sabato 24 agosto 2013

Il Secondo festival nazionale della filosofia di strada (Amandola, 30 agosto - 1 set. 2013) su www.palermomania.it

‘FILOFEST’ 2013, IL FESTIVAL DELLA FILOSOFIA DI STRADA

di Palermomania.it | Articolo inserito il: 23/08/2013 - 07:45
Nei giorni 30 e 31 ed il 1° settembre prossimi si svolgerà ad Amandola e Smerillo (Fermo), nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, la seconda edizione del FILOFEST 2013 - Festival della Filosofia di Strada, evento organizzato dall’Associazione Wega, insieme alla Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno. La filosofia portata nei luoghi della quotidianità: piazze, bar, agriturismi, hotel, auditorium ed in mezzo alla natura. Colazioni filosofiche, filosofia per bambini, aperitivi filosofici, passeggiate meditative e molto altro. La filosofia che si spoglia del cliché di squisita attività intellettuale accessibile a pochi, chiusa negli studi e nelle biblioteche degli accademici, per vivere una nuova esistenza in mezzo alla gente comune, nei luoghi della quotidianità, entrando nei momenti e nelle abitudini usuali delle persone, diventando stimolante compagna di viaggio nella vita di ognuno. Una decina di illustri filosofi da tutta Italia saranno presenti alla seconda edizione del Festival della Filosofia di Strada, ovvero per “non filosofi”. La manifestazione vuole avvicinare la filosofia a tutti, con un linguaggio accessibile, favorendo la partecipazione, il coinvolgimento, lo scambio tra i partecipanti ed i filosofi. La filosofia che va incontro al cittadino comune, per proporre un cammino insieme di riscoperta e approfondimento dei significati dell’esistenza. Tema conduttore “Osare il Varco”. Quest’ultimo inteso nell’accezione più ampia di simboli e significati, come fase delicata, terra di mezzo, verso il cambiamento e la trasformazione spirituale, interiore, culturale, ideologica, comportamentale, che chiude una fase di vita e ne apre una nuova, inesplorata. Attraverso il dialogo con i filosofi si vuole contribuire a riscoprire la filosofia come atteggiamento mentale e stile di vita praticabile da ogni essere umano. Direttore scientifico il prof. Augusto Cavadi, filosofo e fondatore della scuola di formazione socio-politica “G. Falcone” di Palermo.
L’edizione 2013 di FILOFEST annovera, tra gli altri, il prof. Gaspare Mura, docente emerito di filosofia ed ermeneutica nelle Pontificie Università Urbaniana e Lateranense di Roma; il prof. Luigi Lombardi Vallauri, ordinario di Filosofia del Diritto all’Università di Firenze; il prof. Duccio Demetrio, docente di filosofia dell’educazione nell’Università La Bicocca, Milano; il prof. Roberto Mancini ordinario di filosofia teoretica nell’Università di Macerata; il Professor Neri Pollastri, docente di teoria e prassi della consulenza filosofica nell’Università Cà Foscari di Venezia, cofondatore di Phronesis - Associazione Italiana per la consulenza filosofica;
Il direttore del Festival Augusto Cavadi e il filosofo Cesare Catà presenteranno FILOFEST 2013, giovedì 29 agosto, alle ore 21, a Fermo, nella Sala dei Ritratti, in Piazza del Popolo, che ospita nel periodo estivo, dal pomeriggio, il tradizionale mercatino del giovedì dell’antiquariato e dell’artigianato.
Palermomania.it - Testata Giornalistica registrata al Tribunale di Palermo n° 15 Del 27/04/2011

venerdì 23 agosto 2013

Ancora uno sforzo, caro sindaco di Messina!

Su un confronto fra "Addiopizzo" e il sindaco Accorniti a proposito di presenze 'equivoche" alla festa religiosa più importante di Messina (la "Vara" della Madonna):

http://www.professionistiliberi.org/?cmd=press&pressid=369#.Uhab31r-Ulk.facebook

domenica 18 agosto 2013

Buona settimana!

Quando sono un po' attanagliato da preoccupazioni personali, da amarezze che stanno vivendo persone a me care, dalla tristezza della fase politica italiana e mondiale, cerco rifugio nella distanza ironica dalla quotidinità.
Tre storielle incontrate nella rubrica "Se sei giù sorridici su", curata da Gualtiero Donesana sul periodico "Famiglia in dialogo", mi hanno aiutato. Che possano aiutare anche qualcuno di voi?

* Saggia decisione. Ho deciso di seguire una dieta equilibrata e ho cominciato conun gelato nella mano destra e uno nella sinistra.

* Indigenza. Quando ero piccolo, eravamo una famiglia incredibilmente povera. Mia madre cucinava sempre con il dado. Si mangiava solo se usciva il 6 .

* Inconvenienti. Di cognome faceva "Guasto". Mai nessuno gli citofonava.

sabato 17 agosto 2013

Il liceo acchiappavoti pagato dai contribuenti


“Repubblica – Palermo”
17.7.2013


IL LICEO ACCHIAPPAVOTI PAGATO DAI CONTRIBUENTI

         Con la chiusura delle amministrazioni provinciali entrano in bilico delle istituzioni a esse collegate. Per esempio, nella provincia di Palermo,  le sei sedi del Liceo linguistico: cinque (tra Palermo, Cefalù e Terrasini) passeranno sotto la giurisdizione dello Stato – come per altro tutte le scuole italiane – mentre una sesta, ad Alimena, pare destinata a scomparire. Cento docenti precari sono dunque a rischio di disoccupazione e ciò non può rallegrare nessuno. Ma, per un giudizio più oggettivo, bisognerebbe contestualizzare i dati: si potrebbe arrivare alla conclusione che, riciclati in qualche maniera i precari attuali, la dismissione degli istituti scolastici dipendenti dalla Provincia sia un passo avanti verso la legalità democratica.
    Nel 1973, infatti, l’amministrazione provinciale (saldamente in mano agli andreottiani) bandì un concorso per esami e titoli allo scopo di selezionare gli insegnanti del neonato Liceo linguistico. Centinaia di laureati, non tutti giovanissimi, spesero tempo e soldi per i documenti necessari a corredare la domanda di partecipazione al concorso pubblico, ma quindici giorni prima della data fissata furono raggiunti a casa da un lapidario telegramma: “Data degli esami rimandata. Seguirà avviso col  nuovo calendario”.  Poiché dopo molti mesi questo avviso non arrivava, il quotidiano della sera palermitano uscì con un titolo in prima pagina (cito a memoria): “L’imbroglio del Liceo linguistico: assunti gli insegnanti per chiamata diretta”. Dal giorno dopo, però, lo stesso “L’Ora” silenziò lo scandalo. Alcuni candidati allora si rivolsero  - ci rivolgemmo – alla magistratura, ma uno dei vertici del Palazzo di giustizia ci spiegò in via amichevole che “non era possibile avviare delle indagini perché sarebbe esploso un terremoto politico”. Infatti gli andreottiani avevano seguito il saggio criterio di Salvo Lima (“Quando la pentola bolle, deve bollire per tutti”) e, con in mano il “Manuale Cencelli”, aveva distribuito le cattedre rispettando puntualmente la scala dei risultati elettorali (dal PCI al MSI, senza dimenticare nessuno).
      Dopo alcuni anni di questo regime di  prorogatio indefinita, qualche docente in servizio chiese pubblicamente – per ragioni deontologiche -  che si regolarizzassero le assunzioni mediante il concorso invano promesso: inutile dire che colleghi precari e sindacati di ogni colore insorssero verso il docente troppo scrupoloso: o era folle o aveva in mente chi sa quali piani diabolicamente eversivi…Che uno volesse occupare un posto di lavoro non per raccomandazione, ma per merito, veniva considerato (veniva ?)  un evidente segno di inaffidabilità pedagogica: cosa avrebbe potuto insegnare ai suoi alunni un tipaccio del genere?
      Ma  - qui il  nodo della questione – perché la Provincia ha potuto gestire in maniera clientelare  (oggettivamente clientelare, il che non implica nessun giudizio sulla professionalità dei singoli insegnanti) , per ben cinquant’anni, una rete di scuole? Perché esse hanno costituito un monstrum giuridico: istituti privati finanziati da soldi pubblici. In quanto interni al regime privatistico, non sono stati obbligati a seguire nessuna graduatoria (né per i bidelli né per il personale amministrativo né per i docenti né per i presidi), esattamente come qualsiasi altra scuola privata (religiosa o aconfessionale). Ma, dal momento che nessun assessore o consigliere provinciale investiva denaro di tasca sua, tutte le spese  - comprese quelle per gli stipendi, comparativamente più elevati rispetto agli omologhi statali, e per molti viaggi d’istruzione degli alunni – sono state a carico del patrimonio pubblico. Insomma, al solito: guadagni dei privati (in questo caso in termini di consenso elettorale) e perdite (finanziarie) da parte della collettività. Forse mi sbaglio (e sarei contento che qualcuno mi correggesse con argomenti convincenti), ma la notizia che la Provincia di Palermo (come, per altro, altri enti locali in tutto il Paese) smetta la carriera troppo comoda di imprenditore di cultura   - sulle spalle di ignari contribuenti – non mi sembra tra le più dolorose di questo periodo.

Augusto Cavadi

venerdì 9 agosto 2013

Gay e registro civile: se il cardinale bacchetta il sindaco


“Centonove” 9.8.2013

GAY: SE IL CARDINALE ROMEO BACCHETTA IL SINDACO ORLANDO



     In occasione della celebrazione eucaristica in Municipio il cardinale Romeo ha bacchettato la giunta Orlando su due questioni: l’ospitalità del Gay Pride e l’attivazione del registro delle coppie di fatto. Il messsaggio, ridotto all’osso, è chiaro: la Chiesa cattolica è contraria a ogni forma di unione stabile che non sia eterosessuale e sancita da un sacramento. Ma, oltre ad essere un messaggio chiaro, è anche vero (nel senso di corrispondente alla realtà)? Se per Chiesa intendiamo – riduttivamente - il papa e i quattromila vescovi del mondo, possiamo rispondere grosso modo affermativamente (dico grosso modo perché conosco almeno una decina di vescovi italiani che, nelle conversazioni private, mi comunicano una visione delle due questioni molto problematica e articolata). Ma se per Chiesa intendiamo, come insegna la dottrina ufficiale della Chiesa stessa, anche le centinaia di migliaia di preti e le centinaia di milioni di fedeli impegnati nell’insegnamento teologico, nell’apostolato, nella catechesi…allora la risposta è decisamente negativa. Il “popolo di Dio” non condivide, nel suo complesso, le posizioni rigide (che non significa rigorose) della sua gerarchia: come ha spiegato da anni il filosofo cattolico Pietro Prini, la Chiesa cattolica vive negli ultimi cinquant’anni uno “scisma sommerso”, una separazione netta fra ciò che dicono i suoi esponenti ufficiali e ciò che credono e vivono i suoi membri effettivi. Tale schizofrenia pone più di un interrogativo: infatti, secondo le più antiche convinzioni teologiche, una verità diventa ecclesiale quando non solo è proclamata dal Magistero ma anche recepita dalla maggioranza dei fedeli, custodi appunto del sensus fidei. Nelle questioni toccate dall’arcivescovo di Palermo è proprio questo consenso della base a difettare fortemente.
  Una riprova la si è avuta nel corso del Gay Pride: una iniziativa su Bibbia e omosessualità, promossa dall’associazione di omosessuali credenti “Ali d’Aquila”,  ha riempito tutti i posti disponibili dell’Istituto Gramsci e non solo il pastore valdese, ma anche gli altri tre relatori (preti cattolici) hanno spiegato l’infondatezza biblica e teologica dell’atteggiamento omofobico della Chiesa cattolica ‘docente’.
Tutti e quattro hanno confessato che la loro posizione in materia è mutata quando dalle nozioni libresche sono passati all’esperienza pastorale diretta. La strada è stata la loro maestra di teologia.  Ma il cardinale Romeo ha mai parlato a tu per tu con omosessuali dichiarati (di omosessuali clandestini, talora incapaci di ammettere persino a sé stessi le proprie inclinazioni, ne ha certamente conosciuto centinaia)? Si è mai fatto interrogare dai loro volti? Ha mai ascoltato le loro storie personali?
    Interrogativi simili emergono a proposito della condanna della registrazione anagrafica delle “coppie di fatto” che solo in parte sono coppie di persone che hanno accettato di vivere l’amore omoaffettivamente: molte sono coppie eterosessuali o addirittura di persone amiche che non vivono nessuna relazione sessuale. Ammettiamo – per comodità dialettica - che, in questi casi, non si possa ipotizzare un matrimonio (né civile né tanto meno sacramentale): ebbene, perché mai il riconoscimento di un rapporto para-matrimoniale sarebbe una minaccia per il rapporto tipicamente matrimoniale? Se ci sono richieste di avvicinarsi a un modello originario, queste stesse richieste non sono oggettivamente un riconoscimento di tale modello? Nessuno si sogna di copiare un’idea se la ritiene sballata; anzi, proprio le copie che tentano di riprodurre un originale ne sottolineano il valore intrinseco. Il matrimonio cristiano  è diventato un sacramento solo dopo i primi mille anni di cristianesimo: ammesso, e non concesso, che lo si voglia considerare il massimo della perfezione istituzionale, perché scoraggiare quanti chiedono di imitarne alcune prerogative?
      Forse lo spirito evangelico suggerirebbe di sostituire  - al rimprovero e alla condanna - la proposta, in positivo, dei pregi di un vincolo matrimoniale esclusivo e indissolubile: non per paura della legge, ma come effetto miracoloso dell’amore umano e (per chi ci crede) della grazia divina. Pare che il papa Francesco stia privilegiando questo stile dell’annunzio profetico disarmato: evidentemente anche da questo punto di vista Palermo dista mille chilometri da Roma.

Augusto Cavadi

martedì 6 agosto 2013

QUELLO CHE I BUROCRATI SICILIANI DOVREBBERO INSEGNARE AI COLLEGHI LIBICI


“Repubblica – Palermo”
6.8.2013

QUELLO CHE I BUROCRATI NON POSSONO INSEGNARE

     Ho dovuto rileggere due volte la notizia per essere sicuro di aver capito bene. Il ministro italiano della Pubblica Amministrazione  ha firmato con il ministro libico del Lavoro un protocollo d’intesatremila funzionari nordafricani verranno in Sicilia per apprendere, da funzionari regionali nostrani, come rendere efficiente la macchina amministrativa, sviluppare le attività economiche, gestire il servizio idrico, incrementare il turismo e valorizzare i beni culturali. So bene che si è sempre il Nord di qualcun altro; so bene che non si può fare di tutte le erbe un fascio livellando, nelle stesse barzellette, funzionari regionali competenti solo in disonestà con omologhi (come Giovanni Bonsignore e Filippo Basile) che hanno dato la vita per difendere il legale funzionamento delle istituzioni. Ma c’è un limite oltre il quale si rischia davvero il ridicolo.
    Nella stessa giornata in cui viene reso noto il protocollo italo-libico  “Costruire la democrazia”, i  quotidiani riportano notizie non esattamente incoraggianti. Efficienza della macchina amministrativa siciliana? Le imprese fornitrici di beni e servizi sono in credito per centinaia di milioni e rischiano, in caso di perdurante insolvenza da parte della Regione, la bancarotta.
      Sviluppare le attività economiche? La Corte dei conti  ha scoperto che la Sicilia è di gran lunga, tra le regioni meridionali, la maggiore responsabile di truffe a danno dell’erario comunitario. Si potrebbe obiettare che i truffaldini sono in primo luogo produttori agricoli: ma avrebbero consumato i loro imbrogli senza la complicità, almeno omissiva, degli organi regionali di controllo amministrativo?
       Gestire il servizio idrico? Ma non siamo in un’isola che, tuttora, ignora l’esito di un referendum nazionale contro la privatizzazione delle acque?
       Incrementare il turismo? La Sicilia, al primo posto sulla carta per bellezze naturali e artistiche, di fatto viene evitata dai turisti di tutto il mondo (a favore di Spagna e Grecia soprattutto) per l’arbitrarietà dei prezzi di alberghi, ristoranti e taxi, per la difficoltà dei traspèorti pubblici  nonché per la scarsa professionalità degli addetti a tali servizi. Mentre paghiamo migliaia di concittadini perché  restino a casa ad annoiarsi o nelle bettole di quartiere a bighellonare, a meno che non siano occupati a delinquere, la pulizia di chilometri di coste e di spiagge dipende dall’iniziativa spontanea di sparuti gruppi di volontari che soffrono troppo nell’assistere allo scempio operato da bagnanti impuniti per principio.  Ma anche senza l’apporto dei maleducati, i sistemi fognari e gli impianti depurativi funzionano tanto male da provocare la condanna della Sicilia, da parte della Corte di Giustizia europea,  per l’inquinamento delle acque territoriali (per i dettagli vedi l’intervento di Aurelio Angelini su “Repubblica” di martedì 30 luglio) .
     Parlare della custodia dei beni culturali, negli stessi giorni in cui si contano i danni provocati dall’affidamento – da parte della Regione – della gestione dei medesimi a società private, equivarrebbe a infilzare  con una forchetta un pollo ben rosolato allo spiedo. 
       Resta una duplice curiosità: i dirigenti regionali daranno anche preziosi consigli su enti a cui affidare la formazione professionale dei giovani disoccupati e su aziende di pubblicità cui affidare l’immagine internazionale della Libia?
     Certo i funzionari amministrativi non potrebbero fare, o evitare di fare, tanto senza la complicità della classe politica: ma sappiamo che, sin dalla istituzione dell’ente regionale, i canali di scambio fra burocrati e “onorevoli” (come si chiamano, abusivamente, dalle nostre parti i consiglieri regionali) hanno funzionato nei due sensi, con commistioni familiari e di consorterie non sempre estranee al mondo della criminalità organizzata. La riprova, sotto i nostri occhi, è data dalle titaniche resistenze che stanno incontrando, dentro e fuori i palazzi della Regione, a netto di dichiarazioni ad effetto, Crocetta e alcuni dei suoi migliori assessori per il ripristino di regole così ovvie che non ci sarebbe nemmeno motivo di discuterne.
       In conclusione: a meno che non sia ispirata dal principio pedagogico del modello in negativo (“Osservare bene e comportarsi al contrario”), la cooperazione formativa siglata dal  ministro Giampiero D’Alia e dal suo collega libico Muhammed Elfituri Ahmed Swelem ha tutti i presupposti per risolversi in una mera operazione d’immagine, se non di ulteriore spreco di denaro pubblico (italiano), soprattutto se si agganceranno nuove schiere di consulenti per farsi aiutare nella…consulenza. Se, invece, servisse come frustata al senso deontologico dei nostri funzionari regionali, provocandone un salutare colpo di reni, sarebbe uno di quei miracoli di cui abbiamo bisogno per non affondare definitivamente.

Augusto Cavadi

domenica 4 agosto 2013

"Presidi da bocciare?" sul giornale on-line "Cento passi"

Ringrazio Gilda Sciortino, coordinatrice del peridodico on-line "Cento passi", di aver ospitato questa nota-recensione di Alberto G. Biuso sul volume "Presidi da bocciare?", Di Girolamo, Trapani 2012.
Si può linkare  http://100passi.globalist.it/Secure/Detail_News_Display? ID=82935&typeb=00
oppure leggere qui di seguito:



Augusto Cavadi
PRESIDI DA BOCCIARE?
Di Girolamo Editore, Trapani 2012
«di santa ragione»
Pagine 131
€ 12,50


Ci vorrebbe davvero «la creatività letteraria dei grandi romanzieri europei» (A. Cavadi, p. 9) per raccontare l’inverosimile, il grottesco, il drammatico, il perverso e il banalmente malvagio comportamento di gran parte dei presidi delle scuole italiane. Questo libro tenta l’impresa. E, nella varietà delle sue voci, ci riesce. Parlano anche due dirigenti scolastici. Uno raccontando della dura vita da preside in un quartiere degradato di Palermo. L’altro tentando una difesa in verità piuttosto debole, che tende a presentare i “Dirigenti Scolastici” come vittime di «un sistema imperniato su di un plebeismo pseudo-democratico, che tendenzialmente rifiuta una qualunque gerarchia anche solamente di tipo organizzatorio» (G. Cavadi, 45), quando invece i presidi sono stati investiti di una qualifica dirigenziale e “autonomistica” che ha fatto perdere loro la testa nei deliri di onnipotenza che gli altri contributi presenti in questo volume testimoniano ampiamente.
Riassumere la patologia comportamentale di questi soggetti non è possibile, tanti e tali sono i casi raccontati. Augusto Cavadi tenta comunque una tipologia che alle grandi partizioni dei Presidi Don Chisciotte, Don Abbondio e Don Rodrigo affianca gli esemplari “atipici” di Don Giovanni, Epulone, Georgico, Velista, Censore, Indaffarato, Protettore, Cleante. Ai quali va aggiunta la “genia a parte” dei vicepresidi. Se, infatti, i dirigenti sono capaci delle più insensate e scorrette decisioni è perché trovano sempre docenti pronti a sostenerli per le ragioni più diverse, nessuna delle quali è encomiabile. «Colleghi solidali nei corridoi e impietriti nei collegi» (A. Cavadi, 25), docenti incapaci o sprezzanti persino nel tenere in ordine un documento ufficiale come il registro personale, insegnanti i quali bramano la «miserabile benevolenza» che i presidi concedono «non ai docenti migliori e più qualificati, che appaiono sempre troppo autonomi e pericolosi, in quanto non controllabili, ma a chi sostiene l’aspirante despota nel proprio ruolo, mostrando deferente sottomissione» (Generali, 101).
Questi docenti e questi presidi condividono abissi di ignoranza e per questo anche di malaffare: c’è chi non  partecipa alle attività culturali della scuola perché deve curare l’orto; chi ha in orrore l’apprendimento della politica e della filosofia in quanto corromperebbero le menti dei giovani; chi pur condannato al carcere per truffa aggravata ai danni dello Stato continua imperterrito a occupare il proprio posto con la passiva complicità del Ministero, poiché è un membro importante della massoneria e «Commendatore del Sovrano Ordine Imperiale Bizantino di san Costantino il Grande» (Mazzeo, 128).
Proprio perché «una scuola malata è sintomo e concausa dell’agonia di una società» (A. Cavadi, 42), non si può affermare che «nell’Italia del tempo presente» un dirigente scolastico efficiente ed onesto «si guadagnerà solo post mortem una causa di beatificazione» (G. Cavadi, 63). Nessuno, infatti, obbliga questi soggetti a concorrere per un posto di preside. Piuttosto, esiste una proposta positiva, costruttiva e praticabile: separare le funzioni amministrative e manageriali da quelle didattiche, affidando le prime al Direttore dei Servizi Generali ed Amministrativi -che è già presente in  ogni scuola- e le seconde a docenti di provata preparazione culturale e sensibilità umana, eletti -in mancanza di meglio- dai loro colleghi. Sarebbe un passo in avanti verso la condizione auspicata da Dario Generali: una scuola «caratterizzata dalla centralità culturale», nella quale dirigenti e «insegnanti dovrebbero essere degli intellettuali» e «non dei burocrati ignoranti, presuntuosi, arroganti e dispotici, per non dire di peggio» (102).
Rispetto alla situazione in cui è precipitata la scuola italiana, in mano per lo più a «personaggi professionalmente discutibili e comunque non adatti a fornire un servizio pubblico» (Felice Civitillo, cit. in Biuso, 92) la sostituzione di tali dirigenti con docenti coordinatori dell’attività didattica e culturale sarebbe positiva e auspicabile poiché «sembra davvero che un’istituzione scolastica sia vivibile quasi solo quando il preside sia assente o distratto o comunque ininfluente e gli insegnanti si assumano in prima persona la responsabilità della sua gestione, della sua didattica e della sua ordinata vita democratica» (123), come conclude con razionale efficacia Dario Generali.
È un libro, questo, che costituisce una testimonianza civile e sociale di primaria importanza se si ritiene che la scuola debba essere uno spazio di apprendimento e di libertà.



Alberto Giovanni Biuso


venerdì 2 agosto 2013

Ci vediamo sabato 3 agosto 2013 a S. Stefano Quisquina (Agrigento)?

Domani sera, nella Villa Comunale di S. Stefano Quisquina, è prevista un'iniziativa per far conoscere la figura e il martirio di don Pino Puglisi. Il mio amico Roberto Lopes, con la sua troupe di giovani, rappresenterà lo spettacolo "E tu da che parte stai?"; io presenterò il libro che ho scritto con Francesco Palazzo e Rosaria Cascio "Beato tra i mafiosi" (Di Girolamo, Trapani 2013).