sabato 15 gennaio 2011

I Movimenti civici siciliani: prospettive e rischi


“Repubblica – Palermo”
15. 1. 2011

I Movimenti civici Sicilia: gli errori da evitare

L’ultimo week-end di novembre ha segnato una data importante per la società civile siciliana. Dopo mesi di incontri in varie città siciliane, infatti, decine di associazioni si sono adunate nell’Aula Magna della facoltà di Economia di Palermo per l’Assemblea costituente di una sorta di ‘patto’ fra i “Movimenti civici Sicilia”. Su queste colonne p. Gianni Notari ha già illustrato alcune linee ispiratrici dell’iniziativa: restano, adesso, da sciogliere i nodi della transizione dalla fase dell’innamoramento alla continuità della vita coniugale. Chi di noi, infatti, ha già i capelli grigi ha assistito, negli ultimi quarant’anni, a numerosi tentativi del genere: a livello sia cittadino (“Una città per l’uomo”, “Cocipa”, “Insieme per Palermo”…) sia regionale (vari convegni promossi da “Città d’utopia” di Catania…) sia nazionale (la “Rete” attivata da Leoluca Orlando). Si può trarre dai fallimenti del passato qualche indicazione per evitare di replicarli?
Partiamo da due errori macroscopici: il leaderismo e l’analfabetismo politico. Quanto al primo difetto (presente in misura diversa in tutte le esperienze precedenti, in qualche caso in proporzioni patologiche), chi ha seguito in questi mesi riunioni e convegni ha potuto constatare una netta consapevolezza da parte di tutti i partecipanti della necessità che siano fissate e rispettate delle regole di assoluta democrazia: è molto chiaro, infatti, che non appena un soggetto (individuale o associativo) dovesse assumere atteggiamenti da primo della classe, comprometterebbe un processo dal basso che nasce proprio contro il protagonismo autoritario degli attuali dirigenti dei partiti politici (non solo siciliani). Non è un caso che lo “Statuto” sottoscritto a Palermo sia molto attento a calibrare, in una logica federativa, il peso di ciascuna organizzazione aderente.
Altrettanto vigile è sembrata l’attenzione verso la dimensione formativa del movimento. Non solo perché Stefano Zamagni, tra i più illustri economisti europei, ha concluso la sua relazione proprio raccomandando l’istituzione di una Scuola di educazione civica, ma perché sin dai primi passi i promotori hanno evidenziato come una democrazia formale può funzionare anche effettivamente solo se il cittadino-elettore viene alfabetizzato, se gli si offrono occasioni per uscire dall’ebetismo televisivo per provare a giudicare da sé sulla base di informazioni quanto più oggettive possibile. Nei tentativi dei decenni precedenti, infatti, per “formazione” s’intendeva far assistere – passivamente – a conferenze brillanti o a presentazioni di libri di autori noti, senza la paziente e quotidiana fatica della lettura personale e dello scambio di idee seminariale. 
Ammesso che i vari partecipanti a quest’avventura regionale si mantengano fedeli a tali intenti, il nodo più difficile da sciogliere sarà la natura costitutivamente anfibia del movimento. Esso vuole essere, infatti , un soggetto politico dalla doppia funzione: da una parte, interlocutore autorevole delle istituzioni (a cui sottoporre critiche, denunce, proposte di legge, ipotesi costruttive per migliorare la qualità della vita dei concittadini); dall’altra, qualora questa interlocuzione critica dovesse risultare fallimentare per persistente sordità autoreferenziale degli amministratori e degli altri esponenti dei partiti tradizionali, esso stesso esprimerebbe delle liste civiche per competere alle elezioni negli enti locali. Questa doppia valenza è certo la ricchezza di iniziative associative del genere (infatti spesso chi amministra la cosa pubblica non ha alle spalle esperienze significative né professionali né sociali), ma ne costituisce un possibile tallone d’Achille. Infatti, qualora si sia costretti a passare dal piano della pressione civica nei confronti delle istituzioni alla competizione elettorale, l’unanimità degli intenti si frantuma facilmente e ognuno rivendica (per altro legittimamente) il diritto di votare per liste o candidati di altre liste che gli diano più garanzie. Senza contare che già altre volte, e di recente a Caltanissetta, è capitato che persone elette in liste civiche, una volta assaporata l’aria del palazzo, hanno ritenuto più opportuno (per la propria carriera futura o forse anche per essere più efficaci nell’azione politica a favore della città) chiedere la tessera di un partito. Il nodo non è agevole da sciogliere: se si resta un movimento sociale ((la lobby di chi non ha lobby), è più probabile restare uniti ma si rischia di delegare a piloti clamorosamente inetti la guida della nave; se si prova a entrare nella cabina di pilotaggio per afferrare il timone, si scopre che i principi etici (per quanto sinceramente condivisi in una “Carta etica” sottoscritta in questi giorni) non si applicano meccanicamente ai casi particolari ma possono tradursi in una gamma di opzioni concrete su cui anche persone soggettivamente oneste possono legittimamente discordare. In questa ipotesi, però, un movimento civico - senza strutture gerarchiche, senza una disciplina rigida – rischia di frammentarsi o, comunque, di comportarsi come la brutta copia di un partito ‘tradizionale’. Un simile esito sarebbe davvero doloroso per le centinaia di persone, anzi migliaia, che guardano a questo esperimento con molte aspettative: non è un caso che all’assemblea costituente dei movimenti civici siciliani fossero presenti rappresentanti di aggregazioni civiche provenienti dall’Emilia Romagna, dalla Puglia, dal Lazio, dalla Lombardia. Tutti cittadini e cittadine che non ce la fanno più a guardare, inerti, lo spettacolo offerto dal ceto politico; che prendono coscienza delle proprie colpe nell’aver firmato troppe deleghe in bianco, convinti – per riprendere il proverbio africano citato da uno di loro - che “chi vuole fare, trova la strada; chi non vuole fare, trova la scusa”.

Augusto Cavadi

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