mercoledì 2 gennaio 2008

STORIA DI DUE DONNE


Mezzocielo
Gennaio – Febbraio 2008

MA CHI SONO I QUACCHERI?

Due donne inglesi del XVII secolo hanno vissuto avventure eccezionali che sarebbero cadute nel dimenticatoio se le due protagoniste non ne avessero lasciato traccia scritta. E il lettore italiano sarebbe rimasto escluso dal loro racconto, così avvincente, se una ricercatrice dell’Università di Catania - Stefania Arcara - non si fosse impegnata a tradurlo e ad arricchirlo di una lunga e dotta “Introduzione”, oltre a sobrie note a piè di pagina. E’ così arrivato nel circuito editoriale Messaggere di luce. Storia delle quacchere Katherine Evans e Sarah Cheevers prigioniere dell’Inquisizione (Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2007, pp. 183, euro 20,00), elegante volume ulteriormente impreziosito da una “Premessa” di Adriana Valerio e da una “Postfazione” di Pier Cesare Bori.

Le due amiche (”predicatrici, profetesse, visionarie, indomite viaggiatrici”) ardono dal desiderio di convertire alla loro confessione religiosa persino gli africani e così partono da Plymouth alla volta di Alessandria d’Egitto. Ma, dopo uno scalo a Livorno, il capitano della nave le informa che dovranno fare una seconda tappa a Malta. L’accoglienza nell’isola fu principesca: il console inglese le invita a casa e le presenta a parenti ed amici. Purtroppo fanno parte della cerchia anche dei Gesuiti che non gradiscono lo zelo missionario delle due protestanti e le denunziano al tribunale dell’Inquisizione. Che, ovviamente, le sequestra e le sottopone - con una tempestività che la magistratura statale non avrebbe mai dimostrato, almeno sino ai nostri giorni - a processo. Un processo un po’ strano, in verità: le imputate, con fierezza, sostengono di essere state incaricate da Dio stesso di convertire dalle false credenze e dai costumi immorali il resto dell’umanità, a cominciare proprio dai…giudici dell’Inquisizione. La detenzione, durata complessivamente tre anni, prevede anche periodi “in una cella nera che aveva solo due piccoli buchi per far passare la luce e l’aria”: ma le due donne resistono coraggiosamente, sostenute - almeno questa è la loro certezza - dalla “gloria del Signore” che vince, col suo splendore, l’oscurità materiale ed emotiva in cui sono forzatamente immerse.
Gli estenuanti, ripetuti interrogatori sono per Katherine e Sarah l’occasione di esporre il “credo” della chiesa fondata da George Fox cui appartengono: un “credo” che recupera l’essenziale del messaggio cristiano e rifiuta, con fermezza, quei dogmi (purgatorio, venerazione dei santi e delle immagini sacre, transustanziazione eucaristica…) che la chiesa cattolica ha ritenuto di poter formulare, nel corso dei secoli, a partire dal dato biblico originario. L’esito del processo è scontato. Alle prigioniere viene posta innanzi l’alternativa: “Se prenderete il nostro sacramento” - cioè se accetterete la comunione con il pane e il vino consacrati durante la messa - ” potrete avere la vostra libertà, altrimenti il Papa non vi rilascerà neanche per milioni d’oro, ma perderete le vostre anime e anche i vostri corpi”. La risposta, però, è altrettanto scontata: “Il Signore si prende cura delle nostre anime e i nostri corpi sono liberamente offerti al servizio del Signore. (…) Il Signore non ha affidato la responsabilità delle nostre anime al Papa, né a voi”. La reazione diventa sempre più dura, anzi crudele. Sino alle minacce più feroci: “Sarai frustata, squartata e bruciata questa notte a Malta, insieme alla tua compagna. Per quale ragione siete venute a insegnare a noi?”.
Con questo decorso, ci si sarebbe aspettato il peggio. Imprevedibilmente, però, l’Inquisitore - anche senza i “tre o quattromila talleri” di cauzione richiesti - alla fine le lascia partire per la madre patria (dove arrivano passando, tortuosamente, per l’Italia, la Spagna e il Marocco).
Chiuso il libro, è difficile dimenticare le protagoniste (anche se il genere letterario della loro scrittura, zeppo di citazioni bibliche implicite e di stereotipi leggendari, è ormai lontano dai nostri gusti): costituiscono quasi una sintesi di tutto l’anticonformismo che si poteva sperimentare nel loro ambiente. In una società maschilista, sono donne attivamente intraprendenti; contro la chiesa ufficiale anglicana, aderiscono ad una comunità cristiana minoritaria ed anti-istituzionale; a differenza dei loro persecutori, si appellano alla mansuetudine dei nonviolenti; in un’epoca di formalismo barocco nei comportamenti, osano denudarsi il petto in pubblico per simboleggiare la corruzione idolatrica; a differenza del mondo intellettuale accademico, non parlano latino (”Non ci abbasseremo a scrivere a sciocche e asine che non conoscono il latino”, argomenta un frate per spiegare il suo rifiuto a contestare per iscritto le teorie teologiche delle due prigioniere). Si potrebbe aggiungere, forse, che, in un clima moralistico, vissero con qualche consapevolezza un’amicizia omosessuale : almeno a giudicare dal fatto che, per formulare la volontà di non essere divise in carcere l’una dall’altra, tra tante citazioni possibili viene prescelta proprio una frase evangelica (”Il Signore ci ha unite e guai a coloro i quali ci separeranno”) che si riferisce al rapporto di coppia.
Insomma: ce n’era abbastanza per l’Inquisizione del XVII secolo, ma anche per mettere in crisi i lettori del XXI. O, almeno, quanti di loro sono ancora intrappolati in “modi, culti, maniere, forme, costumi, tradizioni, osservanze e fantasticherie” che non hanno né fondamento biblico né giustificazione razionale.

Nessun commento: