venerdì 3 dicembre 2010

OCCUPARE LE SCUOLE FA IL GIOCO DELLA DESTRA


“Repubblica – Palermo”
3 . 12. 2010

OCCUPARE LE SCUOLE FA IL GIOCO DELLA DESTRA

L’ondata delle occupazioni (e agitazioni studentesche affini) è arrivata. Le obiezioni di quanti – fra docenti, genitori e studenti – si riconoscono nella visione della società dell’attuale maggioranza parlamentare sono note e ovvie. E anche da posizioni diverse bisogna dare atto a questo governo di essere stato, sul punto, coerente: aveva promesso una scuola conservatrice, moderata, tecnologica e ha mantenuto la promessa (a differenza, potremmo aggiungere sottovoce, di governi di centro-sinistra che hanno lavorato nella stessa direzione, ma dopo aver promesso l’opposto).
Meno note le obiezioni a questo metodo di protesta da parte di alcuni osservatori progressisti. I quali condividono, certamente, la mèta ma ritengono che sia totalmente errata la strada per raggiungerla.
Partiamo da un dato storico indubbio: come mai dal ’68 a oggi, generazione dopo generazione, questo genere di proteste ha portato a governi (e dunque a politiche scolastiche) sempre peggiori? Forse le intenzioni erano sacrosante, ma i metodi inadeguati. Riflettiamo su alcune ragioni di questa “eterogenesi dei fini”.
In democrazia la maggioranza vince, ma nelle nostre scuole la formazione politica è vicina allo zero. Con il pretesto del principio (condivisibile) che a scuola non si fa politica (nel senso di lotta fra schieramenti elettorali), in effetti non si fa neppure cultura politica: milioni di ragazzi escono senza avere mai sfogliato una volta la Costituzione; senza aver mai esaminato i progetti dei liberali, dei comunisti, dei socialdemocratici o dei conservatori; senza aver mai incontrato dal vivo i protagonisti della Resistenza antifascista o della lotta contro la mafia. Milioni di ragazzi escono dalla scuola senza aver mai letto in classe un quotidiano o un settimanale. Milioni di ragazzi escono dalla scuola con la convinzione che Fede o Vespa siano il pendant equivalente di Biagi o di Fazio. Che fare la guerra in Afghanistan o esimersi dal versare i contributi promessi in sede internazionale per lenire la fame e la sete nel mondo siano comportamenti ‘normali’ su cui il cittadino comune non ha nulla da obiettare.
In questo contesto, l’elettorato impegnato a cambiare le cose - e che dunque potrebbe pretendere che anche i suoi rappresentanti in Parlamento lavorino nello stesso senso – si riduce drasticamente e va a ingrossare le fila o della maggioranza reazionaria o della sempre più nutrita minoranza degli astensionisti.
La diagnosi stessa suggerisce, punto per punto, la terapia. Non è facile né poco faticosa: ma senza una riforma intellettuale e morale della società non si va da nessuna parte. Illudersi che occupare delle scuole (per decisione di piccole minoranze di studenti a cui gli altri si accodano, non disinteressatamente) possa incidere sulle decisioni di un governo alle soglie delle dimissioni è davvero da ingenui. Voler fare la rivoluzione è facile, prepararsi per esserne degni costa fatica, impegno,: ben al di là di una settimana l’anno. E se gli effetti politici sono incerti, certissimi sono i danni che si auto-infliggono i nostri ragazzi rinunziando a giorni preziosi di diritto allo studio. Ma una cittadinanza poco informata, poco istruita e soprattutto poco critica, non è proprio ciò che le destre di ogni tempo e di ogni paese auspicano? E’ la vecchia storia del marito che, per dare una lezione alla moglie, decide di tagliarsi i genitali, per poi magari stupirsi che la signora si attrezzi con un amante un po’ più efficiente.

Augusto Cavadi

Nota: Questo pezzo è stato ospitato, con qualche lieve taglio redazionale, solo come ‘lettera’ perché non esprime la linea editoriale del giornale (favorevole, a differenza di me, alle modalità di lotta scelte dagli studenti): meglio di niente...

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