venerdì 21 settembre 2012

KANT VIA MMS


“Centonove”, 21.9.2012

KANT VIA MMS

Kant ? Chi era costui? Certamente un filosofo che si cita tra i primi quando si vuole fare un esempio di pensatore astruso, astratto, incomprensibile. Basti dire che è stato lui a ripescare, dalla notte del Medioevo, l’aggettivo “trascendentale” e a rimetterlo in giro! Spiegare Kant ai ragazzi dell’era dei telefonini, delle web cam e degli sms è un’impresa quasi impossibile anche per il professor Emilio Negroni, tanto più che incarna le peggiori qualità del docente-medio: libresco, ripetitivo, nozionistico, severo, incapace di autocritica e del tutto privo di fantasia e di senso dell’humor.
Per fortuna la vita, ogni tanto, si diverte a scompaginare i ritmi monotoni della “medioecrità ordinaria” e riesce a svegliare, dal sonno didattico, anche gli insegnanti più assopiti. E’ quanto accade al protagonista di questo racconto (un interessante e originale “racconto didattico” di Matteo Petenzi, Ragion pura via mms, Edizioni Progetto cultura, pp. 80, euro 12,00) che riesce a capire, al di là della letteralità del testo, ciò che veramente voleva dire Kant, grazie all’incontro con un regista (Paolo Cieli) e con un tenente dei paracadutisti (Angelo Renzi). Più precisamente. Grazie al primo, egli entra nella dottrina della conoscenza umana secondo Kant: per il quale la mente umana è come la videocamera di un regista in quanto capta immagini disperse, suoni isolati, discorsi spezzati e, elaborando questi materiali ‘esterni’, li ricompone in un film. Nessun film sarà la riproduzione esatta della realtà in sé, ma ne costituirà una delle possibili interpretazioni. L’umanità – intesa come genere umano – dovrà dunque rinunziare irrimediabilmente a conoscere il mondo come è in sé: ma poiché tutte le nostre menti lavorano come se fossero una stessa telecamera, abbiamo almeno la possibilità di intenderci fra noi esseri umani. La varietà dei dati sperimentali, colti attraverso i sensi, viene unificata da un intelletto comune all’intero genere umano: “questo elaboratore è presente in ciascuno di noi in modo identico”.
Dunque il mondo dei fenomeni non è solo il campo della nostra conoscenza, ma anche il suo limite: con il mero intelletto non possiamo andare al di là del finito, del misurabile matematicamente e fisicamente. Ma siamo solo intelletto o anche sentimento? Questa ulteriore dimensione dell’uomo, su cui Kant ha riflettuto molto nell’ultima parte della sua luga esistenza terrena, è ciò su cui l’ex alunno Angelo attrae l’attenzione del maturo, incartapecorito, insegnante. E l’attrae - trattandosi di uno stato d’animo – non con le parole soltanto: gli fa sperimentare, molto concretamente, che cosa significa il ‘sublime’, quel mix ineffabile di stupore e di paura, di ammirazione e di terrore. Così gli fa avvertire esistenzialmente, praticamente, “quella facoltà dell’uomo in grado di supearre i limiti della natura sensibile e di andare oltre con la ragione”.
Sarebbe un peccato non limitarsi a questi pochi cenni sulla trama perché, entrando nei dettagli, si priverebbe il futuro lettore dal piacere di scoprirli da sé. L’essenziale, comunque, traspare già da queste poche righe di recensione: c’è un modo di raccontare la filosofia che non è nceessariamente schematico e noioso. Ma la può raccontare in questo modo solo colui per il quale essa non è rimasta una mera disciplina accademica: è diventata esperienza e memoria viva, carne e sangue.

Augusto Cavadi

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