giovedì 9 giugno 2011

“Terroni”: un meridionalismo fotocopia capovolta del leghismo ?


“Centonove” 3.6.2011

RAFFAELE LOMBARDO E IL PESCE D’APRILE?

Di solito noi meridionali sosteniamo che almeno da un’angolazione non siamo inferiori ai nostri concittadini padani: la lucidità intellettuale. Che è un impasto prezioso di acutezza di sguardo e di onestà nel dire pane al pane e vino al vino. Proprio perché in altri campi rischiamo brutte figure, almeno qui non possiamo permetterci il lusso di scivoloni. Perciò dispiace davvero che l’attuale presidente della Regione, Raffaele Lombardo (gli scherzi dell’anagrafe!), appanni una delle poche qualità nostrane cedendo alla trappola del campanilismo provincialotto su cui Bossi ha costruito la fortuna elettorale della Lega (e la fortuna finanziaria di moglie e figli più o meno ittici). Mi riferisco alle dichiarazioni, recenti e recentissime, di Lombardo (“Prima dell’unità d’Italia, il regno delle Due Sicilie era più avanzato per industrializzazione e qualità della vita. L’ unità non ci ha fatto bene, non abbiamo nulla da festeggiare. La Sicilia avrebbe tanto da guadagnarne se i leghisti volessero la secessione e a noi dessero la nostra libertà di autogovernarci“) che costituiscono una sorta di fotocopia capovolta dei luoghi comuni nordisti. Gli storici dovrebbero aiutarci a capire che non si può piegare l’analisi del passato alle polemicuzze del presente e leggere il processo risorgimentale con le lenti degli interessi di bottega (in senso figurato ma anche in senso letterale !).
Un contributo di chiarezza ci viene intanto dallo studioso palermitano Livio Ghersi che, su alcuni fogli provvisori passati agli amici, commenta assai severamente, il best-seller di Pino Aprile Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali, Piemme, Milano 2010: un libro che si presenta come la sintesi di tutti gli argomenti del meridionalismo piagnone e rivendicazionista. Quale la formula riassuntiva del testo di Aprile? “Sono centocinquant’anni che l’Italia è un Paese unito a mano armata, sull’idea della minorità del Meridione e dei meridionali”. Da qui la rivalutazione del brigantaggio, visto come eroico tentativo di difendere l’onore, i valori e le tradizioni meridionali contro conquistatori (garibaldini o piemontesi che fossero) spregiudicati ed efferati.
Ma è fondata storicamente questa versione dei fatti? Vero è che, pochi mesi dopo la proclamazione del Regno d’Italia, si spense Cavour, “il miglior cervello politico che l’Italia avesse”; però – continua Ghersi – “non è credibile che i successori di Cavour, a cominciare dall’ottimo e giustamente stimato Ricasoli, fossero così stupidi da puntare sul saccheggio di villaggi e lo stupro di donne per domare il Meridione, come invece il libro di Aprile vorrebbe indurre i suoi lettori a pensare. Infatti, impiegare l’esercito per usare violenza nei confronti della popolazione inerme, non soltanto contraddice elementari sentimenti di umanità, non soltanto denota comportamenti radicalmente anti-cristiani, ma dimostra anche un’enorme stupidità politica, perché ha l’unico effetto di aumentare l’ostilità ambientale”. 
Ma veniamo all’attualità. Pino Aprile avanza due interrogativi: perché il Sud “non dovrebbe andarsene per fatti suoi?” E ancora: “quanto vale il Meridione, staccato dal resto d’Italia?” . Qui non siamo più al meridionalismo “querimonioso e querulo”, stigmatizzato da Francesco Compagna : “c’è stata” – osserva Ghersi – “un’involuzione: ora siamo al meridionalismo irresponsabile, terreno di scorribande per avventurieri politici”. Già agli inizi del XX secolo Giustino Fortunato, pioniere del meridionalismo, insegnava a diffidare da chi usi la questione meridionale “come un’acre querimonia di dare e di avere, di profitti e di perdite, che faccia capo ad una febbrile gara di appetiti intorno al bilancio della spesa”. E, punto per punto, contestava (ante litteram!) le tesi di Aprile: “che il Mezzogiorno si fosse ritrovato, al 1860, in condizioni relativamente migliori di quelle del resto d’Italia” perché “poche le imposte, un gran demanio, tenue e solidissimo il debito pubblico, una grande quantità di moneta metallica in circolazione”. Non per caso, fu il campano Fortunato a suggerire a Salvemini il titolo del settimanale che questi si apprestava a fondare e dirigere: “L’Unità“. Ed è strano che a rovinare l’economia del Sud non sia stato il piemontese Conte di Cavour ma – due decenni dopo - il siciliano Francesco Crispi che, introducendo misure protezionistiche a favore delle industrie del Nord, provocò per reazione il boicottaggio dei prodotti meridionali da parte della Francia e di altri Stati industriali. Insomma, conclude Livio Ghersi dopo una serie di osservazioni più tecniche sulla politica economica del governo nazionale, “bisognerebbe andar cauti prima di affermare con grande sicurezza che l’unificazione nazionale sia stata la causa dell’impoverimento del Mezzogiorno. Sempre che non si abbia l’urgenza di fare demagogia”. Di demagogia, in giro (soprattutto grazie agli sproloqui dei dirigenti della Lega Nord), ce n’è già abbastanza: forse è venuto il momento - se si fare altro – di mostrare con i provvedimenti amministrativi (dall’alto) e con le iniziative economiche e sociali (dal basso) che il Meridione è abbastanza maturo da riconoscere le proprie responsabilità e da mettere in atto le proprie potenzialità.

Augusto Cavadi

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