mercoledì 7 settembre 2011

Insegnamento della religione e cultura delle regole


“Repubblica – Palermo”
7.9.2011

LA REPUBBLICA INDIPENDENTE DEI DOCENTI DI RELIGIONE
Che gli insegnanti palermitani di religione contestino, in quanto arbitraria, la decisione della Curia di trasferirne un numero notevole da una sede all’altra senza dichiarare le motivazioni, è - per restare in tema – sacrosanto. Da quando il governo li ha stabilizzati equiparandoli ai docenti di ruolo, essi godono degli stessi diritti dei colleghi di tutte le altre discipline: ed è quindi legittimo che a tali diritti si appellino. Però, per completezza di informazione, è opportuno ricordare che l’arbitrarietà della Curia non è un’invenzione recente e che gli stessi insegnanti che oggi (giustamente) la condannano, ieri (senza battere ciglio) ne hanno beneficiato. Esiste, infatti, una graduatoria degli aspiranti all’insegnamento della religione nelle scuole statali? No. Non esiste e non è mai esistita. L’ufficio preposto alla distribuzione degli incarichi ha agito, e agisce, nella totale assenza di regole. Tu puoi avere una laurea in teologia ed essere scavalcato da uno studente di primo anno; puoi avere dieci pubblicazioni e restare senza cattedra, a vantaggio di un collega che non ha mai pubblicato una riga. Come ho notato in altre occasioni, questa anomia ecclesiastica non è - in aree, come la nostra, caratterizzate dalla diffidenza verso la legalità – un modello per la comunità civile. Combattano dunque la buona battaglia i docenti di religione, ma con uno sguardo a trecentosessanta gradi: alle regole non si può ricorrere a intermittenza. E l’opinione pubblica (inclusi i cattolici di animo democratico) non è convinta che alcuni privilegi siano giustificati. Per esempio che se un docente di religione perde l’autorizzazione del vescovo, ma è di ruolo e possiede una seconda laurea, ha diritto di restare nei ruoli dello Stato come insegnante di un’altra disciplina (ovviamente scavalcando i precari ‘laici’ che da anni attendevano quel posto). Per esempio che se un docente di religione si iscrive a un dottorato di ricerca in una università pontificia, lo Stato italiano continuerà a pagargli per tre o quattro anni lo stipendio: che è esattamente quello che avviene per gli insegnanti di tutte le materie, con la differenza – non propriamente trascurabile – che ai dottorati di ricerca in teologia si accede senza limiti di posti e senza concorso previo (quindi, in teoria, tutti gli insegnanti di religione d’Italia potrebbero, da un anno all’altro, lasciare le cattedre e mantenere gli stipendi, limitandosi a versare una modesta tassa di iscrizione annuale all’università di riferimento). Per esempio - e questo è l’aspetto più clamoroso – se in una classe il 90 % degli alunni chiede l’esonero dall’insegnamento della religione, la normativa attuale assicura al docente il mantenimento della cattedra: dieci classi con tre alunni ciascuna restano dieci classi, non possono diventare un’unica classe di trenta alunni.
So che questi privilegi sono mal digeriti persino da alcuni insegnanti che ne beneficiano e che in uno Stato più evoluto tutta la questione andrebbe ripensata (a cominciare dalla trasformazione dell’insegnamento confessionale della religione in insegnamento laico, per concorso pubblico, della storia delle religioni mondiali); ma sino a quando resteranno in vigore sarà più difficile fare chiarezza, e imporre ordine, nella piccola repubblica indipendente dei docenti di religione.
Augusto Cavadi

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