martedì 28 maggio 2013

Ci vediamo venerdì 31 maggio alle ore 18 a Roma?


La forza della mitezza davanti al potere mafioso

 - venerdì 31 maggio, Roma

Coscienza e martirio di Padre Pino Puglisi. Ore 18 - Auditorium dell’Augustinianum - via Paolo VI, 25 - Roma

La forza della mitezza davanti al potere mafioso


Coscienza e martirio di Padre Pino Puglisi



Incontro promosso da Libera

venerdì 31 maggio 2013 ore 18
Auditorium dell’Augustinianum - via Paolo VI, 25 - Roma


Intervengono
Francesca Cocchini, storica del cristianesimo
Paolo Monaco sj, collaboratore di P. Puglisi a Palermo
Augusto Cavadi, giornalista e scrittore
Marcello Cozzi, sacerdote e scrittore

«E' importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole,
per combattere contro la mentalità mafiosa,
che è poi qualunque ideologia
disposta a svendere la dignità dell'uomo per soldi»
Padre Pino Puglisi

lunedì 27 maggio 2013

Ci vediamo giovedì 30 maggio alle ore 17,45 alla Feltrinelli di Palermo?

E' possibile riflettere criticamente sulla vita e sulla morte di don Pino Puglisi, senza scivolare nell'agiografia sdolcinata? 
 Dopo la prima beatificazione da parte della Chiesa cattolica di un martire di mafia, si chiude o si apre la tematica scottante della testimonianza evangelica nel Meridione italiano?
 Provano a rispondere alla questione
 Francesco Palazzo, Augusto Cavadi e Rosaria Cascio nel volume 
 Beato fra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo, teologia
(Di Girolamo, Trapani 2013). 
Con gli autori ne discuterà alla Feltrinelli di Palermo (via Cavour) 
Nino Amadore (del "Sole 24 ore") giovedì 30 maggio alle ore 17,50.
Parteciperanno all'incontro 
Gregorio Porcaro (già con-parroco a Brancaccio di don Puglisi) 
e Stefania Petyx (di "Striscia la notizia").

sabato 25 maggio 2013

Ci vediamo al Cesmi di Palermo domenica 26 maggio alle 17,00?

Incontri di filosofia in pratica guidata da Augusto Cavadi

26 maggio 2013 ore 17,30 

Accoglienza partecipanti ore 17


5 incontro: Fregarsene della politica?

Ultimi 2 incontri:
6. Legalità in terre di mafia
7. Argomento a scelta proposto a maggioranza dalla piccola comunità di
ricerca


Note:

- Ogni incontro prevede la quota di partecipazione di euro 8,00 e la quota
associativa al CeSMI euro 40 con validità 1 anno dal momento di
iscrizione.
- L’abbonamento ai 3 incontri (30,00 euro) dà diritto al volume di
Augusto Cavadi “E, per passione la filosofia. Breve introduzione alla
più inutile di tutte le scienze”, Di Girolamo, Trapani 2008, euro
16,50. (Per chi lo possedesse, un altro simile a scelta).

Sede di Palermo: via. M . Stabile 261

Per info tel 091 9820468 - 3396749999 -

Luca Kocci sul "Manifesto" di oggi (25 maggio 2013) a proposito di don Puglisi

Don Puglisi martire di mafia, un inedito per la Chiesa

“il manifesto”
25 maggio 2013




È la prima volta che una vittima della mafia viene proclamata martire dalla Chiesa cattolica. Don Pino Puglisi, il parroco del quartiere palermitano Brancaccio ucciso il 15 settembre del 1993 dai killer dei fratelli Graviano viene beatificato oggi a Palermo, in una celebrazione presieduta dall’arcivescovo di Palermo, il card. Romeo, e dal suo predecessore, De Giorgi, uno dei tre “inquisitori” scelti a suo tempo da papa Ratzinger per indagare sul Vatileaks.
Al di là del trionfalismo che accompagnerà l’evento (previste 80mila persone), il percorso che ha portato alla beatificazione di Puglisi è stato accidentato, fino quasi ad arenarsi, come racconta anche il postulatore della causa, l’arcivescovo di Catanzaro Vincenzo Bertolone: vi erano «legittimi dubbi» sulla questione dell’assassinio in odium fidei (in odio alla fede), elemento ritenuto imprescindibile dalla Chiesa per poter parlare di martirio cristiano. I «dubbi» erano in realtà vere e proprie perplessità, se non resistenze, da parte curiale e vaticana, non tanto sulla beatificazione in sé quanto sull’opportunità di proclamare Puglisi «martire» di mafia. Perché la Chiesa cattolica deve fare i conti con almeno due profonde contraddizioni che hanno caratterizzato la storia del suo rapporto con Cosa nostra.
La prima è quella dei mafiosi che rivendicano pubblicamente la loro fede religiosa e la loro appartenenza alla Chiesa, spesso senza essere smentiti dai pastori, solitamente piuttosto disinvolti a consegnare o a negare patenti di cattolicità a seconda delle circostanze: dalla simbologia e dalla ritualità del codice mafioso mutuata dalla Chiesa, alle Bibbie trovate nelle case dei mafiosi, fino alla partecipazione dei boss in prima fila alle processioni religiose, utilizzate come occasioni per rafforzare il proprio consenso sociale e quindi il loro potere. La seconda è quella degli uomini di Chiesa che hanno intrattenuto relazioni ambigue, talvolta anche apertamente compiacenti, con i mafiosi: associare la «cosiddetta mafia» alla Chiesa «è una supposizione calunniosa messa in giro dai socialcomunisti» che, per interessi propri, «accusano la Democrazia cristiana di essere appoggiata dalla mafia», scriveva nel 1963 il cardinale di Palermo Ernesto Ruffini, respingendo così l’invito di Paolo VI a prendere iniziative contro la mafia. Meglio Cosa nostra del comunismo era l’idea di Ruffini, anche perché, pensava il cardinale, «trattasi di delinquenza comune e non di associazione a largo raggio».
Dagli anni ’90 le cose hanno iniziato lentamente a cambiare, a partire dall’anatema di papa Wojtyla nella Valle dei templi, nel ’93. E un documento della Cei sul sud d’Italia, del 2010, definisce la mafia struttura di peccato. Ma silenzi e omissioni restano. E soprattutto resta il dato di una teologia non del tutto evangelica, da cui, se invece lo fosse, i mafiosi si terrebbero a distanza: «Da una Chiesa povera e fraterna i mafiosi si autoescluderebbero da soli e anzi la considererebbero nemica», spiega al manifesto Augusto Cavadi, studioso dei rapporti fra Chiesa e mafia e autore, insieme ad altri, del recentissimo Beato fra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo e teologia (Il Pozzo di Giacobbe). «Ora con questa beatificazione, la mafia non potrà più essere considerata dai cattolici un elemento del paesaggio con cui convivere ma un sistema di dominio ingiusto. Gerarchie e fedeli dovranno però uscire dalla stralunata equidistanza fra mafiosi (e amici dei mafiosi, politici in primis) e guardiani della legalità democratica, dovranno scegliere da che parte stare». E che questa nuova stagione non sia facile lo dimostrano alcune voci raccolte da Cavadi fra i preti: «Il parroco di Brancaccio era un santo e si poteva permettere certi gesti, noi siamo solo poveri preti comuni, da cui non si può pretendere il martirio. Ecco: se passa questa versione, la testimonianza di Puglisi resterà in una nicchia».

          Luca Kocci

giovedì 23 maggio 2013

Christine Reddet sul mensile franco-italiano di Parigi "La Voce"

« La Voce », Parigi, maggio 2013

C’est en aimant philosopher à Amandola, que nous aimons vivre mieux

 « C’est en l’aimant»,  la philosophie! à Amandola, que cette petite ville située au coeur des Monts Sibyllins, dans les Apennins, ouvrira ses portes pour la seconde édition du Filofest, Festival national de «la philosophie per strada» qui se tiendra du 30 août au 1er septembre 2013 à Amandola.
Entre l’Ombrie et les Marches, Amandola nous offre:
le royaume des Fées, la sibylle de Cumes qui accompagne Enée dans sa descente aux Enfers, la légende d’un preux chevalier qui délivre des pouvoirs magiques ceux qui ont succombé aux charmes mortifères de la sibylle. Divine, Amandola resplendit de mythes, de pensées mystiques où le profane et le religieux s’entremêlent. La sibylle du Mont vettore entretient et veille encore aujourd’hui sur le Mystère des grandes questions humaines à travers les rencontres entre philosophes et public de ce Festival 2013.

Le Filofest 2013 nous propose: la philosophie, comme Art de vivre
A travers le dialogue philosophique chacun de nous peut redécouvrir la philosophie comme une attitude mentale et un mode de vie. Une façon particulière d’acquérir les moyens que la philosophie nous offre, comme exercice critique entre raison et émotion. Comment donner un sens à notre vie? Des débats, qui peuvent embellir notre vie du point de vue existentiel et relationnel. Une attitude dans les entreprises, une amélioration dans le travail, un apprentissage vers une connaissance critique et non dogmatique de l’existence.
Cette manifestation est accessible à tous, réalisée par l’association Wega d’Amandola et la Fondation Cassa di Rispiarmo d’Ascoli Piceno. Présentation: par le Président Wega Domenico Baratto, le Professeur Augusto Cavadi fondateur de l’école de formation ethico-politique G. Falcone, à Palerme.
Au programme le Festival de Philosophie 2013 propose:  Ateliers  et Pratiques philosophiques, sur le thème:  ‘‘FRANCHIR LE PAS’’
 Pierpaolo Casarin accompagné de la cantatrice harpiste Roberta Pestalozza, Augusto Cavadi, Luigi Lombardi Vallauri, Roberto Mancini, Maria Luisa Martini, Neri Pollastri, Luisa Sesino, Mario Trombino, Duccio Demetrio. Rencontres, petits déjeuners et apéritifs philosophiques sont organisés dans les bars et restaurants de la ville. Philosopher en marchant parmi la nature sauvage et indomptée du Parc national des Monts Sibyllins est une expérience humaine digne du royaume des Fées.

Pour plus d’informations, consulter le site www.vacanzefilosofiche.altavista.org ou www.augustocavadi.com



                                                                          Christine Reddet






mercoledì 22 maggio 2013

E' MEGLIO IL PRETE
O IL CONSULENTE FILOSOFICO?


Esame di un falso dilemma
a partire dal volume di

Autori vari, Sofia e agape. 
Pratiche filosofiche e attività pastorali a confronto
Liguori, Napoli 2012.

Ne discutono due co-autori del libro: Augusto Cavadi e don Cosimo Scordato.

Libreria Paoline, Corso Vittorio Emanuele (di fronte alla Cattedrale), Palermo.

Lunedì 27 maggio (S. Agostino), ore 17,45

martedì 21 maggio 2013

Ciccio Sciotto su "Beato fra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo, teologia "

“Riforma”
SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI
RIFORMA: VIA SAN PIO V, 15 10125 TORINO 24 MAGGIO 2013 • ANNO XXI • NUMERO 20

Bibbia e attualità
Francesco Sciotto
La sera del 19 maggio 1993, di
fronte alla sua abitazione di
Brancaccio, popolare quartiere di
Palermo, veniva assassinato da
un gruppo di fuoco don Pino Puglisi. Tra
qualche giorno la Chiesa di Roma ricono-
scerà beato questo suo singolare presbite-
ro. Puglisi è stato forse l’ultima vittima
della più recente stagione stragista di Co-
sa Nostra, prima che una parte delle isti-
tuzioni della Repubblica cominciasse a
combattere la mafia, spinta dall’opinione
pubblica; altri sostengono, prima che una
diversa parte delle istituzioni decidesse di
avviare un processo di pacificazione con
Cosa Nostra, per accompagnarne svec-
chiamento e riconversione. Non ci occupe-
remo della cosa in queste poche righe, né
della stucchevole polemica se sia oppor-
tuno essere fatti santi, o della differenza
tra adorazione al santo e preghiera. Vo-
gliamo invece ricordare un altro episodio:
l'attentato di Ciaculli del giugno del 1963,
in cui persero la vita sette uomini delle
forze dell’ordine. Dopo l’attentato di Cia-
culli, la chiesa valdese di Palermo, guida-
ta dal pastore Pietro Valdo Panascia,
pubblicò il famoso manifesto intitolato
«non uccidere». In città vogliamo ricor-
dare entrambi gli anniversari. A luglio
con un’iniziativa sul manifesto di Pana-
scia, mentre martedì 21 maggio presen-
tiamo un bel libro su don Pino, per nulla
agiografico: «Beato fra i mafiosi. Don Pu-
glisi: storia, metodo, teologia».
Vorrei lasciarmi guidare da due spunti
offerti al lettore da Augusto Cavadi. Il pri-
mo: uno degli elementi di pericolosità di
Pino Puglisi e del suo agire in contatto e in
relazione con i suoi concittadini di allora
fu il non accontentarsi della sola riflessio-
ne. Egli seppe coniugare riflessione e azio-
ne sociale. Seppe, da insegnante, rappor-
tarsi con diverse anime della città e tra-
durre in gesti nonviolenti e profetici le sue
e le altrui idee contro la mafia. Il secondo:
non fu un uomo o un prete «normale».
Una persona mite sì, così viene descritto
da chi lo conobbe, ma non normale. Don
Puglisi non si adeguò al clima clientelare
che vigeva nella diocesi, e mai decise di
scendere a patti con chi voleva che il suo
quartiere restasse arretrato e disgregato,
per offrire manovalanza alle cosche. Subì
per questo scoraggiamento e stanchezza,
solitudine, fu costretto a esporsi, alla fine
fu ammazzato, ma non accettò mai quella
«normalità» che si traduce in acquiescen-
za e in fin dei conti in complicità.

lunedì 20 maggio 2013

Ci vediamo martedì 21 maggio alle 17,45 a Palermo?


Martedì 21 maggio  alle 17,45
presso il salone della Chiesa valdese
(via Spezio, alle spalle del teatro Politeama)
Francesco Palazzo, Augusto Cavadi e Rosaria Cascio
presenteranno il loro libro  dedicato a don Pino Puglisi
(che, tra qualche giorno, sarà proclamato beato e martire
 dalla Chiesa cattolica):


                      Beato tra i mafiosi. 
      Don Puglisi: storia, metodo, teologia,
                (Di Girolamo, Trapani 2013).
 
Introdurrà e modererà il pastore valdese Ciccio Sciotto.
Testimonianza del teologo cattolico  Giampiero Tre Re.


sabato 18 maggio 2013

Il pastore valdese e l'arcivescovo anticonformista


“Riforma”
15.5.2013

Il pastore, l’arcivescovo e le omelie fuori dal tempio

Il titolo della manifestazione era suggestivo (“Festival del vento”), gradevolissima la sede (una piazzetta del centro storico di Trapani, città linda e accogliente al confine fra due mari) e ghiotta la proposta pervenutami dal – sedicente – organizzatore: preparare degli incontri culturali al tramonto. D’accordo con Crispino Di Girolamo, l’editore della raccolta di commenti biblici, di vari autori, a cura di V. Gigante e L. Kocci (Fuoritempio. Omelie laiche, voll. I, II, III), ho pensato di dedicare la sera del 29 aprile ad una conversazione tra l’arcivescovo cattolico, Alessandro Plotti, e il pastore della chiesa valdese di Trapani, Alessandro Esposito. I due invitati si sono presentati all’appuntamento  puntualissimi, ma – a differenza delle sere precedenti – la piazzetta era del tutto sguarnita di sedie e tavolini: il gestore del bar faceva finta di cadere dalle nuvole, il responsabile dell’organizzazione risultava irreperibile.  In questa desolazione, ovviamente, il pubblico che si era radunato era davvero esiguo. Insomma: ce n’era abbastanza affinché i due ospiti, delusi e un po’ offesi, ritornassero alle proprie case. O alle proprie chiese.
La disponibilità generosa di entrambi  - il vescovo più che ottantenne e il giovane pastore – comì invece un piccolo miracolo: con delle sedie raccolte qua e là, senza neppure il supporto di un microfono, i due hanno iniziato a confrontarsi sul tema della lettura della Bibbia con una lucidità, una sincerità e non di rado un’ironia, che hanno conquistato i presenti e persino ritardatari e passanti occasionali. Un’operazione come quella proposta nei tre volumi, sulla base di commenti pubblicati negli anni dall’agenzia “Adista” a firma di personalità spesso esterne alle appartenenze confessionali tradizionali (Erri De Luca, Fausto Bertinotti, Giancarlo Caselli, Franco Barbero, Gianni Vattimo…), è legittima? Qualche chiesa può pretendere il monopolio dell’esegesi autentica? La fedeltà al Testo esclude o al contrario esige la creatività ermeneutica? Più in generale, la fede autentica può fare a meno dell’uso corretto della ragione? Queste e tante altre sono state le questioni affrontate che hanno registrato una convergenza di opinioni davvero sorprendente fra due interlocutori che non avevano mai avuto modo di incontrarsi. Non sono mancati i passaggi davvero significativi, come la risposta dell’arcivescovo Plotti alla domanda del moderatore dell’incontro sul voto che darebbe alla media delle omelie dei preti cattolici: “Sei meno meno, direi. Noi preti non siamo abituati, come i pastori protestanti, a curare a sufficienza la preparazione delle omelie. Nella migliore delle ipotesi, prepariamo dei compitini scritti da leggere dal pulpito, senza testimoniare una profonda assimilazione interiore della Parola”. Da parte sua, il pastore Esposito ha riconosciuto che la qualità della predicazione varia anche nelle diverse chiese protestanti e che molto dipende dal grado di maturità dei fedeli: essi per primi, infatti, devono stimolare il pastore e mostrarsi esigenti.
Alla fine, tra i commenti entusiasti (“E’ stato sinora l’incontro più interessante della serie” ) da parte dei presenti, alcuni dei quali membri della chiesa valdese di Marsala appositamente convenuti, Plotti e Esposito  - ormai passati dal “Lei” al “Tu” – si sono scambiati i contatti telefonici per darsi un nuovo appuntamento. Un’ora di conversazione, infatti, era stata sufficiente come aperitivo: ma aveva stimolato l’appetito, un desiderio di approfondimento che solo in altra sede  e con tempi più rilassati si potrà soddisfare.

       Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

mercoledì 15 maggio 2013

Ci vediamo in Piemonte da giovedì 16 a lunedì 20 maggio?

Care e cari amici (piemontesi, liguri o comunque visitatori del Salone internazionale del libro di Torino),

    vi trasmetto un elenco di appuntamenti a Torino e dintorni. Se per caso volete/potete partecipare a qualcuno, sarò felice di rivedervi. Se lo ritenete opportuno, invitate via internet i vostri contatti.

Giovedì 16 maggio, alle 14,00, presso la Scuola media statale "Filippo Brignone"   (via Einaudi, 38 , Pinerolo - To)
Danilo Chiabrando, Augusto Cavadi e Lilli Genco presenteranno, in contemporanea con il Salone internazionale del libro, tre testi dedicati a don Pino Puglisi (che, la settimana successiva, sarà proclamato beato e martire dalla Chiesa cattolica).
Introdurrà e modererà Teresa Saieva.
Parteciperà Francesco Incurato.
I tre testi sono:
a) per gli adulti: F. Palazzo - A. Cavadi - R. Cascio, Beato fra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo, teologia, Di Girolamo, Trapani 2013
b) per gli adolescenti (11 - 17 anni): A. Cavadi - L. Genco, Il mio parroco non è come gli altri. Docu-racconto su don Pino Puglisi, Di Girolamo, Trapani 2013
c) per i bambini (5 -9 anni): A. Cavadi - L. Genco, Don Pino Puglisi, illustrazioni di M. Mirani, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2013.



Venerdì 17 maggio, alle 17.30, presso il liceo salesiano Valsalice (viale Thovez 37, Torino)
Augusto Cavadi, Lilli Genco e don Silvano Oni presenteranno, in contemporanea con il Salone internazionale del libro, tre testi dedicati a don Pino Puglisi (che, la settimana successiva, sarà proclamato beato e martire dalla Chiesa cattolica).
Introdurrà e modererà Luca Borrione.
I tre testi sono:
a) per gli adulti: F. Palazzo - A. Cavadi - R. Cascio, Beato fra i mafiosi. Don Puglisi: storia, metodo, teologia, Di Girolamo, Trapani 2013
b) per gli adolescenti (11 - 17 anni): A. Cavadi - L. Genco, Il mio parroco non è come gli altri. Docu-racconto su don Pino Puglisi, Di Girolamo, Trapani 2013
c) per i bambini (5 -9 anni): A. Cavadi - L. Genco, Don Pino Puglisi, illustrazioni di M. Mirani, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2013.

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 Sabato 18 maggio, alle  11.45,  nel Salone del Libro ("Bookstock village") ,verranno presentati i due volumi per minori con un laboratorio aperto a bambini e ragazzi. Si tratta dei volumi Padre Pino Puglisi per bambini dai 5 agli 8 anni e  Il mio parroco non è come gli altri! Docu-racconto su don Pino Puglisi per ragazzi. Con gli autori, Augusto Cavadi e Lilli Genco, interverranno gli illustratori Carla Manea e Antonio Vincenti. Coordina la scrittrice per bambini Silvia Vecchini.

Lunedì  20 maggio, alle ore 14, nel Salone del Libro ("Agorà del padiglione 1"), verrà presentato Legalidi Augusto Cavadi. E' il primo volumetto della nuova Collana, edita da Di Girolamo in cooperazione con la Filca-Cisl nazionale, "Sindacalario": un vocabolario essenziale per il sindacalista di base. Insieme all'autore Giancarlo Caselli, Raffaele Bonanni, Domenico Pesenti, Antonello Montante, Salvatore Scelfo.









martedì 14 maggio 2013

Ma la legge non può valere solo per i più deboli

“Repubblica – Palermo”
14. 5. 2013

MA LA LEGGE NON PUO’ VALERE SOLO PER I PIU’ DEBOLI


Tra ordinanze del sindaco, iniziative spontanee di cittadini e mobilitazioni organizzate di ambulanti ormai la questione è sul tappeto: come coniugare leglità e diritto al lavoro, decoro cittadino e fame di disperati?
   Solo gli stupidi e i presuntuosi (categorie spesso sovrapposte) possono non nutrire dubbi e interrogativi. Più che risposte secche, dunque, si possono fissare alcuni criteri di giudizio. Cominciamo dal primo: una giunta progressista (come si è dichiarata la giunta  Orlando) non dev’essere permissiva per principio. Consentire il caos per evitare ogni azione repressiva significa regalare agli schieramenti conservatori e ai ceti privilegiati uno dei pochi argomenti validi di cui possano disporre. L’amministrazione ha il dovere di guardare al bene comune, provando a fare sintesi di esigenze diverse e talora opposte.  Una città ordinata, meno a-legale dell’attuale, è una città più vivibile per tutti i cittadini (non solo per i ricchi) e più accogliente per i turisti (con vantaggi non solo per gli imprenditori ma anche per i lavoratori più modesti). Quando ottocento operatori ecologici dell’Amia firmano il registro delle presenze e lasciano Palermo sommersa dai rifiuti, quanti posti di lavoro dei loro figli e nipoti mettono a rischio? Quanti nuovi posti di lavoro nel turismo e nell’indotto  impediscono che vengano creati? Qualche sindacalista dovrebbe spiegarglielo, evitando di recitare solo la parte del difensore ad oltranza . Questa prima considerazione va subito affiancata da una seconda: nella repressione delle illegalità va sempre rispettata la scala delle priorità. Non si può iniziare dalle piccole infrazioni solo perché compiute da gente inerme col rischio di arrivare tardi, o mai, ai pesci grossi. E’ illogico, oltre che immorale, mostrare i muscoli con gli immigrati africani e rimandare a data da destinarsi la lotta all’evasione delle imposte comunali, all’abusivismo edilizio, all’abbandono degli immobili da parte dei proprietari che trovano comunque inquilini disposti ad abitare palazzi storici fatiscenti, al far-west del traffico automobilistico fondato sulla ragionevole previsione dell’impunità. Quando si comincerà a far rispettare le norme a chi ha i soldi e le amicizie “giuste”, si potrà scendere giù sino ai marciapiedi e alle piazze. Ma – e qui ci soccorre un terzo criterio – anche a questo livello ‘basso’ va distinta trasgressione da trasgressione: l’odiosa richiesta di pizzo dei posteggiatori (e qui i nativi sono molto più minacciosi e intimidatori degli immigrati) non può essere considerata sullo stesso livello degli artisti di strada o dei  venditori su bancarelle improvvisate. Anche tra i ‘poveri’ ci sono differenze che devono condizionare la mano, necessaria, della legalità. Non si possono, ad esempio, mettere sullo stesso piano gli artigiani che vendono il frutto della fatica creativa con gli spacciatori di merce contraffatta che (con tutte le attenuanti morali del mondo) tengono oggettivamente  in vita commerci miliardari di portata planetaria, fuori dai quali è difficile supporre che si mantengano le organizzazioni criminali di stampo mafioso.
    Sappiamo bene che, quando non si hanno responsabilità di governo, è facile pontificare. Senza presunzione ideologica né semplificazioni sloganistiche è però necessario ricordacelo: “l'anima di Palermo è l'essere un luogo di incontro dei colori e dei suoni più  diversi, che si mescolano senza cancellare le loro differenze ,divenendo un insignificante grigio” (Annibale Raineri) .  Il “pensiero meridiano” è un po’ più complesso di certi schematismi leghisti: e sarebbe davvero grottesco che a Verona o a Brescia si trovassero, operativamente, delle soluzioni di convivenza più sagge che a Palermo o a Catania.  Vogliamo essere una città europea, certamente; ma questo non ci obbliga a copiare il peggio di certe chiusure inflessibili di cui danno prova non poche città  del nord europeo che difendono i propri privilegi (acquistati con violenza colonialista secolare)  senza il minimo ascolto deelle ragioni altrui; che non respingono fuori dai propri confini solo gli straneiri che si lascino “integrare”. Vogliamo essere una cttà europea, ma non solo per imaparare ciò che non sappiamo, bensì anche per insegnare a vedere la storia dal punto di vista degli sconfitti di ieri e degli sfruttati di oggi. I siciliani onesti hanno mille ragioni per affiancare, come fanno da anni molte associazioni, il cammino degli immigrati dalla clandestinità alla regolarizzazione: anche perché, dalle nostre parti, ogni volta che lo Stato mostra il pugno dimenticando di stendere l’altra mano in soccorso c’è sempre qualche organizzazione malavitosa che si fionda per confortare e arruolare nelle proprie file. Ora che, a quanto pare, le cosche hanno difficoltà a trovare manodopera nelle famiglie tradizionali, non è certo il caso di offrirgli braccia efficienti di famiglie importate.

Augusto Cavadi

lunedì 13 maggio 2013

Origeniano sarai tu...


“Centonove” 10.5.2013

ORIGENIANO SARAI TU …

       Don’t worry ! In latino, questo libro, ha solo il titolo (Ramusculus Origenis, che potrebbe rendersi con Arbustello di Origene): tutto il resto è in italiano, scorrevole e fruibile (comprese le  citazioni in nota da libri stranieri).  In questo imponente studio il teologo palermitano Giuseppe Caruso, apprezzato docente all’Istituto Patristico Agostiniano di Roma (che è anche l’editore del volume) , affronta una tematica specialistica, ma solo apparentemente lontana dall’attualità: quale concezione antropologica si è delineata nei primi secoli del cristianesimo? In particolare viene ripresa la polemica fra san Girolamo e i Pelagiani a proposito dell’eredità del pensiero di Origene: ognuno dei due contendenti rinfaccia all’altro di essere un “rametto”, appunto,  di Origene.  Per capire un po’ meglio la questione, bisogna ricordare che Origene era considerato un eretico e che dunque rimpallarsi l’accusa di essere origeniano equivaleva a scambiarsi, a vicenda,  l’accusa di essere eretico. Chi aveva ragione? Girolamo, lo studioso e traduttore della Bibbia, o i seguaci di Pelagio, il monaco celebre per le critiche al pessimismo di sant’Agostino, il ‘padre della Chiesa’ africano “inventore” della dottrina cattolica del “peccato originale”?
    Non è facile formulare una riposta univoca. Dall’esame della diatriba emerge, comunque, un’immagine di uomo contrassegnata dalla tradizione platonica, non senza influssi orfici e gnostici (dunque di una prospettiva dualistica che identifica l’io con l’anima immortale e tende a svalutare la corporeità, la sessualità, l’impegno mondano).
    Tutto ciò ha interesse meramente archeologico?  Così sarebbe se la concezione dell’essere umano elaborato dai Padri della Chiesa non avesse segnato, durevolmente, l’autointerpretazione dell’uomo occidentale sino ai nostri giorni. In positivo e in negativo, insomma, Greci e Medievali hanno condizionato  - e in parte continuano a condizionare – il nostro modo di rappresentarci: per de-condizionarci non abbiamo altra strada che acquistare consapevolezza di ciò che è stato pensato prima di noi e, in qualche misura, al nostro posto.


Augusto Cavadi


giovedì 9 maggio 2013

Ci vediamo in Emilia venerdì 10 e/o sabato 11 maggio 2013?

Care e cari,

   nell'ambito del "Festival dell'antimafia" sarò in Emilia per due appuntamenti.
    Ovviamente sarò felice di rivedere quanti di voi, nella zona, vorranno/potranno partecipare.

Venerdì 10 maggio alle ore 18,00
presso il Teatro Dadà di Castelfrancoemilia (Modena),
piazza Curiel 26,
parteciperò alla tavola rotonda su La devozione delle mafie.

Sabato 11 maggio alle ore 10,30,
presso la libreria spazioarte Carta|Bianca di Bazzano (Bologna),
via Borgo Romano 12,
presenterò Il Dio dei mafiosi (San Paolo, Milano 2009).

 

martedì 7 maggio 2013

In morte di Agnese Borsellino


“Repubblica – Palermo”
7 . 5 . 2012

LA LEZIONE CHE CI HA LASCIATO 

AGNESE BORSELLINO

 

  Dal 1860 siciliani indegni ricattano e uccidono, dalla stessa epoca siciliani di altra pasta resistono, combattono la mafia e spesso perdono la vita. La lista dei martiri civili è così lunga che è praticamente impossibile ricordarli tutti: il Centro siciliano di documentazione “G. Impastato” (che celebra in questi giorni i trentatrè anni dall’intitolazione) riempie ogni anno un’intera agenda di nomi, luoghi e date.
     Per ogni caduto nella lotta contro il sistema di dominio mafioso vi sono poi decine di vittime invisibili di cui nessuno parla: sono i congiunti più stretti, il cui dolore trova quiete solo con l’esalazione dell’ultimo respiro. E’ a queste persone che vorremmo rivolgere un pensiero solidale oggi, nella giornata in cui accompagniamo a riposare accanto a Paolo Borsellino la moglie Agnese. E’ alle madri, alle compagne, alle figlie di tanti eroi che vorremmo dedicare qualche frammento di memoria, affettuosamente grata: i loro uomini hanno dovuto affrontare la morte in pochi, tragici, attimi, ma esse l’hanno dovuta “scontare vivendo”. Se la sono dovuta “guadagnare” con una macerazione interiore quotidiana, implacabile, inimmaginabile da chiunque non l’abbia sperimentato nella propria carne.
    Se tutte meritano ammirazione e rispetto, ce ne sono alcune che lo meritano doppiamente: sono quelle donne che non si sono limitate a gestire il rimpianto e la rabbia, evitando di trasmettere ai figli desideri di vendetta tribale, ma che hanno canalizzato in positivo il tumulto dei sentimenti. Agnese Borsellino non è stata né la prima né l’ultima di queste donne: per questo, ricordando lei, ricordiamo inseparabilmente quella schiera numerosissima, e spesso ignorata, di donne che, in vario modo e con varie scelte, hanno consacrato il resto dell’esistenza a cercare verità e giustizia per i padri, per i mariti, per i fratelli, per i figli. Quelle donne che, in questi decenni, si sono costituite in coordinamento “Donne contro la mafia”; che hanno sostenuto moralmente e finanziariamente le congiunte di vittime di mafia costituetesi “parte civile” nei processi, anche e soprattutto quando si trattava di donne appartenenti a famiglie esse stesse mafiose; che hanno fondato riviste come “Mezzocielo” e tante altre benemerite associazioni operanti nel capoluogo di regione e nell’intera isola con lo scopo di mantenere alta  la tensione etica e politica, culturale e sociale, per un processo di liberazione delle donne e, attraverso le donne, dell’intero tessuto siciliano.
    Non tutti i cittadini – diciamolo con serena franchezza – sono disposti ad affiancare i parenti delle vittime di mafia in questo impegno costruttivo e ricostruttivo: può essere una scelta opinabile, ma va rispettata. Si può però chiedere che, a loro volta, questi “indifferenti” manifestino il medesimo rispetto per chi si impegna: che evitino, ad esempio, di tacciare di protagonismo e di carrierismo quelle persone  - soprattutto donne – che, pur evitando le luci della ribalta, non si sottraggono al dovere della denunzia civile e, se invitate, al servizio nelle istituzioni locali ed europee. Cercare un ipotetico punto di equidistaza fra lo Stato e la mafia è da miopi o da vigliacchi: che almeno non si infanghi l’immagine pubblica di chi non crede a simili equilibrismi. Agnese Borsellino, insieme ad altri familiari altrettanto fedeli alla testimonianza di Paolo, ha fatto di più: senza rinunziare al riserbo caratteriale, ha saputo spendere poche ma pesanti parole ogni volta che si è trattato non solo di prendere le distanze dai mafiosi e dai loro accoliti “grigi”, ma anche di richiamare pezzi autorevoli dello Stato democratico alle proprie responsabilità. Come ha scritto don Ciotti in un comunicato di queste ore, il modo migliore per colmare il vuoto che ci lascia una persona autentica e profonda come lei è di perseverare diuturnamente nella ricerca della verità con la sobria coerenza che ha arricchito la sua esistenza.

Augusto Cavadi

lunedì 6 maggio 2013

Ci vediamo mercoledì 8 maggio a Palermo?


Per i non-filosofi di mestiere, ma filosofi per passione, si avvicina una serata davvero ghiotta. Mercoledì 8 maggio alle ore 17,15, presso lo Spazio cultura della Libreria Macaione di Palermo (v. Marchese di Villabianca, 102), incontro pubblico sul tema: "Quale filosofia per i non-filosofi di professione?".
Augusto Cavadi e Maria D'Asaro discuteranno con l'autore il volume di Davide Miccione Ascetica da tavolo. Pensare dopo la svolta pratica, Prefazione di C. Vigna, Ipoc, Milano 2013.
Salvatore Fricano presenterà la nuova serie del periodico illustrato "Diogene magazine", diretto da Mario Trombino ed edito da Il Giardino dei pensieri, Bologna (www.diogenemagazine.it).

sabato 4 maggio 2013

Uno sguardo teologico sulla follia dei "sani"

E' in libreria il volume a più voci, curato da M. Geretto e A. Martin, Teologia della follia, Mimesis, Milano 2013, pp. 371, euro 28,00.
Alle pp. 267 - 279 il mio contributo dal titolo Uno sguardo teologico sulla follia dei "sani", di cui riprendo qui di seguito la struttura ed alcuni passaggi salienti. Buona lettura (del testo integrale) !


                      Uno sguardo teologico sulla follia dei ‘sani’

Chi psicanalizza i ‘normali’ ?
    La psicanalisi non si lascia ridurre ad una sola concezione, ad una sola scuola, ad una sola metodica: dunque le battute, più o meno divertenti, alla Karl Kraus (“La psicoanalisi è quella malattia di cui crede d’essere la terapia”), restano motti di spirito. Tuttavia chi ha studiato Freud, ne ha condiviso molte scoperte e l’ha amato come uno dei grandi benefattori dell’umanità,  ha il diritto di riflettere criticamente sulla psicoanalisi nel suo complesso senza necessariamente entrare nei dettagli delle controversie interne fra le diverse correnti. E’ quanto ha fatto negli anni Cinquanta del secolo scorso Erich Fromm con numerosi libri meritatamente rimasti ‘attuali’ (almeno agli occhi di chi sa apprezzare il valore intrinseco di uno scritto senza lasciarsi condizionare dalla giostra delle mode e senza inseguire le ultime novità come se già in quanto tali meritassero attenzione).
     In Psicanalisi della società contemporanea Erich Fromm sostiene, essenzialmente, questo: lo psicanalista aiuta il paziente a rientrare nella norma statistica, cioè ad abbandonare opinioni e comportamenti eccentrici per  comportarsi in maniera socialmente accettabile. Bene. Ma questa operazione presuppone che il deviante sia malato e i conformi siano sani; in altri termini, che la trasgressione sia patologica e il modo comune di vivere della società costituisca il metro della fisiologia. Questa presupposizione è legittima? Davvero la maggioranza statistica, in quanto maggioranza, può costituire la norma di comportamento della minoranza, solo perché minoranza?  Per rispondere bisognerebbe sottoporre a verifica la sanità mentale della stragrande maggioranza dei cittadini (occidentali): realizzare, insomma, una “psicanalisi della società contemporanea”. Infattti “come c’è una folie à deux, così c’è una folie à millions. Il fatto che milioni di persone condividano gli stessi vizi non fa di questi vizi delle virtù; il fatto che essi condividano tanti errori non fa di questi errori delle verità, e il fatto che milioni di persone condividano una stessa forma di malattia mentale non fa che questa gente sia sana”.
      Chi può assolvere questo compito? Chi può mettere in crisi l’idea che “la patologia possa esser definita soltanto nei termini di un mancato adattamento individuale al tipo di vita” dominante in una società e arrivare a ipotizzare una “patologia della normalità”?  (...).
   In questa continua verifica del confine fra sanità e follia la psicanalisi  - e più in generale le arti psicoterapeutiche e psichiatriche – non possono essere lasciate sole. Per individuare “criteri di giudizio universalmente accettati, validi per giudicare il genere umano come tale, e secondo i quali si possa giudicare la salute di una qualsiasi società” - insomma per pervenire a delineare i tratti essenziali di un “umanesimo normativo” che trascenda “le posizioni del relativismo sociologico,  tutte le altre discipline (a cominciare dalla filosofia) sono in diritto e in dovere di cooperare, senza escludere la voce dei poeti, dei registi cinematografici, dei più saggi fra i cittadini senza titoli scientifici ma con una lunga e meditata esperienza di vita.

Un apporto teologico?
    C’è anche spazio per il contributo della teologia? A prima vista si risponderebbe di no.  La presenza stessa dei teologi sul pianeta Terra non è forse, sin dai tempi di Erasmo da Rotterdam, una prova lampante della sovranità della Pazzia sulla storia dell’umanità? Le teologie che conosciamo – eccezion fatta per qualche teologia ‘negativa’ basata sulla convinzione che di Dio sappiamo ciò che non è piuttosto che   ciò che è -   non sono forse perfette manifestazioni di delirio psichiatrico e, a loro volta, concausa di deliri patologici? In genere è proprio così. Ma non sempre né necessariamente.  Proverò a correre il rischio di essere annoverato fra i casi di follia più gravi  - i casi in cui il malato di mente non sospetta minimamente di esserlo e ritiene che invece tutto il resto del mondo lo sia – accennando ad alcuni apporti che la teologia (un certo modo documentato e sobrio, radicato nella tradizione ma creativo, di far teologia) potrebbe apportare a una psicanalisi della società contemporanea. (...)  
Dalla diagnosi alle (possibili) terapie
    Ad uno sguardo complessivo sull’Occidente post-bellico, già nel 1950 Erich Fromm aveva formulato una diagnosi di massima: “Abbiamo creato cose meravigliose, ma non siamo riusciti a fare dell’uomo una creatura degna di possederle. La nostra vita non si svolge sotto il segno della fraternità, della pace spirituale, anzi è un vero e proprio caos dello spirito, uno stato di smarrimento troppo simile a una forma di pazzia: non la pazzia isterica del medioevo, ma piuttosto una specie di schizofrenia, in cui il contatto  con la realtà intima va perduto, e si verifica una frattura tra i pensieri e gli affetti”.
     Alcuni anni dopo Fromm riprende e articola più dettagliatamente la diagnosi e nel 1955  si chiede quali siano i principali effetti psicologici della follia lucida e sistemica dell’uomo contemporaneo “alienato dai suoi simili e dalla natura” e, perciò, da “una vita che abbia un significato”. Sinteticamente:
a)          “l’uomo regredisce ad un orientamento recettivo e mercantile e cessa di esser produttivo”;
b)         “perde il senso dell’io e diventa dipendente dall’approvazione degli altri” (sforzandosi di essere conformista senza liberarsi, per altro, dell’insicurezza);
c)          “insoddisfatto, annoiato e ansioso”, “impiega la maggior parte delle sue energie nel tentativo di compensare, o meglio di nascondere, questa ansietà”;
d)         “la sua intelligenza è eccellente, la sua ragione peggiora”;
e)          grazie ai suoi crescenti “poteri tecnici”, mette “seriamente in pericolo l’esistenza della civiltà e persino del genere umano”.
   Sulla base di questa diagnosi, Fromm indica delle possibili “vie della salute”. Egli lo fa in chiave filosofica e socio-psicologica, ma le sue indicazioni possono essere rafforzate, integrate, da un punto di vista di teologia ‘laica’. Vediamo come.
1.    Per un’antropologia moderatamente ottimista
    Una prima indicazione la potremmo definire di carattere antropologico. Una società basata sulla convinzione che l’essere umano sia radicalmente perverso, incapace geneticamente di aspirare “alla salute mentale, alla felicità, all’armonia, all’amore, alla produttività”, è una società condannata a restare nell’alienazione.
    Già qui la teologia ha le sue colpe e i suoi compiti da assolvere. Tra le colpe più gravi la teologia cristiana ha la lettura agostiniana dei passi paolini sul peccato di Adamo: in parole povere, l’invenzione del “peccato originale” (di cui la Bibbia non sa nulla e sul quale, invece, si è impiantata la catechesi e l’omiletica per almeno quindici secoli di cristianesimo, dal V secolo a oggi). Tra i compiti in positivo della teologia l’affermazione, in antitesi all’Original Sinn, dell’Original Blessing: in antitesi al ‘peccato originale’, della ‘benedizione originale’. (...) 
2.    Per un personalismo fraterno
    Una seconda indicazione è di carattere etico-sociale: una società “equilibrata”, che goda di “salute mentale”, è “innanzitutto una società in cui nessun uomo sia un mezzo per i fini di un altro, ma sia sempre e senza eccezione un fine in se stesso; dunque, dove nessuno sia usato, e neppure usi se stsesso per fini che non siano quelli dello sviluppo dei poteri umani; dove l’uomo sia il centro e dove tutte le attività economiche e politiche siano subordinate al fine del suo sviluppo”. Ad una meditazione attenta, questo secondo punto si rivela legato strettamente al precedente: se il ‘peccato’ mi capita addosso come una meteora, non posso far altro che subirlo e portarne con rassegnazione le conseguenze nella mia carne. Ma se l’uomo nasce all’interno di un cosmo essenzialmente positivo, in evoluzione creatrice (come amava esprimersi Henry Bergson), il ‘peccato’ è una scelta libera dell’essere umano che opta per sé contro gli altri, che rifiuta come Caino di farsi ‘custode’ del proprio fratello Abele, che in preda all’invidia e alla gelosia  - più o meno fondate – arriva a farsi carnefice dei propri simili…E se il ‘peccato’ è frutto di scelte umane errate, altre scelte umane (personali e collettive, informali o progettate, occasionali o sistemiche) possono capovolgerlo in rispetto e cura dell’altro, in ‘salvezza’. (...)
     3. Per una teologia del lavoro
         Una terza indicazione è di carattere etico-esistenziale: “una società equilibrata promuove l’attività produttiva di ognuno nel suo lavoro, stimola lo sviluppo della ragione e rende l’uomo capace di dare espressione ai suoi intimi bisogni nell’arte e nei rituali collettivi”.  Le parole non sono, neppure qui, gettate a caso. E sono soprattutto quattro: lavoro, ragione, arte, rituali.
      Sul  ‘lavoro’  la teologia può recuperare la memoria della tradizione monacale benedettina che ha sapientemente trovato la via media fra la demonizzazione aristocratica della fatica produttiva e la sua idolatria capitalistica. (...)
       4. Per una teologia della ragione
‘Ragione’, nel vocabolario di Fromm, si oppone a – o per lo meno si distingue da – ‘intelligenza’: questa, infatti, è agilità nell’ambito dei mezzi, quella penetrazione nell’ambito dei fini ultimi. La teologia, ondeggiante nei secoli fra razionalismo prometeico e scetticismo anti-intellettualistico, potrebbe contribuire ad una retta valutazione del ‘logos’ umano: che non è il Logos divino, ma che pure ne riflette e ne riproduce analogicamente la luce. (...)
          5.  Per una teologia della poesia
   Ma l’essere umano non vive di solo pane né di solo pensiero: egli/ella è anche sentimento, fantasia, fabbricazione di simboli, poesia. Chi può dei teologi ha contribuito a mortificare questa dimensione utopica, sognatrice, dell’esistenza terrena? E chi, più dei teologi dovrebbe invece custodirla e alimentarla dal momento che una fonte primaria (anche se non esclusiva) della teologia è quella ”foresta di simboli” che chiamiamo Bibbia? (...)
          6. Per una teologia della religione
   Pane, pensiero, poesia: ma anche legami affettivi. Il campo specifico dei “rituali collettivi” non è forse la religione? E, come riflessione critica sulla religione, la teologia ha il compito di segnalarne con severità i rischi quanto di salvaguardarne le potenzialità sociali. Per secoli abbiamo identificato ‘fede’ e ‘religione’: provvidenzialmente la teologia del Novecento, a partire da alcuni giganti del mondo protestante come Barth e Bonhoeffer, ci ha insegnato a distinguerle. La fede è infatti un atteggiamento interiore, anzi intimo, di apertura al Mistero che ci precede, ci avvolge e ci attende; laddove la religione è la costruzione umana (“troppo umana”) degli edifici materiali e concettuali mediante i quali la nostra fede personale trova modo di esprimersi visibilmente e di collegarsi (‘re-ligarsi’) ai gruppi sociali circostanti. (...)
Per concludere (del tutto provvisoriamente)
    La teologia (cristiana) riflette sulla Bibbia, sulla Tradizione ormai bimillenaria delle chiese, sugli apporti e sulle obiezioni che le provengono dalle altre religioni, dalle filosofia e di tutte le scienze: la sua metodologia e i suoi risultati non dipendono dal grado di fiducia soggettiva che ogni teologo nutre verso le sue fonti. Similmente, un lettore può recepire le indicazioni teologiche sia se condivide una qualche forma di venerazione per la ‘sacralità’ delle fonti teologiche sia se le considera esclusivamente come testi autorevoli ed eloquenti della ricerca umana. Per i credenti in senso confessionale come per gli spiriti in ricerca (...) Bibbia e Tradizione ecclesiale ci propongono comunque una “antropologia”  altra rispetto alla cultura disincantata e secolarizzarata dell’Occidente. Alla luce di questa prospettiva che ci interpella, sia pure a livello di ipotesi,  da ‘altrove’, possiamo gettare uno sguardo diverso sulla nostra concretezza storica e sui nostri assetti sociali. Uno sguardo che discerne il valido da ciò che è meno valido o, addirittura, dannoso. E uno sguardo che potrebbe indirizzare verso traguardi di liberazione la fatica dei nostri piedi e l’energia trasformatrice delle nostre mani.

Augusto Cavadi