lunedì 28 giugno 2010

Alberto Biuso su “La mafia spiegata ai turisti” (trad. araba)


Caro Augusto,
il tuo libro mi è piaciuto moltissimo.
E’ limpido, informatissimo, rigoroso. In poche pagine permette davvero di capire.
Ne ho scritto una breve recensione che, se vuoi, potrai proporre a Centonove o ad altre sedi.
Se non causa problemi alla eventuale pubblicazione a stampa, avrei anche intenzione di farne un articolo per “Girodivite”.
Un abbraccio,
Alberto

martedì 22 giugno 2010

Flavia Fontana intervista Augusto per l’evento del 25 giugno


“Il Vespro”
Giugno 2010

Il 25 giugno, presso il Castello di Carini, alle ore 19.00, si svolgerà la presentazione di un ‘pizzino della legalità’ di Augusto Cavadi dal titolo “L’amore è cieco ma la mafia ci vede benissimo” (Editore Salvatore Coppola, Trapani 2009).
Il prossimo 25 giugno, in occasione di questo evento - ad ingresso libero - si parlerà, anzi si racconterà una storia dai contenuti davvero intriganti. “Protagonista è una giovane donna di nome Lucia “ – spiega il professore di storia e filosofia, Augusto Cavadi – “che si innamora di un uomo che appartiene a una cosca mafiosa. Lucia per amore lascia tutto - la carriera, la città dove si era appena trasferita - per dedicarsi a una nuova vita insieme all’amato”. “Quest’ultimo” - continua il professore Cavadi – “non riesce a liberarsi e preferisce seppellire questo amore piuttosto che rinunziare al potere e al denaro. E’ la storia di una donna che ama, che soffre e che con piena dignità e forza riesce a dominare questo suo sentimento, andando avanti per la sua strada e cercando di dare un piccolo contributo per la sconfitta del sistema mafioso. Ma nel suo racconto - per nulla inventato da me – c’è dell’altro: vorrei, però, che, per la data stabilita della rappresentazione drammatizzata, fosse il pubblico interessato a scoprire il resto e ad esprimere la propria opinione. Inoltre” - conclude il professore Augusto Cavadi – “abbiamo scelto questa location per far conoscere a tutte le persone interessate all’evento, alcune delle quali verranno anche da Palermo, il noto Castello di Carini, di cui tutti hanno sentito parlare ma che non tutti hanno visitato”.
Questo evento è organizzato dall’associazione di volontariato culturale “Scuola di formazione etico-politica Giovanni Falcone” di Palermo, la quale si propone di portare avanti delle iniziative di sensibilizzazione e coscientizzazione mirate ad una cittadinanza attiva, democratica e antimafiosa (su invito di scuole, parrocchie, enti locali, centri sociali etc.). In questa serata musica e recitazione si fonderanno insieme per dare corpo e anima a questa storia. Le canzoni e le musiche saranno cantate e suonate, rispettivamente, da Rosalia Billeci e Nicola Marchese. E poi ci saranno due attori, Claudia Palazzolo e Salvatore Castiglia, membri del “Circolo culturale classico” di Palermo, che si cimenteranno per interpretare l’anima inquieta e sofferente di Lucia, da una parte, e il suo interlocutore, l’ex-professore di filosofia Augusto, dall’altra.

Flavia Fontana

lunedì 21 giugno 2010

Lidia Bonomo intervista Augusto


“L’obiettivo”
Quindicinale siciliano del libero pensiero
Numero 8, 2010

Intellettuali impegnati
Conversazione con Augusto Cavadi

Augusto Cavadi è non solo un affabile professore di storia, filosofia e – come ci tiene a precisare – anche di educazione civica al Liceo “Garibaldi” di Palermo, dove cerca di coniugare la storia con l’opportunità data ai ragazzi di elaborare ognuno la propria filosofia, ma anche uno scrittore, pubblicista per “Repubblica”- Palermo e collaboratore di altre pubblicazioni. Nella lista dei suoi svariati scritti si riflette l’intreccio della pluralità di interessi in campo filosofico, teologico, pedagogico e politico. Oltre a scrivere (fra gli ultimi libri La mafia spiegata ai turisti, Il Dio dei mafiosi e, presentato nei giorni della Fiera del libro di Torino, Filosofia di strada), Cavadi è membro e co-fondatore di associazioni a carattere socio-politico, oltre che organizzatore di “cenette filosofiche per… non filosofi”, “per… non filosofi davvero asciutti di filosofia”, seminari di “teologia critica per… non teologi” e la “domenica di chi non ha chiesa”. Lo abbiamo incontrato per parlarci del suo impegno e del contesto in cui opera: Palermo.

Professore, come si esplica e si declina la sua attività nel volontariato?
«Il filo rosso che attraversa e anima tutte le mie attività è la “filosofia in pratica”, così l’ho chiamata: una filosofia intesa sia in chiave esistenziale e personale sia in chiave socio-politica perché, a mio avviso, è uno strano filosofo quello che non cambia né se stesso né il quadratino di mondo in cui vive. Nell’85 ho fondato, con alcuni amici, il Centro San Francesco Saverio all’Albergheria, nel cui ambito mi sono occupato della formazione dei volontari. Nel ’92 ho fondato la Scuola di formazione etico-politica “G. Falcone” per dar vita a un laboratorio permanente di analisi del fenomeno mafioso inserito nel contesto dell’Italia meridionale e del Mediterraneo. Lavoriamo in tutti i centri sociali e nelle scuole che richiedono il nostro intervento, fornendo strumenti critici di lettura delle istituzioni, delle dinamiche sociali, della questione meridionale, delle ideologie del Novecento. Ho fondato, intorno al ’96 -’97, insieme ad altre associazioni e presso i padri gesuiti, l’Università della strada, anche questo un luogo per far riflettere coloro che desiderano operare nel sociale. Più di recente, il campo cui – a parte l’insegnamento – mi sto dedicando maggiormente è quello delle pratiche filosofiche».
Cosa sono le “cenette filosofiche”?
«Le cenette filosofiche e i seminari di teologia sono occasioni di promozione della consapevolezza critica nel campo politico-sociale, filosofico e religioso. Colgo tra l’altro tutte le occasioni per professionalizzare questa mia disponibilità, così da aprire una strada agli amici più giovani che stanno intraprendendo il percorso della consulenza filosofica e che sono disoccupati».
C’è un bisogno di filosofia? Nel sottotitolo di un suo libro lei la definisce “la più inutile di tutte le scienze”…
«Ce n’è bisogno nella misura in cui c’è bisogno sia di ciò che è utile sia di ciò che è superfluo: l’uomo è un essere strano che vive soprattutto di superfluo. Quel sottotitolo vuole stuzzicare il lettore, in verità. È “utile”, in senso etimologico, qualcosa di funzionale a qualcos’altro, il contrario di ciò che è gratuito. Io ritengo che le attività più significative dell’esistenza personale e sociale siano caratterizzate dalla gratuità (la musica, la danza, l’amore, la preghiera, etc.): si fanno per il gusto di farle, che poi abbiano gli effetti collaterali desiderati, desiderabili e prevedibili, è un altro paio di maniche».
Uno dei suoi libri si intitola Naufragio della politica ed etiche contemporanee. Quali le possibili soluzioni per far riemergere una politica pulita in tempi di individualismo, egoismo, opportunismo?
«Essendo le cause di diverso ordine, anche i rimedi dovrebbero essere sinergici. In questo libro prendo in esame cinque proposte etiche contemporanee e mostro come ognuna di esse può comportare conseguenze apolitiche o, addirittura, antipolitiche, oppure conseguenze politicamente fruttuose. Fernando Savater ritiene che il mondo sia fondato sugli egoismi, ma l’egoista può essere un egoista cretino o un egoista intelligente. Il primo si occupa dei propri affari e, se una stanza della casa brucia, rimane in un’altra, infischiandosene; il secondo, invece, sceglie di occuparsi della casa non tanto per amore degli altri, bensì di se stesso. L’individualismo liberale, dunque, può avere una traduzione stupida, apolitica, e nella storia c’è stata, del resto, e tuttora c’è. Il cristianesimo, se interpretato in un certo modo, può portare alla dimensione privatistica e al conservatorismo più sfacciato o, viceversa, può rappresentare una sveglia critica per il cambiamento. Il cristiano, tuttavia, non dovrebbe andare a braccetto con alcun potere costituito, ma mantenere una distanza critica di libertà».
Lei è considerato tra i maggiori esperti del rapporto fra cattolicesimo e associazioni criminali. La Chiesa cattolica, avendo un’influenza notevole nella nostra società e sulla nostra cultura, ha una grossa responsabilità. Come si pone la Chiesa siciliana di oggi nei confronti della mafia?
«La Chiesa dovrebbe fare un bel bagno di riconversione evangelica per spogliarsi di tutti gli aspetti mafiogeni della sua teologia, e uno di questi è l’omertà. Si è acuita la sensibilità verso il volto criminale e militare della mafia ma, purtroppo, non ugualmente è cresciuta la lucidità dell’analisi e la forza operativa nei confronti della sua dimensione politico-culturale. Basti pensare alla solidarietà sfacciata di cui ha goduto Cuffaro in tutta la sua carriera e alla mancata presa di distanza da lui dopo la condanna di due tribunali in primo e in secondo grado. Sulla prima pagina di “Repubblica” ho chiesto, allora, quali fossero i valori cattolici che persone come lui possono aver difeso o dovessero difendere. La risposta: sono stato citato per danni».
Palermo sembra andare verso un maggiore degrado. Qual è la sua visione a riguardo? Come si alfabetizza e si educa la gente dei quartieri difficili e delle periferie, che spesso sono serbatoio di voti mafiosi e fonte di manovalanza?
«Se cambiano gli elettori, cambierà la classe politica. Io sono convinto che sia necessaria un’alfabetizzazione elementare per spingere a votare non sulla base di simpatie emotive o clientelari, ma secondo delle proposte di progetto di società. Dobbiamo distinguere tra l’alfabetizzazione intesa in senso letterale (questo è un fattore preliminare. Occorre perciò lavorare perché nei quartieri le scuole ci siano e siano aperte il pomeriggio) e quella etico-politica».
Come è impostata la pedagogia alternativa antimafiosa?
«È una pedagogia che copia, invertendone il segno, quella mafiosa che, secondo me, è molto efficiente ed efficace. La pedagogia mafiosa è molto basata sulla testimonianza collettiva, sull’azione sociale, sulla testimonianza dei boss. Un’educazione alternativa deve essere più basata sulla testimonianza. Ritengo assurdo cercare di fare educazione alla legalità in scuole dove non c’è nulla di legale, dall’assunzione del bidello, alla palestra coi fili che pendono, al preside che non viene. Il linguaggio della mafia risulta efficace perché è fatto di cose, di azioni, di simboli. Da noi la cosiddetta “legalità organizzata” (che poi non è tanto organizzata né tanto legalità) è perdente. La scuola, nella pluralità delle figure che vi lavorano, deve essere nel suo complesso una comunità educante. Quando si è soli o in pochi, all’interno di un massa diseducante, il lavoro viene assolutamente neutralizzato».
Lei ha analizzato anche il tema del volontariato, facendo una diagnosi e individuando una terapia. A Palermo, il volontariato gode di buona salute?
«È abbastanza frequentato ma, purtroppo, manca di una consapevolezza della differenza tra beneficienza e azione di volontariato vera e propria. Quando, dodici anni fa, abbiamo creato l’Università della strada, molta gente frequentava per imparare che cosa significasse fare volontariato, per acquisire un’attrezzatura critica, ma dopo i primi anni abbiamo registrato un calo di richieste nella formazione: si intende spesso il volontariato in maniera molto emotiva e non progettuale. Manca la sensibilità politica, anche se c’è un apprezzabile slancio etico. Io ritengo che il volontariato sia in crisi. Peraltro, è per così dire “stretto al collo” tra l’esigenza di istituzionalizzarsi e quella di mantenere la purezza del suo spirito».
Palermo dà l’impressione di essere una città abbastanza viva dal punto di vista culturale, eppure le energie dei suoi intellettuali non riescono, se non in minima parte, a effondere effetti positivi sul tessuto socio-culturale nel suo complesso. Come mai?
«Palermo non è viva come lo sono la stessa Napoli o Roma, Firenze, Bologna, Torino. Abbiamo delle belle individualità dal punto di vista intellettuale totalmente incapaci, però, di sinergie. Da qui la mancanza di ricadute sociali. C’è, ovviamente, chi non vuole neppure averne, ma, fra coloro che invece vorrebbero produrle, vi sono figure incapaci di mediazioni con gli altri gruppi intellettuali. Invece l’efficacia si raggiunge col lavoro di squadra. Il limite, a Palermo, sta anche, quindi, nella schizofrenica separazione tra dimensione intellettuale e impegno sociale, per cui, pur di scrivere un articolo o un libro in più, c’è chi si astiene dal “perdere tempo”».
Lei, invece, spende molto tempo con gli altri e per gli altri. Perché lo fa?
«Mah, forse perché sono un egoista intelligente… La strutturazione della mia vita, non avendo figli, me lo consente. E poi mi dà molta gioia e mi riempie la vita».

Lidia Bonomo

Ci vediamo, al castello di Carini, venerdì 25 giugno 2010?


Care e cari,
la protagonista ‘vera’ del mio ‘pizzino della legalità‘ , intitolato “L’amore è cieco, ma la mafia ci vede benissimo” (Coppola editore, Trapani 2009), ha organizzato per le ore 19 di venerdì 25 giugno una rappresentazione drammatizzata del mio testo.
Reciteranno Claudia Palazzolo, Salvatore Castiglia e Rosalia Billeci con l’accompagnamento musicale di Nicola Marchese.
L’appuntamento è presso il Castello di Carini (ricordate “La Baronessa di Carini”…?): è prevista una visita guidata del castello e, per chi si prenota in tempo (scrivendo a me o ad Angela Tola: angibio@yahoo.it), una cenetta a prezzo ‘politico’ (quindici euro).
A presto, spero.
Augusto

sabato 19 giugno 2010

Augusto intervista il pastore Esposito su matrimonio lesbico


“Repubblica – Palermo”
Martedì 8 giugno
Matrimonio fra due donne.
Celebra un pastore valdese.
Intervista di Augusto Cavadi ad Alessandro Esposito

Alessandro Esposito è un giovane pastore della chiesa valdese di Trapani e di Marsala. Mercoledì 7 aprile ha ‘celebrato’, nel tempio valdese di via Orlandini a Trapani le nozze di due donne. E’ la prima volta che in Italia un pastore protestante ‘celebra’ un matrimonio omosessuale.

Tra i cattolici italiani solo due preti hanno presieduto la celebrazione di matrimoni omosessuali, ma la reazione della gerarchia ecclesiastica è stata durissima. Lei non teme che anche nella chiesa valdo-metodista a cui appartiene possano registrarsi provvedimenti disciplinari nei suoi confronti?

In tutta onestà, no. Principalmente per tre ragioni. La prima concerne il fatto che, in vista di tale benedizione, ho provveduto ad informare tanto il mio consiglio di chiesa (al quale rispondo per tutto ciò che attiene alla mia attività pastorale) quanto la Tavola Valdese (che rappresenta, per così dire, il nostro «esecutivo» a livello nazionale) che hanno espresso, congiuntamente, il loro consenso al riguardo. Da noi, difatti, la prassi è questa: cosa che consente, credo, di vivere l’essere chiesa secondo modalità democratiche, senza però dar luogo a personalismi, sempre inopportuni e inefficaci. Le questioni, in seno alla nostra chiesa, si discutono, si dibattono, si argomentano: e le decisioni vi fanno seguito. Si cerca sempre di muoversi collegialmente, per quanto, talvolta, è necessario dimostrare un pizzico di «intraprendenza». Vengo così alla seconda ragione: l’«Assemblea-Sinodo» del 2000 (incontro tra deputati e delegati delle chiese valdo-metodiste e battiste d’Italia) ha incaricato una commissione di affrontare il tema dell’omosessualità e di redigere, in proposito, un documento, che è poi stato approvato dalle nostre chiese. Da tale documento, denominato GLOM (gruppo di lavoro sull’omosessualità), emerge un quadro che, nelle sue linee generali, denota apertura nei confronti della piena partecipazione alla vita ecclesiastica delle donne e degli uomini omosessuali, auspicando anche che si giunga a benedire le loro unioni: cosa che, attenendoci alle indicazioni del documento, come chiesa valdese di Trapani e Marsala ci siamo limitati a rendere attuativa. L’apertura delle nostre chiese in tal senso, in ogni caso, ha senz’altro rappresentato l’elemento fondamentale a partire dal quale è stato possibile compiere il cammino che ha portato a questa celebrazione. L’ultima ragione, infine, è quella di gran lunga più importante, perché fondante: la chiesa valdese di Trapani e Marsala ha celebrato la benedizione dell’unione di due donne perché ha trovato che essa interpreti, semplicemente e pienamente, il comandamento evangelico dell’amore. Assai prima che la chiesa, infatti, a rendere legittimo questo gesto è l’evangelo proclamato da Gesù e dai profeti prima di lui, testimonianza vivente e quotidiana di un Dio che vuole l’amore e, al contrario di noi, non lo giudica.

Come è noto, per i protestanti il matrimonio non è un sacramento stabilito da Cristo, né è caratterizzato dall’indissolubilità, ma costituisce comunque un momento importante nel cammino esistenziale e di fede di un credente. In Italia vige un accordo con lo Stato per cui, come i matrimoni cattolici, anche i vostri hanno effetti civili: ciò vale anche per il matrimonio fra due coniugi dello stesso sesso?

Per ovvi motivi, no. Se un’unione non è sancita dalle leggi dello Stato, la chiesa valdese può celebrare, come di fatto è avvenuto, soltanto una benedizione, la quale ha valore sotto il profilo ecclesiastico e -ritengo- civico, ma non possiede effetti civili. Certamente, anche sotto l’aspetto simbolico, credo che la scelta operata dalla nostra comunità sia eloquente e va, senza dubbio, nella direzione del pieno riconoscimento dei diritti civili per le coppie omosessuali, che auspichiamo e chiediamo. A tale proposito, la chiesa valdese di Trapani e Marsala partecipa attivamente alle iniziative del Gruppo Arcobaleno, gruppo laico che, collaborando con altri soggetti presenti ed operativi sul territorio siciliano (cito, su tutti, il gruppo Ali d’Aquila di Palermo), riflette sulla tematica dell’omosessualità ed intende promuovere i diritti delle coppie omosessuali in ambito tanto civile, quanto ecclesiastico. Le chiese, dal canto loro, dovrebbero, a mio giudizio, accompagnare questo percorso: e la maniera più concreta ed efficace in cui possono farlo, credo che risieda nel celebrare pubblicamente le benedizioni di coppie gay e lesbiche. Questo gesto soltanto, difatti, dimostra un peno sostegno e coinvolgimento a livello ecclesiastico. La battaglia per i diritti civili ci riguarda, certamente, ma come cittadini, non come credenti: sotto quest’ultimo aspetto, per dimostrare un’apertura autentica e non appena verbale, il gesto da compiere è la celebrazione delle benedizioni.

Pensa che quanto è avvenuto pionieristicamente a Trapani possa aprire un sentiero ‘ufficiale’ per le altre chiese o siamo ancora lontani da un simile esito?
Anche in seno alle chiese battiste, metodiste e valdesi vi sono, com’è inevitabile che sia, posizioni distinte, tanto riguardo alla tematica dell’omosessualità, quanto, di conseguenza, per ciò che attiene alla benedizione di coppie omosessuali. Le nostre rispettive sedi decisionali (il Sinodo per quanto riguarda le chiese valdesi e metodiste e l’Assemblea per ciò che concerne le chiese battiste) non si sono ancora espresse ufficialmente in proposito. Come comunità valdese di Trapani e Marsala riteniamo che sia tempo che lo facciano. È fuor di dubbio che, in tal modo, si va incontro a dei rischi, come accade ogniqualvolta si prenda posizione su tematiche eticamente sensibili. I due principali motivi che, credo, hanno sino ad ora impedito di pervenire ad un pronunciamento istituzionale chiaro e definitivo, sono, da un lato, il timore (niente affatto ingiustificato) di provocare una spaccatura in seno alle nostre chiese e, dall’altro, la paura di incrinare i rapporti ecumenici, sia intra-evangelici che con le altre confessioni cristiane. A queste pur comprensibili obiezioni, mi sento di rispondere che esistono dei punti fondamentali, che concernono il riconoscimento dei diritti umani (tra cui rientra a pieno titolo la differenza di orientamento sessuale ed affettivo), rispetto ai quali una spaccatura può -anzi deve- essere provocata, con buona pace di quanti, questi diritti, non intendono riconoscerli. Del resto, in caso di mancato riconoscimento, realtà ecclesiastiche che si attestano su posizioni più restrittive, quando non addirittura di esplicita condanna, non ne mancano di certo: di modo tale che, chiunque voglia portare avanti un’interpretazione integralista dell’etica cristiana, non ha che l’imbarazzo della scelta.
Noi, però, dobbiamo avere il coraggio e la coerenza di esprimere una posizione chiara, aliena da tentennamenti. Per quanto riguarda, poi, le relazioni ecumeniche, credo che valga, grosso modo, lo stesso discorso: non penso che sia proponibile, per amor di pace o al fine di mantenere buoni -e del tutto formali- rapporti di «buon vicinato», assumere sulla questione una posizione che rischia di risultare ambigua, teoricamente aperta e sostanzialmente titubante. Non dico che sia facile: ma è doveroso. Del resto, l’evangelo non consiste nella placida riproposizione delle consuetudini: al contrario, siamo convinti, come comunità trapanese e marsalese, che esso chiami a tutelare il diritto degli esclusi e delle escluse, a prendere posizione al loro fianco ogniqualvolta che tale diritto viene ingiustamente negato o calpestato. E crediamo che questo sia quanto è avvenuto per secoli, spesso e volentieri con l’esplicito consenso delle istituzioni ecclesiastiche, nei confronti delle persone omosessuali. Ecco perché riteniamo che sia tempo che le chiese stesse riparino a quest’ingiustizia compiendo un cammino di conversione, che si espliciti nel gesto nudo ed eloquente dell’accoglienza, manifestata (anche) attraverso la celebrazione di benedizioni di coppie dello stesso sesso.

Lei ha affidato a “Repubblica” l’esclusiva della notizia. Ma qualche reazione l’avrà già registrata in chi l’abbia appresa ufficiosamente…
Pur essendo inevitabilmente trapelata, la notizia non ha scatenato reazioni degne di rilievo: non annovererei come tali, difatti, gli immancabili inviti al ravvedimento e alla conversione fattimi pervenire dagli onnipresenti fondamentalisti. Al momento sembra che la strategia adottata dagli organi di informazione sia quella, tutt’altro che involontaria, dell’insabbiamento. Si tratta, infatti, di un evento certamente inusuale, che ha però il difetto di mettere indirettamente in discussione la chiusura che le gerarchie vaticane hanno da sempre manifestato in ordine a tale tematica. Ma questo era ampiamente preventivabile. Del resto, ciò che ci preme non è certo la pubblicità, quanto, piuttosto, l’affermazione di un diritto, che come tale vorremmo che fosse percepito e recepito dall’opinione pubblica. Purtroppo, però, ci rattrista constatare che quella di un cattolicesimo adulto, capace, quando è il caso, di esprimere un dissenso motivato, è una realtà minoritaria, la quale, peraltro, non trova risonanza nella maggior parte dei mass-media, inclusi quelli della cui indipendenza ho stima e nella cui laicità ho fiducia.

Grazie per la fiducia nella nostra testa, pastore Esposito.
Grazie a lei per l’opportunità concessaci e per la sensibilità dimostrata. Merce rara, al giorno d’oggi: glielo garantisco.

Augusto Cavadi

giovedì 17 giugno 2010

Ci vediamo venerdì 18 giugno a Palermo?


Care e cari,
avete già ricevuto un invito per oggi (giovedì 17 giugno) per un seminario a Trapani su don Milani.
Sono lieto di confermare - a beneficio di chi oggi non può partecipare - che il medesimo seminario (con altri relatori) sarà ‘replicato’ domani a Palermo.
Vi sintetizzo una nota apparsa questa mattina sull’edizione palermitana di “Repubblica”:
Don Milani ha avuto sempre un’attenzione verso il Meridione italiano. Un libro di Sergio Tanzarella, docente di storia del cristianesimo alla Gregoriana, ha reso pubblico per la prima volta un epistolario fra il parroco di Barbiana e il sindacalista Tommaso Fiore (”Gli anni difficili. Lorenzo Milani, Tommaso Fiore e le esperienze pastorali”, Il pozzo di Giacobbe). Su questi testi si è già svolto un seminario di studi i cui atti sono stati recentissimamente editi, dallo stesso editore, con il titolo “Lorenzo Milani. Memoria e risorsa per una nuova cittadinanza”.
La duplice pubblicazione sarà l’occasione per riflettere sui problemi culturali e sociali del Sud: sia giovedì 17 alle 17,30 presso il Seminario di Trapani (con la partecipazione del vescovo Micciché e del vicario episcopale mons. Liborio Palmeri) sia venerdì 18 giugno ore 17,30 presso la Chiesa di S. Francesco Saverio a Palermo (con la partecipazione di don Cosimo Scordato, Salvatore Scelfo, Umberto Santino e Umberto Di Maggio).
La partecipazione è libera e gratuita.
E’ possibile prenotare (potete anche usare lo spazio dei ‘commenti’ a questo avviso del mio blog) entro questa sera una sobria cenetta (15 euro) a conclusione della serata (presso la vicina trattoria “Al vicoletto”).
In qualsiasi zona d’Italia è possibile acquistare i due libri in esame (ricordando, eventualemnte, al libraio di fiducia che le edizioni de Il pozzo di Giacobbe di Trapani sono distribuite dalle Dehoniane di Bologna).

Maurizio Crippa intervista Augusto Cavadi
(”Il Foglio” del 28.11.09)


“IL FOGLIO
QUOTIDIANO”
SABATO 28 NOVEMBRE 2009

IL COMPLICATO E PERVERSO RAPPORTO TRA MAFIA E RELIGIONE

IL CONVERTITO SPATUZZA E IL FONDAMENTO TEOLOGICO DEL CONCORSO ESTERNO

Introduzione alla Sacra scrittura;Teologia fondamentale;Storia della chiesa;Filosofia teoretica ;Cristologia e patrologia . Insomma gli esami fondamentali di un buon primo anno di teologia, ben passati all’ Istituto di Scienze religiose delle Marche, I’Università teologica riservata ai laici e agli aspiranti professori di religione. Un buon curriculum , anche senza essere un ex killer di Cosa nostra , messo insieme sudando su tomi del teologo Piero Coda e su classici del seminario come la “Teologia della Rivelazione”di Rene Latourelle. E’ opinabile se la conversione religiosa e la nuova dimestichezza con le cose di Dio conferiscano al pentito Gaspare Spatuzza maggiore attendibilità sulle stragi del ‘93 . Ma di certo il suo libretto universitario, pubblicato ieri dal “Corriere della Sera”,aggiunge un nuovo mattone a quel complicato e perverso rapporto tra gli uomini di mafia e la religione, a cui Augusto Cavadi ha dedicato un libro problematico e accusatorio, “Il Dio dei mafiosi”. Ed è questo rapporto perverso tra cattolicesimo e antropologia mafiosa il nodo gordiano che Cavadi vorrebbe tagliare. Di Spatuzza non parla, ovviamente, forse alla prossima edizione. Ma, intercettato dal “Foglio” mentre va a discutere di legalità, chiese e mafia in giro per la bergamasca, il professore palermitano oppone subito un distinguo, risolutivo, circa l’attendibilità: “Che un delinquente si converta e si avvicini a Dio dopo il pentimento, o in carcere, non mi fa problema: in fondo rientra nel clichè di fra’ Cristoforo. Mi fanno più problema i mafiosi che si interessano alla fede prima”. Il che non è ammissibile, secondo il rigorismo della teologia antimafia. Il caso di scuola prima di Spatuzza, è quello di Pietro Aglieri, il figlioccio di Binnu Provenzano nel cui covo trovarono testi di santa Teresina di Lisieux e la “Mistica della croce” di Edith Stein. Il boss che appuntava pensieri cosi: “Gesù può veramente mondarmi. Di questo sono sicurissimo. Ma io voglio veramente essere guarito?”. Di questo andava a discutere “u signurinu” Aglieri con padre Frittitta, il carmelitano delia Kalsa che di lui testimoniò: “Pregava sette ore al giorno, digiunava due volte alla settimana”. Il caso è interessante: Frittita, infatti, che si limitava a offrire al boss il conforto della fede senza esigere, oltre alla conversione del cuore, pure il pentimento giudiziario, fu condannato per favoreggiamento. E, rievoca Cavadi, sul suo caso la chiesa palermitana si spaccò. Una commissione teologica voluta dal cardinale De Giorgi stese un documento che condannava la teologia “permissiva” alla Frittitta. “Ma è restato lettera morta, la maggioranza della chiesa locale si schierò contro”. Fatto grave, perché “non basta condannare il non uccidere, bisogna condannare anche l’appoggio politico, la connivenza”. In pratica, si dovrebbe fondare teologicamente il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Come scrisse la rivista “Segno”: “Il pentimento davanti a Dio e non agli uomini è una stupidaggine ideologica tipicamente clericale”. Ma Spatuzza è un bravo studente di teologia.

Maurizio Crippa

martedì 15 giugno 2010

Mettercela tutta e la meta si avvicina


“Le voci del villaggio”
Giugno 2010

In questa rubrica abbiamo iniziato a riflettere sulla felicità: è possibile? A che condizioni? Riconoscevo che sono domande che esigono risposte complesse. E mai del tutto complete. Nell’anticipare che si tratta di una pietanza dai tanti ingredienti, provavo a mettere…sul piatto l’ingrediente di base: la consapevolezza. Se non so pensare, se agisco irriflessivamente, se non esamino la mia vita, mi condanno ad una superficialità incompatibile con qualsiasi forma di felicità. Insomma: se vogliamo aprire la porta alla felicità, dobbiamo ogni tanto imparare a fare silenzio fuori e dentro di noi. Per riflettere, per cercare di capire. Per scoprire il senso di ciò che siamo e di ciò che facciamo.
Con molta gioia ho iniziato a ricevere i primi messaggi da lettori di questa rubrica che vogliono riflettere insieme a me, insieme a noi. Annamaria Pensato, di Palermo, mi scrive: “Felicità, per me è una sensazione che dura tanto quanto un flash; preferirei chiamarla serenità, che si raggiunge attraverso delle scelte meditate, nel non cagionare danno ad altri, nel contare nelle proprie forze o quanto meno nel chiedere aiuto ed essere nello stesso tempo pronti ad aiutare gli altri; nel gioire delle belle cose che ti arrivano, nel saper soffrire delle brutte e riflettere, se - in questo caso - abbiamo delle responsabilità; insomma, nel prendersi la responsabilità della propria vita, nel poter rispondere affermativamente alla domanda: ho fatto tutto quello che era nelle mie possibilità? Cesare Pavese intitolò il suo diario Il mestiere di vivere, io lo chiamerei Il coraggio di vivere “.
Questa lettera sprona anche me ad aggiungere altri ingredienti alla ricetta della felicità (sia pure intesa, nella versione minimale suggerita da Annamaria, come serenità intensa e duratura): la salute fisica, la sicurezza economica e l’amicizia. Ovviamente non parlo di una salute fisica del tutto assente da acciacchi curabili; né di una sicurezza economica del tutto esente dal rischio occasionale di non arrivare a fine mese; né di una vita zeppa di amicizie (anzi, Aristotele, notava che le amicizie autentiche, a cominciare dal proprio partner, implicano attenzione all’altro e non possono essere numerose). Uno potrebbe obiettare: ma questi tre fattori di cui parli - salute, sicurezza economica e amicizie - non dipendono soltanto da noi! E’ vero: e per questo la felicità in terra è fragile, precaria. Bisogna dirla tutta: salute, sicurezza economica e amicizie dipendono un po’ anche da noi. Per questo si può essere infelici senza colpa, ma felici non lo si è senza meriti. Chi non cura il proprio corpo, non si impegna in un lavoro, non si apre alle relazioni amicali non sarà mai ‘costretto’ dalla vita ad essere una persona equilibrata e realizzata: insomma, per quanto possibile, ‘felice’. Certo: evitare gli abusi, essere diligenti nel lavoro, mostrarsi disponibili all’aiuto reciproco non ci assicurano, automaticamente, la felicità. C’è qualcosa di sfuggente rispetto alla nostra responsabilità: è questione di ‘caso’, di ‘fortuna’ o di ‘provvidenza’ (a seconda della nostra ‘filosofia’ generale). Potremmo dire, per usare un’espressione che forse possiamo condividere un po’ tutti, che la felicità è un dono della vita: come tutti i ‘doni’ non c’è una ricetta infallibile per ‘meritarli’, ma ci sono molti modi per impedire che arrivino sino a noi. O per rovinarli una volta che ci abbiano sorpresi e toccati.

Augusto Cavadi
acavadi@alice.it

mercoledì 9 giugno 2010

I possibili risvolti di una riforma scolastica sbagliata


“Centonove” 4.6.2010

SCUOLA, PARTITA A SCACCHI

Come nel resto del Paese, in questi giorni non c’è un collegio di docenti di scuole siciliane che non esprima dissenso nei confronti della riforma Gelmini. E’ molto probabile che l’intento principale - la ratio dicono i giuristi - di questa riforma sia inaccettabile: tagliare la spesa per l’istruzione pubblica statale (in analogia ad altri tagli della spesa sociale) per continuare a finanziare - a diverso titolo e con diversi accorgimenti - l’istruzione privata. E’ contro questa logica che - lo premetto per evitare equivoci - ho votato a favore del documento di ‘disobbedienza’ del mio liceo “G. Garibaldi” di Palermo e, pochi giorni dopo, ho aderito allo sciopero generale della CGIL. In politica però le intenzioni, le motivazioni di fondo, contano meno degli atti: le normative vanno valutate, essenzialmente, per ciò che sono e per ciò che comportano oggettivamente.
Se esaminate da questa angolazione, le proposte dell’attuale Ministro non sembrano così sballate come risultano alla stragrande maggioranza di docenti e dirigenti scolastici. E’ ovvio che ogni diminuzione del monte-ore di lezione implica diminuzione dei posti di lavoro per gli insegnanti: ma si può bocciare una riforma della scuola sulla base di argomenti socio-economici senza entrare nel merito pedagogico-didattico? E’ un dato storico che, soprattutto nel Meridione, la scuola sia servita troppo spesso, dalla fondazione della Repubblica ad oggi, come sbocco (di ripiego) per generazioni di laureati in cerca di prima occupazione: ma è questa una ragione sufficiente perché continui ad essere strumentalizzata a tale scopo?
Qualora, poi, si accettasse di discutere sui contenuti educativi, sarebbe evidente ciò che quasi nessuno sembra oggi ammettere: che nelle scuole secondarie superiori ci sono (almeno ufficialmente, sulla carta) troppe ore di lezione. Non sono in grado di discutere la questione per la scuola primaria (elementare) né per la scuola secondaria di primo grado (media ‘inferiore’): ma, nel quinquennio successivo, 5 o 6 ore di permanenza in aula sono troppe. Tanto più che ad esse vanno aggiunte almeno altrettante ore di studio a casa per prepararsi alle verifiche del giorno dopo. A quale adulto in una civiltà progredita si impongono 10 - 12 ore al giorno di fatica per sei giorni su sette?
Insegnanti e alunni lo sanno così bene che ricorrono a ogni genere di espediente per mitigare la crudeltà di questo meccanismo stritolatore che produce, quasi infallibilmente, rigetto per la vita intellettuale, la creatività artistica e la progettualità tecnica. Gli alunni hanno a disposizione strategie ormai collaudate: prepararsi una o due ‘materie’ al giorno e accantonare totalmente le altre. Quando anche questa poca applicazione allo studio riesca pesante, marinano del tutto la scuola l’indomani (falsificare una ‘giustificazione’ o ottenere la ‘comprensione’ di uno dei due genitori non è certo difficile).
Con il tacito accordo dei professori, poi, ci sono mille modi per scongiurare il burn out: si rosicchiano minuti prima di entrare in aula; poi tra una lezione e l’altra; poi si allunga la ricreazione; poi si smette di lavorare anticipatamente rispetto alla campana finale…Si inventano attività parascolastiche non soltanto valide e congrue (ci sono pure queste, per carità!), ma anche bizzarre e fuorvianti rispetto a obiettivi seriamente formativi. Si mantengono in vita spazi di democrazia (assemblee di classe e di istituto) ridotti alla caricatura di sé stessi: occasioni di ricreazione supplementare, involucri privati delle istanze originarie di partecipazione politica. Per non parlare di improbabili viaggi di istruzione (spesso privi di preparazione culturale, prima, e di approfondimento critico, dopo) o, peggio ancora, di astensioni in massa dalle lezioni in occasione di manifestazioni di protesta (anche le più sacrosante) a cui partecipano, effettivamente, sparute minoranze di alunni più coerenti. Insomma: la riduzione del monte - ore annuale di lezioni è già operato, nei fatti e selvaggiamente, dalla tacita complicità della stragrande maggioranza dei protagonisti della vita scolastica.
A fronte di questo caos diseducativo, subdolamente alimentato da giovani e adulti, sarebbe molto più realistico e costruttivo ritornare all’essenziale. Primo: 3 ore di lezione + 5 ore di studio quotidiano a casa (otto ore di tensione mentale in età adolescenziale non sono certo poche). Secondo: dislocare nella fascia pomeridiana quegli insegnamenti che, distribuiti a casaccio nelle ore mattutine, vengono attuati in maniera penalizzante per essi stessi e per le altre discipline (penso all’educazione fisica sminuzzata un’ora qua e un’ora là o all’insegnamento della religione cattolica e alla farsa delle attività didattiche alternative per chi decida di non avvalersene). Terzo: raddoppiare gli stipendi ai docenti in modo da renderne appetibile la professione anche ai laureati più brillanti, ma affidarne il reclutamento a organismi professionali (sul modello del Consiglio superiore della magistratura) che abbiano l’interesse e la dignità di non imbarcare oves et boves inflazionando e svalutando la figura dell’insegnante. Quest’ultimo provvedimento è, ordine logico e di valore, prioritario: disputare sulla quantità delle ore di insegnamento senza sfiorare l’aspetto della qualità è solo un’ipocrisia colossale a cui nessuno (dal governo ai genitori, passando per i dirigenti scolastici, gli insegnanti e gli alunni) si sta sottraendo in questi giorni.

Augusto Cavadi

lunedì 7 giugno 2010

Ci vediamo a Caravaggio?



“Filosofia di strada” è adesso nelle librerie italiane


Care e cari,
sono davvero felice di informarvi che la mia tesi di dottorato - debitamente ‘de-accademicizzata’ - è diventata un libro acquistabile sia in internet che via internet (presso la casa editrice e presso le maggiori librerie online).
Qui di seguito i riferimenti.
(Ovviamente sono gradite osservazioni, critiche, proposte migliorative, recensioni).

“Filosofia di strada. La filosofia-in-pratica e le sue pratiche”, Di Girolamo Editore, Trapani 2010, pp. 350, euro 28,00.
Distribuito in Italia dalle Dehoniane di Bologna.

giovedì 3 giugno 2010

Vacanze filosofiche per non…filosofi (Belluno, agosto 2010)


INVITO

Il sito internet “www.ilgiardinodeipensieri.eu” di Bologna
Il gruppo editoriale “Il pozzo di Giacobbe”-“Di Girolamo” di Trapani
organizzano la

XIII
SETTIMANA FILOSOFICA
PER… NON FILOSOFI

* Per chi:
Destinatari della proposta non sono professionisti della filosofia ma tutti coloro che desiderano coniugare i propri interessi intellettuali con una rilassante permanenza in uno dei luoghi più gradevoli del Veneto, sul monte Nevegal, cogliendo l’occasione di riflettere criticamente su alcuni temi di grande rilevanza teorica ed esistenziale.

* Dove:
Nevegal (Belluno), altezza 1000 metri

* Quando:
Dal 20 al 26 agosto 2010

* Su che tema:
Libero arbitrio e libert�
Programma orientativo

Arrivo nel pomeriggio (possibilmente entro le 19) di venerdì 20 agosto.

Sono previsti due seminari giornalieri, dalle 9.00 alle 10.30 e dalle 18.00 alle 19.30, sui seguenti temi:

* Libero arbitrio e libertà nel mondo greco e medievale
* Libero arbitrio e libertà nella filosofia moderna
* Libero arbitrio e libertà nella filosofia contemporanea
* Libero arbitrio e libertà: esercizi di pratica filosofica

I seminari saranno introdotti a turno da Elio Rindone (Roma), Augusto Cavadi (Palermo), Alberto Giovanni Biuso (Milano-Catania), Simona Gasparetti Landolfi (Roma),
È possibile chiedere di anticipare e/o posticipare di qualche giorno il soggiorno in albergo.

Partenza dopo il pranzo di giovedì 26 agosto.

Indicazioni bibliografiche

Le “vacanze filosofiche per…non filosofi”, avviate sperimentalmente sin dal 1983, si sono svolte regolarmente dal 1998. Per saperne di più si può leggere il libro di Augusto Cavadi Quando ha problemi chi è sano di mente. Breve introduzione al philosophical counseling (Rubbettino, Soveria Mannelli 2002) oppure il libro di Autori vari, Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni (Di Girolamo, Trapani 2008).
E’ attivo anche il sito www.vacanzefilosofiche.it curato da Salvatore Fricano (Bagheria).

Costo

L’iscrizione al corso (comprensiva dei materiali didattici) è di euro 200 a persona.
Chi si iscrive entro il 15 giugno ha diritto ad uno sconto di 50 euro.

Ognuno è libero di trovare il genere di sistemazione (albergo, camping o altro) che preferisce.

Chi vuole può usufruire di una speciale convenzione che il comitato organizzatore ha stipulato con l’Hotel Olivier, Via Col de Gou, 341, tel. 0437 908165, Fax. 0437 908162 (cui ci si può rivolgere per la prenotazione delle camere e il versamento del relativo acconto). Si consiglia di chiedere l’iscrizione per tempo poiché il numero delle camere è limitato, facendo riferimento alla convenzione particolare col gruppo di filosofia.

La pensione completa (comprensiva di bevande) costa:

* in camera singola (con bagno) € 60 al giorno.
* in camera doppia (con bagno) € 50 al giorno.

Avvertenze tecniche

Per l’iscrizione ai seminari, dopo aver risolto la questione logistica, inviare l’acclusa scheda d’iscrizione e la copia (anche mediante scanner) del versamento di € 50,00 a persona, a titolo di anticipo sulla quota complessiva, a: prof. Alberto Giovanni Biuso (334.7973696 / fax: 02.700.425619 / e-mail: agbiuso@unict.it). In caso di mancata partecipazione alla vacanza-studio, detta somma non verrà restituita. La prenotazione al seminario non è valida finché non è stato effettuato il bonifico!
Il saldo della quota di partecipazione (dunque i restanti 150 euro) sarà versato all’arrivo in albergo.

***************************************
Scheda di iscrizione

Nome_______________________

Cognome____________________

Via o piazza_________________

N. civico____________________

c.a.p. e Città_________________

Prov._______________________

tf.__________________________

e-mail______________________

fax_________________________

Ho spedito € 50 a persona
mediante bonifico bancario*
intestato a:
Alberto Giovanni Biuso
conto cor. n° 615311316318
presso Banca Intesa San Paolo,
agenzia 2148, Milano

Codice IBAN del conto corrente:
IT39 N030 6909 5636 1531 1316 318

camera singola/doppia/tripla

Firma______________________

* I versamenti possono essere
unificati per due o più iscrizioni

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martedì 1 giugno 2010

Giselle Dian intervista Augusto
(su “Nonviolenza in cammino”)


TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 205 del 29 maggio 2010
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Sommario di questo numero:
1. Il colpo di stato razzista, la carneficina afgana
2. Giselle Dian intervista Augusto Cavadi
3. Giselle Dian intervista Andrea Cozzo
4. Giselle Dian intervista Fulvio Cesare Manara
5. Per difendere il Bulicame e i diritti di tutti un’iniziativa esemplare
6. L’assessore provinciale alle opere stradali e alla pianificazione territoriale risponde all’esposto sull’accesso ostruito a una pozza dell’area del Bulicame
7. Un’ampia intervista alla dottoressa Litta
8. Il cinque per mille al Movimento Nonviolento
9. “Azione nonviolenta”
10. Segnalazioni librarie
11. La “Carta” del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu’

(…)
2. RIFLESSIONE. GISELLE DIAN INTERVISTA AUGUSTO CAVADI
[Ringraziamo Giselle Dian (per contatti: gipsy91@live.it) per averci messo a disposizione questa intervista ad Augusto Cavadi.
Giselle Dian fa parte della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.
Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994, D G editore, Trapani 2006; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005; E, per passione, la filosofia, DG Editore, Trapani 2006; La mafia spiegata ai turisti, Di Girolamo Editore, Trapani 2008; E, per passione, la filosofia. Breve introduzione alla piu' inutile di tutte le scienze, Di Girolamo, Trapani 2008; Chiedete e non vi sara' dato. Per una filosofia pratica dell’amore, Petite Plaisance, Pistoia 2008; In verita' ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani, Falzea, Reggio Calabria 2008; Il Dio dei mafiosi, San Paolo, Milano 2009; Come posso fare di mio figlio un vero uomo d’onore? Coppola, Trapani 2008; L’amore e' cieco ma la mafia ci vede benissimo, Coppola, Trapani 2009; Filosofia di strada. Il filosofare-in-pratica e le sue pratiche, Di Girolamo, Trapani 2010. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo e siciliane. Segnaliamo il sito: www.augustocavadi.eu (con bibliografia completa)]

- Giselle Dian: Quale eredita’ ha lasciato nella cultura statunitense e mondiale l’esperienza di Martin Luther King, la lotta contro il razzismo e il movimento per i diritti civili?
- Augusto Cavadi: Non so nel mondo, ma in quell’angolo della semi-periferia del mondo in cui vivo (la Sicilia) la sua testimonianza e’ arrivata e ha dato frutto, anche grazie all’amplificazione che la sua opera ha ricevuto in loco da Danilo Dolci. Per noi, giovani nel ‘68, e’ stato fondamentale vedere nel pastore battista una sintesi di fede evangelica e di impegno politico concreto.
*
- Giselle Dian: L’opposizione alla bomba atomica ha caratterizzato la seconda meta’ del Novecento; negli ultimi decenni essa si e’ sviluppata anche contro le centrali nucleari, cogliendo una serie di decisivi nessi ed implicazioni. Quali sono state le esperienze cruciali e quali sono le riflessioni fondamentali del movimento antinucleare?
- Augusto Cavadi: Qui in Sicilia la fase cruciale e’ stata costituita dalle lotte contro l’installazione dei missili a testata nucleare a Comiso, in quel di Ragusa. Oggi la zona e’ denuclearizzata, ma sarebbe esagerato attribuire solo a quelle campagne il merito del risultato. Molto piu’ decisivo e’ stato il mutamento del quadro internazionale in seguito all’implosione del sistema sovietico. Credo che Gorbaciov sia uno dei massimi politici di tutti i tempi (anche se, mi pare, ci stiamo dimenticando di lui troppo presto).
*
- Giselle Dian: La solidarieta’ internazionale con il movimento antiapartheid in Sudafrica ha caratterizzato gli anni Ottanta; e ad essa anche gli artisti (delle arti visive, della musica, della letteratura, del teatro e del cinema) hanno dato un contributo rilevante, particolarmente sul versante della sensibilizzazione. Poi, negli anni ‘90, la liberazione di Nelson Mandela, la sua elezione a primo presidente democratico del Sudafrica, e l’esperienza straordinaria della Commissione per la verita’ e la riconciliazione, costituiscono eventi di portata mondiale ed epocale. Quali riflessioni si possono trarre da questa vicenda?
- Augusto Cavadi: In un gruppo di lavoro durato tre anni e sfociato in un volume (Mafia e nonviolenza, a cura di Vincenzo Sanfilippo, Di Girolamo editore, Trapani 2007) abbiamo provato a immaginare che cosa possa significare, nel Meridione italiano, coniugare le esigenze della giustizia verso i familiari di vittime di mafia e la lungimiranza di agevolare la “conversione” reale dei cosi’ detti “pentiti” e delle loro famiglie. E’ un percorso teorico-pratico in corso, con le sue poche luci e con le sue molte ombre.
*
- Giselle Dian: Da alcuni anni si ha la sensazione che almeno in alcune parti del mondo finalmente i diritti delle persone omosessuali vengano almeno formalmente riconosciuti, e che il pregiudizio e la violenza omofoba non godano piu’ di una complicita’ diffusa. E’ realmente cosi’? Ed attraverso quali tappe di impegno civile e di progresso culturale si e’ giunti a questa situazione, e quanto cammino c’e’ ancora da percorrere, e quali iniziative occorre intraprendere affinche’ ad ogni persona sia riconosciuto il diritto alla libera autodeterminazione ed autogestione del proprio orientamento sessuale e delle proprie scelte di vita?
- Augusto Cavadi: Come osservatore della valenza religiosa dei comportamenti sociali sono particolarmente sensibile ai processi intra-ecclesiali di liberazione dalle bende dell’omofobia. Con la stima verso persone quali Franco Barbero di Pinerolo e Alessandro Esposito di Trapani, cerco di dare anch’io una mano a riflettere sulla falsa connessione fra fede biblica e intolleranza nei confronti delle sorelle e dei fratelli che (per un groviglio di fattori) trovano piu’ congeniale veicolare l’amore attraverso gesti omofili. E mi pare di poter dire che questa battaglia si inserisce all’interno di una guerra molto piu’ impegnativa: liberare la visione cristiana dell’uomo dalla sessuofobia atavica in cui si e’ gradatamente - e inesorabilmente - imprigionata.
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- Giselle Dian: Quale puo’ essere lo specifico contributo dell’arte all’impegno per la pace, l’ambiente, i diritti umani di tutti gli esseri umani?
- Augusto Cavadi: Cercare la bellezza senza voler essere edificanti a tutti i costi. La bellezza merita di essere coltivata gratuitamente, pur sapendo che essa comporta effetti collaterali desiderabili.
*
- Giselle Dian: L’opera di Keith Haring, e piu’ in generale il linguaggio dei “graffiti”, pone in evidenza il rapporto tra opera d’arte e dimensione urbana, tra performance estetica e vissuto della strada, tra “nonluoghi” e impegno civile, tra forme della cultura di massa e lotta contro l’alienazione e l’emarginazione, tra strutture della vita quotidiana e nuove modalita’ di risignificazione dei luoghi e delle esperienze esistenziali. Quali riflessioni le suscita questa prassi?
- Augusto Cavadi: Confesso di essere molto piu’ disturbato dagli abusi dei “graffittari” che ammirato della loro opera. Sarei felice se quanti praticano questa forma d’arte rispettassero tempi e luoghi; anzi, quando vedo che i graffiti abbelliscono squarci squallidi, sono gia’ adesso felice.

NOTA: Chiunque può abbonarsi gratuitamente a questo notiziario telematico scrivendo a nbawac@tin.it