martedì 4 settembre 2012

Arnaldo Nesti: un’autobiografia del Novecento


“Centonove”
31.8.2012

NESTI SECONDO NESTI

Nato il 14 marzo del 1932, a S. Pietro Agliana (fra Pistoia e Prato), Arnaldo Nesti è stato – e continua gagliardamente a essere – uno dei protagonisti della storia culturale e civile italiana. Come molti abitati dalla consapevolezza di aver iniziato a percorrere il terzo ‘terzo’ della strada terrena, ha avvertito l’esigenza di raccontarsi in una sorta di autobiografia: per trovare il senso conduttore della sua vita (suppongo), ma offrendo così (ne sono certo) squarci interessanti agli storici del Novecento.
Entrato giovanissimo in seminario, vi studia per prete negli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale. L’addizione dei condizionamenti ambientali ai condizionamenti familiari ne fa un piccolo bigotto con tendenze reazionarie: “Al tempo consideravo la guerra partigiana un mero fatto di ‘ribelli’ e di ‘sovversivi’ e di ‘comunisti’ ”. Dopo la liberazione dai nazi-fascisti, il comportamento di alcune bande partigiane (“Andavano armati come la banda Brancaleone, incutendo non poca paura”) non lo aiutano certo a mutare opinione: “il mio sdegno era destinato a crescere”. Addirittura, con un compagno, decide di fondare un giornale che potesse fungere da organo di un nuovo partito: “non più il PNF ma il PRN (Partito della Reazione Nazionale)”. Qualche anno dopo, in vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, “tutti i seminaristi del Liceo e di Teologia furono mandati a casa per fare la campagna elettorale in funzione anticomunista”, ma Arnaldo ha solo 16 anni, frequenta la V ginnasiale e, con disappunto, non può essere inviato in missione propagandistica a favore della Democrazia Cristiana.
Gli anni del Liceo iniziano a provocare le prime crepe: è attratto da padre Lombardi, il “microfono di Dio”, zio dell’attuale portavoce del Vaticano, che nelle sue crociate radiofoniche e nelle piazze insegna – integralisticamente - che “tutti gli aspetti della società possono essere chiariti e risolti alla luce del Vangelo”; tuttavia conosce anche cattolici più progressisti che lo inducono a rivedere le sue “posizioni assai emozionali” e a “pensare che, al di là del comunismo e del fascismo nazionalista, ci voleva un ‘nuovo umanesimo cristiano’ ”. Negli anni successivi, durante la formazione teologica, scopre la sociologia che diventerà la sua passione principale e che praticherà sia da prete sia, una volta rinunziato al servizio presbiterale, da docente universitario. Letture, incontri, osservazioni sul campo modificano intanto la visione politica del giovane prete: particolarmente significativa una vacanza, in Vespa 125, a Grenoble, che gli svela le “profonde differenze in atto fra il cattolicesimo di qua e quello al di à delle Alpi”. Dal 1958 al 1963 è incaricato di fondare e dirigere a Pistoia il Centro di Studi Sociali: un’altra esperienza stimolante che si chiude però per il disaccordo fra le sue posizioni, ormai vicine al “centro sinistra”, e l’integrismo cattolico di stampo conservatore dei Gesuiti romani che avevano una sorta di supervisione nazionale dei Centri di studio sociali diocesani. Quasi in esilio, a 32 anni, viene spedito a Roma, per riprendere e approfondire gli studi di teologia: ma all’università del Laterano vi trova “una problematica soffocante, apologetica, presuntuosamente estranea rispetto al dibattito conciliare” (dal 1962 al 1965 vi si svolgeva, infatti, il Concilio Ecumenico Vaticano II). Per fortuna Roma è più grande dell’università del papa e Nesti incontra persone, organizzazioni, movimenti da tutte le parti del mondo. In particolare stringe relazioni con gli ambienti dei preti-operai francesi, dei teologi ribelli olandesi, dell’opposizione socialista e democratica al regime di Tito in Jugoslavia. La dissertazione di dottorato del 1967, su Il pensiero religioso di Antonio Gramsci , segna un punto di svolta: Nesti attraversa il ’68 ecclesiale e sociale e ne esce con un libro, curato da lui e edito da Mondadori, su L’altra Chiesa in Italia (1970). E’ la chiesa-comunità che contesta la chiesa-istituzione in nome non di ideologie esterne ed estranee, ma dello stesso vangelo di Cristo. Il libro viene pesantemente attaccato dalle autorità ecclesiastiche e Nesti si trova nelle condizioni di dover optare fra restare prete, piegandosi, o affrontare – in totale assenza di prospettive – una fase nuova della vita. Due opportunità (l’offerta di lavorare alla rivista Idoc internazionale di Roma e di insegnare sociologia all’università statale di Firenze) lo inducono verso la seconda direzione. Si intensificano i viaggi di studio per il mondo: indimenticabile il viaggio a Mosca, nel 1973, su invito del “Forum mondiale delle forze della pace”, con personaggi del calibro di Giorgio La Pira e padre Davide Maria Turoldo. Nel mondo degli insegnanti universitari Nesti non respira un’atmosfera molto più sana e libera rispetto alle strutture gerarchiche cattoliche. All’ennesima ‘bocciatura’ per il concorso di ordinario, Franco Ferrarotti, il padre della sociologia in Italia, gli scrive senza mezzi termini: “So che ormai siamo nelle mani della ‘Malavita accademica organizzata’ ma il tuo caso supera ogni fosca previsione”. L’incarico di docente gli viene comunque riconfermato per trenta lunghi e proficui anni, dal 1972 al 2002: dopo egli si concentra nella direzione della rivista Religioni e società e dell’Asfer (Associazione per lo studio del fenomeno religioso) nonché nell’organizzazione annuale delle settimane di studio (adesso nella splendida cornice di San Gimignano) dell’ International Summer School on Religions in Europe (intestate al Cisreco). Il volume di memorie (Il mio Novecento. Passioni. Dentro e fuori il mondo cattolico, Felici, Ghezzzano [Pistoia] 2010) si chiude con un capitolo dedicato ai viaggi in Sicilia e agli interrogativi posti dalla contiguità fra chiesa cattolica e clan mafiosi. E con l’evocazione della cantora popular argentina Mercedes Sosa: “Gracias a la vida” che mi ha dato tanto, mi ha dato il riso e m’ha dato il pianto.

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