mercoledì 22 aprile 2009

Avviso per i lettori - commentatori


Il mio blog ospita commenti di ogni genere, anche - e direi soprattutto - se sono critici nei confronti delle idee esposte.
Mi sembra doveroso, però, avvertire che saranno censurati tutti - e soltanto - gli interventi che:
a) non siano pertinenti con il tema del testo che intendono commentare (capita infatti che alcuni si inseriscano facendo finta di entrare nel dibattito, ma in effetti solo per avere una ‘platea’ a cui parlare);
b) anche se pertinenti, usino - “insieme a” o “al posto di” argomentazioni logiche - formule meramente offensive (non solo nei miei confronti - cosa che mi può dispiacere sino a un certo punto - ma anche nei confronti di terzi). In particolare ciò vale per gli attacchi contro Berlusconi e i suoi complici. Incoraggiati dal tenore dei miei scritti, chiaramente opposti alla logica dell’attuale padrone d’Italia, diversi lettori scrivono sul mio blog invettive aspre contro di lui: ma, a parte il buon gusto (ritengo tale stile troppo ‘berlusconiano’), sono convinto che la furia aggressiva verso il suo sistema di dominio sia solo un modo per distrarsi dal compito principale, che è e resta di impegnarsi quotidianamente e dappertutto affinché i nostri concittadini smettano di dargli democraticamente consenso. Berlusconi è il sintomo, prima che la malattia (anche se, come tutti i sintomi, finisce con l’aggravare la patologia originaria).

domenica 19 aprile 2009

“NON C’E’ LAICITA’ SENZA FEDE”. O, FORSE, L’INVERSO?


“Centonove”
3 aprile 2009

IL SENSO DELL’UDC PER LA FEDE

“Non c’è laicità senza fede”: lo slogan ha campeggiato in vari manifesti tappezzanti i muri di Palermo. Indubbiamente un titolo azzeccato per attirare gli sguardi distratti dei passanti su un convegno organizzato dall’UDC e svoltosi venerdì 27 marzo, anche senza la presenza di alcuni big preannunziati, come ad esempio Totò Cuffaro e Rocco Buttiglione (il quale, forse, è stato scoraggiato da un imbarazzante errore di stampa per cui, accanto al suo nome, si leggeva “conlude” anziché “conclude”. Evidentemente, di altre “con-lusioni”, da quelle parti non se ne avvertiva il bisogno…). Lo slogan capovolge, su un registro paradossale, la tesi molto più comune “non c’è laicità se c’è fede”. Infatti la maggior parte di noi, se intervistata per strada e costretta a pronunziarsi su due piedi, sosterrebbe che là dove c’è fede religiosa, c’è rischio di integralismo, di fondamentalismo, di intolleranza. In realtà, a riflettere più a fondo, lo slogan “non c’è laicità senza fede” può custodire messaggi preziosi.

Almeno due. Il primo messaggio si basa sulla “fede” intesa nel senso ampio, generico, radicale di apertura spregiudicata, di fiducia incondizionata. E’ il senso in cui Kant sosteneva che ogni attività intellettuale presuppone una “fede razionale” nelle possibilità della mente umana: quale scienziato deciderebbe di dedicare l’intera esistenza allo studio dei bruchi o delle stelle se non fosse animato dalla “fede” nella capacità della ragione di conoscere davvero bruchi e stelle, di svelarne i meccanismi nascosti e le relazioni stabili? Similmente, sul piano storico-politico, chi si impegnerebbe per la libertà e per la democrazia se non fosse sostenuto dalla “fede” nella capacità dei propri simili di andare oltre le situazioni di ingiustizia, di oppressione, in cui versa la maggior parte degli abitanti del pianeta?
Un secondo messaggio che lo slogan paradossale dei manifesti dell’UDC potrebbe veicolare si baserebbe su un significato più diffuso del vocabolo: ‘fede’ come fiducia, affidamento, nei confronti di Gesù di Nazareth, il profeta di Galilea in cui i discepoli hanno riconosciuto l’incarnazione della Parola di Dio all’umanità. Anche in questa accezione, “non c’è laicità senza fede”: infatti Egli non era né prete né monaco, ha vissuto da predicatore ‘laico’ ed il suo messaggio - fortemente polemico verso le gerarchie ecclesiastiche del suo tempo - lo portò dritto dritto alla condanna a morte per crocifissione. Gesù il Cristo non ha fondato una nuova religione, ma un nuovo modo di vivere la fede senza apparati dogmatici né censure istituzionali: ha mostrato cosa possa significare vivere laicamente in un regime teocratico.
Purtroppo, in linea con la storia dell’UDC in Italia e in Sicilia, l’interpretazione dello slogan “non c’è laicità senza fede” emersa dalla relazione introduttiva e dalla quasi totalità degli interventi successivi si è rivelata ben diversa dalle due possibili che ho appena evocato. Un’interpretazione che si basa sulla differenza (opinabile, anzi francamente capziosa) fra una “vera” laicità (che si coniuga con una prospettiva religiosa confessionale ’superiore’ ) e una “falsa” laicità (che, in quanto ‘atea’ o indifferente al punto di vista religioso, sarebbe ‘laicismo’). Forse per l’assenza di alcuni esponenti di spicco preannunziati sui manifesti, il convegno ha privilegiato il racconto di esperienze sociali portate avanti da alcuni preti e da alcuni volontari cattolici, accontentandosi di un’accezione ristretta di “laico”: il battezzato che appartiene alla chiesa cattolica ma non è sacerdote. Insomma: alla fin fine, si è ripiegato su un modo poco ‘laico’ di riflettere sulla ‘laicità‘. La quale è, prima di tutto, dubbio, ricerca, curiosità, confronto paritetico: non esclude dunque nulla a priori (né la fede confessionale né l’assenza totale di fede), ospita qualsiasi tesi, ma a patto che venga sottoposta al pubblico dibattito a titolo di ipotesi. Senza laicità, insomma, non c’è né fede né miscredenza: c’è il caparbio dogmatismo di chi impugna la sua fede o la sua miscredenza come clava per imporre agli altri le proprie opzioni culturali e, non di rado, i propri interessi più materiali.

Augusto Cavadi

I GAS (Gruppi di acquisto solidale) in Sicilia


“Centonove”
17 aprile 2009

“E’ meglio accendere una candela che maledire l’oscurità” sostiene un proverbio orientale. In tempi di oscurità accendere una candela può significare attivare nella propria cerchia familiare un cambio di rotta culturale e pratica: diminuire gli sprechi, moltiplicare le occasioni di riposo, di gioia, di convivialità . Ridurre i consumi superflui per incrementare la fruizione della bellezza. Spostare l’occupazione da settori inutili o dannosi verso ambiti che migliorano la qualità della vita (anche se non accrescono il Prodotto interno lordo). In Italia un movimento avviato da Maurizio Pallante, originariamente ispiratosi al francese Serge Latouche, ha dato anche un nome a questo orientamento: “la decrescita felice”. Il termine “decrescita” intende essere costruttivamente provocatorio: presuppone, infatti, che la “crescita” della produzione industriale, dei trasporti nella lunga distanza, dell’inquinamento ecologico non sia un valore da perseguire ciecamente. Presuppone che la merce non è sempre un bene: perché ci sono beni che non si lasciano mercificare e merci che non accrescono il benessere di chi le acquista.

Ma cosa può fare il cittadino comune per provare a realizzare, in concreto, una “decrescita felice”? Un centinaio di produttori e di acquirenti, dopo aver ascoltato sabato 4, nel castello della suggestiva cittadina di Giuliana, le tesi principali dalla viva voce del promotore del movimento, hanno dedicato la giornata successiva a fare il punto su un fenomeno che ormai coinvolge migliaia di siciliani: la diffusione progressiva dei GAS (Gruppi di acquisto solidale). L’idea, come tutte le idee davvero rivoluzionarie, è semplice: un gruppo di famiglie si consorzia, senza nessuna formalità, e si mette in rapporto diretto con uno o più produttori locali per assicurarsi la fornitura settimanale di frutta, verdura, uova, formaggi, olive, olio, cannoli di manna persino… Con una pioggia di conseguenze positive: sul piano economico (si riduce la filiera produttiva e commerciale, tagliando l’intermediazione parassitaria di grossisti e venditori al minuto), sanitario (si può controllare la ‘biologicità‘ dei cibi che si acquistano) ed ecologico (si riduce la massa di autorimorchi che trasportano in Sicilia le arance dell’Andalusia o le mozzarelle del Lazio o l’acqua minerale dal Trentino).
A Palermo e provincia sono già decine i “gruppi di acquisto solidale” che si sono attivati, soprattutto grazie alla sensibilità di produttori delle Madonie: un seme piccolo - rispetto a quanto avviene in altre province come Catania, Caltanissetta e Ragusa - ma promettente. E’ l’avvio di un processo etico e politico. ‘Etico’ perché fondato sulla convinzione che - per riprendere il vecchio Epicuro - “i piaceri veri della vita sono a portata di mano; difficili da raggiungere sono i piaceri falsi”. ‘Politico’ perché valorizza il potere di contrattazione del cittadino non solo in quanto elettore, ma anche in quanto acquirente: “consumo critico” significa, infatti, risparmiare un po’ di soldi nell’immediato; più ancora chiedersi quanto di ciò che si paga una merce serve a pagare il lavoro di chi la produce e quanto, invece, la pubblicità e lo spostamento da un punto all’altro del globo. Molti sono i modi per sognare un futuro diverso, ma uno solo per sperimentarlo: iniziare a costruirlo nel qui e nell’ora.

Augusto Cavadi

mercoledì 15 aprile 2009

A Zerobranco (28 aprile) e a Bassano del Grappa (29 aprile)


Care amiche e amici del Veneto (e immediati dintorni…),
Vi informo (vedi più sotto ed anche in allegato) di una mia incursione ormai prossima nelle zone controllate da voi.
Chi sa che non sia una buona occasione per riabbracciarsi?
Ovviamente vi sarei grato se passaste la notizia a persone potenzialmente interessate che vivono dalle vostre parti.
Ottime cose.
A.

***
Due appuntamenti possibili.
Il primo a Zerobranco (Treviso): martedì 28 aprile, alle 20.45, terrò una conversazione pubblica sul tema “Le disavventure della legalità” (presumibilmente nella sala parrocchiale: comunque il paese è piccolo e la gente…mormora).
Il secondo a Bassano del Grappa (Vicenza): mercoledì 29 aprile, alle 17.30, terrò una discussione pubblica sul tema “E’ possibile credere e pensare?”.
Di questo secondo incontro ho anche una sorta di locandina che incollo qui di seguito.

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L’associazione “Pensieri in gioco” e la Libreria “Palazzo Roberti” organizzano un incontro pubblico sul tema:

E’ possibile credere e pensare?

Introduce e modera Cristina Tura

La discussione sarà avviata da Augusto Cavadi, filosofo consulente, a partire dal suo recente volume “In verità ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani” (Falzea Editore, Reggio Calabria 2009).

Mercoledì 29 aprile ore 17,30

Libreria “Palazzo Roberti” via J. Da Ponte 34 Bassano del Grappa.

giovedì 9 aprile 2009

Auguri ‘laici’ per la pasqua ormai imminente


La morte sembra proprio il nulla che ingoia la vita.
Proprio come nel nulla appaiono precipitare - quando muoiono - amori, amicizie, passioni politiche, estasi estetiche, fremiti erotici, intuizioni folgoranti.
Ma ‘forse’ la morte è come la sera che accoglie il sole per restituirlo ancor più luminoso all’alba.
‘Forse’ è come la terra che accoglie il seme in inverno per farlo fiorire e fruttare nella bella stagione.
‘Forse’ è come il mare che accoglie il nostro appello di speranza in una fragile bottiglia per consegnarlo nelle mani di chi può salvarci.
Se sei credente in Cristo, ti auguro per questa pasqua di vivere con gioia questo ‘forse’, senza trasformarlo con iattanza in un ‘certo che sì’.
Se non sei cristiano, ti auguro per questa pasqua di vivere la tua vita di sempre con maggiore intensità, come se questo ‘forse’ fosse davvero un ‘forse’ e non un ‘certo che no’.

Augusto Cavadi

venerdì 3 aprile 2009

Sprechi pubblici e private ruberie


“Repubblica-Palermo”
3.4.2009

SPRECHI PUBBLICI E PRIVATE RUBERIE

Ve lo sarete chiesto, almeno qualche volta, anche voi: perché - in tempo di recessione - si continuano a sperperare risorse economiche pubbliche? Nelle sedi delle istituzioni regionali come negli uffici delle amministrazioni provinciali; nei locali delle quattro università siciliane come nelle scuole di periferia; negli ospedali come nelle caserme, luci accese di giorno e di notte, caloriferi a primavera in stanze con finestre spalancate, computer perennemente in funzione…Uno dei miei sport preferiti, quando in locali pubblici (a cominciare dagli ambienti in cui lavoro) mi capita di passare davanti a stanze deserte o di usare i servizi igienici, è di spegnere gli interruttori elettrici. Ma perché in questa mini-crociata donchisciottesca mi trovo solo, o quasi? Vinto dalla curiosità, mi sono deciso ad avviare un piccolo sondaggio artigianale. L’usciere della circoscrizione comunale, il bidello del liceo e l’infermiere dell’ospedale civico hanno usato - ovviamente senza saperlo - quasi le stesse parole: “Perché dovremmo preoccuparci di risparmiare energia elettrica? Tanto quelli lì più soldi hanno più se ne mangiano”.

Sul momento la risposta mi è sembrata logica: perché uno che guadagna mille euro al mese dovrebbe preoccuparsi di risparmiare denaro pubblico sapendo di favorire così gli stipendi legali e gli introiti illegali di chi ne guadagna cinquemila o anche più? Ma, riflettendoci un po’ più attentamente, ho trovato nel mio ragionamento qualche falla. La più evidente: come posso condannare come ladro un concittadino che attinge dal patrimonio collettivo in maniera o esagerata (gli emolumenti dei consiglieri regionali, ad esempio) o immorale (i compensi ai consulenti-fantasma di vari enti locali, ad esempio) se, nel mio piccolo, anch’io contribuisco al depauperamento dello stesso patrimonio? La mia indignazione è, come sembra, civica o non piuttosto dettata dal risentimento di chi non è in condizione di rubare altrettanto? Anzi, a essere spietatamente sinceri, la differenza - fra chi sottrae denaro alla cassa pubblica per sé e chi contribuisce a sprecarlo senza intascare nulla - c’è: ma non depone a favore della seconda categoria. I primi, infatti, danneggiano gli altri e ci guadagnano; i secondi danneggiano gli altri, non ci guadagnano nulla e anzi danneggiano anche se stessi e i propri figli (per esempio contribuendo all’inquinamento atmosferico e all’incremento del riscaldamento globale). Non sono un tecnico, ma ho l’impressione che centinaia di migliaia di lampadine, condizionatori d’aria invernali ed estivi, computer… accesi anche senza ragione nella nostra isola incidano in maniera significativa nei bilanci finanziari ed ecologici: chiunque, dirigente amministrativo o addetto alle pulizie, non faccia nulla per attenuare questo spreco di risorse, si priva del diritto morale di denunziare le sperequazioni palesi fra chi sta soffrendo davvero in questa fase recessiva e chi sta solo ritoccando alcuni dettagli secondari del proprio stile di vita. E offre, ai responsabili della spesa pubblica, un alibi in più per giustificare i tagli ai servizi sociali e l’incremento delle tasse.
Forse i cittadini di buon senso si meritano un po’ più che la scelta di convivere o con ladri furbi o con sciuponi idioti.

Augusto Cavadi

giovedì 2 aprile 2009

Storie di alti prelati e gangster romani


“Centonove” 27.3.09

MAFIA INTERNATIONAL

Tra i luoghi comuni più resistenti a proposito di mafia c’è senz’altro la convinzione che si tratti di un fenomeno localizzato, limitato ad alcune zone della Sicilia. Invece la mafia - senz’altro radicata nella nostra regione - ha condizionato e condiziona la storia nazionale in misura difficilmente esagerabile. Una riprova documentata di questa ampiezza d’incidenza storica è offerta dall’ultimo libro di Rita Di Giovacchino, “Storie di alti prelati e gangster romani. I misteri della chiesa di sant’Apollinare e il caso Orlandi” (Fazi editore) che nei giorni scorsi è stato presentato e discusso, nell’auditorium Rai di Palermo, dall’autrice, dal giudice Paci, dai giornalisti La Licata e Amadore nonché dallo storico Marino. Il libro indaga su vicende apparentemente lontane dalla Sicilia, soprattutto sulla misteriosa sparizione - avvenuta il 22 giugno 1983 - della giovane cittadina vaticana quindicenne Emanuela Orlandi: una vicenda irrisolta che nel giugno 2008 è stata rilanciata dalle dichiarazioni spontanee di Sabrina Minardi, amante storica di Enrico de Pedis, uno dei capi della famigerata Banda della Magliana. La signora dichiara che Emanuela è stata allora rapita dal boss su ordine del vescovo Marcinkus e, in un secondo tempo, uccisa e gettata in una betoniera. Le autorità giudiziarie stanno verificando, per quanto possibile dopo un quarto di secolo, la fondatezza delle tardive rivelazioni che però gettano una nuova luce su alcuni dati di fatto incontrovertibili: primo fra tutti che De Pedis, morto assassinato, è stato seppellito proprio in quella chiesa di sant’Apollinare a Roma nei cui pressi si sono perse, a suo tempo, le tracce della ragazza scomparsa.

L’ipotesi dell’autrice, giornalista del “Messaggero” dal 1983, è che il rapimento della Orlandi sia stato il primo passo di una strategia (fallita in itinere) di ricatto affinché la Città del Vaticano si rendesse in qualche modo responsabile dei trecento miliardi di dollari che, secondo gli inquirenti, la mafia siciliana aveva affidato a Roberto Calvi per riciclaggio e investimento speculativo ma che, invece, erano affondati nel buco nero del crack del Banco Ambrosiano. Un disastro finanziario che, secondo Masino Buscetta, sarebbe costato a Calvi la vita stessa. Infatti il noto ‘collaboratore di giustizia’ ha raccontato ai giudici che, trovandosi davanti al televisore quando passava la notizia del suicidio del banchiere sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, Tano Badalamenti gli disse: “Ma quale suicidio, a quello lo hanno ammazzato e Calò c’è dentro fino al collo”. Calò - don Pippo Calò - plenipotenziario a Roma, capitale politica e affaristica, dei palermitani e dei corleonesi, attualmente all’ergastolo in quanto riconosciuto colpevole della strage terroristica del 23 dicembre 1984 (bomba sul treno Napoli - Milano): un altro avvertimento della mafia, questa volta diretto ai tanti esponenti dello Stato italiano - onesti o corrotti - che avessero voluto girare pagina dopo una troppo lunga stagione di intrighi, collusioni e complicità.
Magistrati e storici hanno ancora molto da scavare per rintracciare tutte le connessioni sepolte che hanno legato le cosche mafiose, avvinghiate al territorio di domicilio, con organizzazioni criminali lontane e con pezzi deviati delle istituzioni. E, quando l’oscura fase politica che stiamo attraversando lo consentirà, si potrà affrontare la lotta al sistema di potere mafioso con la consapevolezza che non si tratta di una piaga puntiforme ed isolabile, bensì di una cancrena che inquina il tessuto sociale e morale dell’intera nazione. E, tendenzialmente, della stessa Unione Europea.

Augusto Cavadi