusiasmo, persistenti tuttora nonostante l’età non più giovanissima, fecero sospettare che fosse nato - per riprendere un’espressione del suo confratello padre Giuseppe Valentini - “esente dal peccato originale”).
Sin dall’origine, le congregate - in omaggio all’aspetto della Madonna verso cui focalizzano la devozione: una madre in attesa di partorire - si sono prefissate di concentrare le loro energie nel “soccorrere e assistere le partorienti in condizioni di povertà“: ancor oggi, per Natale e per Pasqua, secondo quanto scrive nella Premessa l’attuale Superiora, è “consuetudine distribuire nel rione dell’Albergheria i canestri, con i corredini per i neonati, ai quali le Dame si sono sempre dedicate con tanto amore e grande maestria”. E non solo a donne italiane, ma anche ad immigrate da paesi extra-europei. Non è facile calibrare il giudizio davanti a tradizioni del genere. Da una parte, infatti, va ammirata la volontà istituzionale di non limitarsi ad una mera cura della propria interiorità e della vita liturgica, manifestando gesti che hanno il significato simbolico di un’attenzione al territorio; dall’altra, però, non ci si può sottrarre all’impressione sgradevole di trovarsi davanti ad un’impostazione ‘assistenzialistica’ e un po’ maternalistica che si preoccupa della ‘beneficenza’ sorvolando sui nodi della giustizia sociale. Le attuali socie della Congregazione sembrano averne consapevolezza e, in linea con l’evoluzione in atto nel variegato mondo cattolico, dichiarano di provare a tradurre “la pratica di autentici valori di fede, di carità e di devozione” in “un rinnovato contesto religioso e sociale”. Il che significa, ad esempio, allargare la sollecitudine verso le partorienti indigenti al più ampio orizzonte di “opere di aiuto alla vita”, come i soccorsi in aiuto delle popolazioni kosovane. Né va sottovalutata l’esplicita intenzione di salvaguardare - insieme al patrimonio morale - il bene monumentale. Dopo gli ingenti danni causati dai bombardamenti nel corso della seconda guerra mondiale, le congregate si sono più volte autotassate per realizzare interventi di restauro e di manutenzione e, in anni a noi più vicini, hanno coinvolto nel progetto anche altre associazioni nazionali (come il FAI: Fondo per l’ambiente italiano) e locali (come il Club Rotary Palermo Est). Questa cura per uno spazio circoscritto, che vuole esemplificare in concreto una più ampia “sensibilità verso i valori inalienabili dell’arte di tutti i tempi”, ha reso possibile dal 1995 ai ragazzi dell’Associazione “Famiglie Persone Down” di adottare l’oratorio nell’ambito del progetto cittadino “Palermo apre le porte”. No, non si tratta di iniziative clamorose: ma forse la moltiplicazione capillare, dal basso, di questi segnali potrà gradualmente tradursi in istanza politica e svegliare dal sonno intellettuale quelle amministrazioni locali che non si accorgono neppure delle potenziali risorse, anche economiche, nascoste nei tesori artistici di cui è zeppa la nostra isola. Il fatto di essere stati risparmiati dall’ondata dell’industrializzazione capitalistica più galoppante può avere avuto, per noi, insieme a molti svantaggi, qualche vantaggio: ma non sarebbe, in fin dei conti, un gran risultato adagiarci su “una condizione di ‘modernità inerziale’, un rallentamento generale affiorante proprio in questo ultimo scorcio di anni”.

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