mercoledì 18 luglio 2012

“L’onda”: un film che fa riflettere non solo in Germania


“Repubblica - Palermo”
sabato 18 luglio 2009

Il dissenso come gesto per combattere la mafia

Perché presso la pizzeria Impastato, a Cinisi, i ragazzi di “Libera” hanno proiettato la sera di mercoledì 15 il film del regista tedesco Dennis Ganzel L’onda, tratto da un romanzo omonimo di Todd Strasser? Che c’entra l’analisi dei meccanismi socio-psicologici che portano un gruppo a identificarsi in un leader - anzi, in un führer - con il fenomeno dell’aggregazione mafiosa? Apparentemente l’accostamento può sembrare forzato, ma la conversazione pubblica (il ‘dibattito’ di morettiana memoria…) che è seguita alla proiezione ha mostrato molte somiglianze.
Una delle tesi centrali - e più acute - del film è che non ogni forma di autocrazia, di dittatura, di ingreggiamento al seguito di un “capo dei capi” deriva da crisi economiche o disagi sociali: può capitare che a vendere la propria libertà per omologarsi in un insieme ‘totale’ siano soggetti benestanti, coccolati, privilegiati addirittura. Soggetti a cui non manca niente tranne un senso alla vita: che non sono rilevanti per nessuno e per i quali niente (nessuna idea, nessun valore, nessun principio) è davvero rilevante. Quando a questi individui, atomizzati e dispersi, si offre uno straccio di ideale, si sentono finalmente ‘riconosciuti’ e, perciò, disposti a spogliarsi di tutto pur di non essere ricacciati nell’anonimato e nel grigiore della quotidianità. Ma il sistema di potere mafioso (se lo guardiamo, per quanto possibile, con occhi distaccati) non è anche un’offerta di solidarietà e di progettualità? Una solidarietà ‘corta’ e perversa, una progettualità miope e autolesionistica: certo. Comunque una risposta errata ad una domanda vera; un modo catastrofico di riempire dei vuoti effettivi. Il giudice Scarpinato ha riferito più di una volta la dichiarazione di un giovane killer di mafia sulle ragioni originarie della sua affiliazione: “Ero nuddu miscatu cu’ nenti” (Ero nessuno impastato con niente).

Ma se questo è vero, la strategia antimafia deve partire un po’ più da lontano di quanto solitamente le agenzie educative non si illudano. Non basta denunziare, stigmatizzare, denigrare lo stile di vita mafioso e sottolinearne i danni per chi lo abbraccia oltre che per quanti lo subiscono dall’esterno. Non bastano i comizi, le prediche, le conferenze, le manifestazioni. Intanto bisogna rischiare una strada più ardua: contagiare la libertà di pensare con la propria testa. A genitori, insegnanti, educatori non tocca “manipolare le coscienze a fin di bene”, bensì rischiare il dissenso, il rifiuto, la disobbedienza. Purché chi dissenta mostri di usare il cervello e di portare argomenti. Poi - ed è compito ancora più arduo - offrire luoghi di socializzazione, ragioni per incontrarsi e cooperare: prospettive costruttive. “Prevenzione” è uno dei vocaboli pedagogicamente più infelici: l’unica modalità efficace per scongiurare le caricature e le contraffazioni è offrire modelli autentici. Purtroppo nessuno può dare ciò che non possiede né vive: una generazione di adulti che non si impegna in nulla di affascinante e di coinvolgente non ha nulla di affascinante e di coinvolgente da proporre. La questione giovanile è una falsa questione: serve solo a mascherare il fallimento di una generazione ormai in procinto di invecchiare che ha saputo solo (nel migliore dei casi) mettere da parte un po’ di soldi e salvare la facciata di perbenismo, ma ha lasciato che i sogni della propria gioventù venissero stritolati dai bizantinismi dei partiti di massa (sin quando hanno resistito) e dall’arrivismo corruttore dei propugnatori della post-politica.
Che questo deserto di progetti per cui spendersi venga riempito da mafiosi o da politici reazionari o dall’intreccio neppure tanto segreto di entrambi è dunque una conclusione tanto amara quanto prevedibile. Che un regista tedesco ce lo abbia saputo ricordare con linguaggio asciutto ed efficace non fa che accrescere la responsabilità di quanti continueremo a fare finta di non vedere e di non capire.

Augusto Cavadi

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