venerdì 27 giugno 2008

FATE L’AMORE O SARA’ LA FINE DEL MONDO


Centonove 27.6.08

SE LO SCIENZIATO OSSERVA L’AMORE

Non è facile incasellare questa libro (M. ODENT, La scientificazione dell’amore. L’importanza dell’amore per la sopravvivenza umana, URRA, Milano 2008) in un ambito disciplinare. Lo ha scritto, infatti, un ginecologo francese che, dopo 23 anni di pratica medica in un ospedale di provincia, nel 1985 ha fondato a Londra il Primal Health Research Centre (per lo studio degli effetti sulla salute nel lungo periodo di ciò che ci accade al momento del parto e nei mesi immediatamente successivi); ma si occupa non solo di chirurgia, fisiologia e psichiatria, bensì anche di psicologia, sociologia, antropologia, etologia e - in un certo senso - filosofia. Nell’era dell’iperspecializzazione - in cui si tende a sapere sempre di più su frammenti sempre più piccoli dell’universo - il coraggio di questo scienziato di cercare uno sguardo panoramico attraverso ed oltre gli stretti binari disciplinari lo avvicina alla figura, ormai in via di estinzione, del sapiente: di chi persegue con umiltà ma anche determinazione “la capacità di stabilire costanti legami tra prospettive tanto diverse fra loro” (p. 3).

La tesi centrale - ben sintetizzata dal sottotitolo - va letta a due livelli di profondità. L’amore, infatti, è necessario alla nostra sopravvivenza come individui (e la tendenza millenaria ad interporre fra la madre e il neonato le interferenze materiali e simboliche della società, sino alla recente propensione per epidurali e parti cesarei, compromette questa prima esigenza, al punto da chiedersi quanti bambini riusciranno a sopravvivere all’invadenza delle attuali tecniche di ostetricia), ma è altresì necessario alla nostra sopravvivenza come specie umana. Infatti: se, fino ad oggi, “il potenziale umano di aggressione” ha potuto svolgere - a favore di diverse culture civilizzate - una funzione selettiva in un quadro di evoluzione generale (ma su questa opinione dell’autore sono possibili dei seri dubbi), siamo entrati in una nuova fase epocale in cui “dominare la natura ed esercitare potere e controllo sopra altri gruppi sociali” si sta capovolgendo in autolesionismo, mentre “la capacità di amare e di rispettare il prossimo, oltre che la Madre Terra, sta diventando un presupposto fondamentale per la sopravvivenza sia del pianeta sia del singolo individuo” (p. XXV).
Intorno alla tesi principale, che fa da asse del saggio, l’autore tocca (e in qualche caso sviluppa) una serie di tematiche corollarie che potrebbero rivelarsi delle piste preziose di ricerche ulteriori.
Una di queste tematiche riguarda l’analisi (e le eventuali disposizione correttive) della devianza giovanile e, più in generale, dei comportamenti criminali. I dati che Odent riporta (lamentando la censura accademica da cui vengono colpiti) sono impressionanti: “il principale fattore di rischio di diventare un criminale violento all’età di 18 anni” risulterebbe, da alcune ricerche statistiche, “la presenza di complicazioni alla nascita abbinata a una separazione precoce dalla madre, o al rifiuto da parte di quest’ultima” (p. 16); “uno dei principali fattori di rischio di suicidio in età adolescenziale” sarebbe, secondo altre indagini, “la rianimazione neonatale” (p. 16); altri ricercatori avrebbero appurato che “se a una madre erano stati somministrati determinati antidolorifici durante il travaglio, il figlio correva un rischio statisticamente maggiore d sviluppare dipendenza da droghe in età adolescenziale” (p. 17); da altri studi, ancora, emergerebbe che “il fattore di rischio più significativo per l’anoressia nervosa è un cefaloematoma alla nascita, ossia un ristagno di sangue tra cranio e cuoi capelluto, indicativo di una nascita molto traumatica dal punto di vista meccanico” (p. 17) e così via. Il succo della questione è che esiste un legame, evidente quanto oscurato dalla scienza ‘ufficiale’, fra “le modalità di nascita di un individuo e varie forme di capacità di amare” (p. 19).
Un’altra tematica affrontata da Odent lateralmente (ma non per questo considerata trascurabile) riguarda la necessità di riscoprire la radice dei nostri ‘piaceri’ più intensi. E’ noto come per molte partorienti il momento dell’espulsione del feto vivo è vissuto come un’esperienza orgasmica: cosa hanno di comune eventi come questi (a cui l’autore accosta la creatività artistica e gli stati di identificazione mistica con il Grande Tutto)? Sono tutti momenti in cui l’attività neocorticale (la parte del cervello più recente dal punto di vista evolutivo) si riduce al minimo e si lascia spazio al cervello “primitivo” (quella parte del cervello che abbiamo in comune con gli altri mammiferi). Dunque, l’uso dell’intelletto è - ordinariamente - inevitabile, anzi raccomandabile: non così nei momenti in cui possiamo sperimentare l’estasi perché “i differenti fenomeni della vita sessuale sono sotto il controllo degli stessi freni azionati dai centri inibitori neocorticali”. La resistenza a rallentare questi freni mentali è “l’origine di problemi caratteristici della razza umana: scarso desiderio sessuale, parti complicati e difficoltà nell’allattamento” (p. 42).
Almeno un ultimo tema, fra i tanti toccati da Odent, merita d’essere richiamato: il perdono. Già etimologicamente s’intravede il nesso fra amore e perdono: quest’ultimo è un dono, anzi un iper-dono , che nessuno può esigere per diritto e che può soltanto essere elargito gratuitamente. Non si tratta infatti di dimenticare un’offesa ricevuta né, ancor meno, di reprimere artificiosamente la propria sete di giustizia: se mai, nella piena consapevolezza del proprio diritto al risarcimento, si tratta di regalare - a sé stesso e all’avversario - un gesto creativo che vada oltre il piano della giustizia. L’autore del libro riporta i primi studi ’scientifici’ sull’argomento (per verificare eventuali correlazioni tra “la disponibilità al perdono e altri tratti della personalità come l’ansia, la depressione, la religiosità e la desiderabilità sociale”, p. 98) , auspicando che possano proseguire sino ad affrontare “la domanda fondamentale, ossia come si sviluppa la capacità di perdonare”, p. 100).

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