giovedì 23 luglio 2009

Sulla condanna in primo grado di don Turturro per pedofilia


IL MONDO CATTOLICO E DON TURTURRO
“Repubblica - Palermo”
23 luglio 2009

Per chi lo ha conosciuto, per chi ha avuto modo - anche solo occasionalmente - di collaborare con lui in iniziative di promozione umana e di contrasto alla mentalità violenta in genere, e mafiosa in specie, è una pessima notizia: don Paolo Turturro è stato condannato in primo grado a sei anni e mezzo di reclusione per violenza sessuale su minori. Come tutti i cittadini, avrà la possibilità di ricorrere in appello per un secondo grado di giudizio; ma - sino a sentenza contraria - è da considerare, per la legge italiana, colpevole.
Nello smarrimento, intriso di stupore e di dolore, delle migliaia di persone (non soltanto cattoliche) che a vario titolo hanno frequentato queste prete pugliese che ha adottato Palermo come sua città di apostolato, sarebbe importante non perdere alcuni criteri di riferimento.
Il primo è, per così dire, interno alla prospettiva religiosa. Chi ha una fede autentica (e sull’autenticità della propria fede solo Dio è competente a decidere) può accogliere le condanne della giustizia umana con una serenità duplice: come prove purificatrici se errate, come occasione di redenzione se fondate. Quando, come è avvenuto in città in casi analoghi, preti e fedeli hanno platealmente rifiutato la legittimità delle sentenze giudiziarie, hanno mostrato di essere non solo cittadini poco leali ma anche credenti poco fiduciosi.

Il secondo criterio è di portata più ampia: riguarda tutto il più vasto movimento antimafia. Chi si impegna contro il dominio mafioso merita riconoscimento, stima e gratitudine; ma nessun merito in un determinato settore della propria vita può esonerarci da rispettare le regole in altri settori. La tentazione di farsi scudo del proprio (sincero) rifiuto delle logiche criminali per mascherare inadempienze, responsabilità, ambizioni è stata ed è forte: ma va tenacemente estirpata. Se sei un prete o un insegnante o un magistrato o un poliziotto o un giornalista schierato dalla parte giusta, non significa che critiche ed accuse ti vengano addebitate per il tuo impegno antimafia e non per errori effettivi, oggettivi. L’effetto ‘alone’ di cui si occupa la psicologia sociale è sempre deformante: sia quando porta a denigrare un’intera personalità per certi suoi difetti parziali, sia quando porta ad esaltarla per alcuni pregi reali ma settoriali.
Un terzo criterio, da non smarrire in momenti di sconforto come questo, è che il disappunto per la condanna di un personaggio ‘celebre’ deve sempre accompagnarsi, nella nostra valutazione razionale e direi anche sentimentale, con la consolazione che viviamo in un sistema socio-politico e giuridico in cui la legge viene ancora applicata imparzialmente. Senza privilegi di nessuna sorta. Neppure - e nel clima di peloso clericalismo miscredente attuale non è da sottovalutare - a favore di un esponente di punta della Chiesa cattolica. Non solo a Berlino, ma anche a Palermo c’è ancora un giudice che - forse sbagliando, certamente in obbedienza alla propria coscienza morale - osa sfidare l’impopolarità. C’è un giudice - anzi, ce ne sono tre - che in nome della laicità della Repubblica riconosce doverose “attenuanti generiche” a un ministro di culto, senza trasformarle in colpo di spugna: senza assecondare il pregiudizio (ancora radicato e vigoroso) per cui all’interno dei recinti istituzionali ‘cattolici’ debbano essere ’sospese’ le norme valevoli in tutto il resto del territorio nazionale. Se il mondo cattolico vuole adesso raccogliersi in preghiera, non sarà una cattiva idea: non per pregare ‘contro’ qualche funzionario o qualche istituzione dell’ordinamento statale, ma per chiedere a don Turturro il soccorso della grazia divina e a sé stesso la luce per riflettere autocriticamente sulla possibile valenza criminogena di regolamenti ‘interni’ (quali l’obbligo del celibato ecclesiastico) che con il vangelo di Gesù di Nazareth hanno poco, o nulla, a spartire.
Augusto Cavadi

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