giovedì 25 marzo 2010

LA POLITICA REMA CONTRO


“Le voci del villaggio”
Febbraio 2010 - anno 3 - n° 5

LA POLITICA REMA CONTRO
Nello scorso numero abbiamo inaugurato una nuova rubrica per chi ami entrare nel cerchio dei Vip (”Vivere in pienezza”). Il titolo dello spazio che abbiamo a disposizione per dialogare (non so se qualche lettore lo ricorda) è “Alla ricerca della felicità“. In attesa che qualcuno di voi si faccia avanti - con una lettera, con una e.mail, con un sms, con una telefonata o con un piccione viaggiatore - riprenderò la conversazione avviata e aggiungerò un piccolo mattoncino.
Il tema della prima puntata riguardava la felicità: uno stato complessivo della persona e della società in cui è inserita che nessun Pil può illudersi di misurare. Oggi ci chiediamo: da chi dipende la nostra felicità? Ci sono molte risposte errate. Per esempio dire che dipende dai politici, dai giudici, dai poliziotti, dai sindacalisti…Non è vero: nessun contesto sociale, istituzionale, può darmi la felicità. Bisogna allora dire che le condizioni economiche, giuridiche e culturali in cui ci capita di trascorrere il breve segmento della nostra esistenza sul pianeta sono irrilevanti per la felicità di ciascuno di noi? Anche questa opinione, a mio avviso, sarebbe errata. Non si può essere felici in un contesto di ingiustizie, censure, inquinamento. Neanche se, per un caso o un privilegio della sorte, fossimo personalmente indenni dalle conseguenze brutali dell’ingiustizia, delle limitazioni alla libertà e della brutalizzazione dell’ambiente naturale.

Insomma: i politici possono impedirci di essere felici, ma non possono darci la felicità. Guai se un governo si mette in testa di creare il paradiso in terra! Come è stato osservato già da qualche altro, di solito riesce solo a preparare un poco invidiabile inferno. Il compito degli amministratori pubblici è ben preciso: niente di meno - ma anche niente di più - che creare le condizioni oggettive perché ciascuno di noi possa perseguire la propria felicità soggettiva.
Come costruire, allora, la nostra felicità personale (nei limiti in cui ce lo consente la situazione sociale, collettiva, storica)? Non ci sono ricette, ma - se ce ne fosse una - gli ingredienti sarebbero davvero numerosi. Per oggi ne accenno solo ad uno (probabilmente condizione indispensabile per poter aggiungere tutti gli altri): il gusto della consapevolezza. Per essere felici bisogna sapere ciò che si vive: ciò che si fa, ciò che ci accade, ciò che siamo e ciò che diventiamo. La maggior parte della gente vive evitando di pensare proprio a ciò che significa la parola - semplice e terribile, affascinante e impegnativa - vivere. Ma così si preclude ogni possibilità, anche solo improbabile, di godere a pieno dell’esistenza: delle sue sorprese, delle sue avventure. Come ha scritto una pedagogista di Bruxelles, Helene Schidlowsky, non dobbiamo privare né noi stessi né i nostri bambini della “felicità di pensare”. Lo so bene: non è tutto. Lo so bene: non si può essere felici se a trent’anni si è alla ricerca della prima occupazione; se a quaranta si è in cassa integrazione; se a cinquanta si rischia giorno per giorno il pensionamento forzato; se a sessanta non si hanno i soldi per fronteggiare i primi acciacchi della vecchiaia…Lo so bene: la felicità di pensare non è tutto. Ma sono convinto che tutto il resto ha senso, ha valore, se si basa su questa nostra capacità di silenzio, di ascolto di noi stessi e del mondo. Sono convinto che una vita senza riflessione, senza lettura, senza meditazione è una vita sprecata: ma voi siete d’accordo?

Augusto Cavadi

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