martedì 19 agosto 2008

SULLA STORIA D’ITALIA


Repubblica – Palermo 19.8.08

MORO, CALO’ E SINDONA
I MISTERI DI UN “FALSARIO”

“Non tutto ciò che è accaduto dalla strage di Portella della Ginestra sino alla commissione Telekom- Serbia è crimine”: ma, non c’è dubbio, “i criminali hanno spesso e volentieri interagito con le vicende cruciali del nostro passato recente”. La premessa serve a Giancarlo De Cataldo per inquadrare la storia di Tony Chichiarelli, “uno di quei disgraziati che il pittoresco gergo mafioso definirebbe canazzi di bancata “. La raccontano ne Il falsario di Stato (Cooper, Roma 2008) - con efficacia giornalistica e, in qualche passaggio, anche letteraria - Massimo Veneziani e il palermitano Nicola Biondo, che da anni si occupa in libri ed articoli degli intrecci fra mafia, criminalità comune e istituzioni deviate.

La figura del giovane abruzzese Chichiarelli è emblematica di questi intrecci ancora da dipanare: è infatti un abile falsario di quadri, scende dalla Marsica a Roma, frequenta la banda della Magliana e Pippo Calò che rappresenta Cosa nostra nella capitale, ammira le Brigate rosse e finisce assassinato nel 1984 subito dopo aver portato a termine una rapina miliardaria alla Brink’s Securmark.
Il racconto, scandito come la sceneggiatura di un film, ripercorre le vicende di un personaggio ‘minore’ che, emigrato da un piccolo centro degli Appennini , finisce per trovarsi nel bel mezzo di ‘misteri’ più grandi di lui.
La svolta - che coincide con un salto dalla cronaca di quartiere alla storia d’Italia - ha una data precisa: 18 aprile 1978. E’ il giorno in cui un giornalista del “Messaggero” di Roma si precipita, dopo aver ricevuto una telefonata in redazione, verso uno dei cestini di rifiuti di piazza Belli, nelle immediate vicinanze di Trastevere. E vi trova il comunicato n° 7 delle Brigate Rosse in cui si annuncia il ’suicidio’ di Aldo Moro. Il ritrovamento provoca lo sguinzagliamento delle forze dell’ordine in tutto il lago della Duchessa, alla ricerca del cadavere dello statista. Ma sarà una ricerca vana: il comunicato risulterà falso e - secondo varie, persuasive testimonianze - Tony Chiachirelli ne risulterà l’autore. Per puro piacere di giocare o per obbedire a ordini superiori? E’ l’ennesimo interrogativo destinato a risultare irrisolto. Ma non basta. Il falsario si trova implicato, a vario titolo, nel delitto di Mino Pecorelli (direttore dell’agenzia di stampa settimanale “OP”) e del fratello del magistrato Ferdinando Imposimato ad opera, secondo la testimonianza del boss camorrista Carmine Schiavone, di esponenti di Cosa nostra e della banda della Magliana in combutta.
La sua gimkana, fra criminali e servizi segreti, finisce qualche mese dopo che Tony, con altri tre complici, è riuscito ad introdursi nel caveau di un deposito portavalori in via Aurelia e a realizzare “la rapina del secolo”: il bottino, in quello che gli stessi delinquenti definiscono il “bunker di Stato di Sindona”, è di “almeno trentacinque miliardi di lire tra banconote, titoli e valori di varia natura”. Infatti, la notte del 28 settembre 1984 viene trucidato con la compagna: il bambino di appena un mese si salva per miracolo. Ai due autori del libro torna in mente la celebre metafora della “palma che va a Nord”, a proposito della mentalità mafiosa che si espande nel resto della Penisola: “la storia di Tony Chicchiarelli forse sarebbe piaciuta a Sciascia”. O senza forse.

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