mercoledì 26 gennaio 2011

“Illogiche binarie” (Bruno Vergani)


“Cronache laiche” (quotidiano on line)
20. 1. 2011

Illogiche binarie
di Bruno Vergani

Il matematico Piergiorgio Odifreddi nel suo libro “Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)”, sentenzia: “Il mondo è fatto in gran parte di “cretini”, cioè, etimologicamente, di “cristiani”. Il cristianesimo, infatti, è indegno della razionalità e dell’intelligenza dell’uomo”.

L’insulsa boutade immeritevole d’attenzione è stata percepita dai destinatari grave provocazione meritevole di risposta, così invece di porgere l’altra guancia hanno reagito, e da mesi è in atto uno scontro sui media tra la chiesa degli apologeti cattolici e quella dei fondamentalisti atei. Su tutto si danno, reciprocamente, dei cretini ma su un punto, quello che conta, sembrano invece d’accordo: il senso del vivere, il significato dell’essere, la dimensione del sacro, si esprimerebbero e dipenderebbero unicamente dal credere o non credere all’istituzione della Chiesa cattolica.

L’episodio seppur circoscritto è emblematico di un modo irragionevole, ma diffuso, di ridurre l’esperienza esistenziale del sacro ad un asfittico aut-aut, ad una precisa scelta di campo: dentro o fuori la Chiesa cattolica. O di qui o di là: di qui non ti poni domande sul senso della vita, rinneghi l’invisibile, rifuggi il meraviglioso e obbedisci alla tecnoscienza; di là obbedisci al Papa, credi alla resurrezione della carne e alle apparizioni mariane. “Chi da qui va di là” è un convertito, “chi da là viene di qui” è un apostata. Nelle fazioni dei credenti o dei miscredenti, nel recinto dei convertiti e in quello degli apostati, sembra non rimanere più spazio per l’uomo, quello reale, col nome e cognome, per la sua ricerca di verità e risposte non banali al senso del vivere e così, pur di non omologarsi, preferisce camminare in solitudine per, non di rado, spegnersi.

Soffocato nell’alternativa binaria, il sacro, il desiderio di giustizia, di assoluto, di cosmico, di fantastico, di meraviglioso e di sublime bussa alla porta, così ritornano, nei giovani, forme collettive primarie e anarchiche d’inquietudine religiosa: apocalisse 2012, Trance music, tatuaggi, body piercing e per i più sensibili qualche “canna” in compagnia che, se di buona qualità si rivela, a loro dire, soddisfacente alternativa a Lourdes e a presbiteri integralisti e anche ai loro fratellastri paladini dell’ateismo dogmatico.

Risponde a questa banalizzazione del sacro la proposta del filosofo Augusto Cavadi che interessato ad un modo pratico di esercitare la filosofia, specialmente come servizio ai non-filosofi, affronta la complessa questione attraverso un percorso collettivo, che così spiega e presenta: “Incontri dove in uno spazio ‘laico’ di ricerca e di sperimentazione di una inedita ’spiritualità‘ . Intendo una terra-di-nessuno in cui avviene già che credenti, atei, agnostici provano – in totale autonomia, con pari diritti e pari responsabilità, senza spinte competitive – a sondare se, al di là dei fenomeni empirici, non sia fruibile una dimensione ulteriore della realtà: quella dimensione più profonda che nella storia è stata variamente nominata come ’sacra’, ‘divina’, ‘assoluta’ (…) Una spiritualità che si nutre dell’esperienza dell’interiorità, della ricerca del senso e del senso dei sensi, del confronto con la realtà della morte come parola originaria e con l’esperienza del limite; una spiritualità che conosce l’importanza anche della solitudine, del silenzio, del pensare, del meditare. E’ una spiritualità che si alimenta dell’alterità: va incontro agli altri, all’altro e resta aperto all’Altro se mai si rivelasse. (…) I laboratori della spiritualità sono stati tradizionalmente appannaggio dei mistici. Oggi, per varie ragioni (non sempre deprecabili), i luoghi delle pratiche confessionali – quasi sempre rigidamente circoscritti da recinti istituzionali – sono in crisi. Non spetta ai filosofi occuparsi di questa desertificazione: ciò che è legittimo, ed auspicabile, è favorire la creazione di altri laboratori dove uomini e donne – inseriti nella vita sociale, economica e politica – possano incontrarsi con pensatori, artisti, poeti, scrittori, musicisti, psicologi, cultori delle pratiche meditative. E possano incontrarsi per così dire disarmati: senza altro intento che di contagiarsi la stessa nostalgia di silenzio, di contemplazione e di conciliazione col resto dell’universo” (”Filosofia di strada. la filosofia-in-pratica e le sue pratiche”, Di Girolamo, Trapani 2010, pp. 216 - 217).

Bruno Vergani

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