giovedì 26 aprile 2012

Un quiz non particolarmente difficile


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LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA
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Supplemento domenicale de “La nonviolenza e’ in cammino”
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 224 del 12 luglio 2009

In questo numero:
1. Clara Sereni: Al Presidente della Repubblica
2. Augusto Cavadi: Un quiz non particolarmente difficile
3. Consulta delle Cittadine del Comune di Venezia: Una raccomandazione al Consiglio Comunale
4. Agnese Ginocchio: Al Presidente della Repubblica
5. Arianna Marullo: Al Presidente della Repubblica
6. Nadia Neri: Non rassegnarci
7. Primo Levi: Shemà
8. Primo Levi: Alzarsi
9. Primo Levi: Si immagini ora un uomo
10. Primo Levi: Che appunto perché…
11. Primo Levi: Verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945
12. Primo Levi: Hurbinek
13. Primo Levi: Approdo
14. Primo Levi: La bambina di Pompei
15. Primo Levi: Non ci sono demoni…
16. Primo Levi: Partigia
17. Primo Levi: Il superstite
18. Primo Levi: Contro il dolore
19. Primo Levi: Canto dei morti invano
20. Primo Levi: Agli amici
21. Primo Levi: La vergogna del mondo
22. Primo Levi: Il nocciolo di quanto abbiamo da dire
23. Ordine del giorno da proporre all’approvazione delle assemblee
elettive
(Comuni, Province, Regioni, etc.)
24. Ogni persona di retto sentire, ogni associazione democratica, ogni istituzione fedele alla Costituzione scriva al Presidente della Repubblica per confortarlo e sostenerlo nella difesa nitida e intransigente della legalità e dell’umanità contro la violenza razzista e squadrista

(…)

2. UNA SOLA UMANITA’. AUGUSTO CAVADI: UN QUIZ NON PARTICOLARMENTE DIFFICILE

Domanda: chi e quando e in riferimento a chi ha dichiarato quanto segue? “Sono fortemente contrario alla politica detta delle porte aperte. E’ arrivato il momento in cui chiunque abbia a cuore il futuro della nazione deve preoccuparsi di questa poderosa ondata d’immigrati. A meno di qualche seria iniziativa l’ondata avvelenera’ le sorgenti stesse della nostra vita e del nostro progresso. Ospitiamo nelle nostre citta’ piu’ grandi un numero enorme di stranieri tra i quali proliferano il crimine e le malattie”.
Risposta: la dichiarazione è di Frank P. Sargent, Commissario Usa all’Immigrazione; è stata rilasciata nel 1905; si riferiva agli immigrati italiani provenienti, in misura predominante, dal Sud e dal Nord-Est dell’Italia.

martedì 24 aprile 2012

‘Il Dio dei leghisti’ sul “Manifesto” del 7.4.2012


Si può essere cattolici e votare lega?
Secondo alcune statistiche il 39% dei leghisti è cattolico praticante. Poi bisogna aggiungere chi pur non praticando si dichiara credente. La figura di Bossi, tra l’altro, ben rappresenta lo stato delle cose. Farnetica con le ampolle e gli dei padani, poi si fa vedere in chiesa (anche ieri, col bacio della croce). Proprio in questi giorni esce il libro «Il Dio dei leghisti» del teologo Augusto Cavadi - edizioni San Paolo - che molto semplicemente chiede e si chiede: «Si può essere cattolici e votare Lega?». La risposta, ahinoi, è risaputa, ma il volume affronta questioni interessanti, più per chi si dice cattolico che per chi vota Lega. Cavadi naturalmente risponde «no, non si può». Ma gli interrogativi sono tanti, non ultimo il perché alcuni esponenti del cattolicesimo non hanno mai nascosto simpatie nei confronti della Lega. L’autore del libro, in sintesi, lancia due appelli. Uno agli amici preti, l’altro ai leghisti. Ai primi dice della necessità di «scoprire o riscoprire l’abissale lontananza da qualsiasi proposta politica che non metta come valore non negoziabile la giustizia sociale, la fraternità, l’accoglienza e lo spirito di collaborazione». Al movimento di Maroni, invece, suggerisce di riflettere sulle parole di Gesù, per arrivare «a prendere consapevolezza della sua visione dell’uomo, della storia di Dio, e a capire la distanza che c’è tra la sua visione del mondo e il Vangelo». E ancora: «Il messaggio di accoglienza e amore per il prossimo predicato da Cristo come si concilia con le dichiarazioni aggressive e a tratti violente nei confronti dei musulmani, zingari e rumeni?». Vero. Ma rimane un dubbio. A quale partito dovrebbero votarsi i cattolici per rispettare il verbo di Cristo?

link all’articolo:
http://www.ilmanifesto.it/areaabbonati/ricerca/nocache/1/manip2n1/20120407/
manip2pg/05/manip2pz/320818/manip2r1/può%20essere/

sabato 21 aprile 2012

Ci vediamo a Siracusa (ven. 27) e/o ad Augusta (sab. 28)?


Nel prossimo fine settimana avrò due incontri pubblici in Sicilia orientale e sarà una buona occasione per rivedere gli amici di quella bellissima area dell’isola.
In entrambi i casi presenterò e discuterò il libro che ho pubblicato recentemente, con la collaborazione di Elisa Poma, “La bellezza della politica. Attraverso, e oltre, le ideologie del Novecento” (Di Girolamo, Trapani 2011).

Venerdì 27 aprile, ore 17.30: Liceo “Quintiliano” di Siracusa.
Sabato 28 aprile, ore 18,00: Libreria “Letteraria” di Augusta.

venerdì 20 aprile 2012

Dal marxismo al cristianesimo


“CENTONOVE”
6.5.2011

DAL MARXISMO AL CRISTIANESIMO

Quando il Regno d’Italia si è costituito, il governo liberale si trovò d’accordo con la gerarchia vaticana nel decidere una separazione schizofrenica fra studi teologici e il resto dello scibile. Nelle università statali si sarebbe potuto insegnare di tutto, tranne che teologia; la quale sarebbe rimasta appannaggio, esclusivo, delle università pontificie. Abbagliati dalla reciproca convenienza immediata (lo Stato avrebbe risparmiato soldi, la Chiesa avrebbe conservato il monopolio della ricerca teologica), le due istituzioni non si resero conto dei danni gravissimi che stavano per provocare a sé stessi e, soprattutto, alla società. Infatti, con questa frattura, la teologia veniva condannata alla fossilizzazione (solo confrontandosi con la ricerca intellettuale negli altri ambiti il discorso teologico può riuscire significativo per la comunità civile), mentre lo Stato si precludeva di promuovere, nello spazio garantito delle proprie strutture universitarie, un pensiero teologico alternativo (rispetto al dogmatismo confessionale). Negli ultimi anni questo muro divisorio rivela qualche crepa. Il fenomeno si dà in due direzioni opposte: teologi cattolici che avvertono di soffocare dentro il recinto istituzionale e, anche a costo di gravi rampogne da parte dei custodi dell’ortodossia, si aprono con cordiale sincerità alle sfide del pensiero contemporaneo, da una parte; intellettuali di formazione decisamente laica che, spiazzando i lettori abituali, si cimentano in meditazioni teologiche appassionate.
Nella seconda categoria ritroviamo Pietro Barcellona, per anni autorevole esponente del Partito Comunista Italiano. Come racconta nel suo Incontro con Gesù (Marietti, Milano 2010), all’inizio degli anni Settanta si è avvicinato, per esigenze personali, alla psicoanalisi e gradualmente ha maturato la convinzione - professata dal suo analista, Davide Lopez - che “la verità psicologica sia la verità dell’esistere e dell’essere”. Il crollo del muro di Berlino, nel 1989, assesta un colpo decisivo alla sua militanza marxista: la rivoluzione sovietica, che “sembrava realizzare in terra l’Idea Messianica”, si è risolta “in uno dei drammi più cupi della recente storia umana”. Così a Barcellona s’impone la figura storica di Gesù di Nazareth nel quale egli scopre “non soltanto la critica al conformismo ipocrita con cui la casta dei sacerdoti e dei rabbini costringeva i fedeli ad un’osservanza tutta esteriore dei comandamenti”, ma “soprattutto la denuncia di una falsificazione permanente del rapporto tra il pensiero e la vita”. Nel tratto finale del cammino terreno, l’ex-deputato comunista testimonia la ragione determinante della sua conversione all’annunzio evangelico: “Non una rivoluzione che trasferisca la proprietà da una classe all’altra - e magari temporaneamente allo Stato monopolistico – ma soltanto una nuova creazione, che consenta di vedere e sentire ciò che gli esseri umani non hanno più la capacità di vedere e sentire, può realizzare una vera trasformazione della persona umana”.
La traiettoria autobiografica di Barcellona presenta vari pregi. Due spiccano sugli altri. Il primo è la sincerità quasi spietata con cui un personaggio come lui, che non ha certo mai peccato per eccesso di modestia, mette a nudo in pubblico la condizione emotiva e morale in cui è vissuto prima della conversione: “Per l’intera giovinezza e anche dopo, ho finito per l’indossare spavaldamente i panni del giovane Edipo. Da un lato, senso di colpa, invidia e desiderio di vendetta, dall’altro, fantasie onnipotenti di vittorie clamorose”. Inoltre, a differenza di tanti ex-comunisti che sputano sull’ideologia in nome della quale hanno per decenni sputato su chi comunista non si professava, Barcellona ha il buon gusto di distinguere ciò che di valido resta nell’analisi di Marx da quel “comunismo rozzo” che Marx per primo aveva previsto e condannato in anticipo.
Tuttavia la trattazione di Barcellona non appare priva di punti deboli: essenzialmente due. Il primo appartiene al campo della critica biblica: egli esalta unilateralmente la novità del vangelo rispetto alla tradizione ebraica precedente rischiando l’ennesima riedizione della demonizzazione del Primo Testamento (e dunque della religiosità ebraica) per divinizzare la figura di Gesù Cristo. Oggi questa contrapposizione non regge più: Gesù è il più coerente degli ebrei. Egli riprende – e porta a compimento – il meglio della tradizione profetica. Non intese fondare nessuna nuova religione, proporre nessuna nuova teologia, costruire nessuna nuova chiesa, se non nel senso di liberare religione, teologia e chiesa del suo popolo dalle superfetazioni per riportarle all’essenziale.
Meno agevole è sostenere, in poche righe, una seconda obiezione all’impianto di Barcellona: mi riferisco alle ragioni radicali per cui si può credere in Gesù Cristo e nel suo Dio. Egli scrive che “la verità” del cristianesimo “non appartiene al territorio della logica, del razionalismo astratto e neppure al salto nel buio del misticismo della fede”. Perfetto: ma allora? Barcellona prosegue: “La verità dell’esperienza non può che essere soggettiva”. Se Dio non c’è, la vita è assurda: dunque non sopportabile. Ma – obietterei – è questa una ragione sufficiente per credere? Dio c’è perché senza di lui la vita non avrebbe senso o la vita ha senso perché (per altre vie, possiamo asserire che) egli c’è? Insomma: il nichilismo va escluso (se può essere escluso convincentemente) per motivazioni ‘psicologiche’ o per argomentazioni ‘razionali’? Insomma: non ho mai condiviso la tesi di chi sostiene che Dio non c’è perché sarebbe troppo bello se esistesse e l’uomo ne avverte il bisogno; ma non posso neppure condividere la tesi di chi sostiene che Dio c’è perché sarebbe troppo brutto se non esistesse e il bisogno di rassicurazione dell’uomo rimarrebbe frustrato.
Mi rendo conto di aver solo sfiorato interrogativi abissali. Qui basti segnalare il dato di fatto di un intellettuale che, sollecitato da autentici travagli vitali, non esita a tuffarsi nel mare della teologia con un “salto senza rete” . Come altri che egli stesso evoca nel corso della narrazione: da Simone Weil a Luigi Pareyson, da Maria Zambrano a René Girard, da Pier Paolo Pasolini a Fabrizio De André, da Leszek Kolakowski a Julia Kristeva. Bigotti clericali e anti-clericali storceranno il naso: ma “si potrebbe arrivare alla conclusione che Gesù Cristo sia alla base della nostra civiltà come ‘mito’ di cui è impossibile fare a meno” , se non come soluzione almeno come interrogativo.

Augusto Cavadi

giovedì 19 aprile 2012

Dal blog de “Il fatto quotidiano” un commento su “Il Dio dei leghisti”


A Sanremo vogliamo don Sciortino

«Io ci credo, in Dio. Ma non è il Dio che ci raccontano al catechismo. È un Dio che sta ovunque, nell’acqua e nel fuoco, nell’aria che respiriamo … Il Vaticano è da sempre attento alla ricchezza e al potere, più che alla cura delle anime … Nel corso della storia ha fatto più morti del nazismo … L’atea romana Chiesa con i falsoni, i vescovoni che girano con la croce d’oro nei paesi dove si muore di fame ». Chi le spara così grosse? Il mangiapreti Marco Pannella? Acqua! Il telepredicatore evangelico don Celentano in uno dei suoi fiammeggianti sermoni dal pulpito dell’Ariston? Acquissima! Non ci crederete, ma sono parole di Umberto Bossi, che di mestiere non fa lo showman, pur avendo forse più talento del “molleggiato”: risalgono agli anni Novanta, e le cita Augusto Cavadi nel suo libro Il Dio dei leghisti, appena uscito dalle edizioniSanPaolo (lestesse, perinciso, che pubblicano “Famiglia Cristiana”).

Nella sua stagione anticlericale, ricorda Cavadi, il senatùr beccheggiava tra una specie di panteismo animistico, pagano, e il sogno di una Chiesa del Nord, separatista, autonoma da Roma, contrapposta ai « lazzaroni d’oltretevere ». Tentò – pare – perfino un approccio coi valdesi, che lo mandarono subito a stendere. Finché, al tornante del secolo, ebbe la folgorazione: la Chiesa cattolica, in quanto custode dei « valori occidentali », baluardo ideologico e organizzativo contro le infiltrazioni islamiche, poteva ben diventare la naturale alleata del Carroccio.

Non la Chiesa post-conciliare dei Martini e dei Tettamanzi, che « gira gli altari », flirta coi comunisti e apre le porte agli immigrati. Il cattoleghismo si identifica con la Chiesa di sempre, quella buona e tradizionalistadiWojtylaeRatzinger. Ed è in prima fila nella difesa del crocifisso come simbolo identitario, riscuotendo il plauso commosso delle gerarchie. Tra i pochi che mettono in guardia i credenti da queste “amicizie pericolose” e dalla deriva xenofoba della maggioranza di centrodestra, c’è la “Famiglia Cristiana” di don Sciortino. E a sprazzi, molto più sommessamente, alcune voci sul quotidiano dei vescovi. Cioè proprio le due testate che Celentano giudica inutili (perché hanno osato criticarlo) e di cui invoca la chiusura tra le ovazioni di una platea di ignoranti.

Forse i fan di Adriano non ricordano, ma a chiedere il bavaglio per “Famiglia Cristiana” e “Avvenire” (o quanto meno a manganellare i direttori sgraditi) era uno che cominciava per B. Un satrapo che in cambio dell’indulgenza papale voleva imporre a Eluana il sondino di Stato e non faceva pagare l’Ici al Vaticano. Datemi retta, signori della Rai: al prossimo Festival, mandateci don Sciortino, che le canta giuste e costa pure meno.

Saturno, 20 febbraio 2012
Riccardo Chiaberge

link all’articolo:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/17/a-sanremo-vogliamo-don-sciortino/191862/

martedì 17 aprile 2012

Ci vediamo nelle Marche martedì 24 aprile ?


Care e cari dell’Italia centrale,

La vigilia del 25 aprile terrò due incontri pubblici nelle Marche e sarebbe una bella occasione per incontrarci.
Il primo incontro è alle ore 11 del mattino. Ad Amandola (Fermo) presenterò, nell’aula Vigili della Fondazione bancaria, La mafia spiegata ai turisti (dedicata soprattutto a un pubblico giovanile di studenti).
Il secondo incontro è alle ore 21 della sera. IL “GRUPPO SOLIDARIETA” ORGANIZZA una conversazione pubblica sui miei due libri ‘gemelli’ (Il Dio dei mafiosi e Il Dio dei leghisti)
c/o Biblioteca La Fornace Moie di Maiolati (Ancona), via fornace 23.

lunedì 16 aprile 2012

Intervista di Paolo Calabrò ad Augusto su “Il Dio dei leghisti”


Chi fosse interessato, può linkare qui sotto
http://www.paginatre.it/online/il-dio-dei-leghisti-intervista-ad-augusto-cavadi/

oppure leggere qui sotto:

Augusto Cavadi è filosofo consulente (riconosciuto da “Phronesis”) e teologo laico (socio dell’Associazione teologica italiana).
Tra i suoi scritti: Fare teologia a Palermo (1986), Le nuove frontiere dell’impegno sociale, politico, ecclesiale (1992), Il vangelo e la lupara (1995), E, per passione, la filosofia (2006), In verità ci disse altro (2009), Il Dio dei mafiosi (2009), Chiedete e non vi sarà dato (2010), Filosofia di strada (2010), Non lasciate che i bambini vadano a loro (2010), La bellezza della politica (2011). L’ultimo titolo (Il Dio dei leghisti, 2012) è stato edito dalla San Paolo di Cinisello Balsamo (Milano).

Grazie innanzitutto per aver accettato questa intervista. È passato con questo Suo ultimo libro dall’indagine sul “Dio dei mafiosi” a quella sul “Dio dei leghisti”: un passo quasi naturale, scrive, rivelatore di tante similitudini ma anche di grosse differenze.
- Quando una formazione politica (anche la mafia, a suo modo, lo è) si avvicina al potere, in Italia non può evitare di fare i conti con la Chiesa cattolica: per abbindolarla, se può; per minacciarla, se deve; in ogni caso, per utilizzarla come instrumentum regni. Il quadro è reso più drammatico, talora più divertente, comunque più complesso, dalla tendenza corrispettiva della Chiesa cattolica a fare altrettanto per rafforzare la sua egemonia culturale sulla popolazione. Sinora la storia attesta che, sulla breve distanza, vincono le formazioni politiche ‘laiche’ (Impero Romano, Carolingi, Napoleone, Monarchia sabauda, Fascismo, Mafia, Democrazia cristiana, Berlusconismo, Lega…), ma - sul lungo periodo – la Chiesa cattolica sopravvive al tramonto definitivo dei suoi avversari e aspiranti complici.

Quella dei leghisti è una religiosità in cui l’etica del lavoro e della “roba” viene prima di tutto il resto, fino al rifiuto dell’immigrato e all’odio per lo zingaro (simbolo del disprezzo del “lavoro come valore in sé”). Com’è possibile che l’incompatibilità con il cristianesimo (ed il cattolicesimo in particolare) non balzi all’occhio in maniera lampante?
- Nella formulazione della domanda c’è già, implicita, la risposta. Lei si esprime, come sarebbe esatto in teoria, individuando nel cattolicesimo un sottoinsieme del cristianesimo. Ma, in pratica, non è così. Il cristianesimo (intendendo con ciò il messaggio originario di Gesù come è stato interpretato e codificato nei primi cento anni dalla sua dipartita) si è spezzettato in tanti rivoli quante sono le confessioni cristiane: cattolica, greco-ortodossa, anglicana, luterana, calvinista…Si tratta di ‘specie’ differenti all’interno del medesimo ‘genere’? Apparentemente sì. Se poi si scava un po’ più a fondo, si scopre che il vangelo iniziale è stato non solo interpretato, elaborato e attuato in altrettante tradizioni ecclesiali, ma anche tradito, deformato. Il cattolicesimo non fa certo eccezione. Esso è il prodotto di una trasformazione bimillenaria del vangelo attraverso i filtri della logica greca, del diritto romano, della morale borghese, dell’economia capitalistica…E’ un prodotto migliore o peggiore del progetto iniziale? Non saprei. Dico solo che, certamente, è un’altra cosa. Gesù stenterebbe molto a dirsi cattolico nel senso di latino, ‘romano’, vaticanocentrico. Ecco, dunque, per fare in breve un ragionamento che ci porterebbe lontano (e che ho provato a presentare nel mio libro In verità ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani), molti cattolici (più cattolici che cristiani) non hanno nessuna difficoltà a sposare alcuni valori del leghismo, mentre altri cattolici (più cristiani che cattolici ) ne subodorano a naso l’inaccettabilità.

Roberto Zaffo, coordinatore leghista, ha proclamato il “nuovo vangelo della Lega”, nel quale il “prossimo” non è il fratello bisognoso (immigrato, profugo, ecc.) bensì «chi ci è vicino, chi ci assomiglia, chi ha in comune con noi dei valori». Più chiaro di così.
- Più chiaro di così si muore. E infatti il leghismo si diffonde in terre dove il cristianesimo è agonizzante, se non già defunto. Non per caso si radica nelle zone più ‘bianche’ del Settentrione italiano, dove il cattolicesimo aveva già metabolizzato (e con ciò stemperato, anestesizzato) le istanze rivoluzionarie del messaggio cristiano. Si era trasformato nell’ideologia ‘moderata’, perbenista, tendenzialmente qualunquista di una delle area geografiche più benestanti del pianeta. Berlusconismo e leghismo hanno avuto il merito - non indifferente – di far cadere le maschere dell’ipocrisia: come cartine di tornasole, hanno rivelato in maniera evidente e sfacciata ciò che la maggioranza ‘silenziosa’ pensava da anni. Che, cioè, il cristianesimo è un’utopia adatta a qualche minoranza ingenua o stravagante: sobrietà nell’uso delle ricchezze, condivisione con gli affamati della terra, contemplazione meditativa della bellezza, rispetto della sacralità dell’ambiente naturale, adozione della nonviolenza come metodo di risoluzione dei conflitti… sono tutte favole per ragazzini. Ciò che conta è l’accumulazione del denaro, lo sfruttamento (non esagerato) dei popoli inferiori, la mercificazione dei corpi, il dominio sulle risorse naturali, la fabbricazione e il commercio delle armi più sofisticate…

Monsignor Fisichella ha dichiarato, qualche tempo fa: «quanto ai problemi etici, mi pare che la Lega manifesti una piena condivisione con il pensiero della Chiesa». Per carità, ci dia una mano, ché questa proprio non la capiamo.
- Sono desolato, ma non posso dare nessuna mano. Dichiarazioni come queste riescono incomprensibili anche a me. Poi le collego ad altre tesi del medesimo monsignore - per esempio la necessità di ‘contestualizzare’ le bestemmie di Berlusconi o la legittimazione del suo accostamento al sacramento dell’eucarestia perché, dopo la separazione dalla seconda moglie, non si era legato stabilmente a nessuna donna e quindi non dava scandalo pubblico – e intuisco qualcosa. Ma c’è ancora nebbia all’orizzonte. O forse mi rifiuto di vedere ciò che sarebbe evidente: che – come diceva un certo Jeshua di Nazareth – si può essere ciechi e presumere di farsi guida degli altri. Forse non è un caso che il poeta più cattolico e teologo di ogni tempo - Dante Alighieri – abbia popolato il suo Inferno di papi, cardinali, vescovi e preti.

Quali elementi intrinseci al cristianesimo ritiene che possano prestare il fianco a distorsioni tanto madornali? Ci sono forse punti deboli (o ambiguità) nel cristianesimo, tali da condurre a deviazioni simili? Insomma: non è forse un po’ anche colpa di una certa mentalità cristiana, se certi atteggiamenti possono spingersi fino a diventare tanto sistematici e diffusi, spacciando in più se stessi per “cristiani” (corresponsabilità che Lei individuò nel caso della mafia, di cui parlò qui: http://goo.gl/HfbMo) ?
Ho scritto e pubblicato il libro mesi prima dell’esplosione degli ultimi scandali che coinvolgono Bossi e il suo cerchio magico, ma - come ricordava poco fa anche Lei - avevo osato notare, accanto a chiare differenze, delle inquietanti somiglianze fra il sistema di potere mafioso e il sistema di potere leghista. Nell’uno e nell’altro caso, non c’è dubbio che la dottrina e la prassi cattolica (non direi, per le ragioni che ho esposto poco fa, sic et simpliciter il cristianesimo) offrono il fianco ad essere strumentalizzate dalle cosche e dai carrocci. Se non la marchiamo troppo, ci può soccorrere la differenza teologica fra fede e religione. La fede è un atteggiamento intimo, libero, autentico, esposto ai venti della vita come ogni legame appassionato; la religione è la manifestazione esteriore e sociale, pubblica ed istituzionale, della fede. La fede non può fare a meno di una religione, ma deve stare attenta a non restare prigioniera della sua stessa casa. Che mi costruisca una tenda nel corso del mio viaggio terreno è comprensibile, forse inevitabile; ma se mi ci affeziono al punto da voler restare per sempre accucciato nella tenda costruita da me, o ereditata dai miei avi, rischio di rinunziare al viaggio stesso. Ho trasformato il mezzo in fine. Ogni vota che il cristianesimo si è trasformato da fede in religione ha offerto - e continua a offrire – il fianco a ospiti indesiderati.

In chiusura del volume, propone una terapia (perché evidentemente la teologia leghista non può essere trattata che come una malattia): in che cosa consiste?
- Non entro nei dettagli della terapia perché spero che i lettori di questa intervista siano stati abbastanza stuzzicati da desiderare di…acquistare e leggere il libro. Comunque, fuori dal registro umoristico, direi che il cuore della terapia è aiutarci gli uni con gli altri a riscoprire la radicalità evangelica. A convertirci da un vago buonismo filantropico - una sorta di sommatoria di egoismo legale e beneficenza festiva – alla sfida dell’agape: dell’amore incondizionato verso l’indigente in quanto indigente (non in quanto cattolico o in quanto umile o in quanto simpatico o in quanto apprezzabile da qualsiasi altro punto di vista). Vorrei essere chiaro. Ognuno è libero di vivere la vita secondo un certo progetto filosofico, etico, politico. In democrazia c’è spazio per i progressisti come per i conservatori; per i mondialisti come per i nazionalisti; per chi ritiene che l’umanità sia una sola razza e per chi divide l’umanità in razze; per chi gode nella misura in cui fa fiorire la vita altrui e per chi gode quando accumula per sé e per i propri familiari…L’unica cosa che non ci è lecita - non ci è permessa dall’onestà intellettuale – è di mischiare le carte. Se sono cristiano devo sapere che cosa implica il primato del “regno di Dio” rispetto alla volontà di autoconservazione e di dominio e, quindi, decidermi: o rinnegare il cristianesimo o rinnegare le ideologie egocentriche, familistiche, tribali. Con ciò non intendo affermare che si può proclamare cristiano solo chi è perfetto, senza difetti, tutto dedito alla giustizia. No: non è questo il bivio. Personalmente distinguo chi aspira ad essere un uomo di pace, di condivisione, di promozione sociale (e, non riuscendovi con coerenza, si dispiace della distanza fra sé e il proprio progetto di vita) e chi rinunzia ad ogni aspirazione ma insiste nel dirsi cristiano (e, non volendo adeguare sé al messaggio evangelico, abbassa il messaggio evangelico al proprio livello). Quando osservo la mia stessa esistenza, trovo che essa è molto distante dall’altruismo, dall’attitudine al servizio, dalla tenerezza agapica verso li sfruttati della terra: ma spero di concentrare la mia attenzione a diminuire la distanza fra la mia vita e l’utopia cristiana, senza cedere alla tentazione volgare di ritradurre il messaggio evangelico in modo che possa adattarsi alle mie piccole categorie borghesi di privilegiato della storia.

domenica 15 aprile 2012

Cristina Tura sulla presentazione de “Il Dio dei leghisti” a Cittadella


Dal sito http://phronesisveneto.blogspot.it/

Il dio dei leghisti a cittadella. Un resoconto.
Giovedì 5 aprile, a Cittadella (Padova) , ho partecipato alla serata di presentazione dell’ultimo libro del nostro amico e collega Augusto Cavadi intitolato Il Dio dei leghisti, edito da San Paolo, Milano.
In apertura del suo intervento Augusto si premura di presentare subito la sua professione . Chi è il consulente filosofico? E’ un professionista che aiuta una persona o un gruppo di persone a prendere coscienza della propria filosofia di vita, delle propria visione del mondo. Ma Augusto, oltre che filosofo e consulente, è anche un teologo e quindi in grado di dirci qualcosa di più anche riguardo al cattolicesimo e al cristianesimo.
Prevenendo la domanda spontanea del pubblico, Augusto si chiede: cosa può fare un filosofo/teologo per i leghisti, quale servizio può rendere alla loro visione politica e “ideologica”? Come può aiutarli a far luce sul loro concetto di religione, cosa significa per loro dirsi cattolici? L’autore chiarisce che il libro non è scritto con l’intenzione di attaccare la Lega, alla quale riconosce invece tutta la sua dignità di movimento e partito politico; non è un libro contro qualcuno, bensì per qualcuno; in definitiva si chiede se è possibile conciliare l’ideologia leghista con il cattolicesimo (la maggioranza dei leghisti si dichiara credente e comunque il 39% è praticante).
A quale dottrina religiosa, a quale credo si riferiscono i leghisti che dichiarano di amare il prossimo ma poi vorrebbero vedere cacciati, se non morti, tutti coloro che non sono italiani, anzi che non sono padani? E’ proprio vero che Gesù, quando parla del prossimo, si riferisce ai familiari o al massimo ai nostri vicini, corregionali, il cui sangue ha lo stesso colore del nostro, come pretenderebbero certi esponenti leghisti? Ma se così fosse la parabola del buon samaritano dove la mettiamo? Dove collochiamo le categorie razziste ed etnocentriche dell’ideologia leghista? Nel Vangelo?
Certo che no.
Forse però potrebbero rientrare in una visione distorta di certo cattolicesimo, quello che ha creato un Gesù che il Gesù di Nazareth non riconosce e con il quale non ha più nulla in comune, come nel racconto di Gibran [1]. Che fine farebbe Gesù di Nazareth se ritornasse tra di noi, magari in Padania? Probabilmente la stessa fine che si immagina Dostoevskij ne I fratelli Karamazov; nel racconto di Ivan, Gesù torna nel periodo del Grande Inquisitore e viene imprigionato perché le sue parole minano il potere della Chiesa.
Chi è il Dio dei leghisti e chi il Dio annunziato da Cristo del Vangelo ? Che differenza c’è tra il Gesù cattolico/leghista e il Gesù di Nazareth, cosa significa amare l’altro?
Certo a leggere il Vangelo, senza distorcerlo a proprio piacimento, sembra che ci venga insegnato ad amare l’altro perché soffre, indipendentemente da chi sia e da che che colore abbia la sua pelle, e non perché se lo merita, non perché è “dei nostri”, non perché ci assomiglia e condivide con noi usanze e lingua.
Questo libro in definitiva non è un libro contro i leghisti, piuttosto un libro contro la cattolicità, o almeno quella cattolicità che ha smarrito la strada indicata da Cristo, che ha tradito la sua Parola, che ha ceduto al potere e al denaro, che si ammorbidita rispetto ai dettami non certo facili predicati da Gesù. C’è chi combatte da dentro per riportare il cattolicesimo sulla strada della Parola di Cristo: ci sono voci autorevoli come i Cardinali Martini e Tettamanzi, tanti uomini e donne di Dio, tantissimi fedeli nelle comunità parrocchiali, tanti preti di strada. Ma ci può essere anche un cristianesimo laico che, al di fuori delle chiese storiche, impegna uomini e donne, che praticano la loro fede evangelica: questa è stata la scelta di Augusto.
Quindi, alla domanda iniziale che poneva la questione se i leghisti possono dirsi cattolici, si potrebbe rispondere così: cattolici sì, ma cristiani no. Non si può non essere d’accordo con Don Mario Vanin, invitato alla serata, quando ringrazia Augusto per la sua “carità intellettuale”, che è capacità di comunicare concetti complessi con semplicità e con rigore e, per questo, resi accessibili a tutti; Augusto sa aprire orizzonti di ricerca e crea opportunità di pensiero.
La quantità e qualità di interventi, che hanno fatto seguito alle parole di Augusto e di Don Mario, hanno reso la serata stimolante e coinvolgente, con momenti di vivace contrapposizione.
Ora non mi resta che leggere il libro. Buona lettura a tutti!
Maria Cristina Tura

[1] Nel racconto di Gibran il Gesù dei cristiani e Gesù di Nazareth si incontrano in un giardino, sono simili in tutto e sembrano gemelli, ma quando cominciano a colloquiare si rendono conto che le loro idee sono molto discordi e alla fine Gesù di Nazareth se ne va dicendo che non si capiranno mai.

venerdì 13 aprile 2012

Miriam Mafai: la gratitudine di tanti


“Centonove”
13.4.2012

MIRIAM MAFAI: LA MORTE L’HA RAGGIUNTA DA VIVA, COME DESIDERAVA

Ho incontrato di persona Miriam Mafai solo una volta, quando nel 2007 a Palermo ha inaugurato una mostra di quadri (del padre Mario) e di sculture (della madre Antonietta Raphaël, a sua volta figlia di un rabbino ebreo lituano). Avevo imparato ad apprezzarla sia attraverso i suoi numerosi interventi pubblici (su “Repubblica” e in varie trasmissioni televisive) sia attraverso le parole di ammirazione e di affetto, sobrie ma frequenti, della sorella Simona. Per molti anni, e per molti versi, le loro vite si sono snodate in parallelo: entrambe, ragazze della buona borghesia romana, si sono dedicate con slancio alla militanza nella resistenza come staffette partigiane (più per intuizione che per analisi dottrinaria del fascismo); entrambe si sono iscritte al PCI (anche qui più per desiderio viscerale di giustizia che per una conoscenza dei testi fondamentali del marxismo); entrambe si sono legate affettivamente a due personalità del PCI (Miriam a Giancarlo Pajetta, Simona a Pancrazio De Pasquale); entrambe si sono impegnate in prima persona nell’attività politica (diventando, in anni diversi, parlamentari della Repubblica); entrambe hanno coniugato la fedeltà ai principi con l’elasticità mentale di chi sa cogliere il mutare delle condizioni storiche e sa aprirsi a prospettive diverse da quelle in cui si è formato da giovane; entrambe hanno accompagnato le molteplici iniziative pratiche con un instancabile aggiornamento culturale e con una vivace attività giornalistica e saggistica; entrambe hanno difeso i diritti delle donne senza scivolare mai nell’unilateralismo di certi femminismi più emotivi che progettuali.
In queste ore di lutto si moltiplicano gli attestati di stima, i ricordi, le dichiarazioni nei confronti (come scrive Eugenio Scalfari su quello stesso quotidiano di cui Miriam Mafai è stata co-fondatrice) di “una vecchia e grande ragazza che ha combattuto battaglie civili per tutta la vita, volontaria, militante, giornalista e soprattutto persona”. Anche Giorgio Napolitano - nel ricordare “la schietta amicizia” con una donna dalla “umanità appassionata, affettuosa ed aperta” - ha voluto sottolineare che “lo spirito critico con cui aveva ripercorso le sue scelte ideali era parte di un temperamento morale alieno da convenzionalismi e faziosità”.
Mafai si addormenta nei giorni in cui - così almeno si spera – anche la Seconda Repubblica conclude il suo ciclo vitale. Ai protagonisti della Terza Repubblica affida non solo la memoria di quasi un secolo di lotte, di errori, di speranze e di successi della democrazia post-bellica, ma anche la testimonianza personale di una cittadina che ha servito la società senza l’intento di accumulare profitti leciti né privilegi illeciti. Concita De Gregorio, dopo averle attribuito il medesimo proposito di Irene Brin («vorrei arrivare a destinazione povera e senza compromessi»), attesta che davvero la sua anziana collega e amica ha attraversato le redazioni dei giornali e le stanze della politica “senza denaro e senza macchia, percorso netto”. In un’intervista televisiva aveva espresso il desiderio che la morte la raggiungesse mentre era ancora viva: in forze e soprattutto intellettualmente vivace. E’ stata accontentata quasi del tutto: la malattia l’ha fiaccata davvero solo negli ultimi giorni.
Contro l’ondata montante del qualunquismo anti-politico (che, invece di far autocritica perché ha consentito l’ascesa al potere di certi politici, si illude di trovare la soluzione nell’astensionismo e nel ribellismo a ore), è importante far conoscere queste storie di vita. Non è vero che siamo stati tutti gli stessi, non è vero che siamo tutti gli stessi. Né è vero che, nel prossimo futuro, non potremo distinguerci più nettamente fra chi approfitta di ogni occasione per accaparrarsi qua e là qualche briciola e chi, invece, riga dritto per la strada che la sua coscienza ritiene migliore per sé e per altri.

Augusto Cavadi

giovedì 12 aprile 2012

Senso e non-senso della morte


Con gradita sorpresa, ho appreso che un mio scritto di anni fa è stato ripescato dal noto teologo italiano Giacomo Canobbio e inserito come capitolo (pp. 131 - 152) del volume a più voci, da lui stesso curato, dal titolo Dio, l’anima, la morte. Percorsi per far pensare, La Scuola, Brescia 2012.

Questo il link del volume nel catalogo della casa editrice:
http://lascuola-cultura.mediattiva.it/it/scheda_prodotto.php?id_articolo=9788835028703id_categoria=378

mercoledì 11 aprile 2012

Intervista radiofonica su chiesa cattolica e mafia


Dal sito della radio dell’Università di Salerno è possibile riascoltare questa interessante carrellata sui complicati rapporti fra mondo cattolico e mondo mafioso:

Mafia e Chiesa
11/04/2012
C’è o c’è stato un rapporto tra la chiesa e le organizzazioni mafiose? Difficile scardinare il velo omertoso che cala su questo spinoso argomento. Giornalisti e scrittori preferiscono parlare d’altro e aggirare l’ostacolo. Fatta eccezione per alcune produzioni librarie (”La mafia devota. Chiesa, religione, Cosa Nostra” di Alessandra Dino; “Le sagrestie di Cosa Nostra. Inchiesta su preti e mafiosi” di Vincenzo Ceruso; “I preti e i mafiosi” di Isaia Sales. Senza dubbio vi sono stati e vi sono sacerdoti che a ragione si possono definire “antimafia”, Don Peppino Diana su tutti, ma quanti alti prelati convivono tranquillamente con la mafia e le organizzazioni criminali. La Chiesa, sottolinea Sales, è “una delle principali agenzie educative di massa”. E allora perché molti prelati non hanno mai pronunciato le parole mafia o ‘ndrangheta? Perché questi loschi figuri non vengono considerati “criminali” ma “fratelli che sbagliano”? Ci può essere un pentimento privo di conseguenze “terrene”? A questa e ad altre domande tenta di dare una risposta la nona puntata del format “L’Italia e le Mafie”. Ospiti: Alessandra Dino (docente di Sociologia giuridica, della devianza e del mutamento sociale presso l’Università degli Studi di Palermo), Augusto Cavadi (autore del libro “Il Dio dei mafiosi), don Marcello Cozzi. Non manca l’angolo del libro consigliato dalla redazione. La proposta è “Le mani sulla città. I boss della ‘ndrangheta vivono tra noi e controllano Milano” di Gianni Barbacetto e Davide Milosa. E ai microfoni di Unis@und c’èstato Gianni Barbacetto. Completano la puntata le rubriche “Immagini e suoni”, “Vox populi” e il consueto appuntamento con il sondaggio lanciato dalla pagina facebook “L’Italia e le mafie”.

PER RI-ASCOLTARE:
http://iunisa.unisa.it/podcast-16-298-6.html?find=

lunedì 9 aprile 2012

Sergio Velluto recensisce “Il Dio dei leghisti” su “Riforma”


“Riforma. Settimanale delle chiese evangeliche valdesi, metodiste e battiste”
30.3.2012

Come conciliare Dio e il dio-Po.
Un libro indagine sul cattolicesimo della Lega

Quando si è coinvolti nella vita della chiesa è facile smarrire una visione complessiva delle cose che si fanno e si dicono. Spesso quello che conta è la riuscita della singola attività, e lo sforzo maggiore che facciamo è sul fronte organizzativo. Può succedere di lasciarsi coinvolgere troppo dal contingente e di trascurare il riferimento generale che ci spinge ad essere “attivi”. E, trattandosi di un riferimento alla fede (cristiana nel mio caso), al nostro rapporto con il prossimo e con Dio stesso, in poche parole al senso stesso della vita, questo smarrimento dei riferimenti cardinali è abbastanza grave. Devo ringraziare Augusto Cavadi, filosofo non filosofo e teologo di strada, per avermi dato la possibilità, nella prima giornata di primavera che quest’anno così anomalo meteorologicamente, ci ha offerto, di fare di nuovo il punto della situazione. L’occasione è giunta attraverso la lettura del suo libro “il Dio dei legisti”, appena stampato dalle Edizioni San Paolo. Non me lo sarei aspettato, non essendo leghista ed essendomi approcciato alla lettura di questo testo in una giornata dedicata allo shabbat moderno della gita fuoriporta, armato di sedia a sdraio e di una buona lettura.
Cavadi inizia in modo davvero accattivante la sua riflessione sul perché i Leghisti, come del resto anche i Mafiosi di cui ha già ampiamente scritto, amino definirsi cattolici e sul perché la chiesa cattolica romana non prende le distanze da loro in modo netto e inequivocabile.
Ci ricorda le varie “esternazioni” in tema di fede e religiosità dei principali leader del Carroccio. Ci fa ripercorrere il consueto rito del dio Po, con la liturgia dell’ampolla di acqua (santa?) prelevata al Monviso e riversata in Laguna, e i molteplici matrimoni celebrati con “rito celtico” da strenui difensori delle tradizioni cattoliche (il crocifisso).
Poi esamina con la competenza e l’arguzia che gli sono congeniali, il compendio di valori e disvalori che costituiscono la “cultura” leghista, in cui l’analisi del presunto razzismo dei leghisti svolge un ruolo da protagonista.
In questa lettura riconosciamo gli ultimi vent’anni della nostra storia, il comportamento di conoscenti, parenti, politici e figli di politici. Insomma crediamo di avere completato la lettura, ma il libro è solo a metà.
E qui è arrivata la sorpresa più bella. Augusto Cavadi non si limita ad un’analisi che certo originalissima non è, anche se condotta con maestria. Prendendo lo spunto dalla strumentalizzazione della religione cristiana ad opera di un movimento politico, Cavadi inizia a parlare di teologia. L’argomento diventa un pretesto per accompagnarci in una riflessione profonda di quello che dovrebbe, o potrebbe, essere il significato di definirsi cristiani, seguaci di un Cristo che ha pronunciato discorsi e ha operato miracoli che difficilmente potrebbero diventare alibi e giustificazioni di questo o quel movimento politico.
Certo, Augusto Cavadi va anche oltre una declinazione, chiara, semplice e netta del senso che ha oggi il dichiararsi cristiani. Il suo pensiero, come già delineato in altri suoi scritti (In verità ci disse altro. Reggio Calabria 2088) supera il confine della singola denominazione, religione monoteista o pensiero religioso. Ma non siamo costretti a condividerlo, basta sapere che c’è chi ha la capacità di astrarsi dal particolare per lanciare una sfida globale alla spiritualità di tutti i popoli e di tutti i tempi.
Partendo dall’analisi di “una Chiesa corteggiata dai fascisti italiani, dai franchisti spagnoli, dai mafiosi meridionali o dai leghisti settentrionali”, Cavadi pone delle domande molto precise a tutti i cristiani. Affronta la questione dei “valori non negoziabili” e del legame tra Chiesa e potere. Poi ,per rispondere alla domanda “come fare della Chiesa, e delle chiese, dei luoghi insopportabili, irrespirabili, per chiunque viva in un’ottica egoista e corporativa la spasmodica ricerca del profitto e del comando” traccia alcune ipotesi di lavoro che discendono dalla necessaria riscoperta di Dio come amore (agape). E’ in queste pagine che, svincolati dai riferimenti all’operazione politica di Bossi, Cavadi ci permette di ripensare alla terapia di cui tutti, cattolici e diversamente cattolici, abbiamo bisogno per ritrovare l’autenticità del messaggio di Gesù Cristo nella nostra vita.
Grazie Augusto per averci dato un’altra possibilità di riflettere su perché essere cristiani oggi.

Sergio Velluto

mercoledì 4 aprile 2012

Perché ho accettato di candidarmi alle amministrative di Palermo


Care amiche e cari amici,

come sapete, ho cercato di distinguere sempre la lotta contro la partitocrazia dal qualunquismo anti-partitico.
In quest’ottica, da alcuni anni, ho chiesto la tessera a SEL (Sinistra ecologia libertà), convinto che solo un leader come Nichi Vendola possa dare (con tutti i limiti di ciascuno di noi) un’identità e una dignità a chi NON accetta lo stato di cose esistenti in Italia.
In occasione delle imminenti elezioni amministrative a Palermo (domenica 6 – lunedì 7 maggio 2012) i quadri dirigenti di SEL mi hanno proposto l’inserimento nella lista dei candidati al Consiglio comunale, convinti che “ci sia bisogno di un controllo vigile della società civile dentro il Palazzo di Città, quale che sia il nome del sindaco eletto”.
Ovviamente la mia prima risposta è stata negativa perché già venti anni fa ho vissuto il paradosso di una campagna elettorale in cui io supponevo di mettermi a disposizione della società e, invece, molti miei conoscenti si esprimevano come se volessi tentare un’arrampicata carrieristica (“Ci dispiace, ma questa volta abbiamo già promesso il voto a Tizio o a Caio: non possiamo farti questo favore”…!?). Comunque – a parte l’incoraggiamento di alcune persone amiche (“Se ti candidi tu, ci togli la tentazione dell’astensionismo”) – è stata per me decisiva la meditazione su alcune delle cose che ho letto e che ho scritto in questi decenni: prima fra tutte, che l’attività politica istituzionale, proprio perché logorante se praticata senza interessi privati né corporativi, è la forma più preziosa di agape (= amore di donazione). La vita di studio, di insegnamento, di scrittura, di incontri seminariali in giro per l’Italia mi è congeniale: ma, oltre un certo limite, il piacere per l’equilibrio esistenziale raggiunto può diventare egoismo sociale.
Sono dunque arrivato a questa conclusione: il mio nome comparirà nella lista dei candidati; io non spenderò un euro per propaganda elettorale; se ci saranno abbastanza elettori che mi voteranno, affronterò l’impegno con serietà; se i suffragi non saranno abbastanza per consentire la mia elezione a consigliere comunale, serviranno comunque a dare visibilità a una formazione politica civica e di sinistra che - sino a questo momento, sino a prova contraria – merita fiducia.
In ogni caso, vi ringrazio dei due minuti di ascolto che mi avete regalato.
Augusto Cavadi

PS: Ogni lista elettorale ha l’obbligo di indicare un candidato a sindaco di riferimento. Il partito che mi ha invitato a presentare la candidatura a consigliere comunale ha scelto Fabrizio Ferrandelli in ossequio al meccanismo delle primarie (che prevedeva anche un giudizio da parte di un comitato di tre saggi in caso di contestazione). Grazie all’attuale sistema elettorale del voto disgiunto, comunque, ognuno di voi, pur votando per me come consigliere, potrà scegliere come sindaco il candidato che preferisce.

martedì 3 aprile 2012

Auguri pasquali dal “Cortile della gente in ricerca”


“Repubblica – Palermo”
3.4.2012

MAFIA E IMMIGRATI SFIDE PER LA CHIESA
Con la conferenza introduttiva del cardinale Gianfranco Ravasi, nella splendida cornice del Duomo di Monreale, ha avuto inizio l’edizione palermitana del “Cortile dei Gentili”. Di che si tratta? La formula è metaforica e, per capirne il senso, bisogna sapere che il Tempio di Gerusalemme è accessibile solo agli ebrei praticanti. I ‘gentili’ – vocabolo che indica i pagani, i non-ebrei, la gente in ricerca – possono sostare solo in uno spazio antistante l’ingresso del Tempio vero e proprio. Gianfranco Ravasi - che adesso, in quanto presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, è una sorta di ministro della cultura del Vaticano – ha promosso in alcune città italiane dei convegni di confronto fra credenti e non-credenti (o, come altri preferisce esprimersi, diversamente credenti). Convegni, dunque, non all’interno dei recinti confessionali, ma ai limiti esterni: in territorio laico.
Il duplice filo conduttore della tappa palermitana è in qualche modo obbligato: la tematica (interna all’isola) della criminalità organizzata e la tematica (che interessa la Sicilia in quanto crocevia del Mediterraneo) del dialogo interreligioso. Il ruolo della Chiesa nell’ambito della seconda tematica è intuitivo: il cattolicesimo in evidente difficoltà di consensi - la secolarizzazione, sia pur lentamente, avanza inesorabile anche nel Sud – ha davanti a sé due strategie alternative. O la via della chiusura a riccio, della difesa a oltranza, o la via dell’apertura, dello scambio paritetico. Ravasi – che invitai a Palermo nel 1982, quando era solo un giovane, ma già brillante e stimato, insegnante di teologia biblica – è uomo di straordinaria ampiezza mentale (e non è un caso che sia, fra tanto altro, collaboratore fisso del domenicale del “Sole 24 ore”). E’ nato e si è formato nel profondo Nord, una zona del Paese in cui hanno operato arcivescovi come Carlo Martini o Dionigi Tettamanzi, decisi propugnatori del dialogo con l’Islam e con ogni altra confessione religiosa professata da immigrati, ma anche arcivescovi come Giacomo Biffi, sensibili ai condizionamenti della Lega e alle tentazioni xenofobe (è il prelato di Bologna che suggeriva di accogliere gli extra-comunitari cattolici, o per lo meno cristiani, a preferena degli altri). Dunque il presidente del Consiglio vaticano della Cultura sta cercando di rafforzare, all’interno della Chiesa, le correnti intellettualmente più avvertite che non vogliono intestardirsi a contrastare il corso della storia, arroccandosi su posizioni di difesa identitaria, o addirittura alimentando “scontri di civiltà”. E sa che, per questa strategia culturale, c’è bisogno di iniezioni di tolleranza, anzi di ripetto, nelle vene della vecchia Chiesa cattolica. C’è bisogno di sinergia con le forze più vive e più rappresenattive del mondo laico.
Meno evidente sembrerebbe il ruolo della Chiesa nella seconda tematica di questa edizione palermitana del “Cortile dei Gentili”: la criminalità organizzata (o, se vogliamo chiamarla con il suo nome, la mafia). Non deve forse la comunità dei discepoli di Cristo mantenere una saggia, ferrea, equidistanza fra lo Stato e i mafiosi? Non deve conservarsi come una sorta di ‘terra di nessuno’ per poter accogliere, nello stesso grembo, le vittime e i carnefici, i giudici e gli imputati, le guardie e i ladri? Questa, per troppo tempo, è stata in effetti la linea della maggior parte dei vescovi e dei preti, dei dirigenti di Azione Cattolica e dei catechisti di parrocchia. Ma, appunto, è tale concezione falsamente neutrale - pericolosamente equilibrista – che iniziative come questa intendono scardinare e capovolgere. In nome, e sull’esempio, di pastori come don Pino Puglisi o don Giuseppe Diana, c’è una parte della Chiesa cattolica che vuole assumere il contrasto al sistema di dominio mafioso come compito teologico, religioso, etico. Che vuole, come sostiene don Cosimo Scordato nel quartiere Ballarò, “strappare almeno una generazione alla mafia”. Che non vuole entrare e uscire, come il parroco della Kalsa padre Frittitta, dai bunker dove i boss trascorrono latitanze devote (e dorate). Il Consiglio pontificio della Cultura - con la collaborazione sia dell’Arcidiocesi sia dell’Università di Palermo – ha chiesto a giuristi, sociologi, filosofi, storici un supporto per motivare questa parte di Chiesa che (come il compianto arcivescovo di Monreale, Cataldo Naro) vuole schierare il patrimonio pedagogico e simbolico del mondo cattolico dalla parte giusta. Sappiamo che l’operazione, senz’altro meritoria, è ardua. Dagli inizi degli anni Ottanta, infatti, è stato facile mobilitare i fedeli in occasione di delitti eccellenti e di stragi terroristiche; non altrettanto facile convincere gli stessi fedeli a prendere le distanze dai mafiosi con i colletti bianchi e dai loro amici in carriera politica. E’ dunque una nuova visione della mafia che bisogna focalizzare (scientificamente) e diffondere anche negli ambienti cattolici: una mafia come associazione criminale che non soltanto minaccia e spara, ma corrompe e inquina. Solo così chiedere raccomandazioni, tessere relazioni clientelari, esercitare il voto di scambio, evadere le tasse, deturpare le coste…saranno considerati non solo reati (tutto sommato ‘minori’), ma anche peccati. Ferite inferte al tessuto ecclesiale quanto civile. Attentati alla dignità delle persone e alla solidarietà tra le persone: dunque rifiuto e disprezzo del progetto creatore di Dio.
Augusto Cavadi

lunedì 2 aprile 2012

La situazione politica palermitana per amici in Gran Bretagna


Un gruppo di amici italiani in Gran Bretagna mi ha chiesto un aggiornamento su Ferrandelli e, più in generale, la situazione a Palermo in vista delle prossime amministrative.
Non ho le idee molto chiare, tanto meno sul “da fare”. Comunque…
http://www.timesofsicily.com/?p=1652

Il testo originale in italiano
(tenere presente che l’ipotesi ventilata di un secondo candidato di centro-sinistra si è materializzata con l’autocandidatura di Leoluca Orlando):
Fabrizio Ferrandelli è un trentenne noto in città per la sua felice bivalenza: attività sociale, fuori dal Palazzo, da un lato; consigliere comunale, dentro il Palazzo, dall’altro. Un aggregato di movimenti (più o meno consistenti, in tutto circa quaranta) hanno dato vita a un cartello elettorale (denominatosi “Palermo più”) con l’intento di rappresentare – nelle istituzioni locali – le idee e gli interessi della società civile: quando hanno dovuto scegliere un candidato a sindaco su cui puntare è stato abbastanza logico ‘adottare’ l’anfibio Ferrandelli.
In campagna elettorale egli e il suo staff hanno ritenuto opportuno evitare di procedere con un’identità propria, esterna e estranea alle logiche di partito, e si sono alleati con un partito di centro-sinistra, il PD (Partito democratico). Anzi, per essere precisi, con metà del PD: quella metà che trova conveniente collaborare con il governatore di centro-destra Raffaele Lombardo e che, perciò, non condivide la scelta del PD ‘ufficiale’ di candidare - insieme ad altri partiti di sinistra – l’eurodeputato Rita Borsellino, sorella di uno dei giudici uccisi dalla mafia nel 1992.
A questo punto la situazione a Palermo è confusa. Ferrandelli ha vinto (sia pure per pochi voti) le primarie che, in alcuni casi, si sono svolte in maniera irregolare e il PD, questa volta nella sua interezza, lo ha nominato candidato ‘ufficiale’ alle elezioni comunali del 6 e 7 maggio; ma numerosi estimatori – come me – sono rimasti delusi perché ritengono che sia stato tradito e abbandonato il progetto di una “lista civica” che potesse, finalmente, dettare le regole etiche ai partiti, senza farsi manovrare da vecchie volpi abbarbicate alle poltrone del potere. Vincerà Ferrandelli le elezioni anche se dovesse competere non solo con due candidati di centro-destra ma, probabilmente, anche un altro candidato di sinistra? Ai posteri l’ardua sentenza. Ma si tratta di una posterità ormai vicina, a meno di due mesi. E’ possibile che anche qualcuno di noi, oggi ancora vivo, potrà sopravvivere e vedere la conclusione di una vicenda pirandelliana.

Augusto Cavadi