mercoledì 29 giugno 2011

Ci vediamo sabato 2 e domenica 3
a S. Giuseppe Jato (Pa)?


Associazione Scuola di Formazione etico-politica “G. Falcone”
SEMINARIO RESIDENZIALE SUL TEMA:
“Palermo 2012-2017: è possibile un futuro diverso?”
Masseria La Chiusa (S. Giuseppe Jato - PA)
Sabato 2 – Domenica 3 luglio 2011

Nella prossima primavera si tornerà al voto nel capoluogo siciliano. Veniamo da un decennio difficile per Palermo. Quella che è mancata, fondamentalmente, è stata un’idea unitaria della città. Che oggi risulta divisa in tanti pezzi tra loro non comunicanti. Sarà difficile recuperare. Non solo per le scelte politiche. Bisognerà innanzitutto verificare quali siano le reali condizioni del bilancio comunale. Di qualsiasi colore sarà il sindaco che risulterà eletto, si dovrà sobbarcare a un lento lavoro di riemersione.
Nelle due giornate di convivenza e di riflessione che proponiamo, più che guardare il recente passato e il presente, se non in quanto servano per comprendere il punto di partenza, ci fermeremo a riflettere sul prossimo decennio. Attraverso il confronto con alcune persone che si propongono, in vario modo, di essere protagoniste nella prossima legislatura, vorremmo sondare le loro concrete proposte sui singoli problemi che riguardano il capoluogo siciliano. In coda abbiamo inserito anche un confronto tra responsabili di partiti e movimenti. Nella consapevolezza che i primi e i secondi, con tutti i limiti e le distorsioni che possono presentare, rappresentano dei veicoli fondamentali nella vita politica di una grande città. Prendiamo atto, tuttavia, che i partiti sono ancora fermi, in attesa di definire alleanze e procedure nell’individuazione delle candidature a primo cittadino. Ma quanto può aspettare, ancora, Palermo? Nel frattempo sono uscite fuori, in maniera più o meno evidente, alcune candidature di cittadini sia iscritti a partiti sia impegnati in altro modo nella società civile. Vorremmo che questo fine settimana ci consentisse di maturare qualche idea più chiara circa il futuro di Palermo, che è poi il futuro di tutti noi.

PROGRAMMA
Sabato 2 luglio
9,30 Arrivo, accoglienza e iscrizioni
10,30 Presentazione del seminario (Francesco Palazzo)
11,00 - 12,00 Confronto su Viabilità, Trasporti, Rifiuti, Centro storico e Fronte mare
12,00 – 13,00 Dibattito con gli iscritti al seminario
13,30 – 16,30 Pausa pranzo e riposo
16 , 30 – 18,00: Confronto su Società partecipate dal Comune
(AMAT, AMIA, AMG, GESIP), Bilancio, Cultura, Giovani, Sicurezza.
18 – 18, 30: Pausa caffè
18,30 – 19,30: Dibattito con gli iscritti al seminario.
Domenica 3 luglio
10,00 – 11,30: Confronto su Periferie, Associazionismo, Welfare, Spazi Pubblici, Lavoro.
11,30 – 12,00: Pausa caffè
12,00 – 13,00: Dibattito con gli iscritti al seminario
13,30 – 16: Pausa pranzo e riposo
16,00 – 19,00: Tavola Rotonda conclusiva su Verso le amministrative. Con chi, come e perché.
Confronto tra responsabili di Partiti, rappresentanti di Movimenti e iscritti al seminario.

Ai primi tre incontri su temi specifici saranno presenti:
• Carlo Vizzini (PDL), Giuseppe Valenti (Movimento Per Palermo), Davide Faraone (PD), Doriana Ribaudo (PID), Nadia Spallitta (SEL), Ninni Terminelli (PD).
Alla tavola rotonda saranno presenti:
• Giampiero Cannella (Segretario Cittadino PDL), Sergio Lima (Segretario Provinciale SEL), Pippo Russo (Segretario Provinciale IDV), Marcello Capetta (Muovi Palermo), Giuseppe Valenti (Associazione Per Palermo).
Note tecniche
Per raggiungere la Masseria La Chiusa (http://www.masserialachiusa.it) prendere lo scorrimento veloce Palermo-Sciacca, uscita Giacalone, girare a sinistra per la sp 20 in direzione San Giuseppe Jato, tra il km 8 e il km 9 prendere la sp 67bis e percorrerla fino al parcheggio dell’Agriturismo Masseria La Chiusa. In alternativa: da san Giuseppe Jato prendere la sp 20 in direzione Palermo fino all’incrocio con la sp 67bis. La quota complessiva è di € 100,00 (iscrizione al seminario, pernottamento, pranzi di sabato e domenica, cena del sabato e prima colazione di domenica). E’ possibile fruire di un pacchetto più ampio (servizi precedenti + cena del venerdì, pernottamento e colazione di sabato con un’aggiunta di soli euro 50,00 per un totale, dunque, di euro 150,00).
Per chi non pernotta:
Iscrizione al seminario € 10 (anche se si partecipa a un solo incontro).
Cena del sabato e pranzi di sabato e domenica € 50.
Pranzo e cena di sabato € 15 cadauno.
Pranzo della domenica € 25.
Per le prenotazioni e le iscrizioni al seminario scrivere a: acavadi@alice.it, spalla.pietro@gmail.com, francipalazzo@gmail.com oppure chiamare ai numeri 3288135673, 3384907853, 3386132301.

lunedì 27 giugno 2011

Ci vediamo sulla spiaggia di Valdesi (Mondello) domani?


Martedì 28 giugno
alle ore 18,30
presso lo Spazio Liberamabiente
(spiaggia di Valdesi, Mondello – Palermo)
Salvatore Cusimano (direttore della sede Rai di Palermo)
discuterà, con l’autore, il libro di

Augusto Cavadi

101 STORIE DI MAFIA
CHE NON TI HANNO MAI RACCONTATO

(Newton Compton, Roma 2011, pagine 215, euro 9.90)

venerdì 24 giugno 2011

Ci vediamo sabato 25 a Lamezia Terme?


Come è a molti noto, si sta svolgendo a Lamezia Terme (Calabria) il primo festival di libri su e contro le mafie (www.tramefestival.it).
Sabato 25 giugno, alle ore 19.00, discuterò con Sergio Tanzarella del mio libretto “La mafia spiegata ai turisti”, Di Girolamo, Trapani 2011, pp. 60, euro 5.90.
La manifestazione durerà sino alla sera di domenica: un’ottima occasione per vederci con tanti di voi!

venerdì 17 giugno 2011

LA VIRTU’ DELLA TRASPARENZA E I FONDI DELLA CHIESA


“Repubblica – Palermo”
15. 6. 2011

La questione riguarda esclusivamente (o quasi, dal momento che se ne sta occupando anche la Procura di Trapani) la Chiesa cattolica: il papa ha inviato nella diocesi trapanese un “visitatore apostolico” (nella persona di mons. Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente della Commissione “Giustizia” della Conferenza episcopale italiana) con il compito di far chiarezza su forti tensioni interne fra il vescovo, mons. Micciché, accusato di aver conferito al cognato la presidenza di una Fondazione (con relativo emolumento superiore ai 100.000 euro annui), e un prete da lui punito perché, a sua volta, accusato di aver fatto sparire un milione di euro.
Un primo sentimento che può emergere nell’animo è di santa invidia verso l’apparato ecclesiastico. Come evitare, infatti, di mettere a confronto la gerarchia cattolica che manda da Roma un ispettore a verificare l’operato di un vescovo e il governo italiano che non interviene sui sindaci se non quando ci sono gli estremi dei reati di mafia? Ma è un pensiero tentatore da scacciare sul nascere. Infatti, nell’immediato, sarebbe certamente un sollievo sapere che un governo nazionale - ad esempio davanti a una giunta municipale che in dieci anni è riuscita a cancellare una Fiera annuale internazionale, a ridurre sul lastrico Gesip e Amat (ricordate le sponsorizzazioni milionarie a Dubai e i viaggi da sultani dei nostri dirigenti?), ad abbandonare intere borgate all’illegalità sistemica, a mandare in tilt persino i luoghi deputati alla pace eterna – interviene, con il prefetto o con un commissario ad hoc, per restituire ai cittadini un minimo di fiducia. Eppure. Eppure una simile metodologia, nel lungo periodo, sarebbe pericolosa: darebbe ai governi in carica eccessivi poteri, annullerebbe le decisioni popolari, ci ricaccerebbe indietro al tempo dei podestà nominati dall’alto. No: non ci sono scorciatoie. La gente deve imparare che, se vota per scambio clientelare o per conformismo o per telegenicità o per catene familistico-amicali, deve poi sopportare coerentemente per almeno cinque anni le conseguenze della sua irresponsabilità civica. E lo devono imparare anche i cittadini che si astengono dal votare o per qualunquismo bieco o per malpancismo raffinato (malattia diffusa soprattutto a sinistra dove si stenta a capire che, mentre ci si impegna in vista dell’ottimo, è necessario dare una mano al meno peggio). 
Ma la vicenda della diocesi trapanese suggerisce, a credenti e a miscredenti, altre riflessioni meno peregrine. Principalmente una: è normale che in una comunità di discepoli del Viandante palestinese, messaggero del primato della sobrietà sullo sfarzo, della solidarietà sull’interesse privato, della libertà interiore sulla sudditanza alle logiche mondane, ci sia la possibilità di maneggiare - legalmente o meno lo stabiliranno la giustizia ecclesiastica e la giustizia statale – tali quantità di denaro, tali posizioni di rendita, tali leve di potere? Non si tratta, ingenuamente, di invocare rifondazioni pauperistiche: il cristianesimo, come ogni movimento spirituale, deve fare i conti con gli inconvenienti dell’istituzionalizzazione, se non accetta di scomparire dalla faccia della terra. Nessuno (a prescindere dalle proprie posizioni in campo religioso) può pretendere che la Chiesa cattolica si suicidi rinunziando a gestire strutture abitative, monumenti artistici, istituti culturali, centri educativi, organizzazioni assistenziali. Tutti, però, possono legittimamente chiedere che essa si preoccupi di diventare, per la società civile e politica, un modello di autogestione: un modello di democrazia fraterna, di trasparenza amministrativa, di corresponsabilità nelle scelte che riguardano i beni comuni. Secondo il Nuovo Testamento, le prime comunità cristiane non facevano proselitismo chiedendo sovvenzioni allo Stato in cambio di voti, fondando banche o pretendendo privilegi rispetto ad altre confessioni religiose, bensì provocando stupore, ammirazione, voglia di imitazione perché “avevano tutto in comune; le loro proprietà e i loro beni li vendevano e ne facevano parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno” (citazione dai versetti 44 – 45 del capitolo 2 degli Atti degli apostoli, non dalla Critica del programma di Gotha di Karl Marx ). Che gli uomini non ne abbiano seguito l’esempio, può essere triste ma è comprensibile. Che non lo abbiano seguito neppure i cristiani delle generazioni successive, sino alla nostra, è molto più triste e molto meno comprensibile.

Augusto Cavadi

ALFANO E L’ANOMALIA SICILIA


“CENTONOVE”
17.6.2011

Che il padre-padrone di una coalizione ‘nordista’, e polemica verso i politicanti di carriera, designi come erede al trono un avvocato ‘terrone’, sinora vissuto più di politica che per la politica, ha qualcosa di grottesco. Al di là delle biografie individuali, comunque, la vicenda paradossale è cifra di un quadro complessivo meno divertente e più preoccupante. Angelino Alfano, il miracolato del ceppo elettorale di Sant’Angelo Muxaro, da cui ci si aspetta che sappia ‘combattere’ con la stessa tenacia con cui sinora ha saputo ‘credere’ e ‘obbedire’, è l’icona di quel pezzo di Meridione che ancora una volta si è precipitato in soccorso del suo nemico ‘oggettivo’, attenuando - con i risultati elettorali registratisi, per esempio al comune di Ragusa o alla provincia di Reggio Calabria - la catastrofe berlusconiana e leghista. Dietro l’icona del ministro-portavoce, tutto un mondo di “servi liberi e forti” (auto definizione di Giuliano Ferrara) che corrono ad Arcore ad offrire alleanze e sinergie, con il maestro di equilibrismo Raffaele Lombardo in pool position. Anche nei ballottaggi del 12 e 13 giugno i siciliani hanno votato per il Terzo Polo (soprattutto per gli orfani litigiosi di Cuffaro): quasi a volersi riservare il diritto di rientrare nell’ovile del centro-destra non appena il leader più spregiudicato si sarà ritirato finalmente dal proscenio. A conferma, ancora una volta, che dietro la differenza apparente fra Nord e Sud d’Italia, si nasconde la differenza reale fra il peggio di ciò che sa esprimere il Nord (affamato di profitti a tutti i costi) alleato con il peggio che sa esprimere il Sud (disponibile a inchinarsi agli ordini di qualsiasi padrone, purché danaroso e prepotente) in opposizione al meglio del Nord (la piccola e media borghesia intellettuale e imprenditoriale che chiede di lavorare sodo, senza sfruttare i dipendenti, ma senza neppure dover mantenere parassiti di ogni genere e di ogni latitudine) alleato con il meglio del Sud (la piccola e media borghesia intellettuale e imprenditoriale che non vuole pagare né tangenti, il pizzo dei politici, né pizzo, la tangente dei mafiosi).
I risultati dei quattro referendum popolari hanno inferto alla replica cabarettistica del Duce un’altra lezione di democrazia e di buon senso. Per la maggioranza dei siciliani (con le eccezioni significative delle due città maggiori, Palermo e Catania, e di tre province) è stata l’occasione di dimostrarsi in via di guarigione – almeno provvisoria - dalla sindrome di Stoccolma, la stessa per cui alcuni prigionieri di guerra o perseguitati per altre ragioni si affezionano ai propri aguzzini e non vogliono liberarsi dal loro gioco. Il tempo faceva bello, ma gli elettori non sono andati tutti al mare e la stragrande maggioranza di chi si è recato alle urne ha votato ‘sì’ per smantellare alcune delle normative sfornate dal governo della destra più reazionaria, xenofoba, violenta e anti-solidaristica della storia repubblicana. Quello che alcuni di noi speravano che avvenisse (e temevano che non si verificasse) si è realizzato: un sussulto di dignità di tutte le fasce sociali attualmente scoraggiate o complici che compensa, nella memoria storica, il 61 a zero delle politiche di alcuni anni fa. Ma non è il momento dei trionfalismi: la battaglia contro la privatizzazione dell’acqua e il rifiuto delle centrali nucleari non è stata una battaglia esclusiva del centro-sinistra. E’ però il momento di ricominciare a fare politica: per esempio chiedendosi - davanti alle strategie dei DS ai vertici del partito in Sicilia – perché il numero dei suffragi sia diminuito persino là dove si è riusciti ad eleggere un sindaco a primo turno (come a Vittoria) o perché si ostinino ad appiattirsi sulle posizioni del centrismo conservatore e del terzopolismo opportunista proprio nella fase in cui il resto del Paese sta scoprendo che “dire qualcosa di sinistra” (e soprattutto farlo davvero) è non solo più dignitoso in sé ma perfino più proficuo elettoralmente. O il codice genetico dei vari Lupo, Lumia, Cracolici è di destra e sono i soli a non essersene accorti (e hanno solo sbagliato schieramento) o sono davvero di sinistra per carattere e per vocazione ma un Destino più forte li ha prescelti a dimostrare che “gli dei accecano coloro che vogliono rovinare”.

Augusto Cavadi

IL LIBRO NERO DELLA PEDOFILIA


Massimiliano Frassi
IL LIBRO NERO DELLA PEDOFILIA

La Zisa
Pagine 144
euro 12

“Repubblica-Palermo”
05.06.2011

Chi sono i pedofili? Che vita conducono? Quali giustificazioni adducono quando vengono scoperti, arrestati e processati? Sono catalogabili in un’unica tipologia o ciascuno di loro ha volto, storia, orientamenti sessuali differenti? Massimiliano Frassi – che è presidente dell’associazione “Prometeo” dedicata proprio all’infanzia violata – in questo suo Il libro nero della pedofilia prova a fornire un’alfabetizzazione elementare sul tema: per offrire dati statistici, ipotesi interpretative, prospettive di intervento. Ma anche per sfatare pregiudizi (“secondo la Cassazione, la pedofilia di per sé non esclude né attenua capacità di intendere e di volere, quindi non è da considerarsi una malattia mentale”) e per smontare coperture istituzionali (in cui la Chiesa cattolica si è dimostrata molto abile, ma non in esclusiva: vengono riportate testimonianze riguardanti i Testimoni di Geova, gli Amish nonché varie sette più o meno ‘sataniche’ , la cui omertà a proposito di abusi rituali è scontata).
Leggere libri come questo non è piacevole. Vengono evocati casi di un’efferatezza che supera le capacità d’immaginazione di un lettore medio. Se non si ha il gusto dell’orrido, l’unica motivazione adeguata è voler impegnarsi - come suggerisce nella intensa Prefazione il magistrato palermitano Alessia Sinatra – a lavorare su una tragedia dalla “dimensione culturale, sociale e politica”.

Augusto Cavadi

I PRETI GAY E LA CHIESA. LETTERE PER UN DIALOGO


“Repubblica – Palermo”
12.3.06

L’8 marzo è stata un’occasione, più o meno efficace, di riflettere sulle discriminazioni di cui sono state (e sono) vittime le donne. Sarebbe un po’ miope, però, dimenticare che - mentre si sta faticosamente lottando per togliere una discriminazione del passato – se ne vanno aggravando di nuove. Per restare nell’ambito delle identità sessuali, l’emarginazione delle persone omosessuali (donne o maschi che siano). Splendide civiltà del passato, dall’Atene dell’età classica alla Firenze rinascimentale, hanno avuto atteggiamenti di apertura e di rispetto che – almeno in Italia, almeno in Sicilia – sarebbero oggi inconcepibili: Socrate o Platone, Leonardo da Vinci o Michelangelo non sono stati certo colpiti da sanzioni sociali sulla base delle opzioni sessuali.
A questo clima di crescente intolleranza contribuiscono tutte le agenzie educative: dai commenti allarmistici di papà e mamma ai sorrisetti ironici degli insegnanti a scuola o alla scelta massmediatica di privilegiare i gay più pittoreschi. Non trascurabile, poi, l’influenza – diretta sui fedeli, indiretta sull’opinione pubblica – della chiesa cattolica, specie in questa fase della storia nazionale in cui (come avvertono, con preoccupazione, autorevoli osservatori quali l’arcivescovo di Monreale, monsignor Naro) anche partiti e circoli culturali lontani dall’ispirazione evangelica tentano di utilizzare il patrimonio cristiano come “religione civile”, come “supplemento d’anima” di una società sempre più svuotata di valori condivisi. Proprio per queste ragioni merita attenzione un documento che non ha avuto diffusione né in ambienti cattolici (scandalizzati) né in ambienti laici (indifferenti a questioni ritenute ‘interne’ al mondo cattolico). E’ una “lettera aperta” (rivolta sia ai vescovi che “agli uomini e donne della società”) - che 39 preti (di cui almeno due siciliani) hanno redatto - riguardante la recente “Istruzione” vaticana che esclude dall’ammissione “al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”.
Con tono sommesso, ma sofferto, dichiarano di essere omosessuali consapevoli e precisano che ciò non ha impedito alla loro vita di essere costantemente “animata dal dono di tutta la persona alla Chiesa e da un’autentica carità personale”. “Confrontandoci fra noi sacerdoti in varie occasioni, come ritiri o esercizi spirituali” – aggiungono i firmatari – “ci siamo resi conto che i turbamenti, per gli eterosessuali come per gli omosessuali, sono venuti dopo gli anni del seminario, causati non dalla tendenza sessuale, ma dalla solitudine, dalla mancanza di amicizia, dal sentirsi poco amati e, qualche volta, abbandonati dai propri superiori, dai confratelli, dalle nostre comunità”.
Don Franco Barbero - un prete di Pinerolo da pochi mesi ridotto allo stato laicale – si è chiesto se questa durezza delle autorità ecclesiastiche non sia, oggettivamente, un modo di incrementare “l’ateizzazione della società” e se, in ogni caso, non sia l’ingiusta cancellazione di un fatto evidente: che “milioni di persone omosessuali ogni giorno svolgono con amore e competenza, con dignità e fecondità, il compito di genitori, di educatori, di insegnanti, di terapeuti, di medici, di onesti lavoratori nelle più variegate aree dell’esistenza quotidiana, culturale, professionale, artistica, religiosa”. E, non senza sarcasmo, osserva: “Eccoli, dunque, i nuovi pericoli pubblici. Non pensate ai guerrafondai,ai corrotti che ci governano, ai mafiosi, ai palazzinari, agli speculatori. Tutta ‘brava gente’ che in fin dei conti non fa male a santa romana chiesa; anzi, a volte, fa laute offerte e intrattiene ottimi rapporti con cardinali e curie. I nuovi mostri, la rovina della chiesa sono quei giovani che osano vivere secondo la loro natura, hanno il coraggio di mettere la loro vita a servizio del Vangelo e portano nel mondo e nella chiesa il dono della loro omosessualità, come una delle possibili forme di esistenza e di amore”.
Il caso dell’esclusione degli omosessuali è solo la punta estrema di una politica ecclesiale che enfatizza in maniera abnorme la dimensione affettivo-sessuale delle persone. In questa logica rientra la rigidità delle stesse gerarchie cattoliche nei confronti dei coniugi divorziati o separati ma conviventi con nuovi partners o risposatisi con rito civile: che, come è noto, non possono partecipare alla mensa eucaristica. Non sono questioni che si possano risolvere a colpi di slogan. Essenziale è non sopprimere – per conformismo o per tradizionalismo - la discussione tra teologi, giuristi, psicologi, sociologi, preti e coniugi praticanti. Nel suo ultimo piano pastorale il vescovo di Trapani, monsignor Micciché, ha anche ricordato l’opportunità di non escludere da questa riflessione gli stessi divorziati, di “aprire un dialogo con questi fratelli e prospettare un cammino che offra loro un particolare percorso spirituale”. E, proprio in sintonia con questo suggerimento, parroci e fedeli della comunità “Cristo Re” di Erice Casa Santa hanno lanciato un’iniziativa davvero singolare: nel periodo di quaresima, appena iniziato, ogni venerdì, si asterranno dal celebrare messa. Un modo – spiegano in un breve comunicato – di “condividere il ‘digiuno eucaristico’ con quanti non possono partecipare alla ‘comunione’ perché impediti dalla loro condizione matrimoniale irregolare o per altre cause”. Un invito, insomma, a non irrigidire le posizioni in ambito cattolico e a riaprire un confronto civile anche nel più ampio spazio del dibattito pubblico.

Augusto Cavadi

I “come” del Vangelo


VINCENZO NOTO
I “come” del Vangelo
Abadir
Pagine 83
s.p.

“Repubblica – Palermo”
3.1.2006

In tempi di globalizzazione, per dialogare con altri occorre conoscere il proprio “dna”. Su questo presupposto, l’autore – prete e giornalista della diocesi di Monreale – costruisce un agile libretto che possa fare da “carta d’identità” per i fedeli. Vengono così rievocate – ed esaminate con cura – alcune delle parole caratterizzanti il vangelo di Gesù: l’invito ad amare senza riserve, a realizzare la volontà di Dio nel quotidiano, a perdonare anche chi ci ferisce, a lavorare per la pace anche contro le evidenze opposte…Due le conclusioni di approdo. La prima, del tutto condivisibile, è che “non è possibile confondere il messaggio di questo maestro di Nazareth con quello di altri fondatori di religioni”. Meno ovvia la seconda: che “il cristianesimo è una religione rivelata perché alcuni suoi contenuti non possono essere frutto della riflessione umana”. Lo studio comparato dei vari testi religiosi dell’umanità sembra infatti mostrare che tutte le religioni sono frutto di ricerca umana e tutte beneficano dell’illuminazione divina: anche se non in ugual misura.

Augusto Cavadi

Il rigore e la scommessa


Antonia Ajello
Il rigore e la scommessa
Sciascia
pg. 320

“Repubblica – Palermo”
16. 12. 2003

Metà degli insegnanti sono pentiti di aver scelto questo mestiere, l’altra metà vive in attesa di poter ritirarsi in pensione. Per confortarsi – e magari migliorare le prestazioni – potrebbe rivelarsi una buona idea leggere le opere pedagogiche di Morin che hanno il merito principale di non essere ‘solo’ pedagogia, bensì un precipitato di saggezza e di scienze varie. Un’utile introduzione – ed anche una sintesi – è questo volume di Antonia Rosetto Ajello (Il rigore e la scommessa. Riflessioni sociopedagogiche sul pensiero di Edgar Morin, Sciascia, Caltanissetta – Roma 2003) da cui si apprende, ad esempio, la critica “alle istituzioni educative, Università in testa, da lui definite scuole del Lutto in quanto promuovono nei giovani ricercatori l’idea che sia assurdo tentare di cogliere la realtà nel suo complesso e che il massimo cui si possa puntare sia la conoscenza approfondita di un suo frammento” (p.53). L’autrice (docente alla Lumsa di Caltanissetta) preferisce per lo più esporre con onesta lucidità le tesi del geniale pensatore francese che avanzare rilievi critici personali: in ciò il limite, o forse il pregio, maggiore del suo contributo.

Augusto Cavadi

giovedì 16 giugno 2011

Ci vediamo domenica 19 a Rivalta di Torino?


Rivalta di Torino (Piemonte)
FESTA DEL PARTITO DEMOCRATICO

Ore 18.30: Presentazione del libro “Il Dio dei mafiosi” di Augusto CAVADI.
Intervengono l’autore e Maria Josè FAVA (presidente Libera Piemonte).
Coordina Diego Sarno (assessore alle politiche giovanili Comune di
Nichelino e promotore della Fondazione Benvenuti in Italia).
Battesimo del Presidio “Libera” di Rivalta.

giovedì 9 giugno 2011

Ci vediamo sabato 11 giugno a Trabia (Palermo)?


Sabato 11 giugno 2011 alle ore 17, a TRABIA,
presso il Centro Sociale “Salvatore Chircihirillo”, sito in Corso La Masa n. 165,
il Circolo cittadino del Partito Democratico
presenta il nuovo libro di Augusto Cavadi
“101 Storie di mafia che non ti hanno mai raccontato” (Newton Compton, Roma 2011, euro 9,90).
Oltre all’autore, interverrà il giornalista Roberto Puglisi.

“Terroni”: un meridionalismo fotocopia capovolta del leghismo ?


“Centonove” 3.6.2011

RAFFAELE LOMBARDO E IL PESCE D’APRILE?

Di solito noi meridionali sosteniamo che almeno da un’angolazione non siamo inferiori ai nostri concittadini padani: la lucidità intellettuale. Che è un impasto prezioso di acutezza di sguardo e di onestà nel dire pane al pane e vino al vino. Proprio perché in altri campi rischiamo brutte figure, almeno qui non possiamo permetterci il lusso di scivoloni. Perciò dispiace davvero che l’attuale presidente della Regione, Raffaele Lombardo (gli scherzi dell’anagrafe!), appanni una delle poche qualità nostrane cedendo alla trappola del campanilismo provincialotto su cui Bossi ha costruito la fortuna elettorale della Lega (e la fortuna finanziaria di moglie e figli più o meno ittici). Mi riferisco alle dichiarazioni, recenti e recentissime, di Lombardo (“Prima dell’unità d’Italia, il regno delle Due Sicilie era più avanzato per industrializzazione e qualità della vita. L’ unità non ci ha fatto bene, non abbiamo nulla da festeggiare. La Sicilia avrebbe tanto da guadagnarne se i leghisti volessero la secessione e a noi dessero la nostra libertà di autogovernarci“) che costituiscono una sorta di fotocopia capovolta dei luoghi comuni nordisti. Gli storici dovrebbero aiutarci a capire che non si può piegare l’analisi del passato alle polemicuzze del presente e leggere il processo risorgimentale con le lenti degli interessi di bottega (in senso figurato ma anche in senso letterale !).
Un contributo di chiarezza ci viene intanto dallo studioso palermitano Livio Ghersi che, su alcuni fogli provvisori passati agli amici, commenta assai severamente, il best-seller di Pino Aprile Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali, Piemme, Milano 2010: un libro che si presenta come la sintesi di tutti gli argomenti del meridionalismo piagnone e rivendicazionista. Quale la formula riassuntiva del testo di Aprile? “Sono centocinquant’anni che l’Italia è un Paese unito a mano armata, sull’idea della minorità del Meridione e dei meridionali”. Da qui la rivalutazione del brigantaggio, visto come eroico tentativo di difendere l’onore, i valori e le tradizioni meridionali contro conquistatori (garibaldini o piemontesi che fossero) spregiudicati ed efferati.
Ma è fondata storicamente questa versione dei fatti? Vero è che, pochi mesi dopo la proclamazione del Regno d’Italia, si spense Cavour, “il miglior cervello politico che l’Italia avesse”; però – continua Ghersi – “non è credibile che i successori di Cavour, a cominciare dall’ottimo e giustamente stimato Ricasoli, fossero così stupidi da puntare sul saccheggio di villaggi e lo stupro di donne per domare il Meridione, come invece il libro di Aprile vorrebbe indurre i suoi lettori a pensare. Infatti, impiegare l’esercito per usare violenza nei confronti della popolazione inerme, non soltanto contraddice elementari sentimenti di umanità, non soltanto denota comportamenti radicalmente anti-cristiani, ma dimostra anche un’enorme stupidità politica, perché ha l’unico effetto di aumentare l’ostilità ambientale”. 
Ma veniamo all’attualità. Pino Aprile avanza due interrogativi: perché il Sud “non dovrebbe andarsene per fatti suoi?” E ancora: “quanto vale il Meridione, staccato dal resto d’Italia?” . Qui non siamo più al meridionalismo “querimonioso e querulo”, stigmatizzato da Francesco Compagna : “c’è stata” – osserva Ghersi – “un’involuzione: ora siamo al meridionalismo irresponsabile, terreno di scorribande per avventurieri politici”. Già agli inizi del XX secolo Giustino Fortunato, pioniere del meridionalismo, insegnava a diffidare da chi usi la questione meridionale “come un’acre querimonia di dare e di avere, di profitti e di perdite, che faccia capo ad una febbrile gara di appetiti intorno al bilancio della spesa”. E, punto per punto, contestava (ante litteram!) le tesi di Aprile: “che il Mezzogiorno si fosse ritrovato, al 1860, in condizioni relativamente migliori di quelle del resto d’Italia” perché “poche le imposte, un gran demanio, tenue e solidissimo il debito pubblico, una grande quantità di moneta metallica in circolazione”. Non per caso, fu il campano Fortunato a suggerire a Salvemini il titolo del settimanale che questi si apprestava a fondare e dirigere: “L’Unità“. Ed è strano che a rovinare l’economia del Sud non sia stato il piemontese Conte di Cavour ma – due decenni dopo - il siciliano Francesco Crispi che, introducendo misure protezionistiche a favore delle industrie del Nord, provocò per reazione il boicottaggio dei prodotti meridionali da parte della Francia e di altri Stati industriali. Insomma, conclude Livio Ghersi dopo una serie di osservazioni più tecniche sulla politica economica del governo nazionale, “bisognerebbe andar cauti prima di affermare con grande sicurezza che l’unificazione nazionale sia stata la causa dell’impoverimento del Mezzogiorno. Sempre che non si abbia l’urgenza di fare demagogia”. Di demagogia, in giro (soprattutto grazie agli sproloqui dei dirigenti della Lega Nord), ce n’è già abbastanza: forse è venuto il momento - se si fare altro – di mostrare con i provvedimenti amministrativi (dall’alto) e con le iniziative economiche e sociali (dal basso) che il Meridione è abbastanza maturo da riconoscere le proprie responsabilità e da mettere in atto le proprie potenzialità.

Augusto Cavadi

lunedì 6 giugno 2011

Ettore Zanca intervista Augusto su www.grnet.it


Intervista ad Augusto Cavadi
LUNEDÌ 06 GIUGNO 2011
(di Ettore Zanca)

Augusto Cavadi ha fatto del suo lavoro una missione e viceversa, insegna filosofia ed educazione civica nei licei palermitani, ma non è solo un professore: è un insegnante. Una bella differenza, perché si possono applicare meccanicamente dei precetti e insegnare la legalità. I ragazzi ti ascoltano se sai esplorare il loro mondo e se parli il loro idioma. Il professor, pardon, l’insegnante Augusto Cavadi in questo caso può definirsi un poliglotta. Il suo curriculum biobibliografico è sterminato. Volendosi fortemente limitare si potrebbe citare una delle sue realizzazioni più importanti, la scuola di formazione etico-politica “G. Falcone”, fondata nel 1992 per dare occasione a chi lo desideri di migliorare e approfondire i percorsi della legalità. È filosofo e giornalista, collaboratore di “Repubblica”.

Abbiamo chiesto al Professor Cavadi di aiutarci a capire meglio il valore della sua ultima opera edita da Newton Compton: “101 storie di mafia che non ti hanno mai raccontato”, ecco di seguito quello che ci ha raccontato.

Lei è un insegnante: possiamo dire che è un “educatore della legalità“?

La legalità, sic et simpliciter, per me non è un valore. Rispettare le leggi vigenti può essere un merito, ma anche un demerito: un merito se sono leggi finalizzate al Bene comune, un demerito se fabbricate per gli interessi di un privato, di una classe sociale o di una nazione. Dunque vorrei educare alla legalità democratica, sostanziale, ‘giusta’: in Italia si potrebbe anche dire ‘costituzionale’. E vorrei educare alla trasgressione, alla disobbedienza civile, in tutti gli altri casi.

Nel suo libro “101 storie di mafia che non ti hanno mai raccontato” parla più volte di un argomento poco noto: la nuova mafia ha attecchito prima di tutto nelle scuole “bene”, si è istruita e lo ha fatto con la scuola pubblica e privata, lo diceva anche Antonino Agostino, l’agente ucciso con la moglie. Lei percepisce questo “salto di qualità” che paventava?

Veramente non parlo di “nuova” mafia perché non vorrei dare l’impressione che ce ne sia una “vecchia” (e magari migliore o, per lo meno, meno odiosa). Nel 1875 Franchetti lo aveva visto lucidamente: i briganti sono povera gente, i mafiosi “facinorosi della classe media”. Dunque la “borghesia mafiosa” (di cui hanno parlato per primi Mineo e Santino) non è una novità.

In che fase siamo secondo lei nella lotta alla mafia? Sembra che non sia più facile arrivare ai colletti bianchi…

Siamo a metà del guado. Molto realizzato sul piano giudiziario-repressivo, molto da fare sul piano della conversione intellettuale e etica dei cittadini. Fra dieci anni potremmo arrivare a liberarci da Cosa nostra (il che non significa da ogni reato possibile, da ogni ingiustizia immaginabile, da ogni corruzione praticabile), ma con altrettante probabilità potremmo ritrovarci al punto morto di venti anni fa, all’indomani delle stragi del ’92.

Secondo lei la mafia è unica o è divisa tra manovalanza e poteri inarrivabili?

E’ una quanto a organizzazione, ma articolata su diversi strati. Al vertice della piramide non ci sono personaggi misteriosi, “grandi vecchi”, “burattinai imprendibili”: sono, di volta in volta, i vari Michele Greco, Totò Riina, Binnu Provenzano, Totò Lo Piccolo…Interlocutori prestigiosi e difficili da incastrare ci sono stati certamente (due nomi per tutti: Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi), ma non si tratta - tecnicamente – di mafiosi. Se facciamo di tutte le erbe un unico fascio, rischiamo di annacquare il quadro e rendere più difficile l’individuazione delle responsabilità penali che sono diverse da quelle politiche, così come quelle politiche sono differenti da quelle etiche.

Lei racconta nel libro anche episodi esilaranti in mezzo ad altri tragici: si può parlare di mafia anche con un sorriso frutto di riflessione e consapevolezza?

Non solo “si può″, ma a mio parere “si deve”; altrimenti prendiamo il sistema di potere mafioso, e soprattutto i suoi protagonisti, troppo sul serio. Sono invece persone in carne e ossa che non vanno sottovalutati, ma neppure mitizzati. Nella storia non c’è mai una tragedia che non sia attraversata da venature comiche.

Come convincerebbe uno scettico a leggere il suo bel libro?

Che il libro sia “bello” lo dice Lei e ne sono contento. Difficilmente un autore può convincere “uno scettico” a leggere le sue opere: l’unico argomento convincente può essere costituito dalla lettura di qualche altro mio libro precedente che, se apprezzato, può invogliare a leggerne altri. Una recensione del mio libro sosteneva, scherzosamente, che esistono “101 ragioni” per leggere queste “101 storie”: preferisco, però, che siano gli altri a trovarle e a diffonderle.

http://www.grnet.it/bloggers/2827-intervista-ad-augusto-cavadi.html