lunedì 30 gennaio 2012

Fabrizio Ferrandelli, candidato di troppi...


“Repubblica – Palermo” 27.1.2012

LA FOLGORAZIONE DI FERRANDELLI

La storia, breve (ha superato di poco i trent’anni) ma intensa, di Fabrizio Ferrandelli è ancora senza ombre. Dopo anni di volontariato nel sociale, pur senza smettere di organizzare solidarietà ha aggiunto l’impegno di consigliere comunale, mostrando concretamente la differenza fra vivere di politica e vivere per la politica. Logico, dunque, che - quando una certa rosa di associazioni e movimenti cittadini cercava un volto nuovo, ma non inesperto, da candidare a sindaco di Palermo – la scelta si sia posata su di lui. La convention al cinema Imperia di alcuni giorni fa ha attestato un’area di consensi e di simpatia più ampia del previsto . Sarebbe stata sufficiente a vincere (alle primarie del centro-sinistra e alle elezioni ‘vere’)? Nessuno può dirlo con certezza, ma le probabilità di una sconfitta erano maggiori che della vittoria. Tuttavia il senso dell’operazione sarebbe rimasto intatto: dare, anche al cittadino che non si riconoscesse in candidati di partiti ormai alla frutta, un motivo per uscire da casa e recarsi alle urne elettorali. Misurare la forza effettiva delle minoranze morali che ci sono e vogliono contribuire alla resurrezione dopo il (lungo) venerdì santo della politica. Per Ferrandelli sarebbe stata comunque un’esperienza importante che lo avrebbe fatto maturare e che gli avrebbe consentito di affrontare le amministrative del 2017 con più attrezzi in borsa.
Ma il giovane candidato non ha accettato il ruolo, e i rischi, di outsider : rinnegato da Orlando e dagli altri dirigenti del suo partito (Italia dei valori), non si è riconosciuto nella parte di Davide che, armato solo della fionda di pezzi puliti della Palermo che lavora, affronta Golia (il gigante, ormai in buona parte gonfiato d’aria, costituito da quel che resta delle strutture partitiche tradizionali). Quando infatti Cracolici e Lumia – in cerca di una carta da giocare contro la Borsellino - gli hanno offerto il proprio appoggio elettorale, non ha saputo resistere. Da stella nascente del popolo senza partito si è trasformato, fra lo stupore di molti sostenitori, in candidato dell’ala destra del PD (l’ala filo-lombardiana) e, molto probabilmente, di fatto se non ufficialmente, dello schieramento che include il Terzo Polo. Con esiti che si prefigurano paradossali: il PD, incapace di esprimere una candidatura (o di appoggiare candidature interne all’apparato come Faraone e Terminelli), si spacca fra una “indipendente” come la Borsellino e un “esterno” come Ferrandelli; e indìce delle “primarie” che assomigliano più a un regolamento di conti che ad un allenamento in vista della partita finale.
Una scelta, quella di Ferrandelli, tatticamente opportuna? Dal punto di vista della ragione calcolante, sì. Egli triplica le probabilità di arrivare alla prima poltrona di Palermo. Ma, dal punto di vista della ragione che guarda ai principi e ai valori, potrebbe rivelarsi una scelta suicida. Da questa campagna elettorale in poi, i movimenti di base dovranno ricominciare a cercare un politico di riferimento per il quale vincere sia importante, ma ancor più importante mantenere fede agli ideali per i quali si voglia vincere. Ferrandelli sostiene, giustamente, che un candidato resta sé stesso, a prescindere da chi decida di appoggiarlo: ma allora dovrebbe dire, chiaro e forte, che in cambio dell’appoggio non ha offerto quella “disponibilità” agli eredi di Cuffaro che altri, come la Borsellino, hanno rifiutato. Egli è evidentemente convinto che il sostegno dei Cracolici e Lumia gli sia piovuto dal cielo come una benedizione insperata, ma gli altri stentano a fugare dalla mente l’immagine di Pinocchio fra il Gatto e la Volpe.

Augusto Cavadi

I Laic. Un anno di Cronache Laiche (2011) a cura di C.M. Calamani


E’ uscito il volume a più mani (con alcuni contributi, fra tanti altri, miei e di Bruno Vergani):
I Laic. Un anno di Cronache Laiche, Tempesta editore, Roma 2012.
Per avere un’idea del libro (ed eventualmente acquistarlo) visitare il sito della casa editrice: www.tempestaeditore.it

mercoledì 25 gennaio 2012

Ci vediamo venerdì 27 a Livorno?


Venerdì 27 gennaio, alle ore 10.00,
presso l’ISIS “Niccolini Palli” di Livorno (via E.Rossi 6),
terrò un incontro pubblico con gli studenti sul tema

La mafia: cancro isolato o malattia nazionale?

lunedì 23 gennaio 2012

Cosa pensare delle agitazioni di questi giorni in Sicilia?


Nota preliminare: come sanno i miei “ventiquattro lettori”, non sono solito usare il blog per esprimere valutazioni di attualità, prima che esse vengano ospitate dalle testate con cui collaboro. Il movimento “Forza d’urto” (di cui una componente consistente è costituita dai “Forconi”) esige però delle valutazioni tempestive che possano orientare il giudizio, e soprattutto l’operato, di quei cittadini disposti ad ascoltare non soltanto le ragioni (sacrosante) della ‘pancia’ ma anche quelle (non disprezzabili) della “ragione”.
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“FORZA D’URTO” ? BENISSIMO. MA SENZA SBAGLIARE BERSAGLIO

Che pensare della paralisi di un’intera regione da parte di un fronte così ampio e articolato di lavoratori? Non trovo niente di invidiabile in quanti manifestano, senza tentennamenti, opposte, equivalenti, certezze: né nel solito perbenismo dei moderati (“Non è giusto infrangere la legge in maniera così plateale”) né nell’altrettanto solito compiacimento dei rivoluzionari in servizio permanente (“L’importante è fare scoppiare le contraddizioni di un sistema irreparabilmente malato”). La via dell’analisi è tortuosa, passa attraverso più dubbi di quanto non se ne incontrino in giro.
Un primo punto su cui provare a fare chiarezza riguarda il metodo di lotta. Da una parte è vero che la sordità del ceto politico è ormai così grave che solo con azioni eclatanti si riesce a penetrarla: il diritto di parola è frustrato dall’assenza del corrispettivo diritto di essere ascoltati. Ma è altrettanto vero che non si può neppure sostituire il confronto politico – nel Parlamento e nel Paese – con una sorta di rissa da saloon in cui alla fine prevalgano i più violenti. Nel corso dei gloriosi “Fasci” di fine Ottocento, i contadini occupavano le terre e fronteggiavano le armi dell’esercito regolare, ma infrangevano la legalità ai danni dei latifondisti sfruttatori, non dei conterranei già in pesanti difficoltà.
Il vero nodo problematico è allora, più che il metodo, il fine di questo movimento: dove vuole arrivare? E, prima ancora, sa da dove parte? Gli slogan, gli striscioni, le dichiarazioni volanti, le bandiere e gli stendardi danno la spiacevole impressione che, per l’ennesima volta, si voglia attribuire al Nemico esterno l’intera responsabilità dei mali interni. Che si assista alla riedizione del logoro sicilianismo “piagnone”. Gli interessi delle compagnie petrolifere, una globalizzazione affidata al mercato dall’incompetenza e dalla corruzione dei governi nazionali degli ultimi decenni, un mercato – sua volta - ossessivamente concentrato sul profitto a tutti i costi (insomma quell’insieme di fattori che causano il paradosso di benzina venduta, nei distributori siciliani, a prezzi più alti della media italiana; di pomodorini di Pachino nei supermercati palermitani solo dopo essere andati e tornati da Napoli o da Firenze; di tonni e pesci spada importati, in confezioni surgelate, dallo stesso Giappone a cui vendiamo tonni e pesci spada di migliore qualità…) sono dati oggettivi e vanno, al più presto, scardinati. Così come va incrementata la repressione di frodi internazionali consistenti nell’importazione in Sicilia di alimenti – come l’olio – che poi vengono rivenduti, a prezzi maggiorati, come prodotti tipici siciliani. Ma non solo le uniche cause del malessere siciliano.
In questi decenni quanti, tra i dimostranti, hanno supportato elettoralmente una politica regionale dissennata proprio nei settori oggi interessati? L’assessorato all’Agricoltura è stata una delle “minne” a cui privati e di cooperative hanno attinto finanziamenti fasulli, rimborsi drogati, contributi europei indebiti: abbiamo dimenticato con quali soldi molti imprenditori nostrani hanno acquistato “fuoristrada” che non hanno mai battuto una “trazzera” di campagna? Abbiamo dimenticato che il dottor Filippo Basile è stato assassinato per ordine di un impiegato dell’assessorato all’Agricoltura perché si rifiutava di favorire illegalmente un concittadino di Salvatore Cuffaro, all’epoca assessore al ramo e - come sempre - più ‘morbido’ nell’accogliere le richieste di favore? Ho in memoria una serie di nomi di funzionari dell’assessorato che – in vari periodi – mi hanno confidato di aver preferito il pensionamento anticipato all’avanzamento di grado perché “le pressioni dei politici e i tentativi di corruzione degli operatori del settore sono davvero insopportabili”. Senza contare quante centinaia di migliaia di euro vengono distribuite ogni mese a uomini e donne che risultano braccianti in quiescenza e che, nella loro vita, non hanno mai toccato una zappa.
Questi flash , del tutto inadeguati, aprono la questione decisiva: dove vuole arrivare la protesta? Si vuole la mera replica capovolta del leghismo settentrionale (quando gli allevatori della Brianza pretendevano che lo Stato pagasse le multe per le loro infrazioni)? Come non credo in nessuna Padania, così non credo in nessuna Trinacria: la Sicilia è una mela spaccata a metà e una delle due parti è marcia. Vogliamo che, sotto l’ennesimo ricatto della piazza, il governo nazionale scucia qualche elemosina o il risanamento – radicale – di un sistema che, sul momento, accontenta clienti e corrotti, ma alla lunga si risolve in un boomerang per tutti, onesti compresi? “Forza d’urto” e “Forconi” (tra i quali militano amici che stimo) lo dicano forte: i primi nemici da abbattere sono gli intermediari parassitari che, con metodi più o meno illegali, riescono a far costare 2 euro al kilo le arance o l’uva che al produttore vengono pagate a metà della metà. Con il risultato, paradossale, che centinaia di migliaia di famiglie siciliane non possono permettersi ogni giorno il lusso di acquistare la frutta, neppure per i bambini. Siamo ai nuovi Vespri siciliani? Neppure per sogno. Da infilzare non ci sono Angioini stranieri, ma cosche mafiose nostrane che fanno regolarmente fuggire dall’isola gli imprenditori che vorrebbero impiantare industrie di trasformazione dei prodotti ittici e agricoli (a partire dalle tonnellate di agrumi che vengono distrutte per tenere artificialmente alti i prezzi) . Più ampiamente, da abbattere è la mentalità in cui la politica viene ridotta a mera negoziazione di interessi individuali o, al massimo, corporativi, preoccupandosi – per restare in tema – del destino della stalla di tutti solo man mano che si esaurisce il foraggio di ognuno.

Augusto Cavadi

I modi di morire secondo Heath


“Phronesis” Anno VII, numero 13, ottobre 2009

“Si muore una volta sola, ma ci sono molte maniere diverse di morire”: l’osservazione di J. Conrad (p. 31) può considerarsi la chiave di lettura di questo breve ma intenso saggio della dottoressa inglese Iona Heath (edito in italiano dalla Bollati Boringhieri a cura di Maria Nadotti). Si tratta, infatti, di uno scritto - dalla difficile collocazione in un genere letterario canonico - nel quale l’autrice, sulla base di una pratica medica pluridecennale, riflette sulle svariate modalità con cui la gente affronta il momento del decesso e su alcuni interrogativi ad esse legate. E lo fa in un contesto storico-sociale che, nell’incisiva postfazione, il sociologo John Berger sa magistralmente sintetizzare prendendo spunto dalla morte in ospedale di F., un novantacinquenne di sua conoscenza:

“Quando F. era giovane, in questa regione alpina c’erano
pochi medici e gli abitanti erano abituati ad affrontare
tra loro la malattia (e la morte). Quando sono nati i suoi
figli, esisteva un servizio medico nazionale;
i dottori rispondevano alle chiamate in piena notte
e venivano a casa, gli ospedali si erano ingranditi.
I paesani hanno cominciato a dipendere sempre più
dalla pratica medica professionale e a prendere
sempre meno decisioni per proprio conto. Dieci anni
fa, con la privatizzazione e la deregolamentazione,
le cose sono cambiate ancora. Oggi l’assistenza medica
in un pronto soccorso si è ridotta a un servizio di
trasporto coatto. F. è morto da nessuna parte” (pp. 104 - 105).

Quanto al contesto socio-culturale, l’autrice ribadisce ciò che ormai è diventato ’senso comune’: la morte è un tabù, un incidente scabroso da occultare nei fatti e da rimuovere dalla mente. Di questo “pericoloso e disastroso diniego della morte” sono responsabili certamente “l’arroganza e l’ambizione della scienza biomedica” ma, almeno altrettanto, “la turpitudine genocida di tutta la morte che ha contrassegnato il secolo che si è appena concluso” (p. 22) . Ci sfugge il dato paradossale che, “se distogliamo gli occhi dalla morte, pregiudichiamo anche la gioia di vivere”; che “meno avvertiamo la morte, meno viviamo” (p. 26) ; che, insomma, la morte non è solo lacerazione e sconfitta, ma anche liberazione dai vincoli temporali e, per citare S. Lindqvist , monito”all’essenzialità” (p. 27). In una parola: è - o può anche essere intesa come - “dono” (p. 23).
Due parole per spiegare la stranezza, o se si preferisce l’originalità, del genere letterario: una sorta di “personale crestomazia annotata della lingua che si accompagna all’esperienza del morire” (p. 6) , di frammenti tratti da dichiarazioni di pazienti, da lettere private di amici, da opere di letteratura. L’origine dei materiali collezionati si spiega con la tesi centrale della Heath: nell’affrontare la fenomenologia del morire - “senza cercare rifugio nel dettaglio dei sintomi corporei evitando così di misurarsi con la paura, la rabbia, l’angoscia e la sconfitta” -”i medici hanno bisogno di aiuto, e, per me, l’aiuto maggiore (…) viene dagli scrittori e in particolare dai poeti” (p. 98). Se “il dono del poeta” è “far luce senza semplificare” ed il “dono della scienza”, all’opposto, “cercare di capire attraverso la semplificazione”, fra poesia e scienza v’è “complementarietà“: “i medici hanno bisogno sia della scienza sia della poesia, più che mai quando si prendono cura di pazienti che stanno morendo” (pp. 99 - 100).
L’autrice, a conclusione delle sue pagine, prova a elencare le (nove) “priorità” (”evidenti” ma che “vanno di continuo riaffermate”) attestate dalla convergente esperienza dei medici e dei poeti:

“Quando è possibile, i pazienti dovrebbero morire a casa
o in un altro luogo amato e familiare.

Non bisognerebbe morire da soli e l’assistenza dovrebbe
essere prestata da persone che i morenti conoscono e a cui,
preferibilmente, sono legati da rapporti di affetto.

E’ essenziale che tra medico e morente ci siano un rapporto
e un dialogo ininterrotti.

La comunicazione è mediata dalle parole e dal contatto
fisico.

A volte il dolore serve a sentirsi vivi.

La speranza si riferisce al futuro, ma è contenuta nella
cornice del presente e può essere indirizzata verso i piccoli
piaceri sensoriali: musica, contatto fisico, la vista
di un volto amato, la luce del sole.

Rivivere e condividere di nuovo i ricordi consente
di arrivare a una storia di vita coerente.

Bisogna trovare lo spazio per ringraziare della risoluzione
della vita e della prospettiva di liberarsi d un corpo
che sta cedendo.

La profondità del tempo è più importante della durata.” (pp. 100 - 101).

Per ciascuno di questi punti si potrebbero rintracciare dei rimandi a ricordi autobiografici e a citazioni letterarie: morire nel proprio ambiente familiare? Abbiamo già udito il racconto di Berger su F. , “rimosso precipitosamente da casa” e “morto da nessuna parte” (pp. 104 - 105). Morire fra persone care? “Cosa non ti dice una mano quando la si tocca” (così Joyce evocato a p. 91). Avere con il proprio medico una relazione continua? “Uno degli incontri più sciagurati della medicina moderna è quello tra un vecchio fragile, indifeso e ormai prossimo alla morte e un giovane e scattante medico interno agli inizi della carriera” (lo scrittore B. Keizer citato a p. 21). Comunicare con l’intera persona mettendosi in gioco integralmente ? “Quel che la mano, l’occhio e il cuore possono fare, e fanno, e dipingono, non potrà mai essere sostituito” (il pittore D. Hockney ripreso a p. 72). La funzione non esclusivamente distruttrice del dolore? “Il dolore ci aiuta ad accorgerci che siamo vivi. Tutti chiedono ansiosamente ‘hai male da qualche parte?’. Dovrebbe essere il contrario” (la paziente terminale dell’East End londinese secondo la testimonianza del sociologo Michael Young a p. 41). La strutturale apertura alla speranza? “In un senso ben reale, ogni uso del futuro del verbo essere è una negazione, anche se soltanto parziale, della mortalità. E ogni subordinata ipotetica è un rifiuto dell’inevitabilità brutale, del dispotismo dei fatti. I ‘farò′, i ‘ ’sarò′ e i ’se’, nel loro gravitare in campi intricati di forza semantica intorno a un centro o nucleo nascosto di potenzialità, sono le password verso la speranza” (G. Steiner citato a p. 62). L’esigenza di trovare retrospettivamente un filo conduttore della propria esistenza? “La storia della nostra vita non è mai un’autobiografia, ma sempre un romanzo (…). I ricordi non sono che l’ennesimo espediente narrativo” (J. Barnes a p. 37). Una possibile conciliazione con la morte? L’aveva ben intuito Primo Levi ad Auschwitz: “la sicurezza della morte impone un limite a ogni gioia, ma anche a ogni dolore” (cit. a p. 29). La priorità della qualità della vita rispetto alla quantità? “L’uomo buono o forte è colui che esiste così pienamente o così intensamente, al punto da aver conquistato l ‘eternità durante la propria vita, e che la morte, sempre estensiva, sempre esteriore, è poca cosa per lui” (Deleuze, che interpreta Spinoza, a p. 59).

Quando si chiude il libro e lo si ripone in libreria è difficile non porsi almeno un interrogativo: come mai la Heath invoca per la medicina la sinergia della poesia e non della filosofia? La questione non viene certo vanificata dalla considerazione che, fra le decine di autori citati, ci siano Gadamer (pp. 42 - 43, 46, 48 - 49, 73) o Deleuze (p. 51, 59) : come commenterebbe Aristotele, due rondini non fanno primavera. Assumendola con serietà, la domanda suggerisce risposte differenti e non alternative. Una prima può ipotizzare un limite nella formazione personale dell’autrice: la quale, forse, ha preferito fruire del linguaggio evocativo e suggestivo di romanzieri e poeti piuttosto che dedicarsi a decodificare testi più impegnativi, ed emotivamente meno gratificanti, redatti da filosofi.
Ma il mondo dei filosofi, da parte sua, non ha nulla da rimproverarsi davanti a silenzi del genere? Quanti sono i pensatori teoretici e gli storici della filosofia che, come Gadamer, hanno tematizzato problematiche così ‘basse’, così ‘quotidiane’, come il senso delle malattie fisiche e psichiche, delle terapie cliniche e farmaceutiche, dell’agonia e del decesso? La bioetica ha iniziato da alcuni decenni ad introdurre lo sguardo filosofico nei momenti aurorali e crepuscolari dell’esistere, anche se in termini inevitabilmente generali: tocca alla filosofia-in-pratica e alle sue sperimentazioni pratiche compiere il passo ulteriore; provare a svegliare il filosofo che dorme in ogni paziente e in ogni medico; coinvolgere la riflessione filosofica nel circolo virtuoso della co-implicazione teoria/esperienza. A disposizione di chi volesse lavorare in questa direzione, dissodando un terreno pressoché vergine, non mi pare ci siano molti strumenti, ma sarebbe bene non ignorarli: per esempio L’esperienza di un infermiere filosofo (in AA. VV., Leadership riflessive. La ricerca di anima nelle organizzazioni, Apogeo, Milano 2007, pp. 191 - 197) di Andrea Vitullo e La consulenza filosofica nell’ambito delle cure di fine vita (in AA.VV., Filosofia praticata. Su consulenza filosofica e dintorni, Di Girolamo, Trapani 2008, pp. 122) di Luisa Sesino.
In conclusione: libri come questo della Health possono offrire al filosofo-in-pratica intuizioni da assumere come piste di ricerca ed ipotesi di lavoro più che narrazioni di percorsi in qualche misura compiuti. Ciò non toglie preziosità al contributo che ben si affianca, a mio parere, a testi simili in cui professionisti impegnati concretamente nel campo sanitario mettono a disposizione dei filosofi consulenti (anche senza volerlo intenzionalmente !) testimonianze, interviste, analisi interessanti: a testi, intendo, come L’assistenza ai morenti (Red edizioni, Como 1997) di Renée Sebag-Lanoe; La morte opportuna. I diritti dei viventi sulla fine della loro vita (Avverbi, Roma 2004) di J. Pohier;
Il lutto infantile e giovanile (Edizioni CVS, Roma 2005) di Aldo Lamberto.

sabato 21 gennaio 2012

Maria D’Asaro recensisce “La bellezza della politica”


“Centonove”
20. 1. 2012

La bellezza della politica secondo Cavadi e Poma
Come tutta la pregevole produzione saggistica di Augusto Cavadi, l’agile pocket curato a quattro mani con Elisabetta Poma (La bellezza della politica, Di Girolamo, Trapani, 2011, € 9.90) è un testo jolly. Nel senso che può essere fruito e apprezzato da un vasto pubblico.
Contiene una sintetica ma esauriente disamina delle principali ideologie del ‘900, accompagnata da scritti di vari autori che tracciano discorsivamente i tratti salienti di tali weltanschauungen. In questo senso, è davvero un prezioso ausilio per lo studente di ogni istituto superiore (ed è stato, infatti, già adottato da alcuni docenti illuminati). Ma il libro non ha solo un’ottima valenza didattica: il linguaggio piano e scorrevole lo rende adatto a ogni cittadino che voglia appropriarsi di un lessico e di una sintassi adeguata per migliorare la sua grammatica politica, che voglia avere con sé la “cassetta degli attrezzi” per imbandire una riflessione politica oltre quelli che in Sicilia chiamiamo, in quanto superficiali e inconsistenti, “discorsi da caffè”.
Allora: cosa c’è oltre le ideologie del Novecento? Come sottolineano gli autori, alla contaminazione fluida e talvolta imprevedibile, operata dalla storia, non ha corrisposto un altrettanto rapido cambiamento delle teorizzazioni politiche, ma, al contrario, “le formule sono rimaste cristallizzate: il rifiuto diffuso nei confronti delle teorie politiche, forse (…) è stanchezza per categorie ormai sclerotizzate”. Da ciò consegue che: “gli approcci ideologici elaborati nel XX secolo, spesso ad esplicitazione e sviluppo di orientamenti del XIX, devono essere considerati degli strumenti di lavoro da sostituire senza rimpianti, ma con gradualità”. Strumenti di cui è auspicabile una ragionata rivisitazione.
In una società che ha visto il crollo delle magnifiche sorti progressive teorizzate dal comunismo marxista e che è dominata dalla globalizzazione economica e dall’emergenza ambientale e in cui impera, grazie a Internet, una nuova koinè, in questa società complessa e in continuo cambiamento c’è bisogno di ideologie ‘leggere’ che rispondano in modo adeguato ai nuovi bisogni antropologici.
A una società “liquida”, per citare il sociologo Zygmut Baumann, non può che seguire una politica dello stesso segno. Come sottolineano Cavadi e Poma, si tratta di rifondare, contestualizzare e rendere reciprocamente compatibili temi come “l’intangibilità della libertà individuale, la comune appartenenza al genere umano, la necessità di un’istanza normativa al di sopra degli interessi particolari”. E, alla fine del libro, gli autori tracciano un’ipotesi di percorso che contempla il recupero delle intuizioni più valide delle ideologie politiche e che tiene conto di dati di universale evidenza, quali la responsabilità, l’ambiguità costitutiva dell’essere umano, l’irriducibile pluralità dei poteri effettivi, la necessità di coniugare realismo e utopia, di democratizzare la conoscenza, di controllare i rappresentanti.
Aggiungerei un’ultima suggestione, prendendo spunto da “Le lezioni americane”, testo in cui Calvino assegnava alla letteratura del 21° secolo cinque caratteristiche: la leggerezza, la rapidità, l’esattezza, la visibilità, la molteplicità. Tali caratteristiche ben si adattano all’idea di politica che abbiamo necessità di traghettare nel XXI secolo. Leggera e flessibile, ma non fragile, struttura portante e non camicia di forza dell’umanità. Rapida, esatta e visibile: un’idea politica in grado di adeguarsi in tempo reale ai nuovi bisogni e al mutare delle condizioni di vita dell’umanità del III millennio, che si sforzi di fornire risposte “esatte”, pertinenti, quasi scientifiche, ai bisogni della società, e che sia comprensibile e comunicabile anche ai giovani nativi digitali, che vivono di Facebook e messaggini.
Molteplice, infine: parafando Calvino che scrive “la grande sfida per la letteratura è il saper tessere insieme i diversi saperi e i diversi codici in una visione plurima, sfaccettata del mondo”, la grande sfida, per la politica, è saper tessere le diverse prospettive in una poliedrica, plurima, sfaccettata visione del mondo. Mondo in cui, come ipotizzava già Pericle nel V sec. a.C., “ogni ateniese (ogni cittadino, diremmo oggi) cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero”. Maria D’Asaro

mercoledì 18 gennaio 2012

LADRI DI LUCE (ELETTRICA)


“Repubblica – Palermo”
13. 1. 2012

LADRI DI LUCE (ELETTRICA)

E’ più vicino ai cinquanta che ai quaranta, ma ha lo sguardo di un ragazzo pulito. Lo conosco, casualmente, a casa di amici comuni e mi spiega che da alcuni anni è arrivato a Palermo – da una regione del Settentrione – in missione per l’Enel. Mi incuriosisco e chiedo in che senso la Sicilia sia terra di missione. “Sicilia e Campania hanno il record italiano degli allacciamenti abusivi, senza contatore, alle reti di energia elettrica. E’ in corso una campagna straordinaria di accertamenti, di verifiche domiciliari, di ripristino della legalità”. Chiedo come mai sia scattata tanta solerzia dal momento che solo dieci anni fa, avendo segnalato al centralino dell’Enel un mio inquilino che - oltre a non versare il mensile – usufruiva abusivamente di luce, ho avuto in risposta: “Faccia una denunzia e, solo se i carabinieri ci chiederanno di intervenire, manderemo una squadra”. Mi spiega che la musica è cambiata: l’Enel non è più così tollerante con gli abusivi da quando l’Authority le chiede una multa proporzionata all’energia che si lascia rubare dai privati.
L’interlocutore occasionale mi regala squarci sulla città davvero inediti (a suo dire la situazione è altrettanto grave a Catania, mentre nell’entroterra isolano è meno clamorosa): “Sono stupito soprattutto da due fenomeni. Il primo è che scopriamo che gli allacciamenti abusivi si trovano in case di povera gente, ma anche in ville lussuose, supermercati, ristoranti, alberghi, negozi (e forse per questo è facile trovare pompe di calore accese anche con porte esterne spalancate). L’unica differenza sociale è che, una volta smascherati, i poveri ci chiedono il favore di chiudere un occhio e i ricchi ci propongono di dividere fra noi e loro la somma che si dovrebbe versare all’Enel (come se dovesse riuscirmi indifferente il bilancio dell’impresa che mi paga lo stipendio) . L’altro dato che mi stupisce è la gentilezza con cui tutti, poveri e ricchi, ci aprono le porte di casa per gli accertamenti tecnici (ovviamente sperando che non ci accorgiamo degli imbrogli): dalle mie parti, al Nord, nessuno ti fa entrare in casa e ci si limita a far accedere esclusivamente al contatore”. Gli chiedo se questa disponibilità cortese la trovano dappertutto e mi spiega che la registrano uniformemente in tutte le zone della città in cui operano. Ma specifica che non operano in tutte le zone: infatti - e spero che qualcuno possa smentire autorevolmente questa confidenza – dalla Prefettura hanno avuto, “per ragioni di ordine pubblico”, il divieto di espletare controlli in alcuni quartieri popolari (come Zen 1 e Zen 2). Dunque a Palermo (e a Catania) la legalità procederebbe a due velocità: rapida con i trasgressori ‘morbidi’, lenta - a anzi, a tempo indeterminato – con i trasgressori ‘duri’.
Tra le tante domande di cui lo tartasso a questo punto, davvero incuriosito, gli chiedo se all’Enel convenga spendere tanti soldi per mantenere in Sicilia una task force di tecnici provenienti da diverse regioni italiane. “Certo” – è la risposta illuminante – “solo nel 2010 sono stati recuperati 250 milioni di euro di evasione”. La notizia è senz’altro incoraggiante. Ma se gli utenti regolari, che da una vita pagano per intero le bollette, ricevessero un piccolo sconto sulle somme da versare bimensilmente, non sarebbe un segnale di civiltà? E, a questo punto, non si moltiplicherebbero le segnalazioni, anche anonime, di impianti illegali, in nome del “pagare tutti, pagare meno”? Altrimenti la guerra dell’Enel contro gli evasori assomiglierebbe troppo a una faccenda tra guardie e ladri che - come troppo spesso in Italia – lascia indifferenti gli spettatori. Se vogliamo un maggiore coinvolgimento popolare non possiamo chiedere di condividere le responsabilità nelle battaglie per la giustizia senza però distribuire l’eventuale bottino.

Augusto Cavadi

mercoledì 11 gennaio 2012

Tre proposte per selezionare i candidati alle elezioni


“Repubblica – Palermo”
11.1.2012

TRE IDEE PER LA SELEZIONE DEI CANDIDATI ALLE ELEZIONI

Un contributo preciso, meditato e costruttivo al dibattito nazionale sulla moralizzazione della politica è partito in questi giorni dalla Sicilia. In vista delle prossime elezioni amministrative a Palermo, tre note associazioni impegnate sul fronte della lotta alla mafia (Addiopizzo, Libero Futuro e Professionisti Liberi) hanno inviato al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio e al Ministro dell’Interno una lettera ‘aperta’ che - sulla base della convinzione scritta su uno striscione dalle mani di don Pino Puglisi (“Il voto di scambio uccide le coscienze”) - propone, assai concretamente, “un’azione articolata, di ampio respiro, che connetta e integri tre punti”.
Sul primo e sul terzo punto, per la verità, ritengo che i destinatari dell’appello non possano andare molto oltre un tentativo di persuasione morale, di stimolo etico, nei confronti delle dirigenze degli attuali partiti politici: intervenire sui meccanismi di formazione delle liste dei candidati. Più precisamente: innanzitutto escludendo dalla rosa dei papabili i personaggi coinvolti, da imputati, in vicende giudiziarie
attinenti, in maniera diretta o indiretta, al sistema di dominio mafioso. L’ammonimento di Paolo Borsellino (“Vi sono, oltre ai giudizi dei giudici, anche i giudizi politici cioè le conseguenze che da certi fatti accertati trae o dovrebbe trarre il mondo politico”) è rimasto, a venti anni dal suo martirio civile, inascoltato. Ma se i partiti (soprattutto dello schieramento progressista) non vogliono allargare il fossato che li divide dall’opinione pubblica – ammesso che sia ulteriormente amplificabile – devono decidersi a troncare ogni compromesso nascondendosi dietro l’ipocrita “attesa dell’ultimo grado di giudizio”.
Dopo che i dirigenti dei partiti abbiano operato una prima scrematura delle candidature, dovrebbero affidare agli elettori di riferimento il compito di individuare, in maniera più circoscritta, nomi e cognomi. Si tratterebbe di adottare “un metodo partecipativo per scegliere le candidature del centro destra e del centro sinistra, come le primarie, indipendentemente da alleanze e accordi”: non solo per discutere, apertamente e pubblicamente, di profili biografici ma anche, e soprattutto, di idee e progetti politici.
Il terzo – e ultimo punto – della piattaforma rientra, a differenza dei primi due, nell’ambito delle competenze immediate del governo: la centralizzazione dello scrutinio delle schede. Infatti la normativa vigente, che prevede l’effettuazione dello scrutinio nei singoli seggi, favorisce il controllo abusivo dei voti e, perciò, ne condiziona fortemente la segretezza. In ogni seggio, infatti,
votano di solito non più di 700 elettori: con un numero (appositamente gonfiato) di candidati e di liste, ogni candidato non riceverà più di 5 preferenze per seggio. Molto facile, dunque, verificare se chi ha promesso un voto, in cambio di un favore, ha rispettato il patto scellerato.
Basterebbero queste modifiche procedurali a rendere più consapevole e più libero il voto amministrativo? Nessuno - tanto meno le associazioni promotrici – si illude. Predisporre degli strumenti è un’operazione necessaria quanto insufficiente. Un’operazione che ha senso se, contestualmente, si persevera in una quotidiana, capillare, azione di informazione e di trasformazione delle coscienze. L’ignoranza cognitiva e la rozzezza morale di chi non sa essere neppure un egoista di larghe vedute - ed perciò tutto concentrato nell’accaparrarsi l’uovo subito senza preoccuparsi né della gallina né tanto meno del pollaio – restano gli ostacoli più radicali sulla strada per una Palermo, per una Sicilia, più vivibili. Scuole, associazioni, organi di stampa e di trasmissione radiotelevisiva, chiese, sindacati hanno fatto sino ad oggi troppo poco su questo versante, come se la partecipazione politica fosse un hobby e neppure dei più rispettabili. Ma non c’è altro modo di lasciarsi davvero alle spalle l’epoca dei taumaturghi illusionisti, a Roma come a Palermo.

Augusto Cavadi

martedì 10 gennaio 2012

Programmazione per l’anno scolastico in corso


PROGRAMMAZIONE III i
FILOSOFIA, STORIA ED EDUCAZIONE CIVICA
PROF. AUGUSTO CAVADI
ANNO SCOLASTICO 2014 – 2015

• Situazione di partenza
?

• Finalità
Questa programmazione pedagogico – didattica mira a favorire negli alunni un processo di autoformazione alla consapevolezza critica in campo filosofico e storico - politico. In campo filosofico perché ogni persona ha diritto di conoscere le principali risposte alle domande esistenziali (che senso ha la vita? Qual è il posto dell’uomo nell’universo? La morte segna il confine definitivo dell’esperienza o sono pensabili degli orizzonti ulteriori? Esistono criteri oggettivi per distinguere azioni giuste ed ingiuste?); in campo storico - politico perché ogni cittadino ha diritto di conoscere la genesi dei problemi attuali della società e i principali meccanismi istituzionali previsti per la partecipazione politica attiva.

• Obiettivi
Al termine dell’anno scolastico, ogni alunno dovrebbe essere in grado di:
a) livello di sufficienza
- conoscere (a livello manualistico) le linee essenziali del pensiero dei filosofi, delle vicende storiche e delle problematiche socio-politiche;
- rispettare le regole elementari necessarie ad una serena, se non anche allegra, convivenza in classe (abituale puntualità, capacità di ascoltare gli interlocutori, capacità di argomentare logicamente le proprie posizioni, disponibilità tendenziale ai momenti di verifica sia orali che scritti);
b) livello superiore alla sufficienza
- saper istituire confronti critici fra pensatori, periodi storici, progetti politici diversi;
- saper riferire verbalmente, in maniera chiara e sintetica, sul proprio lavoro a contatto con testi classici, documenti storici, pagine critiche (dimostrando di saper attingere alle ‘fonti’ della produzione manualistica);
- saper redigere una relazione scritta (tipo ‘recensione’) su testi letti e interpretati personalmente;
- studiare con costanza in modo da essere abitualmente disponibile alle verifiche ed al dialogo in classe;

c) livello di eccellenza
- saper elaborare e formulare (sia in forma orale che scritta) un giudizio personale su dottrine filosofiche, avvenimenti storici, progetti politici che costituisca l’abbozzo di una propria interpretazione del mondo;
- mostrare un atteggiamento collaborativo con i compagni ed il docente (esercitando costruttivamente il diritto di critica, proponendo iniziative utili all’autoformazione del gruppo – classe, dedicando tempo ed energie a compagni meno inclini allo studio di queste materie ma desiderosi di apprendere, partecipando ad iniziative para- ed extra-scolastiche ed illustrandone in aula le acquisizioni più interessanti etc.).

• Metodi
Con degli opportuni adattamenti allo specifico di ciascuna delle tre discipline, si attiveranno:
a) metodi di apprendimento a scuola:
- spiegazione in classe dei passaggi essenziali del manuale;
- lettura e commento di brani filosofici, di fonti storiche e di pagine monografiche;
- domande e risposte (possibilmente da parte di tutta la classe e dell’insegnante) tese alla chiarificazione del manuale, dei brani originali e delle spiegazioni del docente;
- discussione collettiva per incoraggiare la valutazione critica personale delle dottrine analizzate e comprese;
- uso episodico di film ed altri strumenti audiovisivi, anche informatici.
b) Carichi di lavoro a casa:
- nel corso della lezione si cercherà di esaudire la maggior parte dei dubbi e delle curiosità, anche nell’ambito dei colloqui orali per la valutazione, in modo che a casa resti il compito di riorganizzare mentalmente i contenuti (ed eventualmente di approfondirli con letture facoltative) con un impegno forfettario di tre ore settimanali (su circa 18 ore in media di lavoro pomeridiano presumibile).
c) Metodi di valutazione:
- colloqui orali quanto più frequenti possibile;
- questionari scritti;
- interventi occasionali alle discussioni collettive in aula;
- composizioni facoltative (da esporre in aula o da consegnare al docente) su singoli problemi, da cui si possa ricavare la lettura di testi diversi da quelli usati abitualmente in aula e la capacità di esprimere giudizi personali.

• Contenuti
a) Filosofia: Si prevede uno svolgimento regolare del programma ministeriale anche in conformità agli orientamenti condivisi nell’ambito del Dipartimento di filosofia. Entro il primo quadrimestre dovrebbe concludersi lo studio della filosofia greca ‘classica’ (compresi Parmenide, Eraclito, Sofisti, Socrate, Platone e Aristotele); al secondo quadrimestre lo studio di alcune correnti filosofiche greche (almeno Stoicismo ed Epicureismo), di un rappresentante della Patristica (Agostino) e di un rappresentante della Scolastica (Tommaso d’Aquino).
b) Storia:  Con pochi tagli, che non pregiudichino però l’intelligenza della trama essenziale dello svolgimento storico, si cercherà di pervenire all’esame (a grandi linee) delle vicende medievali e moderne (almeno sino alla guerra dei Cento Anni).
c) Educazione civica: Si dedicherà un’ora la settimana ad una alfabetizzazione essenziale sull’ordinamento della Repubblica italiana (parlamento, governo, magistratura; regioni, province, comuni) e su alcuni organismi internazionali (Onu).

Programmazione per l’anno in corso


PROGRAMMAZIONE IV i
FILOSOFIA, STORIA ED EDUCAZIONE CIVICA
PROF. AUGUSTO CAVADI
ANNO SCOLASTICO 2014 – 2015

• Situazione di partenza
La classe si presenta motivata all’apprendimento, disponibile all’ascolto e al confronto. Facilmente si riesce ad accendere un dibattito. Le verifiche orali non sono vissute con apprensione e non pochi alunni mostrano un interesse personale per gli argomenti affrontati. Ancora frequenti, però, le assenze.

• Finalità
Questa programmazione pedagogico – didattica mira a favorire negli alunni un processo di autoformazione alla consapevolezza critica in campo filosofico e storico - politico. In campo filosofico perché ogni persona ha diritto di conoscere le principali risposte alle domande esistenziali (che senso ha la vita? Qual è il posto dell’uomo nell’universo? La morte segna il confine definitivo dell’esperienza o sono pensabili degli orizzonti ulteriori? Esistono criteri oggettivi per distinguere azioni giuste ed ingiuste?); in campo storico - politico perché ogni cittadino ha diritto di conoscere la genesi dei problemi attuali della società e le ipotesi di soluzione avanzate dai principali progetti ideologici.

• Obiettivi
Al termine dell’anno scolastico, ogni alunno dovrebbe essere in grado di:
a) livello di sufficienza (6 - 7)
- conoscere (a livello manualistico) le linee essenziali del pensiero dei filosofi, delle vicende storiche e delle problematiche socio-politiche;
- rispettare le regole elementari necessarie ad una serena, se non anche allegra, convivenza in classe (abituale puntualità, capacità di ascoltare gli interlocutori, capacità di argomentare logicamente le proprie posizioni, disponibilità tendenziale ai momenti di verifica sia orali che scritti);
b) livello superiore alla sufficienza (8)
- saper istituire confronti critici fra pensatori, periodi storici, progetti politici diversi;
- saper riferire verbalmente, in maniera chiara e sintetica, sul proprio lavoro a contatto con testi classici, documenti storici, pagine critiche (dimostrando si saper attingere alle ‘fonti’ della produzione manualistica);
- saper redigere una relazione scritta (tipo ‘recensione’) su testi letti e interpretati personalmente;
- studiare con costanza in modo da essere abitualmente disponibile alle verifiche ed al dialogo in classe;

c) livello di eccellenza (9 - 10)
- saper elaborare e formulare (sia in forma orale che scritta) un giudizio personale su dottrine filosofiche, avvenimenti storici, progetti politici che costituisca l’abbozzo di una propria interpretazione del mondo;
- mostrare un atteggiamento collaborativo con i compagni ed il docente (esercitando costruttivamente il diritto di critica, proponendo iniziative utili all’autoformazione del gruppo – classe, dedicando tempo ed energie a compagni meno inclini allo studio di queste materie ma desiderosi di apprendere, partecipando ad iniziative para- ed extra-scolastiche ed illustrandone in aula le acqusizioni più interessanti etc.).

• Metodi
Con degli opportuni adattamenti allo specifico di ciascuna delle tre discipline, si attiveranno:
a) metodi di apprendimento a scuola:
- spiegazione in classe dei passaggi essenziali del manuale;
- lettura e commento di brani filosofici, di fonti storiche e di pagine monografiche;
- domande e risposte (possibilmente da parte di tutta la classe e dell’insegnante) tese alla chiarificazione del manuale, dei brani originali e delle spiegazioni del docente;
- discussione collettiva per incoraggiare la valutazione critica personale delle dottrine analizzate e comprese;
- uso episodico di film ed altri strumenti audiovisivi, anche informatici.
b) Carichi di lavoro a casa:
- nel corso della lezione si cercherà di esaudire la maggior parte dei dubbi e delle curiosità, anche nell’ambito dei colloqui orali per la valutazione, in modo che a casa resti il compito di riorganizzare mentalmente i contenuti (ed eventualmente di approfondirli con letture facoltative) con un impegno forfettario di tre ore settimanali (su circa 18 ore in media di lavoro pomeridiano presumibile).
c) Metodi di valutazione:
- colloqui orali quanto più frequenti possibile;
- questionari scritti;
- interventi occasionali alle discussioni collettive in aula;
- composizioni facoltative (da esporre in aula o da consegnare al docente) su singoli problemi, da cui si possa ricavare la lettura di testi diversi da quelli usati abitualmente in aula e la capacità di esprimere giudizi personali.
• Contenuti
a) Filosofia: Si prevede uno svolgimento quasi regolare del programma ministeriale: anche se la classe, all’inizio d’anno, è ancora ferma all’epoca ellenistica. Si cercherà di colmare i ritardi entro il primo quadrimestre.
b) Storia: Anche in questa disciplina si prevede uno svolgimento regolare del programma ministeriale.
c) Educazione civica: Si dedicherà un’ora la settimana a una alfabetizzazione essenziale sulle principali ideologie del Novecento.

Programmazione per l’anno in corso


PROGRAMMAZIONE V sez. i
FILOSOFIA, STORIA ED EDUCAZIONE CIVICA
PROF. AUGUSTO CAVADI
ANNO SCOLASTICO 2011 – 2012

• Situazione di partenza
La classe è abbastanza motivata all’apprendimento e, in genere, disciplinata. Un po’ discontinui, in alcuni casi, l’impegno a casa e la frequenza a scuola.

• Finalità
Questa programmazione pedagogico – didattica mira a favorire negli alunni un processo di autoformazione alla consapevolezza critica in campo filosofico e storico - politico. In campo filosofico perché ogni persona ha diritto di conoscere le principali risposte alle domande esistenziali (che senso ha la vita? Qual è il posto dell’uomo nell’universo? La morte segna il confine definitivo dell’esperienza o sono pensabili degli orizzonti ulteriori? Esistono criteri oggettivi per distinguere azioni giuste ed ingiuste?); in campo storico - politico perché ogni cittadino ha diritto di conoscere la genesi dei problemi attuali della società e le ipotesi di soluzione avanzate dai principali progetti ideologici.

• Obiettivi
Al termine dell’anno scolastico, ogni alunno dovrebbe essere in grado di:
a) livello di sufficienza
- conoscere (a livello manualistico) le linee essenziali del pensiero dei filosofi, delle vicende storiche e delle problematiche socio-politiche;
- rispettare le regole elementari necessari ad una serena, se non anche allegra, convivenza in classe (abituale puntualità, capacità di ascoltare gli interlocutori, capacità di argomentare logicamente le proprie posizioni, disponibilità tendenziale ai momenti di verifica sia orali che scritti);
b) livello superiore alla sufficienza
- saper istituire confronti critici fra pensatori, periodi storici, progetti politici diversi;
- saper riferire verbalmente, in maniera chiara e sintetica, sul proprio lavoro a contatto con testi classici, documenti storici, pagine critiche (dimostrando si saper attingere alle ‘fonti’ della produzione manualistica);
- saper redigere una relazione scritta (tipo ‘recensione’) su testi letti e interpretati personalmente;
- studiare con costanza in modo da essere abitualmente disponibile alle verifiche ed al dialogo in classe;

c) livello di eccellenza
- saper elaborare e formulare (sia in forma orale che scritta) un giudizio personale su dottrine filosofiche, avvenimenti storici, progetti politici che costituisca l’abbozzo di una propria interpretazione del mondo;
- mostrare un atteggiamento collaborativo con i compagni ed il docente (esercitando costruttivamente il diritto di critica, proponendo iniziative utili all’autoformazione del gruppo – classe, dedicando tempo ed energie a compagni meno inclini allo studio di queste materie ma desiderosi di apprendere, partecipando ad iniziative para- ed extra-scolastiche ed illustrandone in aula le acquisizioni più interessanti etc.).

• Metodi
Con degli opportuni adattamenti allo specifico di ciascuna delle tre discipline, si attiveranno:
a) metodi di apprendimento a scuola:
- spiegazione in classe dei passaggi essenziali del manuale;
- lettura e commento di brani filosofici, di fonti storiche e di pagine monografiche;
- domande e risposte (possibilmente da parte di tutta la classe e dell’insegnante) tese alla chiarificazione del manuale, dei brani originali e delle spiegazioni del docente;
- discussione collettiva per incoraggiare la valutazione critica personale delle dottrine analizzate e comprese;
- uso episodico di film ed altri strumenti audiovisivi, anche informatici.
b) Carichi di lavoro a casa:
- nel corso della lezione si cercherà di esaudire la maggior parte dei dubbi e delle curiosità, anche nell’ambito dei colloqui orali per la valutazione, in modo che a casa resti il compito di riorganizzare mentalmente i contenuti (ed eventualmente di approfondirli con letture facoltative) con un impegno forfettario di tre ore settimanali (su circa 18 ore in media di lavoro pomeridiano presumibile).
c) Metodi di valutazione:
- colloqui orali quanto più frequenti possibile;
- questionari scritti;
- interventi occasionali alle discussioni collettive in aula;
- composizioni facoltative (da esporre in aula o da consegnare al docente) su singoli problemi, da cui si possa ricavare la lettura di testi diversi da quelli usati abitualmente in aula e la capacità di esprimere giudizi personali.

• Contenuti
a) Filosofia: Si prevede uno svolgimento regolare del programma secondo le direttive ministeriali.
Il primo bimestre sarà dedicato dunque a Kant, Fichte e Schelling; il secondo quadrimestre a Hegel, Schopenhauer, Comte, Kierkegaard, Nietzsche, Freud e Weber.
b) Storia: Si prevede uno svolgimento abbastanza regolare del programma, secondo le direttive ministeriali: .dal Risorgimento italiano sino alla conclusione della II guerra mondiale.
c) Educazione civica: Si dedicherà un’ora la settimana ad una alfabetizzazione essenziale sul panorama ideologico – partitico contemporaneo (con l’esame critico dei principali partiti della ‘prima’ e della ‘seconda’ Repubblica).

Augusto Cavadi

domenica 8 gennaio 2012

La libertà dal bisogno di vedersi riconoscere le proprie qualità


Su cortese richiesta della redazione della bella rivista piemontese “Viottoli” (www.freeitaly.eu/viottoli) “Viottoli” ho inviato alcune considerazioni critiche sulla condizione ’strutturale’ dei presbiteri cattolici.

“Viottoli”
XIV (2011), 2, pp. 37 – 38

NODI (INESTRICABILI ?) DEL SACERDOZIO CATTOLICO
La questione dell’ordinazione dei presbiteri cattolici appare, se inserita nel quadro dottrinale generale, di secondaria importanza: poco più di un affare giuridico per canonisti. In effetti può essere letta anche sul piano dei mutamenti storico-culturali e, come tale, relativizzata rispetto ai grandi interrogativi teologici. Però, se approfondita, essa apre domande molto più rilevanti: in qualche caso abissali.
Non si tratta infatti solo di notare come, nel Secondo Testamento, Gesù, che non era prete, non ha ‘istituito’ nessun sacramento dell’ordine; né, tanto meno, che una eventuale investitura “dall’alto” riguardasse la funzione sociale di alcuni discepoli, non certo la loro costituzione antropologica (come arriverà a sostenere la dottrina medievale del “carattere” come impronta ontologica). Sono tutte tematiche che i frequentatori degli studi biblici conoscono a mena dito. Un po’ più intrigante la problematica del ministero alle donne: la loro esclusione (o forse sarebbe più esatto dire: la loro presenza statisticamente minoritaria) fra quanti presiedevano le liturgie nei primi secoli ha indotto le chiese cristiane (sino a un secolo fa tutte, sino ad oggi le più consistenti numericamente) a trasformare un dato di fatto in un criterio di principio. Correggere questa svista non è stato facile (nelle chiese in cui è stata corretta) né è facile (nelle chiese in cui permane) perché si tratta di rivedere la concezione della donna rispetto al maschio, rispetto al sesso e rispetto al sacro. Insomma si tratta di operare una rivoluzione mentale coraggiosa, profonda.
Ricordo un mio incontro fugace, nella sacrestia dell’Istituto biblico di Roma, al termine di una intima celebrazione eucaristica di padre Lyonnet. Approfittai dell’occasione di essergli presentato da una mia amica palermitana che seguiva i suoi corsi e gli chiesi cosa pensasse dell’ordinazione delle donne: l’anziano biblista mi rispose, sornione, di non essere d’accordo. Infatti - aggiunse subito – non sarebbe il caso di estendere alle donne un’istituzione che andrebbe ripensata anche per gli uomini. La domanda più radicale, dunque, non investe le modalità e le condizioni di ordinazione dei presbiteri, bensì il senso ultimo di tale ordinazione: la comunità dei discepoli ha bisogno di essere guidata da pastori (maschi o femmine, celibi o sposati, eterosessuali o omosessuali…)?
Francamente non ritengo che la risposta sia semplice. Che un gruppo abbia bisogno di regole e di custodi autorevoli delle regole è indubbio: solo chi scambia il proprio nobilissimo desiderio di uguaglianza universale con la brutale realtà effettiva degli uomini può proclamarsi anarchico. E anarchico anche in ambito ecclesiale. D’altra parte è altrettanto vero che, non appena qualcuno viene rivestito di autorità rispetto ai simili, fosse anche in virtù di carismi effettivi, si affeziona al ruolo in maniera patologica: la più rara delle qualità è forse proprio la libertà dal bisogno di vedersi riconoscere le proprie qualità.
In questa stretta fra l’esigenza oggettiva di un ministero dell’unità (non dell’uniformità) e il rischio di trasformare il servizio in privilegio, il compito funzionale in ruolo istituzionale, non è agevole trovare vie d’uscita convincenti e praticabili. Tre possibili tasselli, fra altri che si potrebbero individuare con la riflessione e l’esperienza, potrebbero essere la decisa delimitazione dei poteri presbiteriali; la disencitivazione economica; la temporaneità dell’incarico. Queste tre condizioni caratterizzano già – per quanto ne so – il ministero in alcune “chiese sorelle” (Sua Santità Benedetto XVI mi perdoni la formula blasfema), quali le chiese valdese e metodista nelle quali il pastore condivide, laico tra laici, i suoi poteri di governo con altre figure di responsabili della comunità (il consiglio di chiesa); guadagna uno stipendio mensile facilmente superabile da un membro di chiesa che si dedichi ad attività professionali mondane; non rimane a guida di una chiesa più di un certo arco di tempo, dopo il quale deve cambiare sede e può persino cambiare (temporaneamente o definitivamente) mestiere, dedicandosi alla direzione di un centro sociale o all’insegnamento o al giornalismo.
Questi, e simili, accorgimenti disciplinari non potranno comunque sciogliere mai il paradosso genetico del cristianesimo che nasce “movimento” e cresce “istituzione”. Hegel lo aveva già focalizzato: il cristianesimo zampilla come amore; se fosse rimasto fedele alla dinamicità ‘liquida’ originaria non sarebbe sopravvissuto per secoli; è sopravvissuto perché il contagio iniziale da cuore a cuore, da persona a persona, si è poi cristallizzato in strutture, norme e ordinamenti. L’esperienza originaria – fortemente profetica – è stata preservata, ma anche deformata, dalla canalizzazione organizzativa successiva. Forse non c’è alternativa: nessuna comunità accetti di essere coordinata, spronata, moderata da un “anziano” che, privo di qualsiasi ispirazione profetica, si sia sclerotizzato nel ruolo di “funzionario di Dio” (Drewermann).

Augusto Cavadi

venerdì 6 gennaio 2012

RAPTUS CIVICO E BUROCRAZIA


“Repubblica – Palermo”
16.12.2011

IL RAPTUS CIVICO E LA BUROCRAZIA
Che l’assessore al Patrimonio della giunta comunale di Palermo, Eugenio Randi, emetta un bando per chiedere locali in affitto ad uso di uffici comunali potrebbe essere, da un certo punto di vista, una buona notizia. Per gli utenti, ma anche per i quaranta e più cittadini che si sono affrettati a presentare le proprie disponibilità.
Ciò che lascia fortemente perplessi è che, persino in un momento di gravissime ristrettezze economiche, la stessa amministrazione sembra aver totalmente abbandonato altri locali di sua proprietà. Da mesi, ad esempio, un’amica che abita in via Mura S. Vito (la breve strada che congiunge il retro del teatro Massimo con il mercato rionale del Capo) mi segnala la sorte incomprensibile dell’edificio comunale proprio davanti casa sua. Si tratta di una ex-scuola elementare - talmente capiente che alcuni locali sono stati anche adibiti a magazzini – che da tre anni è deserta e in disuso. L’anno scorso la terrazza si è allagata sino a diventare una piscina vera e propria: facile immaginare che apportasse danni di ogni genere alla
struttura (infiltrazioni, sovraccarico…), sino al rischio di crolli. . La mia amica e il marito, in preda a raptus civico, si sono imbarcati nell’ardua impresa di segnalare il caso all’amministrazione municipale: dall’ufficio dell’edilizia
scolastica pubblica sono stati indirizzati (per motivi incomprensibili) a un altro ufficio che si occupa di restauri dell’edilizia scolastica privata; da qui all’assessorato al Patrimonio, dove gli veniva comunicato che forse avrebbero
venduto l’immobile. Ma - a parte il ‘forse’ - anche in questa ipotesi venderlo in condizioni decenti non sarebbe più conveniente che in condizioni fatiscenti?
Nel corso del pellegrinaggio burocratico, consumato nell’interesse pubblico, i due miei amici hanno raccolto un florilegio di aneddoti illuminanti. Due per tutti. L’impiegata del “Se ne occupa la mia collega, ma oggi non c’è” che, all’invito di ricevere e trasmettere il foglio con i dati precisi della segnalazione, si rifiuta: “No, è meglio che ritorniate voi o, per lo meno, richiamate” (come se essere cittadini responsabili dovesse diventare una sorta di secondo mestiere a titolo gratuito). E, poi, l’impiegato che suggerisce di presentare un esposto alla Procura della Repubblica ma raccomandandosi, a voce bassa, di non dire a nessuno di aver ricevuto da lui il consiglio.
Alla fine la montagna partorisce il suo topolino: una rapida visita dei vigili del fuoco che, armati di scala, guadagnano il terrazzo inondato e…sturano un chiusino! Da allora la scuola è là, abbandonata come prima. E, intanto, l’amministrazione comunale si prepara a pagare decine e decine di canoni mensili. Nell’indifferenza generale. Se un bene è del Comune è forse di tutti? No. Piuttosto di nessuno. Alternanza di spreco e di penuria: non è forse questo la cifra identificativa delle società sottosviluppate?

Augusto Cavadi