giovedì 29 luglio 2010

Don Pino Puglisi: sarà mai santo?


“Repubblica – Palermo”
23 luglio 2010

Il dilemma del papa su don Puglisi

In vista della prossima visita a Palermo (3 ottobre) di Benedetto XVI, un nutrito numero di associazioni cattoliche, di preti, di laici, di simpatizzanti gli ha inviato (mediante il Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone) una lettera-appello affinché don Pino Puglisi sia, finalmente, proclamato martire e santo della Chiesa cattolica. Sappiamo già che la canonizzazione non sarebbe priva di rischi: se don Pino è stato un ‘santo’, gli altri preti sono quasi legittimati a comportarsi da pastori ‘normali’. Dunque a convivere, senza troppi problemi, con i padrini del quartiere che, quasi unanimemente, si proclamano ferventi fedeli.
Ma i firmatari della lettera al papa si concentrano sull’altro versante della questione: con un atto simile, la Chiesa cattolica uscirebbe definitivamente da una cultura dell’equidistanza fra Stato democratico e mafia; farebbe una chiara scelta di campo; proporrebbe a tutti i suoi ministri un modello di prete che include, tra i propri compiti di evangelizzazione, la difesa gelosa e la diffusione dei princìpi etici che la mafia calpesta quotidianamente.
Ma cosa c’è dietro questa sollecitazione ‘dal basso’? Come mai centinaia di cattolici palermitani hanno avvertito la necessità di ricordare ai vertici ecclesiastici ciò che dovrebbe risultare di per sé evidente?
Ciò che non è noto all’opinione pubblica è che la causa di beatificazione di don Puglisi ha incontrato delle difficoltà e rischia, tuttora, di ristagnare in una impasse: perché definire martire cristiano uno che è stato ucciso non “in odio alla fede cristiana” (come prevede la normativa) bensì a causa del suo impegno sociale? La obiezione ha un senso: se fosse stato ‘solo’ un buon parroco di quartiere, interamente dedito al catechismo dei bambini e alla celebrazione dei sacramenti, don Puglisi sarebbe morto a tarda età sul suo letto. Come la stragrande maggioranza dei parroci palermitani nell’ultimo secolo e mezzo.
La questione teologica che si pone è dunque: come dev’essere il prete secondo lo spirito del Vangelo? Ha ragione chi pensa (e questa sembrerebbe la posizione oggi dominante in Vaticano) che il prete ‘vero’ è un funzionario della liturgia, impegnato a difendere l’istituzione ecclesiastica da urti e tensioni e a moltiplicare adepti soprattutto fra le nuove generazioni, o non è piuttosto un apostolo della parola e dell’azione che deve dare voce alle esigenze di giustizia, di libertà, di fratellanza, di solidarietà della gente tra cui è inviato? E’ chiaro che qui sono in gioco due opposte visioni di chiesa: da una parte la chiesa autoreferenziale, corazzata inaffondabile nelle tempeste della storia, guidata da nocchieri che si autodefiniscono infallibili; dall’altra la chiesa come comunità di credenti, barchetta esposta ai quattro venti, costituita da persone che condividono i dolori e le gioie, la fatica e la ricerca degli altri uomini e delle altre donne. Senza atteggiamenti di superiorità.
Come andrà a finire? Nessuno oggi è in grado di fare ‘profezie’, Se si guarda alla logica complessiva di questo pontificato, non è lecito nutrire eccessive illusioni: come don Peppino Diana in Campania, anche don Pino Puglisi è morto, come è vissuto, in maniera troppo ‘laica’ per meritare il massimo riconoscimento ecclesiale sulla terra.
Unico appiglio: che il papa e la Congregazione romana che si occupa del culto dei santi rispolverino la tesi medievale di san Tommaso d’Aquino, “dottore comune” dell’intera chiesa cattolica. L’illustre teologo ‘ufficiale’ l’ha scritto chiaro e tondo: Dio è anche Giustizia e chi muore per la giustizia, muore - lo sappia o meno – per la causa di Dio. Ma allora eravamo nel Medioevo storico, fisiologico: niente di paragonabile con la ristrettezza mentale del Medioevo di ritorno, patologico, in cui la chiesa cattolica sta precipitando. Insieme al resto delle società nominalmente cattoliche.

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