lunedì 27 agosto 2012

Prefazione al libro di Elio Rindone sul problema del male


E’ uscito in questi giorni l’ultimo libro di Elio Rindone: Nati per soffrire? Il male: una questione sempre attuale, www.ilmiolibro.it, pp. 168, euro 12,50.

Qui di seguito la Prefazione (pp.7 - 11) che Elio mi ha chiesto di scrivere. Spero che non vi distolga dall’intento di acquistare (e leggere per intero!) il volumetto…
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Una possibile chiave di lettura

La frequentazione, ormai quarantennale, dei colleghi che insegnano filosofia (nei licei o nelle università) mi ha imposto un’evidenza paradossale: buona parte di loro ritiene, per quanto strano possa sembrare, che la disciplina di studio non abbia interferenza con la vita. Né in linea di diritto né di fatto la filosofia contribuirebbe a rispondere alle questioni elementari dell’esistenza: davanti agli interrogativi brucianti sul senso dell’amicizia, della malattia, dell’innamoramento, dell’infedeltà, della giustizia e dell’ingiustizia, del dolore e della morte… anche il filosofo di professione dovrebbe rinunziare a osare risposte (o, se proprio non ci riesce, dovrebbe cercarle altrove rispetto ai terreni arati dalle indagini della filosofia occidentale, da Anassimandro a Ricoeur).
Elio Rindone appartiene invece a quel gruppo, forse oggi minoritario, di docenti che vedono il senso ultimo della storia della filosofia oltre l’orizzonte storicistico: nell’individuare alcune ipotesi di risposta (per quanto parziali e sottoposte a continua contestazione critica) alle domande ricorrenti dell’umanità, in modo da poterle soppesare e assumere come punto di partenza di un proprio indirizzo di pensiero e di vita.
Chi ha più ragione? I filosofi che fanno filosofia per gusto filologico e per esercitazione logica o quanti la coltivano per amore di saggezza e orientamento etico?
Nella repubblica filosofica c’è spazio per tutti, tranne forse per quanti volessero fissare confini netti fra presunte ortodossie e presunte eresie: ogni filosofo è tale a modo suo, purché lo sia in maniera autentica (dunque senza ipocrisie) e possibilmente coerente (dunque fedele al proprio registro intellettuale). Ciò che si può osservare è solo questo: che la filosofia come storiografia e analisi logica interesserà un gruppo ristretto di professionisti laddove la filosofia come chiarimento esistenziale potrà coinvolgere un numero molto più ampio di uomini e donne che si guadagnano da vivere con mestieri differenti.
Il libro che avete in mano è un esempio luminoso, e a tratti illuminante, di questa filosofia intenzionalmente ‘democratica’ che, senza rinunziare al rigore argomentativo, procede libera da tecnicismi scoraggianti per quanti non abbiano un’istruzione adeguata in ambito filosofico.

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Se si ha in mente l’impostazione di fondo, si capisce meglio la struttura di questo breve saggio. Esso evoca, a larghi tratti, le due concezioni del male (inteso come colpa morale e sofferenza fisica) prevalenti nella produzione poetica e filosofica dei Greci: il male come parte costitutiva del mondo, da accettare senza illusioni in salvezze impossibili e il male come conseguenza di una colpa antecedente, da cui liberarsi preparandosi alla vita dell’aldilà, in cui è possibile la felicità vera, inattingibile finché l’anima resta imbrigliata nel corpo.
Non è questa seconda concezione (or-fico-pitagorico-platonico-plotiniana) identica alla concezione cristiana? Rindone spiega, con una chiarezza insufficiente solo per chi non voglia deporre delle pre-comprensioni radicate, che nel Medioevo c’è stata in effetti un’introiezione del dualismo greco (fra anima e corpo, fra eternità e temporalità, fra cielo e terra), ma a costo di fraintendere e mistificare (in buona fede) il patrimonio biblico.
Per la sapienza ebraica, infatti, il male nel mondo è effetto di opzioni storiche: dunque – più che indagarne teoreticamente l’origine e gli sviluppi – gli esseri umani sono invitati a contrastarlo con l’operosità attiva. Il messaggio evangelico di Gesù sarebbe il compimento di questo invito profetico a spendere la vita per amore della giustizia, della pace e della convivenza collaborativa sul nostro pianeta.
Come accennato, però, il Medioevo ha ritenuto intellettualmente troppo ‘povera’ la prospettiva biblica e, con l’intenzione di arricchirla integrandola con molte idee della tradizione greca, ha finito col creare un mix originale ma imbarazzante: la dottrina cristiana del male. Dottrina che si è configurata come un sostanziale tradimento dell’invito ebraico-cristiano biblico a fare di questo mondo il giardino edenico sognato dal Creatore.
Ovviamente Rindone non racconta queste vicende a scopo polemico, ma per invitare a rivisitare la nostra attuale visione del male recuperando gli spunti più felici che provengono dall’ascolto fedele delle due città in cui affonda le radici l’Occidente cristiano: Atene e Gerusalemme.
Una rivisitazione intellettuale non fine a sé stessa, ma quale premessa di una rivoluzione planetaria - tanto più radicale e duratura quanto meno rumorosa e violenta - che gli squilibri evidenziati dalla globalizzazione rendono nel XXI secolo ancora più urgente di prima.

Augusto Cavadi

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