lunedì 29 settembre 2008

Sull’uso dell’aereo come mezzo di trasporto


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COI PIEDI PER TERRA
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Supplemento de “La nonviolenza e’ in cammino”
Numero 22 del 12 settembre 2007

In questo numero:
1. Peppe Sini: Triste il ritorno del pellegrino
2. Augusto Cavadi: Il cielo e il vuoto
3. Si e’ svolta a Viterbo il 10 settembre 2007 una partecipata assemblea del comitato che si oppone all’aeroporto
4. Lidia Menapace: Del nostro rapporto col tempo
5. Gianpaolo Silvestri: Appoggio le vostre richieste
6. Elena Buccoliero: Ambientale e sociale
7. Elisabetta Caravati: Solidale con voi
8. Raffaella Mendolia: Per il bene comune
9. Michele Meomartino: Per il bene di tutti
10. Diana Napoli: Una modesta proposta
11. Giuseppe Picchiarelli: Per un mondo migliore
12. Programma della Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici 2007 (Roma, 12-13 settembre 2007)
13. Giobbe Santabarbara: Che non sia l’orgia dell’ipocrisia
14. Per contattare il comitato che si oppone all’aeroporto di Viterbo

(…)

2. EDITORIALE. AUGUSTO CAVADI: IL CIELO E IL VUOTO
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@alice.it) per questo intervento.
Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia.
Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994, D G editore, Trapani 2006; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005; E, per passione, la filosofia, DG Editore, Trapani 2006. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo e siciliane. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: www.augustocavadi.com (con bibliografia completa)]

Alla vista di un aeroplano che scivola sulla striscia nera di asfalto per poi, come uccello inedito, spiccare il volo - dritto verso e oltre le nuvole - e’ difficile restare insensibili. Come non ammirare con stupore il frutto magico, quasi sacro, dell’inventiva umana che realizza - al di la’ di ogni previsione, per quanto ardita - il sogno di Icaro? Purtroppo e’ la stessa, medesima stoffa umana che puo’ banalizzare i miracoli di cui e’ sorprendentemente capace. Banalizzarli, se non addirittura pervertirli di segno e farne strumenti di offesa mortale per uomini, animali, piante e opere d’arte.
All’inizio del mio insegnamento mi trovai a lavorare in un liceo privato che i padri Gesuiti gestivano - allora da soli, senza il rinforzo successivo delle Ancelle del Sacro Cuore - a Palermo. A un certo momento dell’anno scolastico una ragazza (era figlia di un eurodeputato della Democrazia cristiana che anni dopo sarebbe stato assassinato dal piombo mafioso - pare piombo “amico”) chiese, per alcuni giovedi’ di seguito, di lasciare la scuola con un’ora di anticipo. Alla terza o quarta volta non potei trattenermi dal domandarle la ragione della sua richiesta: “Sa, alle 16 mi parte l’aereo per Roma dove mi aspetta, per le prove settimanali, la sarta che sta confezionando il mio abito di debutto come maggiorenne. Ne’ possiamo partire piu’ tardi perche’ altrimenti non ce la facciamo a ritornare in Sicilia in serata”. Stentai a credere alla versione della mia alunna, ma presto dovetti rassegnarmi: era vera sin nei dettagli.
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Neppure episodi come questi sono riusciti a soffocare la mia ammirazione per l’ingegneria aeronautica, per l’occhio che immagino aquilino dei piloti, per la sensualita’ discreta quanto decisa delle hostess. E, ancor di piu’, per la possibilita’ di contemplare la terra - coi suoi fiumi, le sue montagne, i suoi campi, le sue cittadine - dal punto di vista del cielo.
Ma proprio perche’ ho stima, viscerale e lucida insieme, per tutto questo mondo - metafora palpabile della nostalgia intima di trascendenza - mi sono impegnato, con me stesso, a contrastarne, per quel pochissimo che posso con le parole e le omissioni private e le opzioni politiche, la degenerazione autolesionistica.
Non cedero’, lo so, alla lusinga di un arretramento autoritario della lancetta della storia (anche perche’ ogni regime repressivamente sobrio cova in seno le eccezioni a favore degli eccessi smodati dei suoi dirigenti); ma neppure rinunziero’ all’utopia - da rendere topica passo dopo passo - di una civilta’ del self-control. Una civilta’ dove ciascuno contribuisca al bene comune secondo le proprie forze e vi attinga secondo i propri bisogni.
Dunque dove siano ancora aeroporti e aerei e piloti e hostess: ma senza inflazione. Senza sbracamenti. Per trasportare malati gravi da sottoporre a interventi chirurgici urgenti, per consentire convegni scientifici davvero istruttivi, per spostare statisti immersi in tessiture di pacificazione. Non per trasportare ordigni idiotamente intelligenti che uccidano i nostri simili senza degnarli di uno sguardo negli occhi; non per consentire al consumatore norvegese di acquistare al supermercato, senza limiti stagionali, le arance tunisine; e neppure per alimentare la continua fuga da se stessi, nell’illusione che mutare continuamente paralleli e meridiani possa riempire il vuoto che non siamo riusciti a colmare sedendo a meditare dalla finestra della nostra stanza.
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Ricordo ancora il commento di Andre’ Malraux quando un po’ tutti eravamo elettrizzati dalle immagini dei primi umani sulla luna: siamo la prima generazione della storia che non ha una ragione per stare sulla terra; perche’, dunque, arrivare sin lassù, se è per suicidarsi?

sabato 27 settembre 2008

Where PEACE is born


Translation of a book review for Centonove by Prof. A. Cavadi (March 9, 2007)

WHERE PEACE IS BORN

“Since wars begin in the minds of men, it is in the minds of men that the defences of peace must be constructed”: so reads the UNESCO Act of 1945, drafted right after World War II. An elementary concept, so much so that it has generally been dismissed, but now it has been embraced by Fulvia Masi and her young daughter, Mósa Masi Tanksley, respectively author and illustrator of a delightful small book (La Pace Incomincia da Me, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2006, 32 pp., Euro 5,90, in parallel text, Italian and English).
At first glance the book seems to be written just for children, but an introductory note points out that it is actually “for children and for adults”. In fact, the main character, a “child philosopher” named Memmo, lives through “a story that is simple in its language and content, yet subtle and profound in meaning”. In other words, this book can be placed in the tradition of stories like The Little Prince by Antoine de Saint-Exupéry, that can be read at different levels of depth, like a palimpsestum.

And indeed, even a young elementary school student can grasp Memmo’s message: world peace is a huge tree that can grow only from small seeds planted in the hearts of individuals. But the same truth – that could become the object of a roundtable discussion, Lipman’s style, as in the practice of Philosophy for Children would be taken just as seriously in symposia for adults: where the decline of the demagogic views that relieve individuals from personal responsibility gives way to the realization (gained through the lesson of psychoanalysis as well) that individual subjectivity is “the primary root of social relationships”; that such subjectivity is essentially “connected with humankind and biosphere”; that only a progressive spread in all directions of such acknowledgment can become “a cosmopolitan event” (as in La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche, by Romano Madera and Luigi Vero Tarca, Bruno Mondadori Publ., Milano, 2003, p. 72).
The peace for which Memmo searches has many names, since many are the faces of what is against peace, of wars and violence. In particular, there is also peace intended here as cessation of the camorra kind of organized crime: the title of the book, in fact, was taken by the authors from a slogan chosen by the children of the middle and elementary school Virgilio IV in Scampia, for a rally organized in their area with the purpose of asking for “the silence of gangs’ weapons”. But, if the idea was born from a specific, circumscribed event, it grew as an insight of global proportions, toward a “universality (…) without borders (neither geographic or religious)”. Because, among the many paradoxes of peace, there is this one as well: there is no peace among nations if there is no peace within individuals, but there would then be nothing more than a pious illusion of some new age private peace in a historical-political context torn by dialectic terror of States, and by terrorism of desperate minorities.

PEACE starts with me


Translation of a book review by Augusto Cavadi, professor of philosophy, published by the Italian newspaper La Repubblica- Palermo on March 20, 2007.

F. Masi - M. Masi Tanksley
La Pace Incomincia da Me – Peace Starts with Me
Il Pozzo di Giacobbe Publisher
Pp. 32
Euro 5,90

Fulvia Masi, the mother, born and raised in Palermo and resident of New York, is the author of the text; and the daughter, Mósa Masi Tanksley, is the illustrator who created the original drawings: the result is a small bilingual picture book (Italian and English) for children, but not just for children. The main character, in fact, called Memmo, a “child philosopher”, presents us with “a story simple in its language and content, yet subtle and profound in meaning”: world peace is a political achievement, yet it has anthropological roots. This observation resonates with what the French philosopher P. Hadot maintains: “There are many people who are totally committed to political activism and to the fight for social justice. But very, very few of them try to prepare a social revolution starting with an inner revolution.” The peace for which Memmo searches has many names because violence has many faces: it may mean, for example, liberation from the threats of camorra (organized crime in Naples). La Pace incomincia da me, in fact, is dedicated to the elementary school children of Scampia who promoted a street demonstration to call for the silencing of weapons, in order to end the fight of the gangs.

Venerdì 3 ottobre - sabato 4 ottobre 2008


Il Cesmi (Centro di medicina integrata) di Palermo (via Dante 153) mi ha invitato, nell’ambito di due convegni, a tenere la stessa conversazione sul tema “Filosofia e benessere: equivoci da chiarire e percorsi possibili” sia alle 11,30 di venerdì 3 ottobre (per un pubblico di medici, psicologi e altri operatori professionali) sia alle 10,00 di sabato 4 ottobre (per un pubblico più vasto).

CORREZIONE: L’ingresso NON è libero. (25 euro per una giornata, 50 euro per i tre giorno di convegno).

venerdì 26 settembre 2008

LA TRATTORIA DEL COMPROMESSO STORICO


Centonove 26.9.08

DOVE PRETI E COMUNISTI MANGIANO INSIEME

Verso la fine degli anni Ottanta mi capitò di fissare un incontro con un giornalista svedese, all’ora di cena, presso una trattoria che un gruppo di ragazzi gestiva nel cuore della Palermo antica. L’ospite arrivò con un po’ di ritardo, mi spiegò di aver trovato difficoltà ad orientarsi nel dedalo di viuzze e vicoletti, ma che un anziano del quartiere gli aveva dato alla fine le indicazioni esatte: “Ah, è proprio quasi davanti la chiesa di San Francesco Saverio, dove preti e comunisti mangiano insieme…!”. L’indicazione, ingenuamente spontanea, ci fece sorridere. Ma anche riflettere.

In realtà, quando esattamente venti anni fa la trattoria “Al vicolo” veniva aperta da una cooperativa di giovani del quartiere Albergheria, rappresentava la cifra di una stagione palermitana: una fase di grandi ferite collettive, di immensi dolori pubblici (dall’assassinio di Dalla Chiesa in poi), ma proprio per questo di insofferenza generalizzata e di mobilitazione diffusa. Niente da mitizzare, ovviamente: minoranze erano state e minoranze rimanevano i cittadini che si associavano, a vario titolo, per tentare di porre una diga qualsiasi alla barbarie. Né sempre, tra queste minoranze, la lucidità progettuale e la maturità strategica tenevano il passo con l’emotività dello slancio. Qualcosa però si muoveva: Falcone, Borsellino, Di Lello, Ayala ed altri (meno esposti mediaticamente, non necessariamente meno impegnati nel quotidiano) restituivano alla magistratura un prestigio troppo a lungo compromesso, mentre Leoluca Orlando mostrava la capacità di catalizzare le energie, raccogliendo dove non aveva seminato ma lasciando sperare in nuove semine e in nuovi raccolti.
Poi sappiamo come è finita: le stragi del ‘92, la sordina legislativa sui collaboratori di giustizia, il tramonto elettorale di Orlando sempre più innamorato del proprio ruolo di cavaliere solitario, l’ascesa ai governi regionale e nazionale di personaggi quasi mai adatti a rappresentare la voglia di verità e di equità delle “minoranze morali” operanti in maniera sotterranea ma caparbia. Anche la trattoria dei ragazzi di Ballarò, da buon termometro, ha conosciuto le sue parabole: notorietà nazionale e internazionale (dal “New York Times” al “Frankfurter Allgemeine”, sino al “Venerdì” di “Repubblica”), ma anche ‘normalizzazione’ gestionale (non più cooperativistica, bensì privata da parte di una famiglia del quartiere: Benedetto Morici, l’affabile moglie Mimma, gli splendidi figliuoli). Pure il pubblico è diventato, con gli anni, meno colorito: raramente si incontrano extraparlamentari in jeans pronti ad accalorarsi per divergenze di tattica politica o don Cosimo Scordato che, dopo la cenetta con gli ospiti, afferra la chitarra e coinvolge con il suo entusiasmo i presenti. In compenso, però, qualità del cibo e accuratezza del servizio sono cresciute, mantenendosi in rapporto ragionevole col prezzo. Per sincerarsene, il ventesimo anniversario dalla fondazione può costituire un’occasione propiziane: in queste settimane, infatti, la trattoria della piazza san Francesco Saverio prepara dei menù particolari (e prevede uno sconto speciale a chi esibirà il ritaglio di questo articolo).
Torneranno altre stagioni fervide di iniziative? Il superamento delle gabbie ideologiche porterà a inventarsi nuove modalità di trasformazione della società o piuttosto a ristagnare nell’acquitrino del qualunquismo? Nonostante lo scenario attuale, non lo si può escludere. La storia è abituata a sorprendere: e non sempre in negativo. Anche oggi, d’altronde, lontano dai riflettori, migliaia di cittadini palermitani e siciliani tengono duro: fedeli ai loro impegni di lavoro professionale, di volontariato culturale e sociale, di ricerca di una polis un po’ meno corrotta ed un po’ più equa. Fedeli sino al punto da sopportare - sino a quando riescono sopportabili - le prepotenze e le stupidità dei compagni di strada, talora più attaccati ai riconoscimenti personali che ai risultati oggettivi della loro azione. Troppo pochi rispetto a cinque milioni di isolani, troppo deboli rispetto all’ondata di arrivismo rampante che soffia dal Nord e di ‘alegalità‘ dominante che impera nel Sud (tornano i versi di Lucio Battisti: “Come può uno scoglio arginare il mare?”), ma abbastanza per mantenere in vita una memoria e uno spiraglio sul futuro. Secondo lo storico Francesco Renda non si può per nulla escludere che un’utopia forte - l’idea di un Meridione liberato dalla mafia e dai mafiosi - possa suscitare, come altre volte nel passato, una fase di riscossa popolare e un piccolo ma qualificato gruppo dirigente. Se così sarà - anzi: quando così sarà - sarà bello sapere che, in un vicolo prossimo alla chiesa di san Saverio, una trattoria (dove hanno sostato il regista iKrzysztof Zanussi, il teologo della liberazione Leonardo Boff, il menestrello Francesco De Gregori il filosofo Luigi Lombardi Vallauri, il sociologo Arnaldo Nesti, gli antropologi Jane e Peter Schneider, il critico cinematografico Enrico Ghezzi, il guitto Paolo Rossi, il giornalista Marco Travaglio…) è pronta ad accoglierci per festeggiare.

mercoledì 24 settembre 2008

LA SPERANZA “MALGRADO TUTTO”


Repubblica – Palermo 24.9.08

G. Macaluso - G. Savatteri
Malgrado tutto
Salvatore Sciascia
Caltanissetta 2008
pp. 335, euro 18.

Gli anni Ottanta sono stati gli anni del riflusso, dopo il confuso ma fervido decennio ‘68 - ‘77. Anche in Sicilia dove, per la verità, il flusso non si era fatto particolarmente notare. Facile immaginare, anzi per alcuni di noi ricordare, lo stato di scoramento nelle minoranze morali - specie giovanili - che non intendevano allinearsi al rampantismo craxiano, perfetta anticamera del berlusconismo. E’ in questo clima di smobilitazione - non dissimile da quello vissuto attualmente da chi assiste alla beatificazione dei politici più spregiudicati, persino se dichiarati giudiziariamente colpevoli - che tre studenti liceali di Agrigento decidono di stampare un giornale che parli, innanzitutto, di Racalmuto ed a Racalmuto. Malgrado tutto sembrò a Gesualdo Bufalino “il più bel titolo di giornale del mondo” e fu, quasi ovviamente, Leonardo Sciascia a tenerlo a battesimo con un editoriale che, nella sua incisiva brevità, andava dritto alla radice di molte indebite rassegnazioni: “L’uomo del sud - e cioè un tipo umano, riconoscibile, catalogabile e giudicabile in quanto uomo del sud - non esiste. Esistono nel sud condizioni economiche, generate nel corso della storia, che possono anche dare l’illusione di essere state invece generate da una particolare umanità. E’ l’illusione di cui è suggestivamente intriso Il gattopardo; e funziona anche da alibi, alibi di classe”.

Da quelle righe sono trascorsi ventotto anni e, miracolosamente, la rivista resiste. Due protagonisti di questa avventura, minore geograficamente ma emblematica politicamente, l’hanno voluta raccontare in un bel volume antologico (G. Macaluso - G. Savatteri, Malgrado tutto, Salvatore Sciascia, Caltanissetta 2008, pp. 335, euro 18) che ripercorre la lunga traiettoria attraverso articoli significativi, alcuni dei quali redatti da firme di prestigio nazionale come Vincenzo Consolo e Andrea Camilleri. Con comprensibile orgoglio, Egidio Terrana - che dirige il periodico ormai da un quarto di secolo - ha potuto scrivere nella prefazione che esso “ha criticato anche duramente, ma non ha mai ricevuto una querela né un atto di citazione, segno che anche chi veniva criticato comprendeva lo spirito del giornale, consapevole che avrebbe trovato su queste stesse pagine lo spazio adeguato per replicare e ribattere a condizione che venissero applicate le regole fondamentali del confronto civile e democratico”.
La lezione del periodico racalmutese è tanto chiara quanto attuale: le battaglie democratiche per la conquista delle istituzioni sono importanti, ma il loro esito ha carattere reattivo, sintomatico. Se la maggioranza dei cittadini non è informata, non ha spazi per esercitare senso critico e denunzia, non ha occasioni per confrontare opinioni (o, per lo meno, per conoscere il confronto fra opinioni opposte), gli appuntamenti elettorali la sorprenderanno sempre nella stessa condizione di confusione, di subordinazione e di vulnerabilità rispetto alle manovre demagogiche. I due autori lo sanno esprimere efficacemente: “Malgrado tutto ha avuto il merito di far uscire una comunità dalle chiacchiere di piazza, dalle poesie irridenti e caustiche, dai manifesti non firmati. Un po’ di democrazia, insomma”. Ci sono stagioni in cui è preclusa la politica come gestione del potere legittimo, non come preparazione intellettuale e morale a gestirlo in futuro.

GLI AUTORI

Il periodico di Racalmuto Malgrado tutto è stato fondato da due sedicenni e un diciottenne nel 1980, quando ancora frequentavano la scuola. Quest’ultimo, Carmelo Arrostuto, ha poi scelto di fare altro nella vita, mentre i primi due - curatori di questa raccolta antologica di articoli - sono diventati degli apprezzati professionisti del giornalismo: Giancarlo Macaluso è redattore del Giornale di Sicilia e collaboratore del Corriere della sera; Gaetano Savatteri lavora come cronista in Mediaset ed è anche scrittore di romanzi. In appendice l’elenco interessante di tutti coloro che hanno scritto, disegnato o fotografato per la rivista.

martedì 23 settembre 2008

Invito a Bruxelles (15 - 18 ottobre 2008)


Dal 15 al 18 ottobre 2008 (in tutto saranno 3 giorni di lavori) l’Università etica per la condivisione della conoscenza (Ucc) organizza a Bruxelles un seminario sulla STRATEGIA DI LISBONA, sui suoi contenuti e sui risultati finora ottenuti dalla Commissione Europea.
Gli attuali responsabili dell’Ucc considerano questa iniziativa altamente formativa perché convinti che la strategia di Lisbona sia alla base dei più importanti cambiamenti che si stanno verificando nella nostra società. Si tratta di un disegno di lungo periodo, fortemente voluto da determinate oligarchie. Comprenderlo nella sua oggettività può consentire di capire a fondo le attuali mutazioni sociali ed economiche e prevedere l’impatto su noi cittadini e sulla democrazia.
Come nel precedente seminario del 2005, le relazioni saranno tenute dai funzionari delle Istituzioni Europee responsabili delle politiche inerenti. Si cercherà di fare in modo che le informazioni siano complete (senz’altro rispecchieranno il punto di vista della Commissione) e che, oltre allo spazio per le domande, ci sia anche un tempo dedicato allo scambio di opinioni fra i partecipanti per una rilettura critica di quanto avremo appreso. A questa rilettura saranno invitati anche alcuni esperti esterni. Anche questa volta si prevede un parziale contributo alle spese di viaggio.
Per ulteriori informazioni ed eventuali iscrizioni consultare la finestra ‘novità‘ del sito www.universitaetica.net

La difficoltà turistica dell’essere siciliani


“Repubblica - Palermo”
11.9.2008

LA DIFFICOLTA’ TURISTICA DELL’ESSERE SICILIANI
Anche se in misura minore, anche quest’estate non pochi siciliani hanno trascorso un periodo di ferie in altre regioni italiane o, addirittura, in altri Paesi. Si parte spensieratamente, da turisti; e non si riflette abbastanza sulla responsabilità ‘oggettiva’ di esportare una certa immagine dell’isola.
La precomprensione stereotipata è nota: siciliano? Allora - si aggiunge con un sorrisetto esplorativo che intende smorzare l’eventuale valenza offensiva - anche tu mafioso…Spezzare nell’opinione comune questa equazione non è facile e, in ogni caso, non è compito che possano assolvere i soggetti individuali: ci sono avvenimenti mediatici così clamorosi - come la condanna in primo grado a cinque anni e sei mesi di un presidente di regione per favoreggiamento di mafiosi - che nessuna microtestimonianza biografica può compensare. Se è difficile smontare certi luoghi comuni, è però molto facile confermarli e rafforzarli: e, su questo versante, anche noi privati cittadini possiamo fare - e disfare - molto.

Sono stato impressionato, in proposito, dal breve colloquio con uno studente universitario veneto che studia veterinaria in Emilia-Romagna. Dopo qualche decina di minuti ha chiesto a me e alla persona che mi accompagnava - con stupore evidentemente sincero - come mai ragionassimo in una certa maniera e non condividessimo idee maschiliste, clientelari, predatorie e insomma - per dirla tutta - mafiose. Prima di rispondere (ma come rispondere ad una domanda così semplice e così radicale? Perché ognuno di noi è quello che è e non si è lasciato plasmare del tutto dalla cultura dominante nella propria famiglia, nel proprio ambiente?) ho rivolto la mia contro-domanda: come mai ti aspettavi che fossimo diversi da come ci siamo manifestati? Il racconto del giovane interlocutore ci ha pietrificato: “Ho conosciuto tanti siciliani e, a prima vista, mi son sembrati molto più gioviali e vivaci dei miei conterranei. Ma, approfondendo i rapporti, ho avuto tremende e ripetute delusioni. Alcuni hanno voluto in prestito dei soldi e non me li hanno restituiti; altri si erano impegnati a dividere la spesa dell’alloggio e hanno ‘fatto il pacco’ alla padrona di casa. Un’amica mi ha invitato a pranzo quando sono arrivati da un paesino vicino Trapani i suoi allegri e chiassosi familiari ed ho accettato con piacere il gesto, ma sono state ore da incubo. Il padre mi ha invitato ad anticipare con lui l’inizio del pasto, mentre le donne preparavano in cucina le altre pietanze, in modo che noi maschi potessimo mangiare due volte, ma poi - esaurita la mia porzione - nessuno mi ha proposto il bis e sono stato in silenzio, e a disagio, in attesa che la famiglia pranzasse. La figlia ha chiesto a voce alta al padre, senza ritegno, se avesse già raggiunto i docenti universitari per la ’solita’ raccomandazione e a che punto fossero i contatti per assicurarle l’assunzione in una grossa azienda farmaceutica della zona. La madre, in reazione a qualche cenno di dissenso da parte mia, si è affrettata a spiegare che la loro famiglia era molto nota in Sicilia e fuori e che non si erano mai sentiti offesi quando la loro mentalità qualche volta era stata definita ‘mafiosa’ perché è da ignoranti negare che la mafia sia benefattrice e sempre pronta ad aiutare chiunque la rispetti”.
D’accordo, Gabriele sarà stato particolarmente sfortunato a collezionare quattro o cinque perle di seguito e non si può certo costruire un sistema sociologico su sparute esperienze individuali. Ma ce n’è abbastanza per riflettere su come sono, a tutt’oggi, alcuni siciliani e sull’attenzione che dovremmo investire tutti noi nel modo di porgerci quando ci spostiamo al di là dello stretto di Messina.
Tornano facilmente alla memoria le righe del piemontese Pietro Calamandrei del 1956: “E’ possibile che gli uomini politicamente più responsabili, e prima di tutto i siciliani, non sentano il dovere di mettere in chiaro con disperata energia quello che di vero c’è in queste accuse, e di tagliare al tronco, a qualunque costo, le complicità e le connivenze? E’ in gioco l’onore dell’Italia nel mondo: le trame siculo-americane di queste bande di criminali, protette e assoldati da politicanti senza scrupolo, fanno ricadere su tutto l’onesto e generoso popolo siciliano e addirittura su tutto il popolo italiano l’ombra di questa vergogna”.

Augusto Cavadi

domenica 21 settembre 2008

RITORNO A SCUOLA


Repubblica – Palermo 21.9.08

LE COLPE DEI DOCENTI

Gradualmente la scuola, dalla materna all’università, riapre i battenti. Insegnanti e alunni ritornano con il solito confuso intreccio di sentimenti: rammarico per la fine delle vacanze estive, senso di pesantezza per altri nove mesi di fatica, curiosità per le persone e le tematiche che si conosceranno, preoccupazioni per le decisioni ministeriali (stabilmente orientate, nel variare delle maggioranze, ad un sistematico peggioramento del sistema dell’istruzione)…Un frammento non del tutto trascurabile di questo scenario complessivo è costituito dalla figura istituzionale dei dirigenti scolastici (in questi giorni in Sicilia ne sono stati assunti più di duecento): cioè, secondo il vocabolario usato dai meno giovani tra noi, dei direttori didattici della scuola primaria e dei presidi della scuola secondaria .

Anche di recente la cronaca palermitana ha registrato episodi grotteschi che, se non fossero rattristanti per certi versi, sarebbero esilaranti: come la condanna giudiziaria di un professore per aver sputato sul viso della sua dirigente, per giunta ironizzando sul proprio gesto (”E’ solo un modo per lavarLe la faccia”). Vogliamo archiviare questi fatti come isolati episodi di colore? Chi frequenta gli ambienti scolastici sa benissimo che si tratta di punte di iceberg rivelative di quotidiane tensioni sotterranee e di continui scontri magmatici. Con quale ricaduta educativa sulla serenità del clima di un’intera comunità scolastica, è facile indovinarlo.
Sarebbe opportuno dunque che, almeno qualche volta, l’inespresso emergesse alla luce del sole e - magari con la mediazione di un esperto esterno - i soggetti in conflitto avessero modo di verbalizzare il disagio e di sperimentare nuove modalità di relazione. Forse alcuni dirigenti avrebbero modo di spiegare quanto sia difficile, nel clima culturale di ‘anomia’ dominante nel nostro Meridione, chiedere a tutti i docenti il rispetto delle regole deontologiche essenziali: puntualità all’inizio delle lezioni, garbo di tratto con alunni e genitori, un minimo di aggiornamento professionale per evitare di trovarsi su alcune tematiche disciplinari meno informati dei propri stessi alunni…(Bossi e la Gelmini sbagliano a generalizzare certe loro accuse, ma la soluzione non può essere negare ad oltranza ogni deficienza oggettiva). Dopo molti anni ho ancora in mente lo smarrito, incredulo stupore di una collega trasferitasi dal Veneto a Palermo davanti allo spettacolo indecoroso di un collegio dei docenti in cui quasi nessuno, impegnato a chiacchierare col vicino di sedia, prestava ascolto all’oratore di turno (dirigente o collega d’insegnamento che fosse), tranne per i cinque minuti in cui si affrontava il tema dei criteri di distribuzione degli incentivi economici. Come da me preannunziatole, si sarebbe presto abituata: collegi così privi di creanza e di responsabilità democratica non costituiscono da Roma in giù l’eccezione, bensì la norma.
Non so immaginare quali strategie si possano approntare per modificare simile malcostume imperante fra docenti che, nelle proprie classi, non tollererebbero (giustamente) un clima così confusionario e dispersivo: so solo che la reazione di alcuni presidi che, a scopo preventivo, trattano il corpo docente come fosse un’indistinta soldataglia da umiliare metodicamente è inutile, anzi controproducente. In una parola: diseducativa. Se un’insegnante chiede la parola in collegio e, ottenutala, esordisce con un “La mia idea sarebbe che…”, ma la dirigente l’interrompe con un sorrisetto sardonico: “Lei non è pagata per avere idee” - ebbene, se quell’insegnante si abbandonasse ad un gesto inconsulto di violenza contro la preside, sarebbe certamente in torto. Colpevole, ma del tutto priva di attenuanti?
L’unica strada percorribile passerebbe da una seria, duplice autocritica della categoria dei docenti mirata, da una parte, ad acquisire uno stile più idoneo a dei cittadini adulti stipendiati anche per costituire dei modelli di comportamento per le nuove generazioni; e, d’altra parte, ad un sussulto di dignità e di solidarietà nell’impedire - anche con proteste plateali - che questo o quel dirigente li tratti da sudditi (quante sono le aule a Palermo in cui si muore di caldo in estate e di freddo in inverno, mentre i locali della presidenza e della segreteria amministrativa godono permanentemente di ogni conforto?) o giochi con qualcuno di loro come un gatto col topo. Rivedere, dunque, i propri difetti professionali e, proprio così, riacquistare prestigio: purtroppo non so quale dei due obiettivi risulti meno realizzabile… Infatti le dinamiche evidenziate dalla psicologia delle masse (la media dei componenti tende ad uniformarsi allo standard comportamentale dei più maleducati) non cessano di valere quando la folla è costituita da un centinaio di insegnanti. Di contro, quando un esponente del potere (sia pure il micropotere di un preside all’interno della comunità scolastica) infierisce ingiustamente su un soggetto, gli altri assecondano la tendenza umana - troppo umana ! - a farsi i fatti propri, riservando ogni segno di solidarietà a luoghi e tempi di opportuna segretezza. Se questa analisi sconfortata fosse realistica, per il futuro sarebbe più logico stupirsi non perché, dentro le mura scolastiche, avvengano scatti di violenza; ma perché avvengano così raramente.

venerdì 19 settembre 2008

“La mafia spiegata ai turisti” secondo Filippo Piccione


www.pontediferro.org

Un libro su mafia e Chiesa. Non tutti i “parrini” sono emuli di don Puglisi

Filippo Piccione

17-09-2008

E’ ormai accertato che la gran parte di turisti che si reca in Sicilia è desiderosa di conoscere più da vicino le “gesta” compiute dalla mafia. Non so in che misura la folla di curiosi possa essere soddisfatta dalle informazioni che riceve sull’argomento. Fatto sta che oggetti e immagini raffiguranti uomini e situazioni dal sapore un po’folkloristico e stereotipato (la coppola, la lupara sotto il braccio, l’immancabile paesaggio di fichidindia, che fa da sfondo, e le tre scimmiette con le eloquenti scritte “non parlo, non vedo, non sento”) vengono esposti con la massima cura ed evidenza nei negozi e nelle bancarelle che assiepano tutti i siti e i luoghi storici, archeologici, culturali e paesaggistici di maggiore attrattiva. Toccare con mano tale realtà, essendo stato da qualche giorno reduce da un’ennesima visita ad Erice e alla vicina Segesta, entrare per caso in una libreria, scorgere - in mezzo ad una pila di testi appena arrivati - un agile volumetto con il seguente titolo: “La Mafia spiegata ai turisti”, scritto da Augusto Cavadi (Edizione di Girolamo) pubblicato in sei lingue, compresa quella giapponese - il meno che puoi fare è impossessartene subito, prima che esso venga posto nell’apposito scaffale. Poi cerchi di conoscerne la sintesi, uno sguardo rapido al curriculum dell’autore. Dunque decidi che vale la pena comprarlo.

Scopri infine che a quello che ti è capitato di leggere finora su Cosa Nostra, questo libretto aggiunge altri elementi di novità interessanti, riuscendo nel contempo a mettere nel giusto risalto problematiche fondamentali che tuttavia molta della copiosa letteratura esistente in materia aveva lasciato in ombra o completamente sottaciuto. Si tratta della semplice circostanza che oltre ai rapporti – scontati - con pezzi degli apparati dello Stato, con alcuni partiti ed esponenti delle amministrazioni locali, dei sindacati e delle associazioni, quello che la mafia ha intrattenuto e intrattiene con la Chiesa, secondo Cavadi, è un dato che s’impone nella sua oggettività. “La storia della Sicilia - come la sua cronaca contemporanea - non si spiega senza tenere nel debito conto l’influenza delle istituzioni religiose in generale e della chiesa cattolica in particolare”. Sarebbe molto strano, osserva l’Autore, se diffusione capillare del cattolicesimo e mafia fossero due fenomeni indipendenti. Gli eventi storici, sino agli episodi più recenti, insegnano che i rapporti fra mondo cattolico e ambienti mafiosi ci sono stati e non senza conseguenze di rilievo. In alcuni casi si è trattato di relazioni di vera e propria complicità. Mons. Panzeca, arciprete di Caccamo ospitava nella sua canonica i summit mafiosi dove si deliberavano le strategie più criminose messe in atto attraverso estorsioni, ricatti, omicidi e il controllo permanente del territorio. L’arcivescovo di Monreale, mons. Salvatore Cassisa, chiacchierato ed indagato per aver avuto rapporti con Bagarella, mostrava che la sua vera vocazione non era proprio quella apostolica. Queste, come altre situazioni del genere, riportano alla mente alcuni versi del poeta dialettale Ignazio Buttitta (Bagheria 1899-ivi 1997), autodidatta e profondamente ancorato alla cultura siciliana.
“Mafia e parrini (preti) si dittiru la manu:/poveri cittadini,/poviru paisanu!/…../Chi semu surdi e muti?/Rumpemu sti catini!/Sicilia voli (vuole) gloria,/Né mafia né parrini!
Bisogna però ricordare che esistono preti che si sono schierati e si schierano dalla parte di chi subisce le angherie e l’invadenza opprimente degli uomini della mafia, sapendo di andare incontro a vendette e atroci ritorsioni. Così è stato per don Pino Puglisi che, svolgendo quotidianamente azione eminentemente educativa e sociale in contesti economici depressi e in mezzo a bambini diseredati che crescono nelle strade, come nel famoso quartiere Brancaccio di Palermo, venne ucciso il 15 settembre 1993, su mandato dei fratelli Graviano, da Salvatore Grigoli. Il quale, in uno dei tanti interrogatori, affermava “per noi la chiesa era quella che se c’era un latitante mafioso, lo nascondeva. Sapevamo che la chiesa di padre Puglisi era sempre stata una chiesa diversa”. E questo la mafia non lo poteva consentire. Ma non si tratta soltanto - sostiene opportunamente Cavadi - di preti-boss e di preti-martiri. Sappiamo che essi, comunque, costituiscono, nella loro atipicità, un’eccezione (anche se, è il caso di sottolineare, che i loro comportamenti hanno e possono avere, in un senso e nell’altro, una portata e un’influenza straordinaria sull’opinione pubblica che dura nel tempo). Per capire i rapporti fra la Chiesa cattolica e Cosa Nostra occorre rilevare - e su questo ha ragione l’autore - che la norma è stata una sorta di indifferenza disincantata della chiesa rispetto ad una questione considerata, a torto, di competenza esclusiva dello Stato. E, per giunta, “di uno Stato liberale, vissuto, per molti decenni, a partire dall’unificazione nazionale, come esterno ed estraneo”. “Le gerarchie ecclesiastiche sono state molto preoccupate di difendersi da nemici “ideologici” (protestanti, comunisti, laici) e hanno sottovalutato l’inquinamento morale e civile prodotto dai poteri illegali”. Ecco perché “i mafiosi, poiché non intendevano attaccare sul piano ideologico, si potevano considerare semmai peccatori da recuperare, e la mafia, con la sua cultura e le sue azioni delinquenziali, non veniva perciò percepita da parte dell’evangelizzazione cristiana in tutta la sua pericolosità“. Quando il rapporto diretto con mafiosi - o politici “amici” di mafiosi - poteva risultare utile, vescovi e presbiteri non si sono lasciati bloccare da scrupoli.
Un aggiornamento in tal senso ce lo fornisce una ricerca pubblicata pochi mesi fa. Un questionario distribuito fra i parroci di Palermo svela che troppi nelle loro file sono indulgenti con i boss mafiosi. In molti non avvertono la presenza di Cosa Nostra come un pericolo immediato. Appena il 15 per cento dei preti intervistati mostra “una piena consapevolezza della specificità del problema mafia”. Il 20 per cento ne ha una conoscenza convenzionale, esprimendo persino critiche esplicite nei confronti della Magistratura e le Forze dell’Ordine. Il 65 per cento manifesta una certa ambiguità nell’affrontare il tema, e la presenza mafiosa sul territorio non viene vissuta come una questione di stretta competenza della chiesa, “anche perché essa non costituisce una concreta minaccia”. Il cardinale Ernesto Ruffini, arcivescovo di Palermo, molti anni or sono, alla domanda di che cosa fosse la mafia, rispondeva che era una marca di detersivo.
Filippo Piccione

PS: “Mafia e Preti” di Ignazio Buttitta è tratto da una raccolta di poesie intitolata “Lu trenu di lu suli”, con l’introduzione di Leonardo Sciascia, lo scrittore siciliano che nel suo libro “Il giorno della civetta”, scritto nel 1961, di cui fu poi girato l’omonimo film, aveva per primo fatto conoscere il significato del linguaggio della mafia, attraverso i suoi delitti e le sue complicità. Fu lo stesso Sciascia ad alimentare, due decenni più tardi, una polemica sul ruolo dell’Antimafia, muovendo, in particolare, una critica serrata nei confronti di alcuni esponenti che ne avevano sostenuto importanza e funzione, accusandoli di aver fatto carriera. Uno di questi fu Paolo Borsellino, il magistrato massacrato con la sua scorta dalla ferocia mafiosa. La querelle si è riproposta nel corso della nomina del Capo della Direzione Nazionale Antimafia che, al posto di Giancarlo Caselli, nei confronti del quale fu fatta una legge contra personam da Berlusconi, fu indicato Piero Grasso, attuale Procuratore della DNA.
A proposito di mafia ed antimafia è illuminante quanto hanno dichiarato Luciano Liggio e Marcello dell’Utri. Alla domanda del presidente della Commissione parlamentare Antimafia se esiste la mafia, Liggio risponde: “se esiste l’antimafia”. Dopo quasi un quarto di secolo, nel 1999, in una trasmissione di Michele Santoro, alla stessa domanda, dell’Utri non ha esitazione ad esprimersi nel seguente modo: “le risponderò con una frase di Luciano Liggio, se esiste l’antimafia esiste la mafia”. L’ 11 dicembre 2004 il cofondatore di Forza Italia e oggi senatore della Repubblica sarà condannato a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.

UN ROMANZO SU COSA NOSTRA


Centonove 19.9.08

Quando la mafia è pornografica

Non sono un critico letterario, ma un poveruomo che la sera preferisce addormentarsi con un libro in mano anziché con uno schermo televisivo di fronte. E come tutti i comuni mortali, quando si imbatte in un testo che gli piace - che lo prende emotivamente e magari gli insegna qualcosa o addirittura lo diverte - attiva il passaparola con amici e conoscenti, per condividere la scoperta. Ecco perché, in questi giorni, mi capita di parlare in giro del romanzo di Maurizio Padovano, I pornozombi, edito alla fine del 2007 dall’editore trapanese Di Girolamo. Un romanzo breve, che sembra ancor più breve perché si legge voracemente; un romanzo che sembra scritto con la mano sinistra nelle pause di lavoro serio, ma in realtà calibrato e limato parola per parola; un romanzo divertente (come dimenticare, fra tanti altri passaggi, le “manie pre e post-coitali” della moglie del protagonista a p. 83: “buio assoluto altrimenti non mi rilasso, afonia obbligatoria altrimenti la bimba si sveglia, da mangiare e da bere pronto sul comodino come se bisognasse recuperare tutto e subito di ciò che il coito brucia e disperde. E, io, ora faccio del mio meglio. Ovvero, stare zitto al momento opportuno”?), nonostante parli della piaga più infettante della nostra terra. Già perché, nonostante il titolo, la pornografia non c’entra (quasi) nulla: o, forse, solo come metafora di quella cosa davvero sporca, indecente, che è il sistema di dominio mafioso.

E, come tutte le cose indegne, anche la mafia alligna e prospera solo nel buio e nel silenzio: “Apparentemente la nostra comunità è uguale a tutte le altre. Istituzioni democratiche e civili come in tutti gli altri Comuni del Paese: come per altri cinquanta milioni di italiani. ma tale uguaglianza arriva fino a un certo punto. palazzo municipale, Aula consiliare, Pretura, Commissariato, Camera del lavoro, Scuole pubbliche, Consorzio idroagricolo, Agesci, Pro-loco, Azione cattolica, ArciGiovani - tutte cose che ci vedono, chi più chi meno, coinvolti come liberi cittadini - sono soltanto una faccia della medaglia. Sull’altra faccia non si è cittadini liberi - e forse nemmeno cittadini - ma solo parenti, cugini, amici, vicini di casa, rispettosi e silenziosi, di quelli che contano. Perché non c’è rispetto senza silenzio a oltranza, ed è nel silenzio che gli innominabili reggono di fatto la comunità. Il medesimo silenzio che li fa sembrare uguali agli altri” (p. 33).
La mafia - come mentalità ma anche come concretissima organizzazione di uomini e donne con un volto e una biografia - abita le pagine di questo romanzo: ma, ed è una caratteristica che me le rende pregevoli, le attraversa come in filigrana, in maniera impalpabile. L’autore la fa intravedere, anzi la fa sentire addosso come l’afa dei giorni di insopportabile scirocco (quando ti torna alla memoria la definizione dell’inferno secondo un personaggio letterario di Dacia Maraini: una sorta di Palermo senza pasticcerie), ma con discrezione, direi quasi con eleganza. Forse la sua protesta di ragazzo che non si rassegna all’andazzo dominante (”Sei già sulla strada secondaria di chi starà zitto e buono per tutta la vita, e loro, tronfi, sulla strada maestra, a partire dal tuo silenzio a poco a poco ti toglieranno tutto”, p. 34) è proprio più efficace perché bisbigliata: senza moralismi né proclami retorici. Ed anche perché sincera. Un siciliano che si oppone alla mafia non può far finta di essere nato sotto un cavolo o paracadutato da una cicogna (d’altronde, come ricorda una citazione kantiana in esergo a pagina 37, “l’occhio innocente è cieco, la mente vergine è vuota”) : deve tener presente, costantemente, di portare dentro di sé almeno degli schizzi di quel fango che denunzia negli altri e nelle istituzioni. Per esempio, di condividere con i mafiosi alcuni segmenti del loro codice mafioso, quali il maschilismo più bieco: “La carota in mano scottava. Avrei voluto prenderlo a calci il maledetto pupazzo di neve, tanto per dimostrare che eravamo un po’ più vivi di lui, un po’ meno freddi. E invece mi toccava firmarlo con uno sberleffo vegetale che doveva gridare - a tutti quelli che l’avrebbero visto - che sapevamo bene, noi, ciò che conta davvero per essere uomini: una lunga, sconcia appendice di carne piena di arterie e di sangue, da utilizzare in senso letterale (pisciare), figurato (scopare) e anagogico (perché è simbolo del potere vero, di quello che rende simili a Dio, quantomeno nel dare la morte, non certo nel dare la vita: e infatti, dicono i nostri cattivi, comandare è meglio di fottere !)” (p. 34).
Come tentare di sopravvivere “in mezzo a una guerra non dichiarata, dove il nemico non si riconosceva dal colore delle divise” (p. 91)? Ognuno cerca la sua strada. E qualche volta, la trova. Padovano, giocando sul registro narrativo ambiguamente oscillante fra l’autobiografia e l’invenzione fantastica, suggerisce - involontariamente ? - una possibile via di fuga: la scrittura, la creazione letteraria. E’ così che quasi tutti i grandi scrittori siciliani, da Pirandello a Sciascia, sono riusciti a scrollarsi dalla pelle troppo scomode eredità e a guardare la madre-isola da un punto ad essa esterno. Con Francesco Renda - nel suo ultimo libro a quattro mani in dialogo con Antonio Riolo - possiamo sperare che qualcuno di questi conterranei, tra coloro che sono in vita, riesca a regalarci, dall’angolazione ‘trascendente’ guadagnata, un romanzo utopico: sì, un romanzo dove ci sia concesso di sognare ad ogni aperti come sarebbe la Sicilia senza mafia e senza mafiosi.

sabato 13 settembre 2008

Beati gli ultimi… Commento al vangelo di domenica 21.9.08


Adista n. 59 - 06 Settembre 2008
BEATI GLI ULTIMI…
di Augusto Cavadi*
Anno A 21 settembre 2008 XXV Domenica del Tempo Ordinario Is 5, 6-9 Sal 144 Fil 1, 20-27 Mt 20, 1-16

Leggere il vangelo, interpretarlo correttamente, è dato a tutti - soprattutto ai ’semplici’ - o è riservato a pochi specialisti? Ci sono pagine che attestano quanto ardua sia la risposta. Da una parte, infatti, sarebbe assurdo supporre che il messaggio salvifico del Regno non fosse rivolto anche a chi è capace soltanto di ascolto naïf; ma, dall’altra, come non ammettere che una lettura ingenua, immediata, di parabole come questa induca quasi inevitabilmente a fraintendimenti? Forse si ci potrebbe accordare su una conclusione del genere: Gesù parlava il linguaggio multiplo delle parole, dei gesti, delle azioni… che poteva raggiungere, senza filtri, la mente e il cuore degli ascoltatori anche meno istruiti. Sapeva che la trascrizione in fogli del suo linguaggio avrebbe potuto generare equivoci. E infatti né scrisse né dettò nulla. Dopo la redazione dei vangeli, le linee essenziali del messaggio restano accessibili anche a chi è asciutto di esegesi e di ermeneutica, ma solo chi ha l’attrezzatura metodologica adatta può provare a raschiare l’apparenza per cogliere molti dettagli secondari per nulla trascurabili.

Che significa, ad esempio, che “gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi” (v. 16)? Il Dio di Gesù è un capitalista di animo generoso che, avendo fissato un salario minimo per i suoi precari a giornata, non se la sente di decurtare ulteriormente la paga a quanti sono rimasti in piedi, appoggiati sul muretto, sino a quando - quasi alla fine della giornata lavorativa - non è stato necessario ingaggiare anche loro? Qualsiasi interpretazione giuridica o morale (e ne sono state proposte decine in questi venti secoli) mostra, alla fine, qualche incongruenza o - nei casi migliori - si riduce ad una sorta di celebrazione dell’ovvio che non aggiunge né toglie alcunché ad una immagine antropomorfa di Dio.
Diverso è il caso in cui ci si ponga da una prospettiva teologica ed antropologica. Qui si annuncia un Dio che non fa calcoli ragionieristici e dona la salvezza non solo a chi è chiamato per primo (l’ebreo veterotestamentario, la bambina precoce che decide di farsi santa a quattordici anni, gli sposi modello che arrivano alle nozze d’oro dopo una vita di rinuncie quotidiane…), ma anche a chi avverte la chiamata in extremis (il pagano contemporaneo di Gesù, il libertino che si converte come Agostino di Tagaste nel mezzo del cammin della sua vita, gli anziani mercanti alla Zaccheo che solo poco prima di morire si accorgono di aver sprecato l’esistenza a far soldi e per giunta disonestamente…). E qui si annuncia la possibilità inaudita che l’uomo, grazie ad una fede autentica, possa vincere l’invidia e la gelosia causate dalla gratuità dell’unico Padre. Bruno Maggioni lo ha saputo precisare con lucidità: “La parabola non vuole anzitutto insegnarci come Dio si comporta, ma piuttosto come i giusti debbono comportarsi di fronte alla misericordia di Dio”. Infatti, come aveva avvertito J. Dupont, “il problema non è quello dei diritti e dei doveri di un padrone, ma quello della solidarietà che dovrebbe unire gli operai fra di loro”.
Allora non è che i ‘primi’ vengano schiaffati da Dio all’ultimo posto, ma è la loro stessa condizione di ‘primi’ a metterli a rischio di auto-esclusione: è la loro coscienza ‘troppo’ pulita, il compiacimento eccessivo per i propri ‘meriti’, l’arroganza di chi si avverte moralmente privilegiato che li induce a rattristarsi perché Dio è comprensivo e a nutrire per i salvati dell’ulti-ma ora sentimenti negativi. È insomma il loro privilegio iniziale a covare, dentro se stesso, il rischio di capovolgersi in rivolta autolesionistica. Beati gli ultimi perché non conosceranno la tentazione di rivendicare il monopolio della primogenitura!

* Augusto Cavadi svolge la sua attività di ‘consulente filosofico’ soprattutto a Palermo dove è impegnato in iniziative di formazione per insegnanti, studenti, volontari e militanti del movimento antimafia. Opera all’interno della Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone”, del Centro siciliano di documentazione “G. Impastato” e, più recentemente, dell’Ucc (”Università etica per la Condivisione della Conoscenza”).

mercoledì 10 settembre 2008

QUANDO IL BENESSERE NON CI FA BEN VIVERE


“Repubblica - Palermo”
10.9.08

GIUSEPPE LANZA
Il ben-vivere
Edizioni Solidarietà
Pagine 286
20 euro

Ossessionati dal benessere, traguardo che si sposta man mano che vi ci avviciniamo, perdiamo di vista il ben-vivere: una situazione sociale in cui tutti hanno il necessario e solo il superfluo può essere accaparrato in parti ineguali. Come fare per raggiungerlo? Rifondando l’economia e facendo spazio, tra lo Stato e il Mercato, al Terzo Settore: al variegato mondo delle cooperative sociali, delle organizzazioni sociali senza scopo di lucro (Onlus) e delle associazioni di volontariato. Da qui il senso del volume (ben evidenziato dal sottotitolo: Lineamenti di economia del Terzo Settore) che riproduce, in sostanza, le lezioni che Pino Lanza - da decenni protagonista della vita culturale e politica agrigentina - tiene presso la sede nissena della LUMSA. Il volume è rigoroso nell’impianto (da questo punto di vista estremamente istruttivo per gli addetti ai lavori) ma lineare e trasparente nel linguaggio (e dunque fruibile da lettori di media cultura e persino da politici di professione, spesso troppo impegnati per dedicare dovuta attenzione ad un testo scritto).

martedì 9 settembre 2008

Miccione sulla consulenza filosofica


“Filosofia e teologia”, 2008, 2, pp. 420 - 421

Schede

Davide Miccione, La consulenza filosofica, Xenia, Milano 2007, euro 6.50.

Chi è il consulente filosofico? I mass media, quando ne parlano, sono stregati dal confronto con lo psicoterapeuta e difficilmente vanno al di là di questa - falsa - opposizione. In realtà la nuova figura professionale non è nata per far concorrenza ad alcuno: intende offrire una vasta gamma di servizi, ben al di là di quei pochi casi in cui può risultare più efficace delle terapie. Il filosofo-consulente si propone di inventare luoghi, occasioni e metodi per far pensare la gente: per coinvolgere nel gioco della ricerca filosofica quanti - singoli, gruppi, famiglie, associazioni - ne avvertono l’esigenza, pur senza essere dei filosofi di mestiere.
Mi rendo conto che questa definizione non…definisce molto: è una sorta di indice che allude ad un direzione, più che indirizzare verso un punto preciso. Chi ne voglia sapere di più ha ormai una ricca bibliografia in italiano, tra cui spicca - per serietà d’impianto e fruibilità comunicativa - questo breve, efficace manuale di Miccione, dottore di ricerca presso l’Università di Catania, consigliere nazionale di “Phronesis”, la più numerosa e prestigiosa associazione italiana di consulenti filosofici, nonché condirettore dell’omonima rivista telematica.

L’autore dedica il primo capitolo a raccontare l’origine di questa professione d’aiuto, il suo sviluppo nel mondo, la sua diffusione in Italia.
In un secondo capitolo, poi, inserisce la consulenza filosofica nel più ampio panorama delle “pratiche filosofiche” sperimentate attualmente in varie parti del globo (compreso il nostro Paese): il “dialogo socratico”, i “caffé filosofici”, i “seminari di gruppo”, la “filosofia con i bambini”, la “filosofia per le aziende e le organizzazioni”, “festival, vacanze, cene” e altro ancora.
Il terzo capitolo è più indicato per chi voglia accostarsi alla “consulenza filosofica” non solo come consultante (o fruitore o visitatore o ospite) ma anche, ipoteticamente, come futuro consulente. Vi si tratteggiano, infatti, alcune delle principali fondazioni teoriche delle pratiche filosofiche: dai tedeschi Gerd B. Achenbach, Steffan Graefe, Gunther Witzany, Eckart Rushmann agli israeliani Shlomit Schuster e Ran Lahav, dal francese Marc Sautet al canadese Peter Raabe, dallo statunitense Lou Marinoff a vari esponenti argentini (Roxana Kreimer) e spagnoli (José Barrientos Rastrojo, Luis Cencillo, Monica Cavallé).
Alle proposte italiane di riflessione teorica sulla consulenza filosofica e più in generale sulle pratiche filosofiche è, poi, dedicato il quarto capitolo. Si esaminano criticamente i contributi di Neri Pollastri (Firenze), Andrea Poma (Torino), Romano Màdera (Milano ), Luigi Vero Tarca (Venezia), Augusto Cavadi (Palermo), Moreno Montanari (Ancona) , Umberto Galimberti (Milano), Alessandro Volpone (Bari), Lodovico Berra (Torino), Paola Grassi (Milano), Luciana Regina (Torino). Non mancano, infine, le indicazioni tecniche su alcuni siti internet da cui partire per l’esplorazione ulteriore di questa “enorme e frastagliata” offerta culturale, esistenziale e politica.
A lettura conclusa, gli interrogativi aperti sono - come nella sana tradizione filosofica - più numerosi delle risposte acquisite. Non c’è dubbio, comunque, che almeno un punto risulta ben chiaro: la filosofia non è solo lo studio di ciò che illustri pensatori hanno scritto prima di noi, ma anche - e forse soprattutto - la capacità da parte nostra (quale che sia la nostra attività professionale) di produrre idee sull’uomo, sul mondo, sulla storia e di saperle confrontare con le idee altrui. Sviluppando questa dimensione ‘attualizzante’ dell’esercizio filosofico si può raggiungere un duplice scopo: liberare la filosofia dal ghetto in cui si è autoreclusa riducendosi ad archivio di sé stessa e - guadagno molto più rilevante - liberare la società dallo stato di ottusa, rassegnata indifferenza con cui permette a pochi furbi (saldamente aggrappati alle leve del potere) di condizionare la vita di tutti.

Augusto Cavadi

VALORI CONTRO DIRITTI


“Una città”
Mensile di interviste
2008, n. 158, agosto - settembre

Ancora a proposito di ‘valori contro diritti’

Caro Direttore,

due paroline sul dibattito - interessante - fra Paolo Dusi e alcuni suoi attenti lettori, a partire dalle precisazioni esposte in A proposito di “valori contro diritti” (sul numero 157 della tua, della nostra rivista).
Una (rapida) premessa: in Italia, se uno si batte per la laicità contro l’invadenza cattolica, trova consensi e appoggi solo se è ateo o, per lo meno, acristiano. Si sottovaluta, a mio avviso imprudentemente, il ruolo di quei credenti nel vangelo di Gesù (cattolici, protestanti o altrimenti definibili nel variegato arcipelago cristiano) che difendono la laicità non (solo) per motivi filosofici ‘esterni’ al mondo della fede ma (anche) per motivi teologici ‘interni’.
Paolo Dusi (ed entro così in media res) espone, con lucidità, una “concatenazione dogmatica” (”C’è un Dio creatore; la vita è un suo dono; è un atto d’amore; a differenza di tutti gli altri doni, questo non può che essere accettato e non può essere ‘restituito’; se esso si risolve in sofferenza, ciò è in vista di una ricompensa…”) dalla quale sembrerebbe ovvio che un credente debba trarre, come conclusione logica, il rifiuto dell’eutanasia, del testamento biologico e forse anche delle cure palliative. Che il meccanismo mentale funzioni così, nel 90% dei casi, non c’è dubbio. Ma - è la questione che pongo - non c’è un 10% di cristiani che la pensano, non solo privatamente ma pubblicamente, diversamente? E, soprattutto, non portano queste minoranze pensanti degli argomenti validi per ritenere che gli pseudo-ragionamenti delle maggioranze obbedienti alle direttive papali siano biblicamente infondati e teologicamente fallaci?

No, non ti allarmare: non passerò, come sarebbe nei miei desideri viscerali, a ripercorrere i contro-argomenti di questi studiosi (come mi è capitato, sia pur sinteticamente, sul numero 2008/2 de “La rivista italiana di cure palliative”). Mi limito a qualche riferimento random per il lettore curioso. Ad una tavola rotonda di tre anni fa su questi temi, Sandro Spinsanti (uno dei pionieri della bioetica in Italia, di solida formazione cattolica) ebbe modo di mostrare (come fa in tutta la sua nutrita produzione) la necessità di affrontare le tematiche di fine vita dal punto di vista dei diritti del malato e non più di parametri morali stabiliti ex cathedra da istanze esterne ed estranee (chiese, università, Stati etc.). L’anno successivo, in una situazione analoga, don Cosimo Scordato - docente presso la Facoltà teologica di Sicilia a Palermo - ebbe modo di rilevare che Dio ci dona la vita biologica inseparabilmente dalla razionalità per gestirla affinché essa sia coltivata solo sino a quando risulta un dono e non un castigo immeritato. Accenti non dissimili ho ascoltato dal pastore valdese Paolo Ricca nella sua relazione, quest’anno, ad una giornata di studi sull’argomento svoltasi su iniziativa dell’Università di Palermo: orientate nella stessa direzione, per altro, erano le pagine che egli aveva dedicato al tema nel breve ed intenso Il cristiano di fronte alla morte della Claudiana di Torino. Intanto, nel 2004, le edizioni Avverbi di Roma hanno tradotto in italiano il libro, originariamente pubblicato in francese dalle Editions de Seuil, La morte opportuna. I diritti dei viventi sulla fine della loro vita. L’autore, Jacques Pohier, è stato uno dei teologi di punta dell’Ordine Domenicano dal 1949 al 1989 e, condannato dal Vaticano, continua tutt’oggi una militanza intellettuale ed operativa all’interno della Federazione mondiale delle Associazioni per il diritto a una morte dignitosa. Nel volume, zeppo di episodi autobiografici persino un po’ perturbanti, Pohier demistifica molte idiozie (spiegando, ad esempio, che l’eutanasia non è una scelta fra la morte e la vita ma fra due modi di morire) e, forte della sua competenza biblico-teologica, chiarisce la differenza fra dire che Dio ha a cuore la vita (genericamente, anonimamente) e dire che Egli ha a cuore i viventi (uno per uno, col suo carico di energie e di sofferenze). Potrei citare decine e decine di altri interventi di cristiani - cattolici o di altre confessioni - che ritengono blasfemo attribuire a un Dio amorevole la volontà di inchiodare i suoi figli a situazioni in cui la qualità della vita è ormai ridotta a livelli vicini allo zero, ma mi limito a citare Giovanni Franzoni, già abate del Monastero benedettino di San Paolo fuori le mura : le Edizioni dell’Università Popolare di Roma hanno pubblicato nel 2005 il suo prezioso Eutanasia. Pragmatismo, cultura, legge.
Al di là dei suggerimenti bibliografici per così dire incidentali, ma non certo involontari, intendevo solo testimoniare la necessità che, soprattutto gli spiriti laici, provino ad evadere dalla trappola culturale e mediatica attuale secondo la quale si dovrebbe optare per un’alternativa secca: o il moralismo della gerarchia cattolica ufficiale o la rivendicazione dell’autonomia razionale di atei ed agnostici. Un’attenzione maggiore alle sparute minoranze critiche di cristiani che non hanno rinunziato al dono della ragione, e del confronto in una società pluralista, farebbe bene alla democratizzazione sostanziale del nostro spazio pubblico. O no?

Augusto Cavadi

Palermo 10 . 9. 08

venerdì 5 settembre 2008

AL RITORNO DALLE VACANZE


“Repubblica - Palermo”
5 settembre 2008

RITORNO A CASA CON OCCHI DIVERSI

Tra i vantaggi non secondari del viaggiare c’è la possibilità di ritornare a vedere casa con occhi diversi. Almeno se, girando per il mondo, non si è smarrita la curiosità per il nuovo né la disponibilità ad imparare.
Nello zainetto di questa estate, ad esempio, ho insaccato tre o quattro idee che - se condivise e attuate - potrebbero rendere migliore la nostra vita siciliana.
Basilea (ma mi pare di capire tutta la Svizzera): ai semafori è obbligatorio spegnere i motori di auto e moto. In fondo, si tratta di piccole città: quanto smog si eviterebbe a Palermo se la stessa norma (magari sotto forma di consiglio, per evitare che l’obbligatorietà costituisca un incentivo a fare il contrario) venisse applicata? E quante migliaia di euro di benzina risparmierebbero, in un mese, i trecentomila e passa automobilisti?

Croazia: la gente non abbandona disinvoltamente le bottiglie di plastica, anzi ci sono persone di ogni età che le raccolgono persino se depositate negli appositi cestini. Raptus ecologico epidemico? Mi informo con una studentessa di filosofia e trovo la risposta: ogni supermercato dà mezza kuna per ogni bottiglia di plastica restituita. Mezza kuna corrisponde a circa 15 centesimi: ogni quattordici contenitori equivalgono ad un euro; con centoquaranta si fanno dieci euro. Poco per chi sta bene: comunque il salario medio di un operaio generico. Non so cosa se ne facciano i supermercati (che prevedono qualcosa di simile per chi compra prodotti in vetro): ma sarei felice di sapere se anche le nostre grandi catene di distribuzione non potrebbero ricavare qualche piccolo vantaggio economico da una politica ecologicamente favorevole.
Sempre in Croazia entro nella toilette di un bar modesto ma frequentato e lo trovo pulitissimo. Sul retro della porta un foglio svela l’enigma: come negli aeroporti più attrezzati, ogni due ore è prevista la pulizia dei locali (con relativa forma dell’addetto). Perché da noi non è possibile trovare un bagno pubblico e i bagni privati sono, dopo le prime ore del mattino, inutilizzabili? Siamo sicuri che non si potrebbero stornare un po’ di ‘lavoratori socialmente utili’ - di solito annoiati a grappoli nei corridoi degli uffici pubblici in attesa che passino le ore - verso la gestione di wc pubblici? E se pulire cessi dovesse risultare meno dignitoso che aspettare l’ora del ritorno a casa giocando a briscola, siamo sicuri che non ci sarebbero dei volontari fra gli Lsu in considerazione del notevole arrotondamento di stipendio con le mance dei cittadini e dei turisti? E, per quanto riguarda i bagni dei bar privati, siamo sicuri che ad un extra-comunitario convenga maggiormente umiliarsi a piazzare rose ed accendini a utenti ormai spazientiti anziché girare dieci bar tre volte al giorno per pulirne i bagni? E se i gestori non avessero la lungimiranza per capire che dieci euro al giorno per questo servizio sarebbero un’ottima spesa promozionale per la loro attività commerciale, non potrebbero provare ad affidare il bagno ad uno o due extra-comunitari in cambio delle sole mance dei clienti?
Un’ultima idea l’ho maturata con i miei simpatici compagni di viaggio. Ogni volta che visitavamo un bosco, o fruivamo di una spiaggia pubblica, giocavamo a portar via un po’ dei rifiuti abbandonati da altri: così da lasciare il luogo che ci aveva accolto non come era, ma addirittura un po’ più pulito. E’ un gioco ingenuo, come la fatica del colibrì che - vedendo la foresta in fiamme - andava e veniva dal mare per prendere e versare una goccia d’acqua. Agli animali che lo irridevano, dedicò solo un momento del suo tempo prezioso: “Sto facendo tutto quello che posso. Se voi, che potete di più, faceste lo stesso…”.

UN PERSEGUITATO DALL’INQUISIZIONE


Centonove 5.9.08

HEI, TI RICORDI DI “GENTILI”

Attraversiamo vie e piazze, frequentiamo anche per anni una certa scuola, ma i nomi dei personaggi a cui questi luoghi sono intestati ci rimangono dei segni a metà: non ci accompagnano verso niente. Per noi palermitani questa regola sociologica ammette poche eccezioni: Vittorio Emanuele (a proposito: II o III?), Garibaldi, Cavour, Mazzini, Leopardi, Dalla Chiesa e qualche altro nome. Ma, per esempio, chi era Alberico Gentili? Perché gli è stata dedicata una rara oasi di verde fra il viale della Libertà e via Duca della Verdura (titolo intrigante di cui sconosciamo, in genere, il soggetto storico originario)? Perché gli è intestata una delle scuole medie statali più “in” della città?

L’anno in corso è propizio a soddisfare qualcuna di queste curiosità perché Alberico Gentili si è spento a Londra nel 1608, proprio quattrocento anni fa. Nella stessa città in cui si era dovuto rifugiare con la famiglia perché l’Inquisizione cattolica in Italia era molto attiva (basti ricordare che nel febbraio del 1600, a Roma, è stato acceso il rogo in cui è bruciato vivo Giordano Bruno), specie con chi sosteneva tesi filosofico-giuridiche scomode nei confronti dei potenti del tempo. Allora, infatti, dominava la convinzione che Dio stesso costituisse la fonte unica ed assoluta del potere politico; che il sovrano fosse la fonte delle leggi (ciò che piace al re è norma vincolante per i sudditi) e che, proprio per questo, egli stesso non vi si dovesse sottomettere (immunità per la più alta carica dello Stato e per le persone a lui più vicine). Come ognuno può ben giudicare, insomma, una sequela di teoremi di cui oggi non c’è traccia né nel dibattito pubblico né, tanto meno, nella pratica politica dei governanti…
Alberico Gentili fu tra i pochi intellettuali europei - insieme al tedesco Giovanni Altusio e all’olandese Ugo Grozio - a contestare una tale teoria politica che faceva dipendere i diritti dei cittadini dalla volontà, e qualche volta dal semplice capriccio, del sovrano. Da qui la sua contro-proposta: il potere di stabilire le leggi e di amministrare secondo le leggi stabilite non si fonda immediatamente sul “diritto divino” (Dio è, se mai, principio remoto e generale della natura e della storia), bensì sull’uso collettivo della ragione. E’ perché siamo esseri pensanti che ci accordiamo nel determinare alcune regole essenziali di convivenza sia nei tempi di pace che, persino, nei tempi di guerra. Questa proposta di trovare una fondazione razionale dell’organizzazione politica ha anche un nome: giusnaturalismo. Nella sua versione moderna - da distinguere, pur in considerazione di alcune importanti affinità, dalla versione greca e dalla versione medievale - esso realizza il progetto di ricondurre tutti gli atti della società e degli individui a poche, ma semplici e chiare, norme razionali direttamente fondate sulla natura umana. La fonte del diritto e della legislazione, in tal modo, viene spostata da Dio e dal sovrano alla legge naturale presente ed operante in tutti gli 
uomini. Inoltre diventa possibile, alla luce di questo criterio, distinguere le leggi convenzionali - nate cioè dall’accordo occasionale degli uomini - da quelle ‘naturali’ che si radicano profondamente nella razionalità, che è la vera natura umana.
Tra queste leggi fondamentali, che precedono ogni legislazione prodotta dalle assemblee degli uomini, Alberico Gentile individua - contestando in anticipo alcune utilizzazioni ideologiche del darwinismo - un sentimento d’amore, o se si preferisce un istinto naturale alla socievolezza, che è di per sé immutabile lungo i secoli e che assicurerebbe ai mortali (qualora si decidessero a seguirlo) quella pace e quella collaborazione per il progresso a cui, pure, contraddittoriamente, aspirano. Se ragioniamo, dunque, non troviamo nessuna giustificazione ad iniziare le guerre. Neppure la religione può giustificarle perché essa - se spogliata dalle superfetazioni dogmatiche proprie delle differenti correnti confessionali - ha i suoi principi primi, semplici ed evidenti, inscritti nella natura stessa degli uomini e su quei principi ogni gruppo sociale ha il diritto di elaborare un culto specifico, una liturgia particolare.
In Sicilia, terra di scontro ma anche di incontro fra le civiltà mediterranee, i principi giusnaturalistici furono accolti favorevolmente. Non è un caso che nella Facoltà di lettere e filosofia di Palermo sia stata insegnata, sin dopo l’Unità d’Italia, una materia denominata “Etica e diritto naturale”. E la cattedra di filosofia del diritto dello stesso Ateneo - come è ricordato nel bel volume commemorativo del bicentenario della Facoltà di giurisprudenza di Palermo (edito nel 2007 a cura di Gianfranco Purpura) - è stata spesso occupata, dalla fondazione ad oggi, da docenti che, con le debite revisioni critiche e i necessari aggiornamenti, si sono ispirati al giusnaturalismo (Vincenzo Fleres, Benedetto D’Acquisto, Eugenio Di Carlo, Francesco Viola). Insomma, ci sono abbastanza motivi perché un concittadino che iscriva il figlioletto nella prima classe di una certa scuola media, o più semplicemente accompagni l’ospite a gustare una ‘cremolosa’ presso un certo chiosco in stile liberty, volga ogni tanto un pensiero affettuoso ad Alberico Gentili.

martedì 2 settembre 2008

“La mafia spiegata ai turisti”: presentazione a Firenze


Martedì 2 settembre alle ore 18,00 presso il Caffè Storico Letterario Giubbe Rosse (piazza della Repubblica 13/14r), Augusto Cavadi, opinionista della Repubblica Palermo da anni attivo sul fronte antimafia, presenterà “La mafia spiegata ai turisti” (Di Girolamo, Trapani), conciso e utilissimo “manuale”, pubblicato in sei lingue, per chi voglia comprendere il fenomeno mafioso aldilà del folklore di cui spesso viene ammantato. Ne discuterà con l’autore il consulente filosofico Neri Pollastri.