domenica 26 luglio 2009

IL MISTERO DELL’AMORE


Repubblica – Palermo 26.7.09

AUGUSTO CAVADI
Chiedete e non vi sarà dato
Edizioni
Petite Plaisance
Pagine 149
Euro 15

Chiedete e non vi sarà dato: la citazione biblica in negativo - che fa da titolo accattivante a questo breve saggio Per una filosofia (pratica) dell’amore - intende sostenere che dare a vedere di cercare affetto, provoca negli altri diffidenza e distanza. No, non si tratta di uno dei tanti libri che cercano di consolare le pene d’amore o di porvi una soluzione né si parla dell’amore in termini di sentimento romantico (benché un “romanticismo” lieve ci sia e lo si può apprezzare in molte pagine); è piuttosto un’ accurata analisi sul sentimento-azione di “amare” . La lettura di queste pagine dapprima si fa tutto d’un fiato, ma poi si avverte la cura di tornare su vari passi e fermarsi sui concetti-chiave espressi. A cominciare da cosa siano “agape” e ‘eros’ e cosa li leghi - pur nella radicale differenza - in maniera indissolubile. Al di là dei riferimenti teorici, talvolta un po’ difficili da seguire, Cavadi suscita pensieri personali che - sana e bella coincidenza - talvolta si avvicinano alle “conclusioni” di autori che tanto hanno meditato sul tema. Alla fine dei sei brevi capitoli risuonano nella mente le considerazioni più illuminanti: “l’amore non è un problema, ma un mistero”; l’erotismo può essere una “palestra dell’agape”, “l’elenco di coloro che amano gli altri” coincide con la lista di coloro che sono amati da Dio…

Roberta Magno

venerdì 24 luglio 2009

Tre belle giornate a S. Stefano Quisquina: un breve resoconto


Centonove 24.7.09

NOI, STRANO IMPASTO DI ATOMI E SOFFIO VITALE

Che cosa è davvero reale per ciascuno di noi? Per uno la natura che si vede e che si tocca; per un altro i sentimenti che avverte intensamente; per un altro ancora le istituzioni politiche…La risposta che diamo a livello concettuale, di testa, condiziona - lo si sappia o meno - molte scelte di vita: di vita individuale, ma anche di vita sociale. Se riflettiamo su queste ricadute ‘pratiche’ delle nostre teorie filosofiche, potremo non stupirci apprendendo che nei primi giorni di luglio due associazioni palermitane molto sensibili alle tematiche politiche (la Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” ed il CESMI - Centro studi di medicina integrata) abbiano organizzato, presso l’accogliente hotel “Pigna d’oro” sui monti Sicani, una “tre giorni” di riflessione sul tema: “Spirito e/è materia?”.
Ancora più intuibile la legittimità della scelta se si aggiunge che ognuno di noi elabora - più o meno consapevolmente - un’idea di ‘uomo’ all’interno della propria concezione globale della realtà: il nostro modo di pensare l’essere umano (la nostra antropologia) è sempre collegata al nostro modo di concepire l’essere in generale (la nostra ontologia). A meno di serie difficoltà schizofreniche, ci facciamo una concezione del “microcosmo” che siamo all’interno del “macrocosmo” che ci attornia e ci avvolge.

Per queste ragioni è stato importante chiarire come alla domanda fondamentale (in questo senso ‘metafiisca’) “che cosa intendiamo quando diciamo materia o spirito?”, la tradizione filosofica occidentale ha offerto una gamma di risposte differenziate che vanno dal materialismo di un d’Holbach all’immaterialismo di un Berkeley. Come ha scritto con la solita ironia Bertarnd Russell, “tutti sanno che ’spirito’ è ciò di cui un idealista dice che esiste esso solo e nient’altro, e che la ‘materia’ è ciò di cui un materialista pensa la stessa cosa”. Probabilmente, però, questo aut-aut è solo l’ingombrante eredità del dualismo cartesiano, da cui l’uomo occidentale sta faticosamente cercando di emanciparsi. Cartesio, come è noto, contrapponeva la res cogitans (la realtà pensante, immateriale) alla res extensa (la realtà estesa, materiale): ma sottovalutando il fatto che, in ogni caso, di res (realtà, essere) si tratta. Una realtà, un essere che si dispiega in maniera analoga su livelli di crescente organizzazione, armonia, informazione: e che a noi non si dà mai né allo stato di pura ‘cosa’ senza idea né di pura ‘idea’ senza una qualche ‘cosità‘ (i fisici ci vanno spiegando meglio, di decennio in decennio, in cosa consista davvero tale ‘cosità‘). Esiste una materia che non è strutturata da nessun software? Esiste una Intelligenza trascendente che non è supportata da nessun hardware? Domande lecite e intriganti, ma che possono essere affrontate solo partendo da ciò che è certo perché evidente: l’essere che noi siamo e che ci abbraccia da ogni lato è un impasto inscindibile di hardware e di software. Le ‘cose’ belle (corpi naturali o opere d’arte che siano) rendono quasi palpabile l’impossibilità di separare la dimensione ‘bruta’ della materialità dalla dimensione ‘formale’ che la permea e la plasma.
All’interno di questa prospettiva globale sull’essere-in-generale, anche il caso particolare dell’essere-umano andrebbe re-impostato in maniera nuova (o tanto antica da risultare nuova): chiedendosi non se l’uomo ha un’anima, ma di che tipo è l’anima che l’uomo è. Aristotelicamente, infatti, è ovvio che ogni vivente sia tale in quanto vivificato da un principio vitale: da determinare soltanto, di caso in caso, quali ‘funzioni’ (se solo vegetative o anche sensitive o addirittura intellettive) una determinata ‘psyché’ è in grado di espletare.
In ogni caso, il pensiero filosofico contemporaneo sta cercando di recuperare una visione unitaria del vivente umano: in qualche caso sostenuto dalle ricerche filologiche ed esegetiche (che hanno messo in luce come la Bibbia non conosca nessuna forma di dualismo) o da intuizioni poetiche come nei versi di A. Philippe : “Ti ho troppo amato per accettare che il tuo corpo scompaia e proclamare che basta la tua anima e che essa vive. E poi, come fare a separarli, per dire: questa è la tua anima, questo è il tuo corpo? Il tuo sorriso, il tuo sguardo, il tuo comportamento e la tua voce erano materia o spirito? L’uno e l’altro ma inseparabili”.
Pur convergendo in una prospettiva unitaria, i relatori ospiti del seminario hanno rappresentato posizioni teoriche differenziate. Michele Ernandes, docente di biologia e membro della sezione siciliana dell’Unione Atei e Razionalisti Agnostici, ha sviluppato con coerenza logica inesorabile l’assunto di Feuerbach “l’uomo è ciò che mangia”: senza risparmiare interessanti dettagli anatomici e fisiologici, ha evidenziato i nessi - per lui evidenti - fra la struttura biologica, l’ambiente fisico e la produzione simbolica di ogni popolazione. Alberto Giovanni Biuso, docente di filosofia della mente all’università di Catania, pur insistendo sulla struttura essenzialmente corporea dell’essere umano, ne ha sottolineato la capacità di creare segni intelligibili e di comunicare: capacità propria di un “dispositivo semantico”. Carmelo Samonà, medico appassionato di antroposofia, ha preferito rimarcare - pur nella totalità dell’esistenza umana - la irriducibilità fenomenologica della mente e del cervello: noi ci percepiamo pensanti mediante la massa cerebrale, non ci percepiamo sic et simpliciter come massa cerebrale.
Impossibile sintetizzare in poche righe ciò che ogni partecipante ha ritenuto di poter mettere nello zaino. Solo arbitrariamente si potrebbero evocare alcuni ‘guadagni’. Prima di tutto la riprova che domande filosofiche come “che cosa intendiamo quando diciamo corpo o mente?” sembrano - a prima vista - astratte nel senso deteriore del termine, lontane dalla concretezza della vita quotidiana; ma, in realtà, ciò che pensiamo su cosa sia davvero reale (nell’universo e nella nostra soggettività) comporta delle conseguenze molto precise e molto tangibili sul nostro modo di vivere come persone e come società. Inoltre si è toccata con mano la falsità dell’equazione (volgare) di pensiero materialistico e condotta di vita reprensibile: si può pensare di essere ’solo’ materia e comportarsi in maniera eticamente ineccepibile, proprio come è possibile rivendicare istanze di trascendenza ’spirituale’ e comportarsi in maniera meno che bestiale. Ancora: ogni discorso sull’uomo va inserito in un contesto cosmo-centrico, lasciandosi definitivamente alle spalle il delirio antropocentrico di chi si illudesse che la coscienza umana possa dare senso al mondo - e non piuttosto, se mai, riceverlo da esso in dono precario. Ma, soprattutto, l’esperienza di una convivenza serena fra trenta persone provenienti da ‘luoghi’ (non solo geografici) disparati ha confermato quanto radicata e diffusa dia l’esigenza di un confronto riflessivo fra le persone. L’assetto sociale attuale sembra offrire solo chiassosi talk-show o monotone liturgie in cui si sa già sin dall’inzio che cosa il guru dirà: ma forse più cittadini di quanto si sospetti desiderano abitare spazi di dialettica costruttiva, senza liti né riti, in cui ciascuno possa essere se stesso e sperimentare il prodigio di un ascolto attento e cordiale da parte degli altri convitati. Una società più vivibile è anche una società dove si possano scambiare le proprie convinzioni con semplicità di linguaggio, rigore delle argomentazioni e soprattutto assoluto rispetto interpersonale, in modo che ciascuno, pur senza intenti apologetici o proselitistici, abbia modo di esporre con calma il proprio punto di vista.

Augusto Cavadi

giovedì 23 luglio 2009

Prossimi appuntamenti: Addaura o Marsala


In occasione della pubblicazione della traduzione in russo del mio “La mafia spiegata ai turisti” (Di Girolamo, Trapani 2009; presso lo stesso editore disponibili anche le edizioni italiana, francese, spagnola, inglese, tedesca e giapponese), RECITAL MUSICATO di Rosalia Billeci (voce) e Michele Orlando (chitarra) sulla base del mio ‘pizzino della legalità‘ edito da Salvatore Coppola (Trapani 2008) con il titolo “Come posso fare di mio figlio un uomo d’onore?”.
L’evento è previsto per le ore 19 di mercoledì 22 luglio presso il Punto mare del Circolo del Tennis all’Addaura (Palermo) e, il giorno dopo, sempre alle ore 19, presso la vinoteca “Sorsi e morsi” di Marsala (Trapani).

Sulla condanna in primo grado di don Turturro per pedofilia


IL MONDO CATTOLICO E DON TURTURRO
“Repubblica - Palermo”
23 luglio 2009

Per chi lo ha conosciuto, per chi ha avuto modo - anche solo occasionalmente - di collaborare con lui in iniziative di promozione umana e di contrasto alla mentalità violenta in genere, e mafiosa in specie, è una pessima notizia: don Paolo Turturro è stato condannato in primo grado a sei anni e mezzo di reclusione per violenza sessuale su minori. Come tutti i cittadini, avrà la possibilità di ricorrere in appello per un secondo grado di giudizio; ma - sino a sentenza contraria - è da considerare, per la legge italiana, colpevole.
Nello smarrimento, intriso di stupore e di dolore, delle migliaia di persone (non soltanto cattoliche) che a vario titolo hanno frequentato queste prete pugliese che ha adottato Palermo come sua città di apostolato, sarebbe importante non perdere alcuni criteri di riferimento.
Il primo è, per così dire, interno alla prospettiva religiosa. Chi ha una fede autentica (e sull’autenticità della propria fede solo Dio è competente a decidere) può accogliere le condanne della giustizia umana con una serenità duplice: come prove purificatrici se errate, come occasione di redenzione se fondate. Quando, come è avvenuto in città in casi analoghi, preti e fedeli hanno platealmente rifiutato la legittimità delle sentenze giudiziarie, hanno mostrato di essere non solo cittadini poco leali ma anche credenti poco fiduciosi.

Il secondo criterio è di portata più ampia: riguarda tutto il più vasto movimento antimafia. Chi si impegna contro il dominio mafioso merita riconoscimento, stima e gratitudine; ma nessun merito in un determinato settore della propria vita può esonerarci da rispettare le regole in altri settori. La tentazione di farsi scudo del proprio (sincero) rifiuto delle logiche criminali per mascherare inadempienze, responsabilità, ambizioni è stata ed è forte: ma va tenacemente estirpata. Se sei un prete o un insegnante o un magistrato o un poliziotto o un giornalista schierato dalla parte giusta, non significa che critiche ed accuse ti vengano addebitate per il tuo impegno antimafia e non per errori effettivi, oggettivi. L’effetto ‘alone’ di cui si occupa la psicologia sociale è sempre deformante: sia quando porta a denigrare un’intera personalità per certi suoi difetti parziali, sia quando porta ad esaltarla per alcuni pregi reali ma settoriali.
Un terzo criterio, da non smarrire in momenti di sconforto come questo, è che il disappunto per la condanna di un personaggio ‘celebre’ deve sempre accompagnarsi, nella nostra valutazione razionale e direi anche sentimentale, con la consolazione che viviamo in un sistema socio-politico e giuridico in cui la legge viene ancora applicata imparzialmente. Senza privilegi di nessuna sorta. Neppure - e nel clima di peloso clericalismo miscredente attuale non è da sottovalutare - a favore di un esponente di punta della Chiesa cattolica. Non solo a Berlino, ma anche a Palermo c’è ancora un giudice che - forse sbagliando, certamente in obbedienza alla propria coscienza morale - osa sfidare l’impopolarità. C’è un giudice - anzi, ce ne sono tre - che in nome della laicità della Repubblica riconosce doverose “attenuanti generiche” a un ministro di culto, senza trasformarle in colpo di spugna: senza assecondare il pregiudizio (ancora radicato e vigoroso) per cui all’interno dei recinti istituzionali ‘cattolici’ debbano essere ’sospese’ le norme valevoli in tutto il resto del territorio nazionale. Se il mondo cattolico vuole adesso raccogliersi in preghiera, non sarà una cattiva idea: non per pregare ‘contro’ qualche funzionario o qualche istituzione dell’ordinamento statale, ma per chiedere a don Turturro il soccorso della grazia divina e a sé stesso la luce per riflettere autocriticamente sulla possibile valenza criminogena di regolamenti ‘interni’ (quali l’obbligo del celibato ecclesiastico) che con il vangelo di Gesù di Nazareth hanno poco, o nulla, a spartire.
Augusto Cavadi

sabato 18 luglio 2009

Ancora un intervento su filosofia e psicologia


“AUPI”
Bollettino ufficiale dell’Associazione Unitaria Psicologi Italiani

2009/2

Il filosofo consulente: un concorrente o un alleato?

Ho letto con estremo interesse l’articolo di Giorgio Blandino Psicologi o badanti? Necessità della formazione storico-filosofica degli psicologi (su “Link” di luglio 2008, 12, pp. 12 - 21). Se possono essere utili alcune considerazioni di un non addetto ai lavori (non mi considero infatti uno psicologo: ho occupato - ormai decenni fa e, per giunta, brevemente - una cattedra nelle scuole secondarie superiori di pedagogia, psicologia e scienze umane), sarei lieto di condividerle con l’autore e con i lettori (tutti psicologi di professione).
Cosa sostiene, in buona sostanza, il Presidente del Corso di laurea in Scienze e tecniche psicologiche dell’Università di Torino? Che “la psicologia attraversa un momento che, ad essere benevoli, possiamo definire problematico”. Un fatto “decisivo” viene individuato in “due gravi lacune” nella formazione di base degli psicologi: “in primo luogo, la quasi totale carenza di prospettiva storica nello studio della psicologia delle sue varie teorie metodi correnti e tecniche; in secondo luogo la scarsissima possibilità di spazi di riflessione, a partire da quella filosofica”. Sulla prima “carenza” l’autore osserva: “Se non si guarda a ciò che è stato pensato prima, al presente e al futuro della nostra scienza e dell’operare quotidiano dello psicologo, si riproducono soltanto ristretti, miopi, meri tecnicismi privi di quel respiro filosofico che dà senso e nobilita una scienza e una professione”. Quanto alla “seconda carenza”, l’autore nota: “Modelli di intervento clinico e psicoterapeutico, individuale, gruppale e sociale, non sono solo apparentemente derivati operativi da teorie e ricerche, ma implicano, consapevolmente o inconsapevolmente, direttamente o indirettamente, esplicitamente o implicitamente, modelli di riferimento filosofici, in particolare etici, ovvero concezioni dell’uomo. Se uno psicologo o uno psicoterapeuta non è consapevole di questi problemi svolge, a mio modo di vedere, un lavoro che è, solo apparentemente, terapeutico. Peraltro, è significativo che i più profondi pensatori in ambito psicologico e in particolare quelli in ambito psicoanalitico, da Freud a Jung, da Fromm a Money-Kyrle a Bion ecc., finiscano, negli esiti ultimi della loro ricerca, per fare della filosofia”. Non tener conto di queste connessioni con il patrimonio filosofico dell’umanità riduce “l’operare psicologico a qualcosa di meccanico, quando non manipolatorio”.

Diagnosi e terapia sembrano a me, filosofo di professione, ineccepibili. E non posso non rilevare con soddisfazione come siano mutate, in pochi decenni, le atmosfere culturali: dai tempi, ad esempio, in cui Victor Frankl, padre della logoterapia, doveva nascondere la laurea in filosofia e rivelare solo la laurea in medicina perché - sosteneva ironicamente - la gente non direbbe: “Che bravo il dottor Frankl che è sia filosofo sia medico” bensì: “Come fidarsi davvero di uno che è mezzo filosofo e mezzo medico? “. Subito dopo il prof. Blandino aggiunge, quasi en passant, una considerazione sulla quale vorrei soffermarmi brevemente: “In tal caso non ci dobbiamo poi lamentare, come psicologi, se ci troviamo a dover fare i conti (subire perfino) la concorrenza, più o meno in buona fede, della cosiddetta consulenza filosofica. (…) E’ proprio perché troppo spesso la psicologia si appiattisce su pratiche di tipo quasi meramente riabilitativo che compaiono in scena i ‘filosofi consulenti ‘ i quali intendono coprire il vuoto di senso spesso trascurato dagli interventi psicologici in un modo, se vogliamo, anche discutibile, ma non liquidabile a partire da posizioni di rivendicazione corporativa della serie ‘esercizio abusivo della professione psicologica ‘ . Non si tratta dunque tanto di polemizzare con pratiche simili o contigue, come ad esempio quelle dei vari tipi di counselling per i problemi più svariati. ma di essere capaci noi di dare delle risposte più articolate e complesse, più profonde di quanto non si faccia ora”.
Cosa vorrei osservare in proposito?
Innanzitutto, sul piano dei fatti, che Blandino ha due volte ragione. Sia perché la fortuna del philosophical counseling è direttamente proporzionale agli insuccessi degli approcci psicoterapeutici e neuropsichiatrici sia perché su questa situazione ‘oggettiva’ fanno leva, programmaticamente ed intenzionalmente, molti consulenti filosofici nel mondo (basti citare solo il titolo del più fortunato libro di Marinoff Platone è meglio del Prozac) e in Italia (dove due delle maggiori associazioni di consulenti filosofici, la “Sicof” di Torino e la “Psicofilosofia” di Genova, puntano proprio sulla necessità di integrare la psicologia con l’utilizzazione di strumenti mutuati dalla filosofia). Ma il quadro è un po’ più complesso. Esiste infatti in Italia (con sede legale a Roma e sezioni in molte regioni) una terza associazione di consulenti filosofici, “Phronesis”, che ritiene questa concezione della consulenza filosofica sia infedele al progetto originario della Philosophische Praxis di Gerd Achenbach sia - ciò che più rileva - meno teoreticamente fondata e meno praticamente efficace. Perché? Non sono in grado di sintetizzare in poche battute un discorso molto più ampio e articolato che però, quanti oggi si pronunziano a favore o contro la consulenza filosofica, avrebbero - a mio sommesso avviso - il dovere intellettuale ineludibile di conoscere almeno per sommi capi. Mi limito dunque, quasi telegraficamente, a quattro o cinque considerazioni principali.
a) La filosofia è nata come libero esercizio del pensiero e non può essere finalizzata - a meno di snaturarla - a nessun obiettivo (per quanto nobile come la diffusione di una fede, la promozione di un progetto politico o la guarigione dai mali morali dell’umanità). Dunque è possibile, legittimo ed anzi auspicabile che altri scienziati (nel nostro caso gli psicologi) usino la filosofia per integrare ed arricchire le proprie metodiche: ma qualsiasi utilizzazione tecnica della filosofia è vietata ai filosofi di professione.
b) Se la consulenza filosofica, in quanto filosofica, non persegue nessun obiettivo tecnico-utilitaristico, ciò non esclude che, mantenendosi fedele alla propria identità di conversazione in ricerca del vero e del senso, essa possa avere come effetto collaterale (desiderabile) delle ricadute positive per la ’salute’ (nell’accezione, ovviamente, piena e integrale) dei soggetti filosofanti.
c) La consulenza filosofica non è dunque una concorrente di nessun’altra professione: meno che mai della professione degli psicologi. Essi faranno bene ad ascoltare il saggio suggerimento del loro collega Blandino e a rinfrescarsi ( o a farsi per la prima volta) una cultura filosofica: ma, a meno di cambiare mestiere, psicologi sono e psicologi resteranno. Saranno cioè gli esperti dei sentimenti, delle emozioni, dell’inconscio: di tutta quella sfera pre- (o extra- o super-) razionale su cui i filosofi in quanto tali non hanno particolare competenza. Come nessuna preparazione psicologica potrà evitare (in casi più o meno frequenti) all’ospite di un consulente filosofico di avere bisogno di un’assistenza psicoterapeutica professionale da parte di uno psicologo, così nessuna preparazione filosofica potrà evitare (in casi più o meno frequenti) al paziente di uno psicoterapeuta di avere bisogno di un’assistenza filosofica. Cioè di voler confrontare, nel dialogo, la propria visione-del-mondo con qualcuno che passa la vita a studiare le visioni-del-mondo, a individuarne le coerenze e le falle, i punti di contatto con la realtà e gli aspetti fantasiosi e illusori.
Solo un esempio, tratto da una storia realmente accaduta, per spiegare questa prospettiva sul rapporto dialettico fra psicologia e filosofia. Una signora americana trapiantata in Italia ama il marito cinquantacinquenne e ne è riamata, ma avverte fortemente l’attrazione sessuale per i giovanotti “aitanti” sui trent’anni. Come può aiutarla uno psicoterapeuta? Non può certo diagnosticarle una patologia perché ai cinquantacinquenni ’sani’ di ogni sesso accade di avvertire il fascino delle persone più giovani se piacenti. Se mai, patologico sarebbe se ciò non accadesse. Può forse risalire ad alcune vicende infantili o ad alcuni aspetti temperamentali o ad alcune vicende sentimentali pregresse che ’spiegano’ più dettagliatamente, nel concreto, perché la signora sia così sensibile al sex appeal dei giovanotti: ma, spiegate la genesi e magari anche le modalità del dato di fatto, si apre la questione di come gestire tale dato. Entro quale progetto di vita complessivo inserire le proprie inclinazioni sessuali? Che posto dare ad esse nella propria scala di valori? Come poter sottoporre ad esame critico i propri criteri di giudizio etico? Ecco altrettante questioni di tenore squisitamente filosofico-sapienziale sulle quali nessuno psicoterapeuta, in quanto tale, ha competenze da spendere. Può darsi allora che la signora sia nella tipica situazione di chi desidera un dialogo con qualcuno, esperto in filosofia e lui stesso almeno germinalmente filosofo, non per ricevere passivamente ‘consigli’ o ancor meno ‘direttive’, ma per essere aiutata a capire cosa davvero ritiene più saggio decidere. In questa fase due, o stadio meta-riflessivo, la signora si è posta sul terreno meramente filosofico. Può darsi che ella arrivi alla conclusione di dover censurare drasticamente come peccaminosa o comunque intollerabili questa sua propensione (e magari deciderà opportunamente di chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta sugli accorgimenti tecnici più adatti a sradicarla); oppure alla conclusione di assecondare senza problemi di coscienza ogni desiderio sessuale, tutte le volte che ciò è possibile senza minacciare né il proprio benessere sanitario né la tranquillità del menage coniugale; oppure, ancora, alla conclusione di gestire - parlandone col marito - le proprie pulsioni in modo da canalizzarle all’interno del rapporto di coppia matrimoniale…Purtroppo, come notava Hegel, mentre chi vuol fare il calzolaio non si sogna di improvvisarsi tale ma si sottopone pazientemente a lunghi anni di apprendistato, chi fa filosofia (e ancor più chi fa filosofia consulenziale) pensa di potersi improvvisare filosofo, anche se non ha letto una riga di filosofia (e ancor meno di filosofia-in-pratica) e, di mestiere, è calzolaio o psicologo. Non si tratta infatti di suggerire libri da leggere né di distribuire massime e adagi tratti dalla tradizione filosofica e applicati come ‘pillole’ a chi bussa alla porta dei nostri studi: si tratta di mettere in opera una consuetudine pluriennale con i ragionamenti filosofici, con le diatribe dialettiche. con gli approfondimenti meditativi tematici, quale solo un filosofo di professione può - ordinariamente - maturare.
d) Se tutto questo è vero, si capisce perché il movimento internazionale che fa capo ai vari Achenbach, Lahav, Rushmann - e che in Italia è rappresentato da Pollastri, Miccione, Zampieri, Giacometti, Basili, Dal Palo, Sesino, Regina, Montanari e me (per limitarci ad alcuni filosofi di cui è più facile procurarsi gli scritti) - non riesce a vedere negli psicoterapeuti dei potenziali concorrenti ma, se mai, là dove fosse necessario, dei preziosi alleati. Il pane non è alternativo rispetto all’acqua: risponde a bisogni diversi. Di solito i viventi abbiamo bisogno di cibo e di acqua: e sarebbe un gran bel risultato se acquaioli e panettieri impiegassero il breve tempo della vita mortale a procurare acqua sempre più dissetante e pane sempre più nutriente, anziché a litigare .

Augusto Cavadi

venerdì 17 luglio 2009

Intervista su www.percorsidipensiero.blogspot.com


- Professor Cavadi, Lei costituisce un’importante testimonianza di come una persona possa coniugare l’attività nell’ambito dell’insegnamento scolastico con la presenza in altri spazi che necessitano di una maggiore attenzione,: spazi in cui sa che il sapere può accedere con una certa delicatezza ed in cui è necessario intervenire anche mediante sensibilità filosofica. Cosa ci può raccontare di questa duplice esperienza? Ci parli un po’ di lei…
- * In effetti, quando a diciotto anni ho deciso di iscrivermi in filosofia, non sapevo come avrei speso la laurea: sapevo solo che avrei speso la vita a cercare di capire il mondo e a confrontarmi con chi altri avesse voluto in futuro condividere la mia ricerca. La scuola è stata dunque una delle mille occasioni per filosofare: accanto ad altri luoghi - esistenti o da me inventati - per incontrare gente e pensare insieme. Alcuni anni fa ho raccontato alcune di queste esperienze in un libro, edito dalla Rubbettino di Soveria Mannelli (Catanzaro): “Quando ha problemi chi è sano di mente”. Se qualcuno è interessato alla mia vicenda, per la verità abbastanza ‘normale’, può trovarlo facilmente ancora in commercio.

- So che si è occupato di lotta alla mafia. Ci può esprimere una sua weltanschauung in merito, cioè dirci che cosa è la mafia?
- * Vedo che non hai preparato domandine facili facili… In realtà, uno dei luoghi in cui sono stato indotto dalle circostanze storiche ad esercitare la riflessione critica è stato il movimento siciliano antimafia. Con l’apporto decisivo di Umberto Santino e del Centro siciliano di documentazione “G. Impastato” , fondato da lui e dalla moglie Anna Puglisi, ho cercato di capire cosa sia la mafia al di là degli stereotipi, arrivando alla conclusione che si tratti di un’associazione di criminali che mirano al potere e al denaro mediante il bastone (la violenza fisica) e la carota (il consenso sociale). E’ ovvio che questo è possibile per loro in quanto sfruttano abilmente un codice culturale che è teologico, filosofico, etico, pedagogico, simbolico…Anche su questi argomenti ho scritto abbastanza e sarei felice se qualche lettore interessato leggesse “A scuola di antimafia” o “Strappare una generazione alla mafia”, entrambi editi da un coraggioso editore trapanese, Crispino Di Girolamo. Chi avesse solo pochi minuti da dedicare a queste tematiche potrebbe trovare, presso lo stesso editore, un agile volumetto propedeutico che ho scritto nel 2008 e che è acquistabile anche in altre sei lingue (inglese, francese, spagnolo, tedesco, giapponese e russo): “La mafia spiegata ai turisti”.

- Lei ha vissuto gli anni storici della mafia – anni duri - l’uccisione di Falcone e Borsellino ha costituito la fine di un periodo e allo stesso l’inizio di uno nuovo. Ci può raccontare cosa è scomparso di quegli anni e cosa è rimasto?
- * Veramente non ho l’impressione che le stragi di Capaci e di via D’Amelio abbiano segnato una linea di demarcazione così netta. Prima di loro, dagli anni Sessanta del XIX secolo, centinaia di siciliani hanno perduto la vita combattendo la mafia e Umberto Santino ha voluto raccontare nei suoi libri questa storia dimenticata (recentemente l’ha sintetizzata nel libro, edito anche questo da Di Girolamo, “Breve storia della mafia e dell’antimafia”). E’ vero che il 1992 ha accelerato certi processi legislativi e sbloccato certe pigrizie giudiziarie, ma non c’è da farsi molte illusioni. La lotta continua, ma siamo a metà del guado: ci sono tante possibilità di arrivare all’altra riva quante di tornare, ignominosamente e disastrosamente, indietro.

- La mafia in termini di comportamento, di mentalità, di modo d’essere, è sempre la stessa o nel tempo ha cambiato volto, habitus mentale e quindi modi di porsi nei confronti del cittadino, società e Stato?
- * Il segreto della sua forza è di mantenere una identità sostanziale pur nella continua trasformazione delle modalità concrete in cui si manifesta. E’ un fenomeno incistato nel tessuto socio-storico: e dunque sottoposto alle stesse evoluzioni - o involuzioni, secondo i casi - della società siciliana.

- Cosa può fare la filosofia per queste realtà così lontane dalle Università?
- * Quello che ha sempre fatto quando è stata davvero filosofia e non esclusivamente erudizione storiografica o gusto dell’inventiva paradossale: risvegliare il piacere - e più radicalmente l’esigenza - di pensare con la propria testa, senza lasciarsi omologare dalle maggioranze di turno. Che assai raramente hanno ragione.

- Lei è inoltre uno dei promotori della Consulenza filosofica. Ci può dire di cosa si tratta?
- * Vedo la consulenza filosofica come una delle ‘pratiche filosofiche’: tutte quante, poi, le interpreto come modi analogici di attuare la filosofia-in-pratica o, come ama esprimersi in tedesco Gerd Achenbach, la philosophische praxis. Chi vuole avere un’idea di ciò che stiamo provando a sperimentare in Italia può leggere con profitto Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni (Di Girolamo, Trapani 2008), testo che abbiamo scritto in dieci autori e che l’editore ha pubblicato anche in lingua inglese per consentirgli una più vasta diffusione planetaria.

- Spesso si dice che dal Consulente ci va una persona sana, mentre da uno psicanalista uno malato. Ciò costituirebbe una delle differenze essenziali che scaturiscono da un modo di intendere le due pratiche. Spesso però, dagli psicoanalisti ci vanno persone che svolgono una vita normale, hanno lavoro, famiglia, o magari praticano ottimi studi universitari. E ancor più spesso non c’è una medicalizzazione, un categorizzare i pazienti attraverso le classiche impostazioni psicopatologiche. Ma allora mi chiedo: dove è la vera differenza tra le due discipline? E ancora: perché una persona dovrebbe recarsi dal consulente filosofico e non dallo psicoanalista? Quale novità, quale alternativa offre alla persona?
- * Ho dedicato, dal 2006 al 2009, tre anni di riflessione su questi argomenti, approfittando di un dottorato di ricerca in filosofia presso la stessa facoltà universitaria da cui ero uscito quasi trenta anni prima. A breve la tesi finale uscirà come volume - sempre con il mio amico Di Girolamo - e sarà intitolata Filosofia di strada. La filosofia-in-pratica e le sue pratiche. Qui cerco di stemperare più che posso la tensione polemica fra psicoterapie e consulenza filosofica, ma non al punto da cancellare la differenza radicale: dallo psicoterapeuta vado per sentirmi meglio, dal filosofo per pensare meglio. Se pensare meglio mi fa stare meglio, bene; ma non posso escludere, a priori, che ciò non avvenga. O, addirittura, che avvenga il contrario. Hegel ci ha avvertito una volta e per sempre: la filosofia non deve essere consolatrice a tutti i costi. Per questo - se uno ha tempo e soldi - farebbe bene a frequentare un buon psicoterapeuta e un buon filosofo; se non ha a portata di mano né uno né l’altro, fa meglio a dedicare un po’ di cura a sé stesso con l’aiuto di qualche buon libro (di psicologia e di filosofia) e con qualche persona di buon senso disposta a dialogare con sincerità.

- Nietzsche intitolò uno dei testi principali “Come si diventa ciò che si è” e scrisse anche “Diventa ciò che sei”. È questo uno dei compiti del consulente filosofico? Glielo chiedo perché, se così fosse, vedrei una contraddizione: da una parte il consulente filosofico dovrebbe aiutare la persona a seguire le proprie inclinazioni; ma dall’altra dovrebbe trasmettere una propria visione della vita buona. Come conciliare, se vanno conciliati, questi due compiti? Oppure, per dirla con Rawls, un filosofo dovrebbe astenersi dal valutare e consigliare un modello, ad esempio, di virtù a cui può il consultante possa aderire? Per dirla in altri termini: la filosofia coltiva valori che poi tramanda a chi si accosta ad essa (ad esempio, in questo caso, mediante un consulente al consultante) o è relativista e si astiene dal consigliare ed indagare cosa sia la vita buona?
- * Anche questa è una domanda enorme, imbarazzante. Provo a rispondere in poche battute: il filosofo consulente non è un educatore, un pedagogo, del suo ospite. E’ un compagno di ricerca. Può presentargli un ventaglio di scenari, di possibili prospettive etiche; ma, in ultima analisi, è il visitatore che deve meditare, confrontarsi, scegliere. La riuscita di una consulenza filosofica non si misura - mi pare - dai contenuti, dal merito delle conclusioni; bensì dalla loro qualità, dal metodo con cui si raggiungono. Come filosofo credo di sapere cosa sia giusto e cosa sbagliato, ma quando apro la porta del mio studio ad un cliente devo essere disposto a rimettere in discussione le mie convinzioni e a ricominciare tutto da zero. A conclusione della conversazione - o della serie di conversazioni - è importante non ciò che ognuno di noi penserà, ma che ognuno di noi pensi con autenticità ciò che pensa. Questo è relativismo? Non ne sono convinto. E’ senso della propria non-assolutezza. E non mi pare il peggiore dei difetti possibili.

- Ci può dire qualcosa sui “caffè filosofici”? Cosa si fa ? Come si dirige? Chi partecipa? Qual è il fine?
- * Di tutte le pratiche filosofiche che racconto nei libri sopra evocati - dalle cenette filosofiche per…non filosofi alle “domeniche di chi non ha chiesa”, dalle vacanze filosofiche estive alle sessioni di pratica filosofica per piccole comunità di ricerca -, i café-philò sono quelli che pratico di meno perché ho avuto esperienze non molto entusiasmanti. Se non si spiega bene che si tratta di uno spazio per filosofare, il rischio che si riduca ad un luogo di chiacchiera è molto alto. I discorsi di filosofia in un ‘caffé’ devono avere certo una dimensione di spontaneità, di rilassatezza, di accessibilità refrattaria ai tecnicismi del linguaggio e agli esibizionismi delle citazioni dotte: ma devono essere qualcosa di più che “discorsi da… caffé”.

Andrea Cati

Domenica 19 luglio alle 21,30 a Campofelice di Roccella


Comunicato-stampa

La mafia fuori dai luoghi comuni

Domenica 19 luglio alle ore 21,30, nella piazza di Campofelice di Roccella, sarà presentata la traduzione in russo del volumetto di Augusto Cavadi, La mafia spiegata ai turisti, Di Girolamo editore (pp. 58, euro 5,90). L’agile libretto - in cui si cerca di presentare ai turisti la mafia oltre i pregiudizi e i luoghi comuni - è già in commercio in sei lingue: italiano, francese, spagnolo, inglese, tedesco e giapponese.
Ne discuteranno con l’autore l’ex-presidente della Commissione parlamentare antimafia Giuseppe Lumia, il prof. Antonio Franco e il neo-europarlamentare Rosario Crocetta. L’incontro - moderato da Filippo Di Carlo della rivista “Espero” - si concluderà con un recital musicato dell’attrice Rosalia Billeci e del chitarrista Michele Orlando, sulla base del “pizzino della legalità” Come fare di mio figlio un uomo d’onore? (edizioni Salvatore Coppola).

mercoledì 15 luglio 2009

Al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano



LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA

Supplemento domenicale de “La nonviolenza e’ in cammino”

Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it


Numero 224 del 12 luglio 2009



In questo numero:

1. Clara Sereni: Al Presidente della Repubblica

2. Augusto Cavadi: Un quiz non particolarmente difficile

3. Consulta delle Cittadine del Comune di Venezia: Una raccomandazione al
Consiglio Comunale

4. Agnese Ginocchio: Al Presidente della Repubblica

5. Arianna Marullo: Al Presidente della Repubblica

6. Nadia Neri: Non rassegnarci

7. Primo Levi: Shema’

8. Primo Levi: Alzarsi

9. Primo Levi: Si immagini ora un uomo

10. Primo Levi: Che appunto perche’…

11. Primo Levi: Verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945

12. Primo Levi: Hurbinek

13. Primo Levi: Approdo

14. Primo Levi: La bambina di Pompei

15. Primo Levi: Non ci sono demoni…

16. Primo Levi: Partigia

17. Primo Levi: Il superstite

18. Primo Levi: Contro il dolore

19. Primo Levi: Canto dei morti invano

20. Primo Levi: Agli amici

21. Primo Levi: La vergogna del mondo

22. Primo Levi: Il nocciolo di quanto abbiamo da dire

23. Ordine del giorno da proporre all’approvazione delle assemblee elettive
(Comuni, Province, Regioni, etc.)

24. Ogni persona di retto sentire, ogni associazione democratica, ogni
istituzione fedele alla Costituzione scriva al Presidente della Repubblica
per confortarlo e sostenerlo nella difesa nitida e intransigente della
legalita’ e dell’umanita’ contro la violenza razzista e squadrista

(…) *************************************************************** 




2. UNA SOLA UMANITA’. AUGUSTO CAVADI: UN QUIZ NON PARTICOLARMENTE DIFFICILE



Domanda: chi e quando e in riferimento a chi ha dichiarato quanto segue?


“Sono fortemente contrario alla politica detta delle porte aperte. E’
arrivato il momento in cui chiunque abbia a cuore il futuro della nazione
deve preoccuparsi di questa poderosa ondata d’immigrati. A meno di qualche
seria iniziativa l’ondata avvelenera’ le sorgenti stesse della nostra vita e
 del nostro progresso. Ospitiamo nelle nostre citta’ piu’ grandi un numero
enorme di stranieri tra i quali proliferano il crimine e le malattie”.


Risposta: la dichiarazione e’ di Frank P. Sargent, Commissario Usa
all’Immigrazione; e’ stata rilasciata nel 1905; si riferiva agli immigrati
italiani provenienti, in misura predominante, dal Sud e dal Nord-Est
dell’Italia.


domenica 12 luglio 2009

MALATTIE DELL’AMORE


“Repubblica - Palermo”
12.7.09

Paola Guercioni - Chiara Nicastri

ANORESSIA E BULIMIA
Di Girolamo
pagine 61
euro 5,00

Tra i paradossi del nostro tempo, gli storici del futuro non potranno tacere il fatto che - in un medesimo pianetino sperduto in una delle numerosissime galassie - l’80 % della popolazione stenta ad alimentarsi ogni giorno mentre il restante 20% deve gestire l’overdose di cibo. Paradosso nel paradosso: questo 20% oscilla fra il troppo (bulimia) e il troppo poco (anoressia), faticando a trovare l’arduo equilibrio fra eccesso e scarsità. L’ipotesi psicanalitica esposta, in linguaggio piano e in maniera volutamente sintetica, in questo tascabile Anoressia e bulimia è suggerita nel sottotitolo: Perché sono due malattie dell’amore? Due malattie, o forse un’unica patologia a due facce: “l’ideale del corpo magro rappresenta il muro che l’anoressica edifica per proteggersi dal caos che sente dentro di sé e che cerca disperatamente di domare attraverso il controllo assoluto; un muro che più diventa alto più s’indebolisce sino a crollare rovinosamente dando inizio così all’altrettanto drammatica oscillazione verso la bulimia”. In sintonia con il carattere divulgativo e pratico dell’opuscolo, alla trattazione teorica seguono delle indicazioni operative con l’elenco degli indirizzi (sparsi un po’ per la Penisola) dei Centri di cura psicanalitica Jonas, ispirati all’interpretazione di Massimo Recalcati, noto psicoterapeuta milanese.

mercoledì 8 luglio 2009

L’ULTIMO LIBRO DEGLI SCHNEIDER


Repubblica - Palermo 8.7.09

ESTIRPARE LA MAFIA, L’UTOPIA POSSIBILE

Dopo aver avuto tra le mani, in anteprima, le bozze dell’edizione americana, è con una certa emozione che sfoglio adesso - a sei anni di distanza - la traduzione italiana di Un destino reversibile di due cari amici antropologi, Jane e Peter Schneider, edito dalla Viella di Roma. Come recita il sottotitolo, il volume - impreziosito da una equilibrata introduzione di Salvatore Lupo e da un’opportuna post-fazione di Salvatore Costantino - è dedicato a Mafia, antimafia e società civile a Palermo. Esso mira infatti, proprio attraverso l’esame di ciò che è avvenuto e sta avvenendo nella nostra città, a scalzare un luogo comune radicato in noi siciliani almeno quanto nel resto del mondo: che la mafia costituisca, per la nostra isola, un destino atavico ed immutabile. Irreversibile, appunto. Dati alla mano (rinvenuti dai coniugi Schneider in decenni di lunghi periodi di permanenza in Sicilia, ma anche nella produzione scientifica ‘locale’, a cominciare dagli studi di Umberto Santino), si dimostra che il fenomeno mafioso non è una dato strutturale del Meridione (nasce intorno alla metà del XIX secolo); che è stato contrastato sin da subito con diverse modalità di aggregazione sociale (per esempio i Fasci siciliani della fine dell’Ottocento); e che anche negli ultimi trenta anni si sono registrati mutamenti qualitativi e quantitativi del tutto apprezzabili (basti solo pensare al calo impressionante di omicidi mafiosi dagli anni Ottanta ad oggi). Ovviamente nessun facile ottimismo trapela dalle pagine dei due studiosi newyorkesi: sostenere che “un profondo cambiamento sociale è possibile” non significa affermare che avverrà con certezza né, ancor meno, che sia già avvenuto. Significa solo che, essendosi avviato, potrebbe arrivare a compimento.

E’ proprio questo condizionale uno dei nodi più intriganti (e intrigati) del libro: come trasformare l’utopia di una Sicilia liberata dalla mafia in una conquista storica da affidare all’ammirata memoria dei posteri? Qui, insieme a tante cose vere e belle che il lettore potrà scoprire da solo, si trovano delle opinioni che a me sembrano meno fondate. Provo a discuterne, telegraficamente, alcune.
Per suffragare la tesi (condivisibilissima) che il sistema di potere mafioso sia estirpabile dal tessuto siciliano, gli autori espongono quattro argomenti. Il primo: “la mafia è una formazione sociale recente” (ed è vero) e “una sub-cultura che si può scindere dal resto del suo ambiente sociale” (e questo non mi convince). Penso sia evidente che la mafia è intrecciata strettamente con tutte le ‘culture’ che, incrociandosi e sedimentandosi, hanno prodotto ciò che - non senza approssimazione - possiamo denominare “cultura siciliana”. In particolare mi pare che la cultura mafiosa sia fortemente connessa con la tradizione liberal-borghese e con la tradizione cattolica sì che, oggi, il mafioso siciliano è anche un po’ borghese e un po’ cattolico, proprio come il borghese è anche un po’ cattolico e un po’ mafioso ed il cattolico è anche un po’ borghese e un po’ mafioso.
Secondo argomento: il “ceto urbano, istruito e professionale”, sarebbe “composto da persone che si identificano con i valori dell’antimafia”. Magari fosse così! I mafiosi dell’entroterra campagnolo, spesso ignoranti e rozzi, risultano tanto pericolosi perché diabolicamente capaci di comprare l’alleanza e la consulenza di pezzi consistenti del “ceto urbano, istruito e professionale”. Penso che la tragedia stia proprio nel fatto che un quinto circa della borghesia sia decisamente complice, un altro quinto decisamente avverso e i restanti tre quinti (degli insegnanti, dei giornalisti, dei medici, dei commercianti, degli avvocati, degli ingegneri…) incerto, oscillante, sostanzialmente indifferente. Se la mia obiezione reggesse, anche il terzo argomento degli Schneider vacillerebbe: la borghesia intellettuale, professionale e burocratica avrebbe “aggredito le pratiche locali che favoreggiavano la criminalità organizzata - per esempio, le regole sull’assegnazione degli appalti pubblici - rimpiazzando il discorso che definiva la mafia come inevitabile e i mafiosi come ‘uomini d’onore’ con un nuovo linguaggio, secondo cui sono criminali da perseguire penalmente”. Purtroppo non è così: ci sono politici condannati per “favoreggiamento di mafiosi” che non solo non sono stati costretti, dall’indignazione del ceto riflessivo, istruito e dirigente, ad abbandonare la scena pubblica, ma addirittura sono stati promossi (dal libero sostegno elettorale di cittadini d’ogni fascia sociale) dalla serie B (amministrazione reegionale) alla serie A (parlamento nazionale). Per fortuna, invece, il quarto ed ultimo argomento mi pare molto più solido: la mafia siciliana è stata indebolita dalla crisi del socialismo reale in mezza Europa perché ormai nessun governo, italiano o americano, può ricorrere alla criminalità organizzata in quanto “baluardo contro il comunismo”.
Come si evince da questi brevi cenni, il libro presenta dei passaggi che fanno discutere: e quale pregio maggiore può avere un libro sulla mafia, oggi, in una situazione di tendenziale stagnazione del dibattito, nell’illusoria certezza che tutto sia ormai noto e non resti più nulla da discutere?

DILEMMI FILOSOFICI


“La luce del faro”
Luglio 2008-07-17

Si può essere felici in una società malata?
Nel numero precedente ho avuto modo di presentare, sia pur per sommi capi, la nuova professione del consulente filosofico. Oggi vorrei provare ad esaminare una delle domande più ricorrenti che il filosofo si sente porre da chi bussa alla porta del suo studio per una conversazione: si può essere felici?
Poiché la parola ‘felicità’ è una delle più abusate, inflazionate ed equivoche, bisogna innanzitutto chiarire di volta di volta cosa significhi per noi.
Felicità , infatti, può essere intesa almeno in due accezioni principali: la beatitudine definitiva di chi ha raggiunto la méta e il benessere provvisorio di chi è ancora in cammino. A rigor di logica, è difficile dare torto a sant’Agostino quando diceva (mille e settecento anni fa) che se la felicità non è totale e definitiva non può essere vera felicità: infatti chi può essere davvero felice se gli manca qualcosa o se ha continuo timore di perdere quello che ha? Se mi manca qualcosa, penserò continuamente non alle 99 cose che ho, ma a quell’unica che non ho. E se ho anche 100 cose, ma non ho la garanzia assoluta di possederle per sempre, sarò continuamente in ansia per l’eventualità che mi se ne tolgano 1, 10 o tutte e 100.

Poiché però della Felicità in questo primo senso (pieno e indefettibile) non abbiamo esperienza in questa vita (almeno, personalmente non ne ho), credo sia più saggio ripiegare sulla felicità con la “f” minuscola, la felicità “in progress”, intesa – modestamente – come condizione di benessere dell’homo viator. E’ la felicità cui allude Eugenio Montale in Ossi di seppia: “Felicità raggiunta, si cammina/per te su fil di lama./ Agli occhi sei barlume che vacilla,/ al piede, teso ghiaccio che s’incrina;/ e dunque non ti tocchi chi più t’ama” (Felicità raggiunta). Per quanto rara, questa felicità fragile è sperimentabile in questo mondo: e solo di essa possiamo parlare con cognizione.
Come mettersi in cammino verso di essa? Partirei , come trampolino di lancio, da un invito di Pindaro, ripreso da Nietzsche: “Diventa ciò che sei!”. Come lo capisco io, questo invito equivale a : “Diventa in atto, quanto più pienamente possibile, ciò che sei in potenza. Evita di restare un abbozzo incompiuto. Non voler diventare più di quello che puoi (dimenticare il limite umano, mortale è tracotanza); ma neppure meno. Più in concreto: “Coltiva quelle tue risorse virtuali che, opportunamente sviluppate, ti consentiranno quella costellazione di esperienze intrinsecamente significative che insieme, come tesserine di un unico mosaico, possono fare la tua felicità“.
Quali sono queste risorse segrete che, opportunamente messe a frutto, possono provocare nel nostro animo quello stato sorprendente, e in qualche modo spiazzante, che chiamiamo felicità? Ognuno conosce le proprie.
Come orientamento comune, in generale, possiamo concordare sul fatto che si è felici nella misura in cui non si reprimono le proprie potenzialità di conoscenza (”tutti gli uomini, secondo Aristotele, per natura desideriamo sapere più che possibile”); non si frustra il nostro bisogno di essere amati e di amare (secondo Bertrand Russell, “essere oggetto d’amore è una causa potente di felicità, ma l’uomo che chiede l’amore non è colui al quale viene concesso”); non si mortifica il diritto di scegliere “come mestiere la propria passione” (M. Merleau-Ponty), se è vero - come scrisse una volta Primo Levi - che “l’amore per il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione alla felicità sulla terra”. Ma felicità è anche dare corso alle proprie esigenze di libertà e di giustizia: come vivere felici se non abbiamo il diritto di cercare strade nuove, anche a costo di sbagliare e pagare i nostri errori? E come vivere felici in un assetto sociale dove chi ha, ha sempre di più, e chi non ha - o ha di meno - si impoverisce di giorno in giorno?
Ma il paradosso che viviamo è proprio questo: da una parte vorremmo sperimentare una certa felicità in terra, dall’altra non vogliamo affrontare i rischi di chi cerca verità, amore, lavoro, libertà e giustizia. Preferiamo stare in panchina a maledire il destino o il governo, Dio o i genitori. Insomma: preferiamo costruirci una infelicità a misura nostra.

venerdì 3 luglio 2009

Vacanze filosofiche per non…filosofi dal 18 al 24 agosto 2009


“Centonove” 3 luglio 2009

Che cosa evoca alla mente la parola ‘filosofia’? Al 70% degli italiani, nulla. Non l’hanno mai studiata a scuola, tanto meno hanno sfogliato un libro che ne tratti. Se proprio costretti a pronunziarsi, direbbero che è la strana attività cui si dedicano personaggi estrosi, un po’ ‘fuori’ dal mondo, più inutili che dannosi. Quel 30% di cittadini che ha avuto un contatto più o meno felice con “il mondo di Sofia” sa, invece, che esso è frequentato da soggetti che intrecciano memoria e invenzione, tradizione e creatività: un filosofo - o come si voglia denominare meno pretenziosamente chi coltiva per mestiere la filosofia - è uno che approfondisce la conoscenza dei testi ‘classici’ e che cerca di elaborare qualche idea inedita. Come ci si esprime un po’ tecnicamente, il filosofo professionista è - in misura variabile da caso a caso - uno storico del pensiero e un teoretico.
Per quanto fondamentali ed irrinunciabili, queste due dimensioni non esauriscono l’identikit del filosofo: egli è (o è stato lungo i secoli, o dovrebbe essere) anche uno che plasma la propria esistenza (e cerca di plasmare la convivenza civile) secondo il suo modo di pensare. Filosofia, insomma, è memoria storica; è creatività teoretica; ma anche esperienza ‘pratica’.
Quali conseguenze derivano da una simile interpretazione dello statuto epistemologico della filosofia e del suo ruolo sociale? Sarebbe troppo impegnativo riassumerle in poche righe. Chi vuole ha a disposizione una buona biblioteca sull’argomento, a cominciare dal volume a dieci firme, “Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni”, edito l’anno scorso dalle edizioni Di Girolamo di Trapani. Almeno una di queste conseguenze però la si può segnalare: una filosofia che valorizzi la dimensione ‘pratica’ non è più appannaggio esclusivo dei professionisti del pensiero ma diventa diritto/dovere di ogni essere umano. Essa rompe le gabbie in cui si è reclusa e prova a farsi “gioco serio” pure per gli uomini e le donne ‘normali’, che non sono e non vogliono diventare filosofi ‘ufficiali’.
Come si può sperimentare questa dimensione ‘laica’, democratica, del con-filosofare? Iniziative e appuntamenti si vanno moltiplicando anche in Sicilia: tra questi, da un quarto di secolo, le “vacanze filosofiche per non…filosofi”. Anche questa estate è in programma una settimana (dalla sera del 18 agosto al pranzo del 24) a Macugnaga, proprio ai piedi del Monte Rosa; e su un tema (”Filosofia e potere politico”) di scottante attualità. Poiché si tratta di vacanze, molte ore sono a disposizione per passeggiare fra i boschi , girovagare in seggiovia e in funivia o soltanto stare ad abbronzarsi al sole; ma un’ora e mezza al mattino e un’ora e mezza alla sera sono dedicate a discutere insieme sul tema dell’anno. Ciascuna sessione ‘filosofica’ viene introdotta da un facilitatore professionista che propone una base di informazioni e di considerazioni da cui decollare per il confronto dialettico di gruppo. Da diversi siti web (ma anche qui di seguito, in calce a queste note) è possibile scaricare il programma completo con la relativa scheda di iscrizione. Qui sarà sufficiente una sola sottolineatura: se i filosofi sono stati spesso emarginati dalle istituzioni e perseguitati dai poteri politici ed ecclesiastici, forse ciò dipende dall’intrinseco potenziale rivoluzionario della filosofia. Essa insegna a non accontentarsi delle risposte ovvie, condivise, scontate; a guardare eventi e strutture da punti di vista inediti; a immaginare futuri alternativi rispetto al tradizionalismo e al conformismo. La filosofia non sostituisce l’azione politica, ma la può preparare e inspirare. Soprattutto può legittimarci a sconvolgere l’assetto delle cose presenti perché è in grado di ipotizzare alternative plausibili, evitando di distruggere senza avere un’idea neppure vaga di come sarebbe possibile ricostruire.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.eu

INVITO

Il sito internet “www.ilgiardinodeipensieri.eu” di Bologna
Il gruppo editoriale “Il pozzo di Giacobbe”-“Di Girolamo” di Trapani
organizzano la

XII
SETTIMANA FILOSOFICA
PER… NON FILOSOFI

* Per chi:

Destinatari della proposta non sono professionisti della filosofia ma tutti coloro che desiderano coniugare i propri interessi intellettuali con una rilassante permanenza in uno dei luoghi più gradevoli del Piemonte, ai piedi del fiabesco Monte Rosa, cogliendo l’occasione di riflettere criticamente su alcuni temi di grande rilevanza teorica ed esistenziale.

* Dove:

Macugnaga (Verbania), altezza 1400 metri

* Quando:

Dal 18 al 24 agosto 2009

* Su che tema:

Filosofia e potere politico: un rapporto difficile

Programma orientativo

Arrivo nel pomeriggio (possibilmente entro le 19) di martedì 18 agosto.

Sono previsti due seminari giornalieri, dalle 9.00 alle 10.30 e dalle 18.00 alle 19.30, sui seguenti temi:

* La libertà di pensiero fa paura al potere?
* Il Potere: una descrizione
* Violenza e verità, un’antinomia della politica
* Il sistema democratico ha bisogno della filosofia?

I seminari saranno introdotti a turno da Alberto Giovanni Biuso (Milano), Augusto Cavadi (Palermo), Giorgio Giacometti (Udine), Elio Rindone (Roma).

È possibile chiedere di anticipare e/o posticipare di qualche giorno il soggiorno in albergo.

Partenza dopo il pranzo di lunedì 24 agosto.

Indicazioni bibliografiche

Le “vacanze filosofiche per…non filosofi”, avviate sperimentalmente sin dal 1983, si sono svolte regolarmente dal 1998. Per saperne di più si può leggere il libro di Augusto Cavadi Quando ha problemi chi è sano di mente. Breve introduzione al philosophical counseling (Rubbettino, Soveria Mannelli 2002) oppure il libro di Autori vari, Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni (Di Girolamo, Trapani 2008).

Costo

L’iscrizione al corso (comprensiva dei materiali didattici) è di euro 200 a persona.

Ognuno è libero di trovare il genere di sistemazione (albergo, camping o altro) che preferisce.

Chi vuole può usufruire di una speciale convenzione che il comitato organizzatore ha stipulato con un Albergo.

La pensione completa (comprensiva di bevande) costa:

* in camera singola (con bagno) € 65 al giorno.
* in camera doppia (con bagno) € 57 al giorno.

Per la prenotazione delle camere (e il versamento della caparra) rivolgersi al sig. Franco, Casa alpina “De Filippi”, Piazza Pecetto 73, tel. 0324-65145, e-mail casalpin@tin.it, fax 0324-65522. Si consiglia di chiedere l’iscrizione per tempo poiché il numero delle camere è limitato, facendo riferimento alla convenzione particolare col gruppo dei filosofi.

Avvertenze tecniche

Per l’iscrizione ai seminari, dopo aver risolto la questione logistica, inviare l’acclusa scheda d’iscrizione e la copia (anche mediante scanner) del versamento di € 50,00 a persona, a titolo di anticipo sulla quota complessiva, a: prof. Alberto Giovanni Biuso (334.7973696 / fax: 02.700.425619 / e-mail: agbiuso@unict.it). In caso di mancata partecipazione alla vacanza-studio, detta somma non verrà restituita. La prenotazione non è valida finché non è stato effettuato il bonifico!
Il saldo della quota di partecipazione sarà versato all’arrivo a Macugnaga.

Scheda di iscrizione

Nome_______________________

Cognome____________________

Via o piazza_________________

N. civico____________________

c.a.p. e Città_________________

Prov._______________________

tf.__________________________

e-mail______________________

fax_________________________

Ho spedito € 50 a persona
mediante bonifico bancario*
intestato a:
Alberto Giovanni Biuso
conto cor. n° 615311316318
presso Banca Intesa San Paolo,
agenzia 2148, Milano

Codice IBAN del conto corrente:
IT39 N030 6909 5636 1531 1316 318

camera singola/doppia/tripla

Firma______________________

* I versamenti possono essere
unificati per due o più iscrizioni

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giovedì 2 luglio 2009

Fenomenologia della raccomandazione


“Repubblica - Palermo”
2 luglio 2009

IO, COMMISSARIO ALLA MATURITA’
FRA IL POPOLO DEI RACCOMANDATI

Centinaia di migliaia di studenti siciliani hanno appreso in questi giorni l’esito del percorso scolastico e da oggi circa trentamila fra loro inizieranno l’ultima fase degli esami di Stato (i colloqui ). Non so come vadano le cose in altre regioni, ma da noi è un momento in cui la fantasia creatrice degli adulti si scatena e sforna - vulcanicamente - mille modi differenti di reiterare uno dei gesti più antichi del mondo: la raccomandazione. E’ un fenomeno che incuriosisce - e preoccupa - da vari punti di vista (antropologico, storico, pedagogico, etico, sociale, politico…), ma che può essere osservato anche da una prospettiva insolita: dall’angolazione estetica e, direi quasi, ludica. Detto più semplicemente: se non fosse un malcostume inquinante, farebbe ridere di gusto.
Qualche esempio? Non è facile pescare nella memoria e nell’esperienza di queste ore. Certo potrò difficilmente dimenticare quel collega di latino che voleva convincermi a promuovere un alunno svogliato ricorrendo al dogma cattolico del ‘peccato originale ‘ : “Hai ragione, lui è pigro e meriterebbe la bocciatura. Ma suo padre è vice-prefetto, lavora dalla mattina alla sera per il bene della città e gli dobbiamo essere davvero grati: perché, se è giusto che i peccati dei padri ricadano sui figli, non dev ‘essere altrettanto giusto che se ne riversino anche i meriti?”. Dall’altro capo del filo del telefono parlava, in questo caso, un collega cattolico praticante. Di orientamento molto più ‘laico’ il dirigente scolastico che in questi giorni ha fatto ricorso, invece, ad argomenti ’scientifici’: “A me non interessa molto l’alunno che le segnalo e so bene che Lei non fa nessun conto delle raccomandazioni. Ma ho una curiosità intellettuale: vorrei capire se è valida la teoria psicologica dell’effetto Pigmalione. Non so se la ricorda: se un maestro si attende grandi cose da un discepolo, le otterrà; se non conosce il discepolo - o se lo conosce ma non gli fa una buona impressione - non riesce a risvegliargli i tesori nascosti e assisterà davvero a una pessima prestazione”.

Bisognerebbe evocare il vicino di casa che abitualmente non ti saluta e che, da quando sei stato nominato commissario d’esame presso la scuola del nipote, diventa gentilissimo e ti impone quasi a forza un caffé al bar; il salumiere del quartiere che, per la prima volta da quando lo frequenti, ci tiene a farti assaggiare il prosciutto di Parma appena arrivato (sa benissimo che sei vegetariano, ma giura che devi fare un’eccezione, rompere l’astinenza o almeno far felice tua suocera, che vegetariana non lo è mai stata, offrendogliene una porzione in omaggio); l’ex-compagno di scuola che non vedi e non senti da quarant’anni e che, improvvisamente colto da irrefrenabile rigurgito di nostalgia, ti vuole a cena per presentarti la moglie, i figli, la nuora, il genero, i consuoceri e soprattutto la nipotina diciottenne casualmente impegnata in esami di maturità.
Altrettanto variegate le ragioni per cui un alunno merita (a differenza di tutti gli altri, quasi fossero figli di un dio minore ? ) di essere accolto con gentilezza, esaminato con garbo e valutato con benevolenza: uno, infatti, ha i genitori separati; l’altra li ha in casa ma non vanno abbastanza d’accordo; l’altro ancora ha sì i genitori in casa che vivono d’amore e d’intesa, ma vanno tanto d’accordo che il loro affetto è opprimente e il ragazzo non riesce ad esprimersi con spontaneità…Uno va aiutato perché è troppo distratto dalle ragazze e rischia di non raggiungere la sufficienza (alias il ’sessanta’); l’altro va aiutato perché non ha la ragazza, anzi non ha neppure amici, studia come un intellettuale antifascista rinchiuso nella medesima cella con Gramsci , ma rischia di non avere il massimo dei voti (alias il ‘cento’) e di non essere ammesso a medicina alla Cattolica di Roma o ad economia alla Bocconi di Milano.
Altrettanto variegati i legami sociali in virtù dei quali un alunno dovrebbe ricevere un trattamento privilegiato rispetto ai compagni: è tuo parente; è parente di un tuo parente; è amico di un tuo parente; è parente di un tuo amico; è amico di un tuo amico… Indimenticabile il bigliettino, che conservo come cimelio, di un ignoto signore della provincia: “Poiché non conosco nessuno che possa segnalare mia figlia, mi permetto di segnarla da me”. In questo bailamme, confesso che mi viene difficile evitare di guardare con comprensione affettuosa quei due o tre candidati che non trovano - o forse non cercano neppure - di “raccomandarsi”: sfortunati o virtuosi che siano, non meritano un occhio di riguardo?
Augusto Cavadi