venerdì 31 ottobre 2008

Da venerdì 7 novembre 2008 a domenica 9 nov. a Caserta


Care e cari,
dal pranzo di venerdì 7 novembre al pranzo di domenica 9 sarò a Castel Volturno (Caserta) per partecipare ad un Convegno interregionale sulla scuola nel Meridione.
Qui di seguito il programma dei lavori: mi farebbe piacere poter incontrare chi di voi vive nella zona o è interessato, comunque, a seguire i seminari congressuali.
“Stati Generali delle Scuole del mezzogiorno”
CASTEL VOLTURNO (Caserta) 7 - 9 novembre 2008

Venerdì 7 novembre
Ore 10,30
Saluti del sindaco di Castel Volturno dott. Francesco Nuzzo
Saluti del presidente della Provincia di Caserta on. Sandro de Franciscis
Relazione Introduttiva del presidente della Regione Campania on. Antonio Bassolino
Interventi:
Rappresentante studenti medi del sud
Domenico Pantaleo – segretario nazionale FLC CGIL
Massimo di Menna - segretario nazionale UIL scuola
Francesco Scriva* - segretario nazionale CISL scuola
Cristiana Coppola – vice presidente nazionale Confindustria
Guido Trombetti* – Conferenza dei Rettori
Sofia Toselli – presidente nazionale CIDI

Ore 15,00
Le Regioni del sud per la scuola di qualità: le buone prassi e la rete istituzionale.
Scenari e proposte dal Mezzogiorno al Paese.
Intervengono gli assessori regionali all’istruzione :
Corrado Gabriele – Campania
Antonello Antinoro – Sicilia
Antonio Ausilio - Basilicata
Domenico Cerosimo – Calabria
Domenico Lo Cicero – Puglia

Ore 16,00
Relazioni introduttive per le “Stanze di lavoro” del sabato:
La Costituzione, il Federalismo, l’Istruzione: quali scenari per il Mezzogiorno
Luigi Nicolais - vice presidente Commissione Cultura Camera dei Deputati
Successo Formativo, azione docente nei contesti locali, contrasto alla dispersione scolastica
Marco Rossi Doria – esperto in progettazione per l’inclusione sociale ed educativa
Qualità dell’edilizia scolastica per l’edificio educante
Giorgio Ponti – architetto CISEM
Scuola e cittadinanza. Qualità dei legami sociali e degli strumenti culturali come fondamenti di legalit�
Augusto Cavadi – docente di filosofia a Palermo
La scuola dell’inclusione e la qualità della partecipazione
Raffaele Iosa – ispettore scolastico
Immigrazione, emergenza sociale e diritto alla scuola
Khaled Fouad Allam – docente Università di Trieste e giornalista
Alba Sasso – presidente Adisu regione Puglia

Ore 16,30
Nell’ambito della manifestazione, il Forum Terzo Settore della Campania e della provincia di Caserta presentano il libro :

“L’impero dei casalesi” di Gigi Di Fiore - edizioni Rizzoli

Coordina Pasquale Iorio Forum Caserta

Saluti Francesco Nuzzo Sindaco di Castel Volturno
Imma Fedele Vice Prefetto di Caserta

Interventi Sergio D’Angelo Forum Campania
Raffaele Cantone Magistrato
Corrado Gabriele Assessore Regionale
Interverrà l’autore
Partecipano i presidenti delle associazioni di volontariato e di promozione sociale del comitato promotore:
ACLI – AISLO - ARCI – AUSER – Agrorinasce- Capuanova - Cittadinanzattiva – Comitato Don Diana – Libera – UISP – Lega Coop - Confcooperative - MOVI

Sabato 8 novembre
ore 9,00/13,00 – ore 15,00/19,00

Interverranno:
Mustafà Barghouti* – parlamentare, Palestinian Medical Relief Committee
Laura Boldrini – UNHCR
Vittorio Cogliati Dezza – presidente nazionale Legambiente
Nichi Vendola – presidente Regione Puglia
Raffaele Lombardo – presidente Regione autonoma Sicilia
Filippo Bubbico – presidente Regione Basilicata
Agazio Loiero* – presidente Regione Calabria
Alex Zanotelli* – missionario Comboniano

Stanze di lavoro
La Costituzione, il Federalismo, l’Istruzione: quali scenari per il Mezzogiorno
Diritti costituzionali – prospettive federaliste e governo del territorio – modalità di esercizio delle competenze – standard di costo e qualità dell’offerta formativa.
Con Alessandra Siragusa, Luisa Bossa, Angela Cortese, M.L. Danzi, Emma Colonna, Scuole aperte.
Successo Formativo, azione docente nei contesti locali, contrasto alla dispersione scolastica.
Analisi dei contesti e modalità di rilevazione dei bisogni educativi-formativi del territorio – Anagrafe degli studenti come strumento di orientamento delle politiche scolastiche.
con Marco Rossi Doria, Maria Teresa Siniscalco, padre Fabrizio Valletti*, Vincenzo Sarracino, Scuole aperte.
Qualità dell’edilizia scolastica per l’edificio educante.
Utilizzo dei fondi comunitari per la qualità delle strutture. Programma PEB OCSE -
con Giorgio Ponti, Walter Moro, Ferruccio Ferrigni*, Scuole aperte.
Scuola e cittadinanza. Qualità dei legami sociali e degli strumenti culturali come fondamenti di legalità.
Le scuole come presidi territoriali di legalità - luoghi di partecipazione e di pratica di cittadinanza – le reti territoriali e la programmazione partecipata come progetto di legalità a partire dalla scuole.
con Augusto Cavadi, Domenico Chiesa*, padre Francesco Biondolillo, Ragazzi di Locri, Scuole aperte.

La scuola dell’integrazione e la qualità della partecipazione
I diritti degli alunni con disabilità e il “Progetto di vita” – il sostegno e la rete dei servizi.
con Raffaele Iosa, Toni Nocchetti, Ida Collu*, Tommaso Daniele*, Scuole aperte.
Immigrazione, emergenza sociale e diritto alla scuola
Multiculturalità delle Scuole Aperte in Campania – le classi differenziali – intercultura trasversale - emergenza sociale e diritto alla scuola
con Khaled Fouad Allam, Dario Missaglia*, Isadora Daimmo, Scuole Aperte.

Domenica 9
Ore 10,00
Presentazione, in plenaria, e firma del documento/manifesto delle Regioni del Mezzogiorno sulla Scuola di qualità da parte degli assessori regionali.
Ore 18,00
Piazzale Baia Verde – Castelvolturno
Concerto anticamorra e antirazzista e di solidarietà con Roberto Saviano
Miriam Makeba e Maria Nazionale

Daniele Sepe
Brigada Internazionale
James Senese
Eugenio Bennato
Max Puglia

venerdì 24 ottobre 2008

Considerazioni un po’ contro-corrente sulle agitazioni


“Repubblica - Palermo”
24.10.08

La ribellione studentesca vista in chiave siciliana

Nell’editoriale di domenica 19 Nino Alongi, rafforzando con la passione del politico la sua coscienza di insegnante liceale per decenni impegnato in trincea, ha visto nelle agitazioni del mondo studentesco un segnale di ripresa, di possibile risveglio dal sonno dogmatico in cui il Paese sembra precipitato sotto il tiro incrociato di un centro-destra sempre più arrogante e di un centro-sinistra sempre meno lucido. “È indubbio - egli scrive fra l’altro - che, se il movimento degli studenti e dei professori non si ferma ma resiste e si estende ulteriormente, presto il dibattito dei collettivi e delle assemblee dal piano meramente rivendicativo passerà a quello politico. E sotto accusa non sarà solo un ministro ma l´intera maggioranza di centrodestra. A questo punto, c´è da scommettere, il consenso di cui ha goduto il governo in questo inizio di legislatura muterà in un generale rigetto”.

Ovviamente è facile condividere con Alongi le speranze, ma a patto di distinguere gli auspici soggettivi dalle constatazioni oggettive: i desideri del cuore dalle previsioni razionali.
Chi come me nel ‘68 aveva diciott’anni, di mobilitazioni studentesche ne ha vissute (da alunno prima, da docente dopo) a centinaia negli ultimi quarant’anni: e non può permettersi, né per sé né per altri, ennesime illusioni. Chi sono questi ragazzi che - con grave rinunzia personale - sacrificano giornate di lezioni per sottoporsi alla dura fatica di occupare gli istituti scolastici o di attraversare le strade con qualche cartello in mano e qualche slogan in bocca? Se hanno 18 anni, sono al 50% elettori dei governi che contestano. Se non li hanno ancora votato, li voteranno non appena ne avranno diritto. Proprio come il 50% dei loro professori e dei loro genitori: al momento delle elezioni o vanno al mare o scambiano il proprio voto con qualche promessa di piccolo favoritismo clientelare o votano proprio con convinzione per chi inneggia al mercato senza Stato, alla concorrenza senza regole e al trasferimento di risorse finanziarie dai servizi sociali per tutti alle esenzioni fiscali per pochi. Insomma: votano, del tutto legittimamente, per progetti di restaurazione conservatrice e, quando finalmente si trova un governo minimamente coerente con i propri progetti, urlano per il disappunto. Se una politica progressista, popolare, solidale non riesce a portarla avanti che parzialmente e imperfettamente una maggioranza di centro-sinistra, perché stupirsi che non la voglia realizzare una maggioranza di megaimprenditori, padroncini del Nord Est e nostalgici delle adunate in divisa di ‘piccoli balilla’?
Alongi nota che “si scende in piazza, questa volta, tutti insieme - studenti, professori, genitori - e tutti in difesa della scuola pubblica. Non ci sono, dietro le proteste, condizionamenti ideologici e non ci sono neppure i partiti, ma a spingere è solo una grande indignazione”. Niente strumentalizzazioni, dunque: ma non è che il tramonto delle ideologie si identifica, con questi nuovi ‘contestatori’, con l’eclissi delle idee e il trionfo del qualunquismo politico-culturale?
Alongi sostiene che “i giovani che adesso scendono in piazza non sono quelli che si agitano negli stadi e vandalizzano le città e neppure quelli del sabato sera e dei locali notturni, quelli - per intenderci - che incontra il presidente del Consiglio. I giovani che scendono in piazza, pur tra mille incertezze e mille frustrazioni, sono quelli che vivono il disagio di una società grigia e vuota di valori, temono il futuro ma non sono rassegnati, studiano e lottano. E molti hanno il volto dolente di un Roberto Saviano o di una Sabina Rossa”. A parte il fatto che, purtroppo, se non scendessero in piazza anche i fanatici della domenica e i discotecari del sabato, i cortei studenteschi si assottiglierebbero di molto; a parte il fatto che Sabina Rossa è stata eletta senatrice nel 2006 all’età non proprio giovanile di 44 anni; la questione centrale è un’altra e proprio il caso di Roberto Saviano può esemplificarla. Perché queste generazioni, così sensibili quando si tratta di protestare per danni - veri e talvolta solo presunti - alla loro categoria, di solito vivono fregandosene del bene pubblico? Roberto Saviano ha scritto “Gomorra” (testo su cui, per altro, non sarebbe superfluo aprire una riflessione disincantata) dopo e durante un suo prolungato impegno civile (prestando volontariato culturale, fra l’altro, presso l’Osservatorio della camorra di Amato Lamberti): non come episodio isolato, puntuale. Né si potrà dire che, come è capitato anche alle nostre generazioni, non sia vissuto nella stessa “società grigia e vuota di valori”: i suoi genitori e i suoi professori, esattamente come quelli odierni e come quelli che abbiamo avuto in sorte noi più anziani, non spiccavano certo per impegno sociale e tempra etica. Insomma: non so se ci sia stata mai un’epoca in cui sia stato facile rinunziare ai propri piccoli privilegi e spendersi generosamente - e continuativamente - per una società meno assurda. Molti contestatori del ‘68 e del ‘77 sono adesso ben sistemati alla corte di Berlusconi o nelle varie filiali del suo impero economico-culturale: non so se in questi giorni sta nascendo un vero movimento di ribellione e di resistenza contro il governo che licenzia insegnanti elementari e paga liquidazioni miliardarie ai manager che hanno distrutto “Alitalia”, ma, se così fosse, preferirei non fare previsioni su dove, fra venti anni, ritroveremmo i rivoluzionari di queste settimane.

Augusto Cavadi

I CENTRI SOCIALI A PALERMO


“Centonove”
24.10. 2008

MA PALERMO NON E’ LA TERRA DI NESSUNO

Sabato 11 ottobre è stata una giornata di manifestazioni nazionali anti-governative di cui la stampa ha dato notizia. Per la stessa data il centro sociale autogestito Ex-Karcere all’Albergheria di Palermo aveva organizzato una manifestazione nazionale dei centri sociali omologhi di cui quasi nessuno ha parlato, anche perché - nonostante le aspettative dei promotori e nonostante le loro dichiarazioni sul numero dei partecipanti - ha coinvolto soltanto tre centinaia di giovani.
L’editoriale di Francesco Palazzo sullo scorso numero di “Centonove” ha offerto preziosi elementi di informazione e di riflessione che - forse - meritano d’essere ripresi ed integrati, anche in un’ottica prospettica.
Innanzitutto va notato che, a discapito dei timori della vigilia, il corteo del centro sociale si è svolto senza incidenti e senza danni, né a persone né a cose: ed è una notizia che fa onore sia ai manifestanti che alle forze dell’ordine. A conferma del fatto che in
democrazia cortei, manifestazioni di piazza, occupazioni simboliche sono momenti fisiologici e solo chi manca di una cultura politica elementare - avendo comprato con soldi di origine dubbia le leve del potere politico - può ridicolizzarsi ritenendoli patologici.
Ma, subito dopo, va aggiunto che le questioni alla base dell’iniziativa restano tutte sul tappeto (a Palermo, ma analogamente in tutte le grandi città siciliane) e si aprono diversi scenari.
Per l’amministrazione comunale, e più in generale per l’opinione pubblica benpensante di cui questa giunta è legittima rappresentanza, “passata la festa, gabbato lo santo”: il corteo dei centri sociali è stato solo una minaccia temporanea all’ordine pubblico, fortunatamente sventata, e non resta che prepararsi ad una prossima riedizione, sperabilmente lontana nel tempo. Nella convinzione che in fondo si tratti di fenomeni generazionali e, perciò, in attesa che i contestatori di oggi diventino - con gli anni - i borghesucci moderati di domani.

Diversa, ma non molto, la prospettiva dei protagonisti della protesta. In molti di loro, se non in tutti, agisce una forte ispirazione anarchica. L’anarchia è uno degli ideali più nobili che siano stati prodotti sinora dall’umanità: ma c’è l’anarchia di chi pensa al superamento delle strutture statuali al culmine di un processo di maturazione individuale (sì che la società diventi talmente responsabile e capace di autogoverno da vivere come superfluo l’apparato istituzionale) e c’è l’anarchia volgare di chi vede l’abbattimento delle strutture statuali - anche se democratiche - come obiettivo prioritario rispetto ad un futuro incerto da inventare strada facendo. Quale delle due letture dell’anarchismo prevarrà nei giovani palermitani dell’area ‘autonoma’? Molti slogan della manifestazione di sabato non lasciano sperare il meglio. Sembrerebbe che vomitare odio e rabbia, con generalizzazioni false, costituisca già un fine soddisfacente. Saldare la loro protesta con la protesta degli amici dei due ragazzini vittime della propria imprudenza è stata un’operazione folle. Un prete può lasciarsi scappare, in un momento di commozione, la domanda angosciata del padre di famiglia che, davanti ai cadaveri dei propri figli, si chiede se fosse stato davvero necessario per la polizia inseguirli nottetempo mentre fuggivano contromano per la circonvallazione; ma la risposta lucida, politica, di chi non condivide l’a-legalità di stampo mafioso (di cui proprio quei ragazzini sono stati le ennesime vittime), non può che essere affermativa. Sì, era necessario inseguire due diciassettenni (in fuga perché alla guida di un motorino senza assicurazione, come gli hanno insegnato molti adulti ‘furbi’ del quartiere) per dare un segnale chiaro che Palermo non è ancora la terra di nessuno dove ricchi e poveri, anziani e giovani, possono fare ciò che vogliono. Proprio come è almeno altrettanto necessario che la polizia “insegua” gli autori di reati più gravi, anche se meno clamorosi, come l’abusivismo edilizio o gli imbrogli elettorali o l’evasione fiscale.
Per chi non condivide né la logica conservatrice dell’amministrazione di centrodestra né l’anarchismo paramafioso di chi si scaglia contro quei pezzi di Stato che, con mille deficienze e contraddizioni, provano a salvaguardare i valori democratici della Repubblica, non resta che un terzo scenario: interpretare i momenti di mobilitazione collettiva come un appello. Dunque protestare energicamente quando la polizia si comporta come al G 8 di Genova, ma solidarizzare con essa quando esercita - senza la minima prevaricazione - la propria indispensabile funzione. E, sull’altro versante, provare a dialogare con chi scende in strada in maniera altrettanto civile. E’ uno scenario - forse onirico - che vedrebbe gli intellettuali, i partiti politici, i sindacati, le chiese… in ascolto, attivo e fattivo, di questi ragazzi che, in maniera confusa e con linguaggi spesso errati, pongono un problema reale: gli spazi di agibilità dei giovani nelle città. Può darsi (lo si è visto, ad esempio, a proposito della lotta a fianco dei senza casa) che alcuni si vogliano impiccare alle parole d’ordine dei loro striscioni, chiudendosi nell’estremismo infantile di chi non discute con le istituzioni perché è concentrato nel tentativo disperato di abbatterle. Ma può darsi che altri, se vedono che gli adulti e le forze che si autodefiniscono democratiche, prendono sul serio le loro richieste legittime, possano evolversi da un’ottica di protesta sterile ad un’ottica di proposta progettuale. In ogni caso, una città rispettosa della legalità costituzionale non può continuare a trattare indistintamente i giovani ‘alternativi’ che cercano una sede dove riunirsi, dove fare musica, dove dibattere le loro opinioni politiche (discutibili come le opinioni politiche di qualsiasi altro cittadino) come una spina nel fianco da criminalizzare: deve offrire una risposta concreta, affidando gratuitamente alcuni dei tanti spazi pubblici inutilizzati a qualsiasi associazione ne faccia richiesta, a prescindere dal suo orientamento ideologico, purché si impegni a gestirli nel rispetto delle regole irrinunciabili della convivenza civile.

giovedì 23 ottobre 2008

Sabato 25 ottobre 2008 ore 9,30 - Policlinico di Palermo


Sabato 25 ottobre, alle ore 9.30, si svolgerà un incontro su “Testamento biologico tra etica e diritto”, in cui interverranno Salvatore Amato, filosofo del diritto e membro del Comitato Nazionale di Bioetica, e Augusto Cavadi, filosofo consulente e teologo laico. L’incontro, che si terrà al Dipartimento di Chirurgia (prof. Di Gesù) del Policlinco Universitario di Palermo (via Liborio Giuffrè 5), fa parte di un ciclo organizzato dal Polo di Ricerca in Bioetica dell’Associazione Thomas International. Partecipazione libera e gratuita.

Dizionario di mafia ed antimafia


“Repubblica - Palermo”
12.10.08

UN DIZIONARIO PER TUTTE LE MAFIE

Mafia è un vocabolo a rischio di inflazione, di banalizzazione. Designa, ogni volta, troppo o troppo poco: e, dunque, raramente consente di leggere dentro il fenomeno che nomina. Allora è meglio tacere? Si farebbe alla mafia un favore enorme, forse il più gradito. La via alternativa è l’analisi: attenta, minuziosa, in progress incessante. Che - data la poliedricità dell’oggetto - non può essere frutto di intelligenze solitarie, per quanto perspicaci. Per questo la giornalista Manuela Mareso e il magistrato Livio Pepino hanno pensato, saggiamente, di chiamare a raccolta un gran numero di studiosi attorno ad una ideale tavola rotonda affinché ciascuno comunicasse il proprio pezzetto di conoscenza.

Il risultato è un mosaico di quasi novanta tessere: tante sono, infatti, le voci del Nuovo dizionario di mafia e antimafia (Edizioni Gruppo Abele, Torino 2008, pp. 603, euro 28,00) compilate da una trentina di collaboratori che sono intervenuti, ovviamente, sulla base delle proprie competenze ed esperienze professionali. Così Vincenzo Consolo ha trattato di “Letteratura e mafia”, Alain Labrousse di “Narcotraffico”, Giuseppe Casarrubea di “Portella della Ginestra”, Gian Carlo Caselli di “Direzione nazionale antimafia”, Tano Grasso di “Antiracket” e di “Testimoni di giustizia”…Poiché mafia non è solo “Cosa nostra” (di cui si è occupato Antonio Ingroia), il lettore ha a disposizione delle schede istruttive anche su “‘Ndrangheta” (Ercole Giap Parini), “Camorra” (Isaia Sales), “Sacra Corona Unita” (Monica Massari) “Cosa nostra americana” (Stefano Becucci) e persino sulla “Yakuza” (Alison Jamieson con la collaborazione di Manuela Flore). Qualche sociologo, come Alessandra Dino, ha avuto il compito di affrontare quelle tematiche che travalicano gli scompartimenti e si trovano all’incrocio di sguardi epistemici multipli: “Famiglia”, “Corleonesi”, “Cupola”, “Terzo livello”, “Guerre di mafia”, “Sacco di Palermo”, “Stragi”, “Trattativa”, “Massoneria”, “Religione”, “Chiesa e mafia”, “Giornalismo e mafia”, “Voto di scambio”… Questi accenni, per quanto incompleti, danno l’idea della consistenza e della qualità del Dizionario. Ma, come è scritto all’ingresso di un museo parigino, il valore oggettivo di un tesoro non basta: esso è nelle mani di chi gli volge uno sguardo distratto oppure se ne appropria con attenzione e serietà. Possiamo solo affermare che adesso insegnanti e giornalisti, magistrati e operatori sociali, politici ed elettori non hanno più alibi: chi non ha avuto il tempo, né la voglia, di immergersi nella biblioteca mafiologica esistente (dove non sempre è facile discernere il grano dalla zavorra e dove, comunque, è raro trovare delle trattazioni sintetiche che non siano superficiali), ha ora la possibilità di afferrare - in poche pagine per ogni argomento - il succo di anni di studio, svolto anche da valenti autori che, per le ragioni più svariate, non hanno contribuito a redigere questo corposo, indispensabile, strumento di lavoro.
Da una nota dell’editore si apprende che sono previste, sino al 2011, quattro edizioni/ristampe. Forse sarà anche grazie a imprese culturali come questa che, in una quinta edizione, si potrà aggiungere - proprio all’inizio - la voce “Agonia della mafia”. Ma questo - più che una previsione scientifica - è l’auspicio coltivato dai cittadini migliori di una terra davvero difficile.

RIQUADRO
Manuela Mareso, per quanto giovane giornalista professionista, è da anni la generosa coordinatrice del mensile “Narcomafie”. Ha contribuito ad un volume sull’etica del giornalismo e ad un progetto di ricerca europeo sul traffico delle droghe del crimine organizzato.
Livio Pepino è un magistrato, membro del Csm, che condirige “Narcomafie” e dirige “Questione giustizia”. Tra i suoi libri, Andreotti, la mafia e i processi e, con Marco Nebiolo, Mafia e potere (entrambi editi dal Gruppo Abele di Torino). Con Giancarlo Caselli ha pubblicato, nel 2005, A un cittadino che non crede nella giustizia.

L’isola che c’è e si ribella


“Repubblica - Palermo”
Martedì 14 ottobre 2008

L’ISOLA CHE C’E’ E SI RIBELLA.
L’ETICA CONTRO IL MALAFFARE

La lotta alla mafia è certamente questione di leggi nazionali e di normative, calibrate su misura, regionali e comunali. Però gli strumenti giuridici hanno costituito, da sempre, condizione necessaria ma insufficiente: sono le armi della democrazia, ma ci vuole chi abbia il coraggio di impugnarle ed usarle. E il coraggio non si produce, in una società, con la stessa facilità con cui si producono le leggi. Come dare, dunque, vitalità e incidenza storica al diritto infondendo in noi cittadini energia etica? La risposta non è per nulla facile. Ma la difficoltà di trovarla non può esimerci dal cercarla. Insieme.
Da che mondo è mondo, una delle vie attraverso cui si è propagato il senso civico - dalle sue manifestazioni minimali ai gradi massimi di impegno sino al sacrificio della propria vita - è stata la testimonianza personale: pochi linguaggi comunicativi riescono più persuasivi delle proprie scelte, dei propri gesti, delle proprie opere. In direzione positiva avviene esattamente come nella direzione opposta della negatività: i comportamenti di ciascuno manifestano una lenta, ma inesorabile, capacità di contagio. Per una sorta di ecologia morale, la piccola canagliata perpetrata in Giappone può avere conseguenze disastrose per una popolazione della Selva Amazzonica; ma, per fortuna, vale anche l’inverso e un atto di coerenza a New York può avere effetti positivi sul comportamento medio di una scolaresca in Polonia.

Queste dinamiche, pur obbedendo a logiche sociologiche un po’ enigmatiche, possono essere facilitate dai mezzi di comunicazione. Sappiamo però quali siano i modelli di esistenza veicolati dalla maggior parte dei programmi radiofonici e, soprattutto, televisivi. E’ perciò estremamente urgente che almeno la carta stampata - per quanto molto meno frequentata rispetto agli apparecchi audiovisivi - dia una mano a far conoscere le testimonianze civili di chi, senza clamori ma con l’eloquenza silenziosa dei fatti, si mette dalla parte giusta. Due libri recentissimi sono stati pubblicati proprio con questo intento e, nonostante le dimensioni minuscole delle rispettive case editrici, meriterebbero una diffusione capillare attraverso tutte le agenzie educative (a cominciare dalle scuole, dalle associazioni socioculturali e dalle chiese delle varie confessioni religiose). Il primo di questi due libri (sono entrambi maneggevoli, fruibili anche senza un grande livello di istruzione, tipograficamente gradevoli) è di un giovane giornalista catanese, Filippo Conticello, è stato edito a Roma dalla Round Robin con una bella prefazione di Tano Grasso e si intitola L’isola che c’è. La Sicilia che si ribella al pizzo. Sono storie documentate di siciliani ‘normali’ che, per le ragioni più diverse, a un certo punto hanno deciso di non piegarsi più al racket delle estorsioni: dai casi più noti di Capo d’Orlando agli inizi degli anni Novanta, passando per vicende meno conosciute come la storia del gelese Nino Miceli (grazie al quale 47 stiddari sono stati condannati a 450 anni di carcere in totale), sino alle cronache di questi giorni con personaggi come Andrea Vecchio e Vincenzo Conticello. Nel secondo libro i protagonisti di questa fase di riscatto (ancora iniziale, ancora parziale: la maggioranza degli imprenditori continua a ‘mettersi a posto’ e, comunque, la mafia non si limita certo a condizionare l’economia siciliana solo attraverso la riscossione del ‘pizzo’) prendono direttamente la parola grazie all’intelligente proposta di Gabriella De Fina. No al pizzo. Imprenditori siciliani in trincea, edito dalla casa editrice palermitana Thor con una presentazione di Ivan Lo Bello, lascia che tredici cittadini si raccontino con agio, senza la fretta incalzante delle interviste giornalistiche, soffermandosi anche sui risvolti umani delle loro vicende in qualche misura ‘pubbliche’. Emergono non solo storie ormai esemplari (come l’eroismo di Libero Grassi evocato dalla vedova Pina), ma anche storie ‘minori’ (come quelle dei gelesi Renzo Caponetti e Rosario Amarù o del nisseno di adozione Marco Venturi) per lo più sconosciute al grande pubblico. Ed emergono - questo mi pare che vada sottolineato - con tutti i limiti della loro personalità e della loro visione politica. Insomma, non si tratta di una rassegna di ’santini’ da venerare, ma di uomini e donne come noi che cercano, con fatica e non senza errori, una via di liberazione dalla dittatura mafiosa. La troveranno? Una cosa sola è certa: avranno più probabilità se non saranno lasciati, come altre volte è capitato nella storia siciliana, da soli.

Augusto Cavadi

Giovani: una generazione a perdere?


“Presbyteri”
2008, 7

Giovani: una generazione a perdere?

Come una sorta di Peter Pan, non sono - sinora - riuscito ad uscire davvero dal mondo dei giovani. Qualche giorno dopo la laurea, infatti, sono tornato come docente nelle aule scolastiche che avevo frequentato da studente e, nei trentacinque anni successivi, ho anche praticato da ‘animatore’ quel volontariato culturale e sociale nel quale ero stato coinvolto da ‘animato’ negli anni giovanili. Per questo ho letto con interesse ricerche sociologiche, sondaggi, interviste che potessero farmi orientare meglio nel labirinto da cui non mi sono ancora liberato (anche perché, in fondo, non lo voglio davvero). Ma i risultati non sono stati, sino ad oggi, proporzionati alla fatica: sono fermo alla conclusione - che sarebbe banale se la maggior parte degli osservatori non si rifiutasse di condividerla - che sui giovani come ‘categoria sociale’ non c’è nulla di particolare da dire. Essi riproducono molto fedelmente le tipologie degli adulti: alcuni spiccano per serietà ed impegno, altri per idiozia e malaffare, la maggior parte ondeggia - secondo i momenti e i luoghi - tra atteggiamenti contraddittori, senza infamia e senza lode. Deludente come quadro interpretativo complessivo? Forse. Ma Wright Mills ci ha avvertito già da molti anni: la sociologia è “la penosa elaborazione dell’ovvio”. Dentro questo scenario fenomenologico d’insieme è possibile tentare delle incursioni analitiche più specifiche. Per esempio rispetto ai tre temi ‘classici’ che si dovrebbero evitare in ogni salotto bene se non si vuole correre il rischio di discussioni troppo accese: il sesso, la politica e la religione.

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Sul primo argomento appare in maniera più eclatante quanto si osserva in generale sulla società capitalistica: la trasformazione di alcune esperienze antropologiche in esercizi di consumo. Dico subito che questo processo non va demonizzato. Nelle società pre-capitalistiche mangiare è possibile come punto di arrivo di un itinerario faticoso e significativo: nei villaggi di pescatori non si consumavano frutti di bosco come nelle baite alpine non si consumavano frutti di mare. Oggi è possibile che un generale delle Finanze - grazie agli elicotteri della sua Arma - possa mangiare spigole fresche, appena pescate, nella baita alpina : e questo non mi pare un gran progresso. Ma che un Paese che produce petrolio possa scongiurare una carestia di grano, acquistandolo con i profitti del petrolio da un Paese lontano migliaia di kilometri, non mi pare altrettanto negativo. Certo, così il cibo viene trasformato in merce: ma questa de-sacralizzazione è ambivalente, non un fatto esclusivamente negativo. Così fare sesso con un partner è, per la nostra generazione (e dunque, conseguentemente, anche per la generazione che ci incalza), un’esperienza che non presenta più quel fascino, quella magia, di cui si rivestono i momenti rari, difficili da vivere. Come in un enorme, surreale supermarket, si può scegliere a quasi 360 gradi: il rapporto sessuale si può sperimentare nell’ambito di una relazione adolescenziale romanticissima come, per pochi spiccioli, a seguito di una veloce trattativa con un travestito brasiliano disponibile in ore e luoghi prestabiliti. Anche questo processo presenta aspetti ambivalenti. Da una parte non si può non salutare con sollievo la de-retoricizzazione dell’eros: è sempre più difficile che una giovane dei nostri giorni si suicidi per il tradimento perpetrato dal suo fidanzatino o che un giovane corra ad arruolarsi come soldato mercenario in Africa solo perché non ottiene in sposa una fanciulla a lungo ed invano desiderata. Tuttavia sarebbe da superficiali non constatare che questa demitizzazione dell’esperienza affettivo-sessuale, oltre certi limiti, si capovolge da fattore emancipativo in grave deprivazione : si ‘prova’ un partner, per una notte o due, così come si prova un nuovo drink al bar del pub, col grave rischio di livellare tutte le possibili relazioni sentimentali allo standard della più banale di esse. Detto altrimenti: l’inflazione di occasioni di gratificazione sessuale ne provoca la svalutazione. Ma c’è di peggio. Come ha osservato acutamente Wilhelm Schmid, l’assenza di limiti nella frequenza e nelle modalità dell’attività sessuale comporta - tra altri effetti collaterali indesiderati - la perdita di interesse per tutta una più ampia gamma di piaceri senza i quali la vita è meno “bella”: “piaceri dei sensi, vale a dire del vedere, dell’udire, dell’odorare, del gustare, del toccare e dell’avvertire qualcosa, a cui dobbiamo un godimento profondo, intimo. Piaceri dell’intelletto e della riflessione, che si attuano nella distanza dell’astrazione; piaceri del sogno e della fantasia, in cui il Sé è lontano da ogni calcolo; piaceri del ricordare, che permettono la ripetizione della vita vissuta; piaceri della lettura e della conversazione, che rendono esperibile la vita in tutto lo spazio compreso tra solitudine e socialità; piacere del ridere in tutte le sue variazioni, che mettono in vibrazione nello stesso tempo il corpo, l’anima e la mente; piaceri del semplice essere che si devono all’ozio e al vivere con placido distacco; piaceri della condizione nomade che risultano dall’incontro molteplice con altri e con altro” (La vita bella. Introduzione alla filosofia dell’arte della vita, Apogeo, Milano 2007, p. 49) Insomma, per ritornare all’angolazione di queste nostre pagine: non è che l’impegno pedagogico prioritario nei confronti dei nostri figli e dei nostri alunni debba individuarsi nell’invito a scoprire “un’arte dell’erotica in cui il piacere sessuale è solo uno tra gli altri e trova il suo senso in interazione con gli altri” (ivi)?
***
Tra i piaceri che l’inflazione delle esperienze erotiche rischia di emarginare, Schmid dimentica di citare il gusto della creazione politica. Intendo, ovviamente, non principalmente né esclusivamente la intima soddisfazione per aver ideato e varato un nuovo partito o un nuovo movimento ecologico, bensì per aver contribuito ad attivare un qualsiasi progetto mirato a migliorare la polis in maniera collettiva (non meramente individuale) e duratura nel tempo (non di carattere episodico). Questo genere di gratificazione psicologica - che in anni non troppo lontani proveniva dalla fondazione di un giornaletto scolastico o della sezione locale di un’associazione animalista nazionale - mi pare sempre meno agognata dalle attuali fasce giovanili. Liquidi, per riprendere l’aggettivo caro a un sociologo che va per la maggiore, non sono oggi solo i sentimenti e le relazioni interpersonali ma, se non mi sbaglio, anche i sogni: anzi, forse, addirittura gassosi. Evaporano nel breve spazio di una settimana. Anche su questo fronte sarebbe prudente non affrettare il giudizio. Avendo vissuto da diciottenne il ‘68 - e pur senza avvertire nessun bisogno di abiurare - posso serenamente asserire che non tutto il Geist di quell’epoca merita d’essere rimpianto. Slogan come “tutto è politica” sintetizzavano modalità d’intendere e condurre la vita che rischiavano d’essere, se non sempre fanatici, almeno riduttivi. Molti ragazzi erano riconoscibili come di destra o di sinistra in base all’abbigliamento, alla capigliatura, allo slang, alle canzoni e ai film preferiti: oltre che, ovviamente, in base alle comitive frequentate. Questa forte identificazione con una ‘parte’ dello scenario politico arrivava non di rado all’odio verso il ‘nemico’: “uccidere un fascista non è reato” era, ad esempio, una scritta che campeggiava sui muri della scuola vicina al liceo da me frequentato. Che questa assolutizzazione del ‘politico’ si sia incrinata, mi pare decisamente un passo avanti nella direzione della civiltà. Ma, come spesso accade nella storia, il pendolo rischia di oscillare da un’esagerazione all’opposta, stentando a trovare un equilibrio accettabile. Se non è vero che “tutto è politica” (nel senso che la politica sarebbe l’essenza determinante di ogni attività umana, dall’arte all’amicizia, dall’economia allo svago), è però verissimo che tutto ha sempre, anche, una dimensione politica: quindi un romanzo, pur essendo un prodotto letterario e perciò da valutare con criteri estetici, è anche un contributo ‘oggettivo’ alla vita della polis. Che ne risulterà migliorata o peggiorata, raramente inalterata. Famiglie, scuole, sindacati, persino partiti hanno abbandonato ogni alfabetizzazione politica, recependo e aggravando una disaffezione disastrosa per l’umanità nel suo complesso come per la realizzazione delle singole personalità: e se fossero le chiese - le comunità cristiane - ad assumersi il compito di ri-orientare all’impegno politico? Non per capeggiare clericalmente la rivoluzione contro un assetto planetario sempre meno umano e perciò sempre meno evangelico, ma - come direbbe Hadot - per aiutare i giovani a rendersene degni. Oltre che a desiderarla.
***
Se le chiese, come per esempio hanno fatto il cardinale Martini a Milano e p. Sorge a Palermo, si intestassero delle iniziative di formazione etico-politica, sarebbe possibile più di un equivoco. Il più grave: usare queste iniziative di formazione come strumento per attirare nei recinti ecclesiali dei ‘greggi’ giovanili distratti da pascoli sempre più lontani. Non c’è niente di più ingiusto (in sé) e di più controproducente (negli effetti) che adottare cinicamente dei ‘valori’ - come lo sport o il cinema o il volontariato sociale - non perché gli si riconosce l’impronta di Dio, ma per usarli come trappole per topi. Non so se vale anche per le generazioni successive, ma certamente la mia generazione è rimasta sconcertata dalla strategia clericale (i preti che non l’hanno praticata sono delle sparute minoranze) di sfruttare le esigenze adolescenziali di socializzazione e di divertimento a scopi di evangelizzazione. Mi sembrerebbe giunto il momento di invertire la prospettiva: offrire occasioni di crescita umana perché sono occasioni intrinsecamente preziose e, in momenti chiaramente distinti, offrire - a chi le accogliesse volentieri - anche delle occasioni di evangelizzazione. In modo che senza ipocrisia si proponga - e senza ipocrisia si possa accettare - di integrare la propria ricerca di senso con le luci del vangelo di Cristo. Farei un esempio - so bene quanto opinabile, quasi provocatorio - tratto dalla cerchia delle mie conoscenze. Due o tre presbiteri accettano, se richiesti dagli sposi, di giocare il ruolo di testimoni in celebrazioni ‘civili’ del matrimonio: in modo che sia chiaro che certi valori antropologici (l’amicizia, la gratitudine, la simpatia, la solidarietà in progetti sociali, la condizione di colleghi negli ambienti di lavoro…) custodiscono un significato intrinseco, anche fuori dall’ottica prettamente religiosa. Se poi, tre o quattro giorni dopo, gli stessi sposi decidono di ricambiare la visita e si recano alla celebrazione eucaristica domenicale del loro amico prete, questi non esercita nessuna forzatura se dedica agli ospiti un pensiero nell’omelia o una preghiera particolare. In questa logica di rispetto degli ambiti e delle competenze, personalmente vedrei - da laico - con molta convinzione l’eventuale decisione di un parroco di offrire dei corsi di preparazione al matrimonio a due marce: in cui, intendo, si distinguessero senza ambiguità le tappe di formazione medica, psicologica, etica dalle tappe di formazione teologica, sacramentaria. In questo modo, infatti, si avrebbe un duplice vantaggio: i fidanzati cattolici, davvero credenti e sinceramente osservanti, riceverebbero (come già avviene in alcuni casi) un sostegno per costruire le basi antropologiche della loro avventura matrimoniale di segno confessionale, mentre i fidanzati non cattolici, né credenti né ancor meno osservanti, non sarebbero abbandonati a sé stessi ma potrebbero ugualmente prepararsi al loro matrimonio ‘civile’ (come di solito non avviene) senza essere costretti ad accettare o a rifiutare in blocco un ‘pacchetto’ di formazione sia antropologica che teologica. L’ipotesi appena disegnata, al di là del caso concreto, mi serve per sostenere una tesi generale: distinguere quanto più nitidamente possibile evangelizzazione da altre offerte di promozione dell’umano comporterebbe maggiore libertà per l’annunzio del messaggio di Gesù e maggiore rispetto per le altre proposte formative. Sto forse proponendo scissioni dualistiche fra cielo e terra, fra Spirito e ‘carne’, fra eternità e storia? Se fosse questo l’esito dei miei ragionamenti, preferirei si tornasse alla mistura attuale in cui, come in un’insalata improvvisata la sera dalla massaia, c’è un po’ di tutto senza andare troppo per il sottile. Ciò che propongo è una distinzione che non solo non presuppone nessuna separazione - né ancor meno opposizione - fra vangelo e cultura, ma che anzi intravede nello sfondo l’intima sinergia fra ciò che è autenticamente evangelico (dunque scevro dalle superfetazioni secolari dei due millenni successivi) e ciò che è autenticamente umano (dunque scevro dalle mode passeggere che tendono ad esaltare ossessivamente ogni pur preziosa scoperta). Distinguere per unire era il motto di Jacques Maritain: ma l’unitarietà di certe apparenti polarità va guadagnata come punto di arrivo di una ricerca libera, faticosa e in non pochi casi rischiosa (come, ad esempio, la ricerca di Eugen Drewermann), non certo imposta dogmaticamente e pregiudizialmente. Sono talmente convinto che la vera fede non cancella ma presuppone il meglio della vera vita umana (al di là delle applicazioni discutibili, mi pare questa la grande lezione di san Tommaso d’Aquino), che non riesco ad immaginare altro criterio della propria esperienza personale come della propria (eventuale) pastorale se non il pascaliano: è la ragione che ci può dire quando è il caso di andare, con la fede, oltre la ragione. Un prete che è stato molto importante per la mia formazione giovanile - e che purtroppo, nel corso degli anni, non è rimasto all’altezza delle sue stesse convinzioni - ha chiamato questa impostazione evangelizzatrice “il metodo della consapevolezza”. Dunque un metodo che, nell’assoluto rispetto della libertà personale, promuovesse - ad un tempo - conoscenza, riflessione e confronto. Conoscenza delle grandi proposte sapienziali dell’umanità (dalle religioni orientali alla filosofia greca, dalla poesia medievale ai grandi romanzi europei dell’Ottocento) e, ovviamente, della proposta ebraico-cristiana in tutte le sue poliedriche sfaccettature: bibliche, storiche, teologiche e filosofiche. Riflessione: gusto di ritornare sulle proprie conoscenze per valutarle criticamente, cercarne i possibili nessi, immaginarne le logiche conseguenze operative. In un’attitudine al raccoglimento, al silenzio meditativo, ugualmente lontano dall’attivismo spasmodico ed emotivo quanto da un intellettualismo cerebrale che moltiplica le informazioni con ingordigia bulimica. Confronto: desiderio di dialogare con gli altri non a scopo puramente apostolico ma nel sincero intento di sottoporre le proprie idee a conferme o smentite. E sulla base dell’ancor più radicale convinzione che nessun mortale - e nessuna istituzione, neanche ecclesiastica - può vantare il monopolio della verità: ciascuno può aspirare, al massimo, a possederne un frammento o, sarebbe più preciso, ad esserne conquistato. Non è il caso di aggiungere che, essendo il vangelo una proposta esistenziale, nessun “metodo della consapevolezza” potrebbe dare frutto se non fosse accompagnato dalla preghiera, anche silenziosa, che domanda luce; dall’ascesi, meno appariscente possibile, che cerca l’autocontrollo delle proprie pur legittime passioni e la sobrietà nei consumi e la relativizzazione del proprio bisogno di riconoscimento sociale; dall’accettazione rischiosa di esperienze sentimentali esaltanti o angoscianti, ma in ogni caso capaci di rompere il guscio dell’autoreferenzialità farisaica; e, soprattutto, dall’impegno concreto, costante e collettivo - in una parola ‘politico’ - nel cantiere sempre aperto per un’umanità meno lacerata dallo sfruttamento dei più deboli ad opera dei più forti (singoli individui o organizzazioni istituzionali che siano). Non mi è difficile immaginare lo sconcerto del lettore: ma se evangelizzare implicasse tutto questo, chi ne avrebbe il tempo e soprattutto le risorse mentali ed interiori? Capirei benissimo il senso dell’obiezione, ma non mi pare che ci siano molte scorciatoie praticabili. Posso solo aggiungere due precisazioni. La prima è che certi modelli ‘utopici’ vanno tenuti presenti come méte verso cui tendere, anche sapendo che nessuna persona in concreto sarà mai capace di adeguarsi al 100% . L’imperfezione fa parte del nostro impasto creaturale: siamo chiamati non ad eliminarla, ma ad evitare di usarla come alibi ideologico. La seconda precisazione è che nessuno - battezzato o religioso consacrato o presbitero ordinato - dovrebbe essere abilitato ad evangelizzare se è un povero mediocre contento della propria mediocrità. I giovani di ogni epoca - e non ho motivi per supporre che i giovani della nostra facciano eccezione - sono disposti a confrontarsi con le personalità più problematiche, anche più ostiche: ma non con i soggetti ridicoli. La preoccupazione ecclesiale di reclutare presbiteri - in numero adeguato a compensare la scarsezza di ‘vocazioni’, la scomparsa dei preti anziani e le dimissioni spontanee di preti in ‘crisi’ - sta comportando un abbassamento del livello medio del clero: giovani (sì, giovani: c’è anche questo sottogruppo da considerare all’interno della più ampia fascia generazionale) seminaristi vengono avviati all’ordinazione solo perché esenti da vizi plateali e, per giunta, in non pochi casi, ‘bonaccioni’ e ’simpaticoni’, senza preoccuparsi di cosa hanno sperimentato della vita e di cosa ne hanno capito. Giovani ‘presbiteri’ : l’ossimoricità dell’espressione non viene più neppure notata. Ma in epoca di secolarizzazione, se il prete non è visto come una figura investita di doti magiche a prescindere dai carismi personali effettivi, perché la gente - anziana o giovane - dovrebbe cercarlo per chiedere consiglio o anche solo per confrontarsi? Il venticinquenne ‘medio’ ha oggi un patrimonio di conoscenze e di esperienze, anche attraverso soggiorni all’estero o partecipazione agli appuntamenti di movimenti internazionali, molto più ricco e variegato del suo coetaneo che regge una parrocchia: perché dovrebbe riconoscergli una autorità ‘oggettiva’ di cui non percepisce nessun segno visibile? Ecco una delle ragioni per cui la pastorale cattolica sperimenta sempre meno i contrasti e sempre di più un’indifferenza che è tentata di scambiare per consenso silenzioso. In campo religioso - ancor più che nell’ambito della vita sessuale e della vita politica - la cifra dominante mi pare l’omologazione disincantata. Uno studioso ancora abbastanza giovane lo ha scritto di recente a proposito di tutti i cattolici, ma propenderei a pensare che si tratta di una rappresentazione ancora più realistica se circoscritta alle generazioni più recenti: “non si adeguano nella prassi ai dettami della chiesa, ma nemmeno li contestano. Non è esatto dire che non li condividono: piuttosto li ignorano senza discuterli (…). Stanno buoni, glissano, non sollevano problemi, praticano l’ossequio nei confronti delle gerarchie, e intanto si regolano come gli pare. Insomma, si disinteressano delle questioni di verità” (così Edoardo Lombardi Vallauri, figlio del più noto filosofo del diritto Luigi, nel suo Capire la mente cattolica, Le Lettere, Firenze 2007). Le ultime parole della citazione toccano un ganglo nevralgico: bisogna cavalcare strumentalmente questo “disinteresse” o non piuttosto provare a ribaltarlo? Rimettere al centro della scena le “questioni di verità” non sarebbe per la chiesa cattolica impresa da poco: significherebbe rinunziare a fare del cristianesimo uno dei possibili prodotti da scegliere alla fiera in base a gusti soggettivi e mode collettive; dunque, prima ancora, significherebbe rinunziare a spacciare come ‘vere’ delle credenze dogmatiche o delle norme etiche che tali non sono né alla luce della fede biblica né alla luce della ragione. Non sarebbe troppo rischioso per la sua strategia pastorale, adusa da secoli ad offrire - anche - “nobili menzogne” se si percepisce che sono richieste dall’opinione pubblica moderata e influente? Indubbiamente, nel breve periodo, sì. Si tratterebbe di remare contro la corrente dominante che svaluta il senso critico e deride le intelligenze. Ma, a parte il dovere di fedeltà - da parte del magistero - verso un Maestro a cui un evangelista ha attribuito come identikit di essere “Via, Verità e Vita”, ho un sospetto che tendo a fondere con una speranza: che nel lungo periodo il seme della verità finisca, alla fine, per prevalere sulle furbizie e sulle pigrizie. Forse non è abbastanza per dare una mano ai giovani di oggi, ma potrebbe dimostrarsi prezioso per i giovani dei prossimi decenni.

Augusto Cavadi

venerdì 17 ottobre 2008

Seminario in 3 puntate per operatori della sanità


CESMI
(Centro Studi di Medicina Integrata)
Via Dante 153 Palermo

Seminario in tre incontri
LA FILOSOFIA A SERVIZIO DEI PROFESSIONISTI DELLA SALUTE
coordinato dal prof. Augusto Cavadi, filosofo consulente

1. La consulenza filosofica nel contesto delle varie pratiche filosofiche:
una panoramica contemporanea
(Relazione introduttiva alla discussione di Augusto Cavadi)
Giovedì 20 novembre 2008 (dalle ore 21 alle 22,30)

2. Che cosa può offrire la filosofia ad un professionista della salute:
equivoci e piste di ricerca
(Relazioni introduttive di Augusto Cavadi e della dott.ssa Gabriella Pravatà,
medico psicosintetista)
Giovedì 4 dicembre 2008 (dalle ore 21 alle 22,30)

3. La consulenza filosofica e le psicoterapie:
analogie,differenze e possibili sinergie
(Relazioni introduttive di Augusto Cavadi e della dott.ssa Rosalia Billeci,
medico psicoterapeuta)
Giovedì 11 dicembre 2008 (dalle ore 21 alle 22,30)

* Per le iscrizioni telefonare (091.9820468 - 339.6749999 - 338.1621899)
oppure scrivere a medicinaintegrata@libero.it
* Quota di partecipazione: 15 euro per ogni incontro (40 euro per il ciclo di 3 incontri)
* La quota di iscrizione include, come materiali di approfondimento:
il volume di Autori vari, “Filosofia praticata”, Di Girolamo editore, Trapani 2008, euro 15,50 (distribuito gratuitamente al termine del primo incontro)
e il volume di Augusto Cavadi, “Filosofare dal quotidiano”, www.ilmiolibro.it, Gruppo editoriale “L’Espresso - La Repubblica”, euro 15,00 (distribuito gratuitamente al termine del secondo incontro)
* Il seminario è rivolto principalmente, ma non esclusivamente, a medici, paramedici, psicologi, fisioterapisti, pedagogisti clinici, filosofi pratici, malati o aspiranti tali.

Presentazione “Filosofia praticata” venerdì 24 ottobre 2008


Venerdì 24 ottobre, alle ore 21,15,
presso il Parco letterario Tomasi di Lampedusa
(Vicolo della Neve, angolo via Alloro, pressi piazza Marina)
incontro pubblico sul tema
“La consulenza filosofica: esperienze da tutta Italia”.
Parteciperanno Giorgio Giacometti (Udine) e Augusto Cavadi (Palermo),
co-autori del volume
“Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni”
(Di Girolamo, Trapani 2008, euro 15,50).
Ingresso libero, uscita pure, consumazione amichevolmente consigliata.

Un mio libro acquistabile da oggi in internet


Care frequentatrici, cari frequentatori di questo blog,
sto sperimentando un modo nuovo (più economico e più ecologico) di mettere a disposizione degli interessati alcuni miei scritti.
Se entrate nel sito www.ilmiolibro.it (a cura del gruppo editoriale “L’Espresso - Repubblica”) e vi iscrivete (gratuitamente), potrete acquistare i libri in vetrina (anche con metodi diversi dalla carta di credito), dopo aver consultato - senza impegno - le prime otto pagine.
Attualmente ho in vetrina solo un titolo (”Filosofare dal quotidiano” in cui ho raccolto articoli e brevi saggi che ho edito negli anni su varie testate giornalistiche): costa 12 euro + 6 euro per il corriere che ve lo consegna comodamente a casa vostra entro pochi giorni.

Tipograficamente è una copia con qualche imperfezione di impaginazione, ma la responsabilità è solo mia: l’agenzia stampa il pdf così come gli arriva dall’autore, senza apportare modifiche.
Qui di seguito l’indice del volume (in modo che valutiate se vale la pena acquistarlo):

FILOSOFARE DAL ‘QUOTIDIANO’
Qualche riga introduttiva p. 2

Una sorta di preludio.
L’uomo della strada e la filosofia p. 7

Provocazioni dalla strada
Gli animali hanno diritti? La giustizia loro dovuta p. 12
Gli animali hanno diritti? Il volto di Fido o di Micetta p. 15
Gli animali hanno diritti? I nostri fratellini più deboli p. 17

Il ciclo della vita umana: ragazzi a perdere? p. 19
Il ciclo della vita umana: il padre con l’ascia p. 21
Il ciclo della vita umana: la solitudine degli handicappati p. 23
Il ciclo della vita umana: invecchiare con dignità p. 25
Il ciclo della vita umana: eutanasia? p. 27
Il ciclo della vita umana: auguri ‘laici’ per il nuovo anno p. 29

Il mondo della polis: lo shopping del dì di festa p. 32
Il mondo della polis: dal disagio alle droghe p. 34
Il mondo della polis: la passione equivoca per il calcio p. 37
Il mondo della polis: la (s)fortuna di essere gay p. 39
Il mondo della polis: pedofilia e maleducazione sessuale p. 41
Il mondo della polis: fra il docente e l’alunna p. 43

Questioni di donne: uscita dal fianco per essere uguale p. 46
Questioni di donne: intreccio di storie p. 48
Questioni di donne: politica al femminile p. 51

Orizzonti fondativi
L’uomo: ” fiore di loto del corpo cosmico” p. 56
Can I help you? p. 59
Ecologia e corporeità p. 70
Ecumenismo e filosofia p. 77
Filosofia e globalizzazione p. 80
Perché si scrive? p. 88

Pratiche filosofiche
Arriva il filosofo pratico p. 92
Ritorna il filosofo pratico p. 94
Filosofare agli estremi p. 97
Vacanze filosofiche p. 101
Dalle vacanze alle cenette per…non filosofi p. 104

Fonti p. 107

sabato 11 ottobre 2008

Onore a un martire dell’antimafia quasi sconosciuto


“Centonove”
10.10.08

QUEL VIGILE UN PO’ SPECIALE

I cittadini che non vogliono cedere al lento, inesorabile avanzamento dell’oblio su quanti si sono mantenuti fedeli alle proprie responsabilità professionali sino alle estreme conseguenze, pur di resistere alla dittatura dei mafiosi, trovano quasi ogni giorno un’occasione di commemorazione. Anche la data del 26 settembre è coincisa con un anniversario, ma abbastanza singolare: il trentesimo anno dall’assassinio di un martire pressoché totalmente dimenticato (solo l’Agenda dell’antimafia curata dal Centro “Impastato” lo ricorda, sia pur con l’inevitabile laconicità), il vigile urbano Salvatore Castelbuono. Totò, come lo chiamavano in famiglia, era nato a Palermo nel 1932, ma era cresciuto a Bolognetta dove si era anche sposato con Rosaria da cui aveva avuto tre maschietti e una femminuccia. Nel 1958 si realizza un suo antico sogno: viene assunto dal Comune di residenza come vigile urbano. Si fa notare per la correttezza con cui svolge le proprie mansioni, ma non gli basta: senza riserve mentali, accetta che il suo servizio leale alla legalità democratica lo induca ad intrecciare rapporti sempre più stretti con i Carabinieri di Bolognetta e con i loro colleghi del reparto di Polizia Giudiziaria di Palermo.

Proprio a questi ultimi non ha esitato a fornire preziosi informazioni inerenti noti latitanti mafosi: in quanto conoscitore del territorio e degli ambienti, riusciva a raccogliere, con meticolosità, notizie importanti che mai gli organi inquirenti ufficiali avrebbero potuto conseguire senza il suo contributo. L’obbedienza alle direttive delle autorità istituzionali, e prima ancora alla propria coscienza civile, ne ha purtroppo decretato la condanna a morte (nell’ipotesi più probabile, conseguenza di una vendetta da parte dei Corleonesi che in quel periodo orbitavano nel territorio di Bolognetta). Il 26 settembre del 1978 viene assassinato con 5 colpi di una P 38 all’interno della sua autovettura nel territorio di Villafrati, sulla strada provinciale che da Palermo raggiunge Agrigento. Castelbuono, al momento del delitto, indossava la propria divisa. Tre giorni dopo una telefonata anonima di rivendicazione al reparto operativo dei Carabinieri di Palermo della caserma Carini, alle spalle del teatro Massimo, scioglieva ogni possibile dubbio: “Carabiniere, dica al comandante del nucleo investigativo che i suoi uomini hanno sfiorato da vicino l’uomo che cercavano: perciò la banda che ha suonato per il vigile urbano suonerà pure per i Carabinieri”.
Il silenzio di questi trent’anni ha fatto sì che le nuove generazioni di Bolognetta non sanno neppure che la loro cittadina ha contribuito alla lotta più che secolare contro il dominio mafioso con una vittima illustre. Ieri i familiari hanno organizzato nella chiesa-madre di Bolognetta una celebrazione eucaristica in memoria ed è significativo che, insieme a rappresentanti dell’associazione dei parenti di vittime della mafia, vi abbia preso parte una delegazione del comando provinciale dell’arma dei Carabinieri. Ma i partecipanti alla cerimonia liturgica si sono chiesti se questo omaggio morale può bastare; se non sia il caso, anche alla luce dei recenti successi repressivi e delle conseguenti vicende giudiziarie, che pure lo Stato riapra il fascicolo. Affinché la magistratura, incrociando deposizioni spontanee e acquisizioni dibattimentali, possa provare anche in questo caso a gettare luce su ciò che è avvenuto, far pagare i debiti dei colpevoli e restituire una sia pur tardiva giustizia ai servitori fedeli. E affinché, per i più onesti fra gli attuali amministratori e dipendenti degli Enti locali, la storia di Totò Castelbuono possa riuscire non da deterrente, ma da incentivo a mantenere le mani pulite e lo sguardo dritto.

Augusto Cavadi

sabato 4 ottobre 2008

2 ottobre. La giornata mondiale della nonviolenza


Su cortese richiesta del direttore, è stata ospitata questa mia breve riflessione:
“La nonviolenza in cammino”
Quotidiano telematico di Viterbo
Diretto da Peppe SINI
(ABBONATEVI SEGUENDO LE ISTRUZIONI QUI SOTTO! E’ GRATUITO !)

2 ottobre 2008
Giornata mondiale della nonviolenza
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
 Numero 595 del primo ottobre 2008

 Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca
 per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza 
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

 Sommario di questo numero:
1. “Azione nonviolenta” di ottobre 
2. Il 5 ottobre a Vicenza
 3. Giulio Vittorangeli: Vicenza, la partecipazione, la democrazia
 4. Il 2 ottobre si celebra la Giornata internazionale della nonviolenza 
5. Aldo Antonelli: La comunione 
6. Norma Bertullacelli: La scelta consapevole e coerente della nonviolenza
 7. Augusto Cavadi: Quando…
 8. Giovanni Ciavarella: La forza della verita’ 
9. Antonella Litta: Per la sopravvivenza dell’umanita’ 
10. Lorella Pica: Gesti di amore, futuro per il creato
 11. Franco Pittau: Amore al posto della violenza
 12. Edi Rabini: La qualita’ delle relazioni
 13. Brunetto Salvarani: Il Dio di Isaia
 14. Giuseppe Stoppiglia: Costruire la cultura della nonviolenza 15. Ilaria Troncacci: La memoria delle donne
 16. Un incontro sulla nonviolenza il 2 ottobre a Viterbo
 17. La “Carta” del Movimento Nonviolento 
18. Per saperne di piu’

 



7. VERSO IL 2 OTTOBRE. AUGUSTO CAVADI: QUANDO… 
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@alice.it) per questo
intervento] 

Quando chi ha soldi ha comprato le coscienze degli sprovveduti, poi il voto 
degli sprovveduti e dei furbi che hanno fiutato in tempo dove girava il 
vento, e cosi’ e’ arrivato al potere politico; quando cio’ avviene in Paesi
 del Terzo Mondo, poi in Paesi della civile Europa, poi nel Paese piu’ ricco 
e indebitato del pianeta; quando tutto questo sembra irrimediabile e 
irreversibile perche’ chi dovrebbe opporsi con le armi della democrazia e’
 troppo distratto o troppo concentrato a lottare per accaparrarsi un pezzetto
 di relitto per continuare a galleggiare anche dopo il naufragio… forte e’ 
la tentazione di gettare la spugna per rassegnazione oppure di rispondere
 con violenza viscerale alla violenza sistemica istituzionale. 
Il 2 ottobre puo’ essere un’occasione per fermarsi un po’, respirare lento e 
forte e respingere con tutta l’energia interiore residua la duplice 
tentazione della resa e della rivolta aprogettuale?




NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO 
Numero 595 del primo ottobre 2008 

Notizie minime della nonviolenza in cammino proposte dal Centro di ricerca 
per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
 Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

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Fede cristiana e bioetica: si può essere laici e credenti?


“Una città”
Mensile di interviste
2008, n. 158, agosto - settembre

Ancora a proposito di ‘valori contro diritti’

Caro Direttore,

due paroline sul dibattito - interessante - fra Paolo Dusi e alcuni suoi attenti lettori, a partire dalle precisazioni esposte in A proposito di “valori contro diritti” (sul numero 157 della tua, della nostra rivista).
Una (rapida) premessa: in Italia, se uno si batte per la laicità contro l’invadenza cattolica, trova consensi e appoggi solo se è ateo o, per lo meno, acristiano. Si sottovaluta, a mio avviso imprudentemente, il ruolo di quei credenti nel vangelo di Gesù (cattolici, protestanti o altrimenti definibili nel variegato arcipelago cristiano) che difendono la laicità non (solo) per motivi filosofici ‘esterni’ al mondo della fede ma (anche) per motivi teologici ‘interni’.
Paolo Dusi (ed entro così in media res) espone, con lucidità, una “concatenazione dogmatica” (”C’è un Dio creatore; la vita è un suo dono; è un atto d’amore; a differenza di tutti gli altri doni, questo non può che essere accettato e non può essere ‘restituito’; se esso si risolve in sofferenza, ciò è in vista di una ricompensa…”) dalla quale sembrerebbe ovvio che un credente debba trarre, come conclusione logica, il rifiuto dell’eutanasia, del testamento biologico e forse anche delle cure palliative. Che il meccanismo mentale funzioni così, nel 90% dei casi, non c’è dubbio. Ma - è la questione che pongo - non c’è un 10% di cristiani che la pensano, non solo privatamente ma pubblicamente, diversamente? E, soprattutto, non portano queste minoranze pensanti degli argomenti validi per ritenere che gli pseudo-ragionamenti delle maggioranze obbedienti alle direttive papali siano biblicamente infondati e teologicamente fallaci?

No, non ti allarmare: non passerò, come sarebbe nei miei desideri viscerali, a ripercorrere i contro-argomenti di questi studiosi (come mi è capitato, sia pur sinteticamente, sul numero 2008/2 de “La rivista italiana di cure palliative”). Mi limito a qualche riferimento random per il lettore curioso. Ad una tavola rotonda di tre anni fa su questi temi, Sandro Spinsanti (uno dei pionieri della bioetica in Italia, di solida formazione cattolica) ebbe modo di mostrare (come fa in tutta la sua nutrita produzione) la necessità di affrontare le tematiche di fine vita dal punto di vista dei diritti del malato e non più di parametri morali stabiliti ex cathedra da istanze esterne ed estranee (chiese, università, Stati etc.). L’anno successivo, in una situazione analoga, don Cosimo Scordato - docente presso la Facoltà teologica di Sicilia a Palermo - ebbe modo di rilevare che Dio ci dona la vita biologica inseparabilmente dalla razionalità per gestirla affinché essa sia coltivata solo sino a quando risulta un dono e non un castigo immeritato. Accenti non dissimili ho ascoltato dal pastore valdese Paolo Ricca nella sua relazione, quest’anno, ad una giornata di studi sull’argomento svoltasi su iniziativa dell’Università di Palermo: orientate nella stessa direzione, per altro, erano le pagine che egli aveva dedicato al tema nel breve ed intenso Il cristiano di fronte alla morte della Claudiana di Torino. Intanto, nel 2004, le edizioni Avverbi di Roma hanno tradotto in italiano il libro, originariamente pubblicato in francese dalle Editions de Seuil, La morte opportuna. I diritti dei viventi sulla fine della loro vita. L’autore, Jacques Pohier, è stato uno dei teologi di punta dell’Ordine Domenicano dal 1949 al 1989 e, condannato dal Vaticano, continua tutt’oggi una militanza intellettuale ed operativa all’interno della Federazione mondiale delle Associazioni per il diritto a una morte dignitosa. Nel volume, zeppo di episodi autobiografici persino un po’ perturbanti, Pohier demistifica molte idiozie (spiegando, ad esempio, che l’eutanasia non è una scelta fra la morte e la vita ma fra due modi di morire) e, forte della sua competenza biblico-teologica, chiarisce la differenza fra dire che Dio ha a cuore la vita (genericamente, anonimamente) e dire che Egli ha a cuore i viventi (uno per uno, col suo carico di energie e di sofferenze). Potrei citare decine e decine di altri interventi di cristiani - cattolici o di altre confessioni - che ritengono blasfemo attribuire a un Dio amorevole la volontà di inchiodare i suoi figli a situazioni in cui la qualità della vita è ormai ridotta a livelli vicini allo zero, ma mi limito a citare Giovanni Franzoni, già abate del Monastero benedettino di San Paolo fuori le mura : le Edizioni dell’Università Popolare di Roma hanno pubblicato nel 2005 il suo prezioso Eutanasia. Pragmatismo, cultura, legge.
Al di là dei suggerimenti bibliografici per così dire incidentali, ma non certo involontari, intendevo solo testimoniare la necessità che, soprattutto gli spiriti laici, provino ad evadere dalla trappola culturale e mediatica attuale secondo la quale si dovrebbe optare per un’alternativa secca: o il moralismo della gerarchia cattolica ufficiale o la rivendicazione dell’autonomia razionale di atei ed agnostici. Un’attenzione maggiore alle sparute minoranze critiche di cristiani che non hanno rinunziato al dono della ragione, e del confronto in una società pluralista, farebbe bene alla democratizzazione sostanziale del nostro spazio pubblico. O no?

Augusto Cavadi

Palermo 10 . 9. 08