lunedì 23 febbraio 2009

Discutiamo del mio libro giovedì 12 marzo 2009 a Palermo?


Giovedì 12 marzo, alle 17. 20, presso l’Auditorium della RAI (viale Strasburgo, 19) presentazione del volume di Augusto Cavadi “In verità ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani”, Falzea, Reggio Calabria 2008.

Ne discuteranno con l’autore il prof. Marco Bono, don Cosimo Scordato della Facoltà teologica di Palermo e il prof. Vito Mancuso della Facoltà di Filosofia del S. Raffaele di Milano.

mercoledì 18 febbraio 2009

TRAFFICO CITTADINO E ALEGALITA’


Repubblica - Palermo 18.2.09

Alegalità applicata al traffico

Anche se facciamo fatica a riconoscerlo - non sempre dedichiamo qualche minuto di riflessione alle scelte di ogni giorno - la “a-legalità” (intendo, il vivere come se le regole non esistessero) è una delle cause principali della cattiva qualità della vita. Mi riferisco, ovviamente, non solo ai comportamenti a-legali degli altri, ma anche ai nostri: che, più spesso di quanto non sospettiamo, contribuiscono a quel clima di strafottenza generale di cui ci lamentiamo quando, a nostra volta, ne paghiamo le conseguenze. Un esempio, a caso, fra tanti? Per tutta una vita occupiamo la corsia di emergenza (riservata ai mezzi pubblici) alla Circonvallazione o in via Roma, in modo da poter fregare gli stupidi che pazientemente si dispongono sulle due fila di automobili: ma quando ci capita di dover accompagnare in autoambulanza il figlioletto o la nonnina e ’scopriamo’ che ciò, a Palermo, può comportare sino al doppio del tempo per via dell’intasamento della corsia preferenziale, protestiamo fra urla e bestemmie da vittime innocenti.

L’infrazione sistematica delle regole non conviene mai, dunque: ma ci sono dei casi in cui essa Ë particolarmente odiosa. Raramente - sarebbe meglio dire: mai - vigili urbani e forze dell’ordine in genere sanzionano queste trasgressioni: ciò non toglie che esse sono fra le più ributtanti. Quando saremo una popolazione civile, tra un secolo o un millennio, non proveremo nessuna indulgenza per questo genere di infrazioni: ci faranno schifo. E ogni volta che saremo noi a praticarle, ci faremo schifo.
Anche qui gli esempi possibili sono tanto numerosi che si avverte l’imbarazzo della scelta. Inizierei con l’occupazione automobilistica dei marciapiedi: in città, in zone periferiche come il cimitero dei Rotoli e in zone centrali come viale della Libertà, spesso Ë impossibile camminare a piedi sui marciapiedi perchè sono adoperati, nella totale impunità, come posteggi di riserva. Il pedone Ë costretto a scendere in strada: anche se è anziano, anche se è ragazzino, deve sfidare i pericoli di un transito nelle corsie riservate alle auto. Se poi è una madre che porta il bambino in carrozzella o un invalido, nel marciapiedi rischia di non salirci neppure: gli scivoli appositi sono quasi sempre ostruiti da auto in sosta.
Ammesso e non concesso che per una volta si possa salire su un marciapiedi e restarvi per un lungo tratto, quando si deve a un certo punto attraversare la strada è davvero un risiko: se non c’è un semaforo, l’impresa è seriamente e letteralmente pericolosa. Che un automobilista si fermi per farti attraversare le zebre è talmente raro che, se avviene, è spontaneo che il pedone ringrazi con un sorriso e un inchino: persino in questi gesti banali, il diritto è vissuto come una benevola concessione da parte del più potente. Qualcuno ha mai assistito alla multa di un automobilista che non si ferma davanti al pedone impegnato ad attraversare la strada, sia pure sulle strisce apposite? Finchè questo continuerà a non verificarsi (d’altronde ho visto con i miei occhi auto guidate da poliziotti e anche da funzionari della prefettura comportarsi esattamente come i più indisciplinati automobilisti, ovviamente anche in situazioni di assoluta normalità e senza nessuna sirena innescata) non ci saranno prospettive di mutamento: anche gli svizzeri o i finlandesi, se godessero per dieci anni dell’impunità di cui godiamo da sempre noi meridionali, diventerebbero esattamente come noi.
Almeno un terzo caso di trasgressione insopportabilmente ripugnante si impone alla memoria: le migliaia di automobilisti che abusano del cartellino “invalido a bordo” per invadere corsie riservate, posteggiare senza pagare e, quando hanno difficoltà a trovare posto nelle zone blue, anche nelle zone gialle. Il controllo è qui carente due volte: sia al momento della concessione del ‘permesso’ sia, ancor più platealmente, nell’uso effettivo che se ne fa. Il codice, infatti, parla chiaro: il cartellino Ë valido solo se la persona invalida per cui è stata concessa l’autorizzazione si trova a bordo. Non se un baldo ragazzone trentenne o una pimpante signorina ventenne hanno a casa un nonno invalido, inchiodato a letto o in poltrona e scorrazzano per la città con tutti i privilegi legali…
Questi giorni di pioggia eccezionale hanno, infine, evidenziato le inadempienze dell’amministrazione comunale che si sommano disastrosamente alle già troppo frequenti trasgressione dei privati: se vuoi evitare l’abitudine dei concittadini a ricorrere all’automobile invece del parapioggia, devi rassegnarti a tornare a casa zeppo di acqua e di fango. A Palermo infatti le precipitazioni atmosferiche arrivano come tsunami imprevedibili: i tombini, colmi di rifiuti, non assorbono neppure pochi millimetri di pioggia e i marciapiedi sono ‘ammaccati’ e appiattiti sul livello del manto stradale. Il sindaco, gli assessori, i consiglieri comunali (almeno quelli tra loro che rivendicano il permesso di posteggiare sotto il municipio) non possono saperlo perchè i contribuenti-non-evasori gli paghiamo la benzina e, in molti casi, anche l’auto blue con l’autista: ma gli altri, i cittadini comuni, non abbiamo neppure il diritto di spostarci a piedi. Forse un giorno sarà difficile spiegare agli studenti che, nel XXI secolo, in Europa c’erano elettori che accettavano tutto questo come ‘normale amministrazione’.

sabato 14 febbraio 2009

MATTEO MESSINA DENARO IN UN LIBRO DI SALVATORE MUGNO


Repubblica - Palermo 14.2.08

QUEL BOSS ATIPICO, ATEO E LATINISTA

Nella viva speranza che la notizia venga smentita da un’ora all’altra, Matteo Messina Denaro è uno degli ultimi capimafia identificati ancora in latitanza. Molti indizi lascerebbero supporre che, dopo i grandi arresti degli ultimi anni, abbia un ruolo decisamente egemonico nella variegata famiglia delle famiglie di “Cosa nostra”. Ma chi è davvero questo boss? Cosa pensa della vita, della morte, della giustizia, della famiglia?

Dal 2004 al 2006 egli si è confidato epistolarmente con un amico di famiglia, Tonino Vaccarino, già sindaco DC di Castelvetrano dal 1982, poi detenuto dal 1992 al 1999, infine probabile collaboratore dell’ex SISDE e promotore di una corrente dell’UDC da lui battezzata - “con non poca impudenza” ma con indubbio senso dell’humour - “Riarmo morale”. Cinque di queste lettere sono state rese pubbliche dalle autorità giudiziarie; le ha pubblicate nell’aprile 2008 il benemerito mensile “S”; infine Salvatore Mugno, poligrafo trapanese di ampi interessi ma mai disattento alle vicende siciliane, le ha riedite in un piccolo, denso volume (M. Messina Denaro, Lettere a Svetonio, Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri, Viterbo 2008, pp. 128, euro 12) impreziosito da una dotta introduzione (Quel killer è uno scrittore!) e da istruttive note esplicative.
Che cosa offre questa strana antologia rispetto a raccolte simili di scritti e pizzini vari vergati da altri autori della stessa…corrente letteraria? Ognuno ci coglierà spunti diversi, a seconda del punto di vista e degli interessi con cui si accosterà alla lettura. Personalmente sottolineerei due caratteristiche originali.
La prima è, per così dire, di ordine stilistico: tra Messina Denaro e Provenzano, ad esempio, c’è un abisso quanto a padronanza della lingua. Già i soli pseudonimi scelti (per sé, Alessio; per il destinatario delle lettere, Svetonio, lo scrittore latino vissuto a cavallo fra il I e il II secolo d. C. , segretario personale dell’imperatore Adriano) la dicono lunga sulla cultura generale di Matteo-Alessio, definito in una certa occasione da Andrea Camilleri “il latinista del gruppo”. Non che manchino gli strafalcioni grammaticati ed ortografici, ma nel complesso siamo davanti a testi redatti “in buon italiano”.
La seconda caratteristica è di ordine contenutistico: il capomafia latitante esprime una filosofia ‘atea’, palesemente nichilista. Leggiamo: “Ci fu un tempo in cui avevo la fede, poi ad un tratto mi resi conto che qualcosa dentro di me si era rotta, mi resi conto di aver smarrito la mia fede, ma non ho fatto nulla per ritrovarla. In fondo ci vivo bene così. Mi sono convinto che dopo la vita c’è il nulla e sto vivendo per come il fato mi ha destinato”. Come nota Massimo Onofri, dell’università di Sassari, “dopo tante varianti di boss religiosissimi, se non superstiziosi, vissuti in clandestinità tra crocifissi e santini di padre Pio, ridicolmente bacchettoni, siamo alla prima devastante dichiarazione di ateismo e materialismo mai pronunciata da un mafioso. E devastante perché mette davanti agli occhi dei fedeli di cosca l’immagine d’una vita che, per quanto vissuta al vertice di Cosa nostra, appare ormai per quel che è: vita di niente, puro disvalore. Dichiarazione che si fa di più acuta disperazione se affiancata alla punta di un rimorso ormai lancinante”. Non è il rimorso per gli omicidi e i soprusi perpetrati (”Ho fatto della correttezza la mia filosofia di vita e spero di morire da uomo giusto, tutto il resto non ha più valore”), bensì per aver sacrificato all’altare della mafia le relazioni di amicizia e gli stessi affetti familiari. Che il futuro ci possa riservare la gradita sorpresa di un uomo intelligente che si ‘pente’ davvero e non solo quando gli sono precluse altre vie d’uscita per salvare il salvabile?

RIQUADRO:

Salvatore Mugno vive e lavora a Trapani. Ha pubblicato inchieste giornalistico-giudiziarie (Mauro è vivo; Mecca maledetta); raccolte di suoi racconti (In ogni buco della città); biografie (L’italiettano. Storia umana e giudiziaria di Cizio-Margutte, Mauro Rostagno story. Un’esistenza policroma, Il pornografo del regime. Erotismo e satira di Mameli Barbara); romanzi (Opere terminali, Il biografo di Nick La Rocca, Il pollice in bocca); saggi critica letteraria (Novecento letterario trapanese); traduzioni dal francese dei poeti tunisini Mario Scalesi (Les poèmes d’un Maudit) e Moncef Ghachem (Nouba). L’ultima sua fatica risale a pochi mesi fa: l’edizione italiana de I canti della vita, capolavoro di Abu’l Qasim ash-Shabbi (1909 - 1934), considerato il maggior poeta tunisino del Novecento.
Il mensile “S” (”Il magazine che guarda dentro la cronaca”) esce dal gennaio 2008 ed ha edito, a fianco della rivista, dei volumi monografici in cui alcuni temi vengono ripresi, anche con il corredo di più ampia documentazione. Ultimo della serie: Vincenzo Marannano, Firmato Lo Piccolo. Le carte che hanno inchiodato il superboss, introduzione di Giosué Marino, Novantacento, Palermo 2008, pp. 220, euro 7,90.