martedì 23 settembre 2008

La difficoltà turistica dell’essere siciliani


“Repubblica - Palermo”
11.9.2008

LA DIFFICOLTA’ TURISTICA DELL’ESSERE SICILIANI
Anche se in misura minore, anche quest’estate non pochi siciliani hanno trascorso un periodo di ferie in altre regioni italiane o, addirittura, in altri Paesi. Si parte spensieratamente, da turisti; e non si riflette abbastanza sulla responsabilità ‘oggettiva’ di esportare una certa immagine dell’isola.
La precomprensione stereotipata è nota: siciliano? Allora - si aggiunge con un sorrisetto esplorativo che intende smorzare l’eventuale valenza offensiva - anche tu mafioso…Spezzare nell’opinione comune questa equazione non è facile e, in ogni caso, non è compito che possano assolvere i soggetti individuali: ci sono avvenimenti mediatici così clamorosi - come la condanna in primo grado a cinque anni e sei mesi di un presidente di regione per favoreggiamento di mafiosi - che nessuna microtestimonianza biografica può compensare. Se è difficile smontare certi luoghi comuni, è però molto facile confermarli e rafforzarli: e, su questo versante, anche noi privati cittadini possiamo fare - e disfare - molto.

Sono stato impressionato, in proposito, dal breve colloquio con uno studente universitario veneto che studia veterinaria in Emilia-Romagna. Dopo qualche decina di minuti ha chiesto a me e alla persona che mi accompagnava - con stupore evidentemente sincero - come mai ragionassimo in una certa maniera e non condividessimo idee maschiliste, clientelari, predatorie e insomma - per dirla tutta - mafiose. Prima di rispondere (ma come rispondere ad una domanda così semplice e così radicale? Perché ognuno di noi è quello che è e non si è lasciato plasmare del tutto dalla cultura dominante nella propria famiglia, nel proprio ambiente?) ho rivolto la mia contro-domanda: come mai ti aspettavi che fossimo diversi da come ci siamo manifestati? Il racconto del giovane interlocutore ci ha pietrificato: “Ho conosciuto tanti siciliani e, a prima vista, mi son sembrati molto più gioviali e vivaci dei miei conterranei. Ma, approfondendo i rapporti, ho avuto tremende e ripetute delusioni. Alcuni hanno voluto in prestito dei soldi e non me li hanno restituiti; altri si erano impegnati a dividere la spesa dell’alloggio e hanno ‘fatto il pacco’ alla padrona di casa. Un’amica mi ha invitato a pranzo quando sono arrivati da un paesino vicino Trapani i suoi allegri e chiassosi familiari ed ho accettato con piacere il gesto, ma sono state ore da incubo. Il padre mi ha invitato ad anticipare con lui l’inizio del pasto, mentre le donne preparavano in cucina le altre pietanze, in modo che noi maschi potessimo mangiare due volte, ma poi - esaurita la mia porzione - nessuno mi ha proposto il bis e sono stato in silenzio, e a disagio, in attesa che la famiglia pranzasse. La figlia ha chiesto a voce alta al padre, senza ritegno, se avesse già raggiunto i docenti universitari per la ’solita’ raccomandazione e a che punto fossero i contatti per assicurarle l’assunzione in una grossa azienda farmaceutica della zona. La madre, in reazione a qualche cenno di dissenso da parte mia, si è affrettata a spiegare che la loro famiglia era molto nota in Sicilia e fuori e che non si erano mai sentiti offesi quando la loro mentalità qualche volta era stata definita ‘mafiosa’ perché è da ignoranti negare che la mafia sia benefattrice e sempre pronta ad aiutare chiunque la rispetti”.
D’accordo, Gabriele sarà stato particolarmente sfortunato a collezionare quattro o cinque perle di seguito e non si può certo costruire un sistema sociologico su sparute esperienze individuali. Ma ce n’è abbastanza per riflettere su come sono, a tutt’oggi, alcuni siciliani e sull’attenzione che dovremmo investire tutti noi nel modo di porgerci quando ci spostiamo al di là dello stretto di Messina.
Tornano facilmente alla memoria le righe del piemontese Pietro Calamandrei del 1956: “E’ possibile che gli uomini politicamente più responsabili, e prima di tutto i siciliani, non sentano il dovere di mettere in chiaro con disperata energia quello che di vero c’è in queste accuse, e di tagliare al tronco, a qualunque costo, le complicità e le connivenze? E’ in gioco l’onore dell’Italia nel mondo: le trame siculo-americane di queste bande di criminali, protette e assoldati da politicanti senza scrupolo, fanno ricadere su tutto l’onesto e generoso popolo siciliano e addirittura su tutto il popolo italiano l’ombra di questa vergogna”.

Augusto Cavadi

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