sabato 30 luglio 2011

Sette risposte ad altrettante domande di Peppe Sini


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VOCI E VOLTI DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento de “La nonviolenza e’ in cammino”
Numero 384 del 30 luglio 2011

In questo numero:
1. Sette domande a Patrizia Caporossi
2. Sette domande ad Augusto Cavadi
3. Sette domande a Helene Paraskeva
4. Sette domande a Giovanni Sarubbi
5. Sette domande a Olivier Turquet
6. Tavola della Pace, Movimento Nonviolento: Appello per la marcia Perugia-Assisi del 25 settembre 2011
7. Movimento Nonviolento: Mozione del popolo della pace: ripudiare la guerra, non la Costituzione

1. (…)
2. VERSO LA MARCIA PERUGIA-ASSISI. SETTE DOMANDE AD AUGUSTO CAVADI
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@alice.it) per questa intervista.
Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994, D G editore, Trapani 2006; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005; E, per passione, la filosofia, DG Editore, Trapani 2006; La mafia spiegata ai turisti, Di Girolamo Editore, Trapani 2008; E, per passione, la filosofia. Breve introduzione alla piu' inutile di tutte le scienze, Di Girolamo, Trapani 2008; Chiedete e non vi sara' dato. Per una filosofia pratica dell'amore, Petite Plaisance, Pistoia 2008; In verita' ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani, Falzea, Reggio Calabria 2008; Il Dio dei mafiosi, San Paolo, Milano 2009; Come posso fare di mio figlio un vero uomo d'onore? Coppola, Trapani 2008; L'amore e' cieco ma la mafia ci vede benissimo, Coppola, Trapani 2009; Filosofia di strada. Il filosofare-in-pratica e le sue pratiche, Di Girolamo, Trapani 2010; Non lasciate che i bambini vadano a loro, Falzea, Reggio Calabria 2010. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo e siciliane. Segnaliamo il sito: www.augustocavadi.com (con bibliografia completa). Cfr. anche l'intervista nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 420]

- “La nonviolenza e’ in cammino”: Quale e’ stato il significato piu’ rilevante della marcia Perugia-Assisi in questi cinquanta anni?
- Augusto Cavadi: Non spegnere una fiammella preziosa nel buio della cecita’ mentale.
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- “La nonviolenza e’ in cammino”: E cosa caratterizzera’ maggiormente la marcia che si terra’ il 25 settembre di quest’anno?
- Augusto Cavadi: Non so prevedere, ma solo sperare: che non si facciano graduatorie fra violenze, condannando i terrorismi contro gli Stati e assolvendo le politiche di terrore degli Stati.
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- “La nonviolenza e’ in cammino”: Quale e’ lo “stato dell’arte” della nonviolenza oggi in Italia?
- Augusto Cavadi: Sappiamo in pochi e quel che sappiamo e’ poco. Ancor meno quello che riusciamo a comunicare alle generazioni che arrivano in Parlamento, nelle aule scolastiche, nelle redazioni giornalistiche, sui pulpiti di tutte le chiese.
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- “La nonviolenza e’ in cammino”: Quale ruolo puo’ svolgere il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini, e gli altri movimenti, associazioni e gruppi nonviolenti presenti in Italia?
- Augusto Cavadi: Che nessuno puo’ impedirci di passare dalla preistoria alla storia, se lo vogliamo almeno in maggioranza.
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- “La nonviolenza e’ in cammino”: Quali i fatti piu’ significativi degli ultimi mesi in Italia e nel mondo dal punto di vista della nonviolenza?
- Augusto Cavadi: La lotta del popolo islandese contro il ceto dirigente del suo Stato (dai politici ai banchieri).
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- “La nonviolenza e’ in cammino”: Su quali iniziative concentrare maggiormente l’impegno nei prossimi mesi?
- Augusto Cavadi: Organizzarsi in modo che, almeno una volta nel corso del quinquennio superiore, ogni studente abbia sentito parlare - succintamente ma non superficialmente - di Gandhi e della nonviolenza.
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- “La nonviolenza e’ in cammino”: Se una persona del tutto ignara le chiedesse “Cosa e’ la nonviolenza, e come accostarsi ad essa?”, cosa risponderebbe?
- Augusto Cavadi: Trattare da mortale gli altri mortali. Se ne puo’ avere una prima idea attraverso la visione (commentata) del bel film “Gandhi” di Richard Attenborough.

Perché il PD non vuole ascoltare i suoi iscritti?


“Repubblica – Palermo”
30 luglio 2011-07-30

Perché il PD siciliano non vuole ascoltare i suoi iscritti?

L’appoggio semi-esterno del Pd all’MPA, con tecnici prestati alla politica, è una furbata napoleonica o si risolverà nell’ennesimo tentativo di suicidio del maggior partito di centro-sinistra? Ai posteri l’ardua sentenza. Noi contemporanei abbiamo il diritto, e il dovere, di scambiarci i punti di vista. Gli uni hanno il diritto di dire che in politica vale il principio del male minore e che una maggioranza diversa da quella espressa nelle urne delle ultime elezioni regionali (insomma un ribaltino di provincia) è comunque preferibile a decenni di incatenamento all’opposizione. Gli altri hanno il diritto di osservare che i decenni di minoranza diventeranno secoli se chi ha votato Finocchiaro per non avere Lombardo costata che, con il suo voto, ha perduto la Finocchiaro (prontamente tornata a presidiare il Senato) e si è trovato a salvare Lombardo (la sua poltrona, anzi l’intero salotto buono con i cento ospiti consulenti) . E’ ovvio che, alla prossima tornata, se non vorrà l’MPA dovrà evitare non solo di votargli a favore, ma anche contro – sino a quando l’avversario sarà il Pd.
Se ogni opinione è lecita in democrazia, l’unico divieto è impedire che gli iscritti a un partito dicano la propria. E la dicano con l’autorevolezza e l’incisività che vengono dall’aver speso non solo i dieci euro di iscrizione, ma soprattutto la propria faccia e il proprio nome davanti a parenti, amici e conoscenti. Invece l’attuale dirigenza regionale del PD sta attuando proprio questa censura: Lupo (per altro eletto segretario regionale in nome di una proclamata alternatività alla politica lombardiana) ha deciso di dialogare con tutti, a destra e a manca (ma soprattutto a destra), tranne che con i suoi elettori.
Siamo davvero al paradosso. Già trent’anni fa Duverger spiegava nei suoi libri di politologia che le democrazie occidentali sono ferite a morte dal tradimento dei partiti politici che, nati come ponte fra la società e lo Stato, diventano invece un muro. Potremmo dire, prolungando la sua metafora, che si comportano da ponte levatoio: se alzano le funi, fra i cittadini e le istituzioni restano fossati incolmabili. Come si può essere funzionali alla democrazia in un sistema politico complessivo se, intanto, non la si esercita all’interno della propria organizzazione?
Ora, che ciò avvenga nei partiti di destra che si presentano quali sono nel dna, cioè leaderistici e autoritari, pazienza: chi li vota sa già che lo statuto non prevede alcuna forma di consultazione popolare né di partecipazione della base alle strade da intraprendere. Ma che ciò avvenga in partiti che si dicono democratici sin nel nome; che sono nati per raccogliere il meglio delle tradizioni (antifasciste) socialista, cattolica e liberale; che spendono la metà delle energie a criticare il verticismo padronale degli altri partiti (l’altra metà è impegnata in polemiche interne e in contese spartitorie neo-feudali): tutto ciò farebbe scompisciare dalle risate se non fosse tanto triste da far incavolare davvero. Perché, davanti a una richiesta firmata da migliaia d’iscritti che rivendicano, secondo i canoni previsti, il referendum, la dirigenza regionale nicchia, scrive lettere su come regolamentarlo, poi ricorre a cavilli da azzeccagarbugli per non attuarlo? Perché i probiviri siciliani tacciono e non denunciano queste gravi violazioni della lettera e soprattutto dello spirito animatore del PD? Perché – già che ha le maniche della camicia rimboccata – il segretario nazionale non afferra la cornetta di un telefono per ordinare a Lupo e ai suoi colleghi di cordata (diventata, senza nessuna legittimazione, una sorta di comitato di salute pubblica al di sopra delle norme giuridiche, dell’etica e del buon senso) il rispetto delle regole? Se Francesco Musotto, capogruppo dell’Mpa all’assemblea regionale, arriva a dare consigli al Pd su come deve comportarsi al proprio interno, dichiarando che “chi chiede il referendum tende a mistificare una situazione che va bene così com’è”, non viene il sospetto che qualcosa non va? Che la base del Pd venga trattata come truppa di riserva agli ordini non dei propri generali, ma di possibili alleati? Se un navigato politico, da decenni schierato a destra, può deridere pubblicamente e impunemente gli elettori che chiedono di fare qualcosa di sinistra, non sarebbe questo già da solo un buon motivo per sospettare che “la situazione così com’è” avrebbe bisogno di una verifica, se non di una rettifica radicale, da parte di chi milita sul fronte nominalmente opposto? Il giovane e attivo segretario della sezione comunale del Pd di Rivalta di Torino, solo pochi giorni fa, mi confidava che – se fosse stato in Sicilia – avrebbe già stracciato la tessera del suo partito.
Un partito che ha paura dell’opinione pubblica, nascondendo i suoi valori, i suoi metodi e i suoi criteri di azione rivela, per ciò stesso, una debolezza intrinseca che non lascia presagire niente di buono. Ma se ha paura persino di chi l’ha fondato, l’ha sostenuto con la propria iscrizione, l’ha incoraggiato col proprio voto (turandosi il naso e qualche volta anche orecchie e occhi) non è un partito senza futuro: è un partito con un presente illusorio.

Augusto Cavadi

venerdì 29 luglio 2011

IN SICILIA NESSUNA DIFFERENZA ANTROPOLOGICA FRA DESTRA E SINISTRA?


“Repubblica – Palermo”
2 luglio 2011

LA DIFFERENZA ANTROPOLOGICA CHE (NON) CI SEPARA DALLA DESTRA CLIENETELARE

E’ stato importante che i rappresentanti dei partiti siciliani di sinistra e di centro-sinistra abbiano accettato l’invito di Rita Borsellino e Alfio Foti a parlarsi intorno a un tavolo. E proprio il clima estremamente sereno, civilissimo, è servito - paradossalmente – a mettere in risalto i contrasti reali, molto più che se fossero volati insulti e accuse reciproche. Il nodo della questione si è manifestato con tutta la chiarezza desiderabile: per Giuseppe Lupo non si vince senza l’alleanza elettorale con il centro “moderato”, per tutti gli altri tale eventuale vittoria elettorale sarebbe una vittoria di Pirro. Implicherebbe, infatti, l’omologazione con un modo di fare politica che taglierebbe i ponti con i siciliani onesti: la cancellazione di un riferimento dentro le istituzioni rappresentative per i cittadini che non accettano né cuffarismi né lombardismi.
E’ solo una diversità strategica o, alla base, agisce qualcosa di più radicale? La netta impressione che si è avuta dalla discussione di giovedì sera è che il PD siciliano e altre formazioni politiche d’opposizione siano separati da una differenza antropologica. Tutti infatti, saggiamente, hanno messo fra parentesi le vicende giudiziarie dell’attuale presidente della regione e si sono concentrati sul suo stile di governo, sulla sua rete di relazioni, sui suoi metodi clientelari. Ma è proprio il giudizio etico e politico sulla filosofia pratica di Lombardo che si evidenzia la differenza fra chi rappresenta una lunga tradizione di consociativismo e chi rappresenta (o pretende di rappresentare) una rottura e una novità (evocando, non certo a caso, i nomi dei sindaci di Milano, Napoli e Cagliari). Da una parte, insomma, il segretario regionale formatosi nella Cisl di D’Antoni e di Bonanni (vere scuole di equilibrismo tattico e di lobbing più o meno nominalmente proletaria); dall’altra l’eurodeputata prestata alla politica dopo due decenni di impegno gratuito e volontario nell’associazionismo. Da una parte il portavoce di un Pd siciliano che - con i suoi Crisafulli, Capodicasa, Mattarella e via cantando – non ha nulla da imparare dalla furbizia tattica e dall’elasticità morale di un Lombardo; dall’altra i portavoce, giovani e meno giovani, di organizzazioni politiche che hanno fatto e fanno della legalità democratica, della partecipazione dal basso, della rivendicazione dei diritti costituzionali, i principi irrinunciabili dei propri programmi. Da una parte chi fa politica per vincere, sperando di non perdere la dignità; dall’altra chi fa politica per non perdere la dignità, sperando di vincere.
Nessuno è così ingenuo da pensare che qui siano in lizza del forze del “bene” contro le forze del “male” (e la Borsellino, nel suo intervento conclusivo, l’ha saputo dire con eleganza e precisione): è facile essere duri e puri quando non si hanno le occasioni e i mezzi per peccare. E’ altrettanto comprensibile che, in politica, si accettino dei compromessi marginali e provvisori in nome del male minore. Ma una cosa è diventare maggioranza su un progetto chiaro, forte, nettamente riconoscibile e, da una posizione di autonomia, stabilire accordi sperimentali, settoriali o locali, con aggregazioni politiche di dubbia tempra; e tutta un’altra cosa è rinunciare a entrare per la porta principale, con i voti di chi vuole una Sicilia diversa rispetto ai sessant’anni precedenti, rassegnandosi per principio a fare capolino dalle entrate di servizio e dalle finestre lasciate aperte da quegli stessi padroni di casa contro cui si erano combattute intere campagne elettorali.

Augusto Cavadi

Piantala di essere te stesso!


“Repubblica-Palermo”
Domenica 24 luglio 2011

Gianfranco D’Amico

PIANTALA DI ESSERE TE STESSO !
Urra
Pagine 272
euro 15

Dalla Sicilia, in giro per l’Italia, Gianfranco Damico sta sperimentando una nuova professione (affascinante e ambivalente come le vie pionieristiche): il Life-Coach che, tradotto, sarebbe grosso modo l’allenatore personale che ti supporta nell’arte di vivere (ammesso che abbia i soldi per permettertelo). Nel volume Piantala di essere te stesso! Liberarsi dai propri limiti ed essere felici prova a scandire in dieci tappe un percorso di autonomizzazione non solo dagli altri (che non è facile), ma persino dai propri stessi pregiudizi (che è ancora più difficile). Il filo rosso delle dieci “stanze” è l’idea che i nostri comportamenti sembrano spontanei ma, in realtà, sono condizionati dalle nostre “credenze su cos’è il mondo, chi sono gli altri e noi stessi, i valori che ci dicono ciò che è importante e ciò che non lo è”; da cui l’opportunità, anzi la necessità, di esaminare criticamente tali “credenze” in modo da mantenere le più ragionevoli e liberarsi dalle altre. Qualche volta il tono del libro è un po’ troppo ‘statunitense’, quasi da imbonitore, ma nel complesso il messaggio è salutare: “prima ancora di ciò che riusciamo a fare, viene ciò che scegliamo di diventare. Si tratta, prima che morte ci colga, di finire di nascere del tutto e di essere definitivamente e splendidamente uomini e donne. Non burattini di legno con dei fili attaccati”.

lunedì 11 luglio 2011

Una recensione acuta delle “101 storie di mafia”


Con l’occasione, potrete scoprire una bella rivista siciliana che si può ricevere gratis, in pdf, nel proprio computer.
Buona lettura!

Per scaricare il Pdf di questo numero clicca sul seguente link:
http://www.piolatorre.it/rivista/download-rivista.asp?id=186

domenica 10 luglio 2011

PERCHE’ NON TRASFERIRE IL MINISTERO DELLA GELMINI A PALERMO?


“Repubblica – Palermo”
9.7.2011

SE TRASFERISSERO LA GELMINI A PALERMO
I leghisti vorrebbero la delocalizzazione di quattro ministeri , per ora almeno neppure Berlusconi li può accontentare. Ma domani, o dopodomani, chi sa? Nell’attesa Giuseppe Valenti – medico e imprenditore della sanità, promotore del movimento civico “Per Palermo” – ha lanciato la raccolta delle firme: “A Palermo il Ministero della Pubblica Istruzione”. La proposta, chiaramente provocatoria, presenta delle ragioni non più bislacche delle motivazioni addotte per il trasferimento a Nord di altri dicasteri.
Prima di tutto: non è il Sud il maggiore produttore di insegnanti precari? Non è dal Sud che partono i professori persecutori dei figli dei leghisti per bloccarli due volte agli esami di maturità? Non è al Sud che si riescono a organizzare i concorsi abilitanti didatticamente più avanzati per consentire anche ai soggetti deboli di diventare procuratori legali, prima di essere nominati ministri della Pubblica Istruzione e dell’Università?
Si potrebbe obiettare che è anche vero, però, che il Sud registra le maggiori deficienze didattiche negli alunni (specie per le discipline scientifiche) e strutturali negli edifici scolastici (quasi mai in regola con le norme di sicurezza e di vivibilità). Ma i ministeri servono prima di tutto a promuovere, sollecitare (l’ho imparato tre decenni fa. Un amico svizzero mi aveva informato dell’esistenza di un Ministero della marina della Confederazione elvetica, io risposi ironizzando sulle poche navi ancorate al porto di Genova, ma lui mi gettò al tappeto con una sola, sarcastica, domanda: “E voi, in Italia, non avete forse un Ministero del tesoro?”). Ministro – etimologicamente - non significa forse servitore, cameriere? Dunque se in un’area del Paese c’è bisogno di incrementare il versamento delle imposte e di contrastare l’evasione fiscale, è bene che ci si trasferisca il Ministero delle Finanze (per esempio in Padania); se in un’altra c’è bisogno di migliorare le attrezzature didattiche e di contrastare l’evasione scolastica, è bene che ci si trasferisca il Ministero della P.I. (per esempio, appunto, in Sicilia). E’ la logica stringente con cui qualcuno ha, opportunamente, suggerito di mandare La Russa (Difesa) a Lampedusa e Maroni (Interni) a Corleone. O con la quale si potrebbe suggerire di trasferire la Brambilla (Turismo) da Roma a Niscemi, la cittadina fra Mazzarino e Gela dove mia madre è nata ma, più che ottantenne, non può ritornare in visita perché non esistono né alberghetti né b & b.
Quante probabilità di successo avrebbe la raccolta delle firme del movimento “Per Palermo”, se non fosse soprattutto un’iniziativa dimostrativa? Con il governo attuale - il cui superministro dell’economia ha lapidariamente assicurato che “con la cultura non si mangia” - suppongo alte. I soldi al Settentrione, le chiacchiere al Meridione: non è una buona divisione dei compiti? E poi sarebbe anche un modo concreto di combattere la disoccupazione al Sud: potremmo sfornare traduttori e traduttrici per accompagnare i politici leghisti e facilitarne la comunicazione verbale con il pubblico e con la stampa. In giro per il Bel Paese.
Augusto Cavadi

venerdì 1 luglio 2011

Perché si può scegliere di non fare il commissario d’esame?


“Repubblica – Palermo”
29.6.2011

LA COMMEDIA DEGLI ESAMI E I CERTIFICATI DEI PROFESSORI

Anche per la Sicilia la cronaca ci restituisce, con puntualità annuale, il dato statistico di circa un decimo di commissari ‘esterni’ che – nominati dal Ministero – rinunziano a svolgere gli esami di maturità. A leggere la notizia, la reazione spontanea (più o meno seriosa) è pensare che il ministro Brunetta, quando parla di dipendenti pubblici “fannulloni”, non abbia tutti i torti. E’ davvero così? Escludiamo subito, dai circa 130 docenti su 1.300 che hanno chiesto l’esonero in provincia di Palermo, una trentina che - plausibilmente – abbiano davvero motivi di salute o familiari per rinunziare. Tra questi ci sono diversi casi, di cui sono personalmente a conoscenza, d’insegnanti affetti da patologie croniche che, per senso del dovere e rispetto del percorso formativo degli alunni, stringono i denti per nove mesi e non ricorrono (come pure la normativa consentirebbe) a congedi straordinari; e che riservano a fine giugno, quando una loro assenza è facilmente rimpiazzabile, gli accertamenti clinici e le terapie particolari. Già, perché è bene che l’opinione pubblica sappia che ogni commissario d’esame rinunciatario viene sostituito o da un collega di ruolo (che sta meglio in salute e che solo per una opzione casuale del computer romano non è stato nominato) o da un docente precario. Nel primo caso, non c’è nessuna ragione di escludere che l’insegnante ‘ripescato’ si dispiaccia della nomina (che comporta una integrazione dello stipendio intorno ai quattrocento euro per venti giorni di lavoro); nel secondo caso, poi, è certo che il docente precario è felice di fare un’esperienza professionale rilevante, di guadagnare qualche punto per la graduatoria e di percepire un emolumento che da tempo non percepisce.
Chiarito tutto questo, l’onestà intellettuale impone una considerazione finale per nulla marginale. In diversi docenti, che avrebbero motivi ‘oggettivi’ per rinunciare alla nomina ma che potrebbero comunque accettarla con qualche sforzo supplementare, la bilancia finisce per pendere dalla parte del ‘no’ come effetto di pregresse esperienze frustranti. Infatti la normativa attuale prevede una formula “all’italiana” che è il peggio che si potesse immaginare: comporta dispendio di soldi pubblici, di energie dei docenti, di stress per gli studenti e le famiglie, ma del tutto vanamente. Se un consiglio di classe dovesse decidere, definitivamente, la promozione o la bocciatura di un alunno, probabilmente si assumerebbe ogni responsabilità: attualmente, invece, si finisce troppo spesso col dire - o con il sottointendere – “noi lo mandiamo agli esami di maturità e, se proprio non ce la fa, sarà la commissione a respingerlo”. D’altro canto, però, questa benedetta commissione è costituita - come non è a tutti noto - da tre membri ‘interni’ e da quattro membri ‘esterni’ (uno dei quali è il presidente-notaio). In teoria sette esaminatori con eguali diritti e doveri: ma in pratica? Volete che i tre membri del consiglio di classe votino per il respingimento di un candidato che dieci giorni prima hanno contribuito a dichiarare (più o meno sinceramente) pronto per l’università? Basta dunque che uno solo dei quattro membri ‘esterni’ (per buonismo, per clientelismo o più spesso per non avere il fastidio di difendersi da eventuali ricorsi al Tar) voti con i tre colleghi ‘interni’ e il gioco è fatto. In scuole statali e ancor più in scuole private (anche tra quelle che un tempo in città si distinguevano dai più vergognosi diplomifici) vengono così dichiarati ‘maturi’ non solo giovani meritevoli, ma anche teste di rapa che non hanno fatto neppure finta di studiare. Quando anno dopo anno si assiste a questo scempio della legalità democratica e dell’equità etica (persino il ricorso all’ispezione straordinaria si rivela, nove volte su dieci, un’arma spuntata), pensate che si abbia voglia di chiudere un occhio sui propri piccoli o meno piccoli malanni per armarsi e fare la guerra ai mulini al vento? Siete sicuri che sia deontologicamente preferibile partecipare stancamente a una vuota liturgia a cui non crede più nessun docente piuttosto che dedicarsi a qualche lettura di aggiornamento professionale e di approfondimento culturale? Ma qui il discorso si eleva un po’ troppo rispetto alle possibilità di comprensione di molti politici al timone del Titanic.

Augusto Cavadi