di Antonino Cangemi -
Nel dibattito politico e sociale dei nostri giorni si affrontano spesso temi di vitale importanza in modo vago, contorto e superficiale. Tante volte si rendono complesse e poco comprensibili questioni che invece esigono, in una democrazia matura, chiarezza e rigore. Soprattutto se gli argomenti su cui si controverte interessano la generalità dei cittadini, anche quelli più “deboli” per istruzione o per età.
Un tema su cui si accendono quotidianamente discussioni di vario genere, analizzato non di rado con faziosità o con enfasi quantomeno sospetta, è quello della legalità.
Proprio ‹‹Legalità›› è il titolo di un pamphlet del noto saggista palermitano Augusto Cavadi, edito da Di Girolamo, che inaugura una collana, ‹‹Sindacalario››, rivolta a un’amplia platea di lettori, animata dal proposito –di per sé encomiabile- di analizzare con semplicità coniugata a ragionevole completezza temi al centro della vita sociale.
Il saggio di Cavadi è stato presentato nella scorsa primavera a Torino da Giancarlo Caselli in occasione del Salone Internazionale del Libro e sarà presentato venerdì 15 novembre a Palermo presso l’Auditorium della Rai (ore 17,45): ne discuteranno, con l’autore, il magistrato Maurizio De Lucia, Giuseppe Enrico Di Trapani di “Addio pizzo”, Salvatore Scelfo, segretario nazionale Filda-Cisl (sigla che ha promosso l’iniziativa editoriale).
Il dibattito si preannuncia assai interessante, sia per l’argomento che per il modo come Cavadi ha trattato nel suo libro il tema spinoso della legalità. Evitando conformismi e luoghi comuni e ragionando con semplicità che mai sconfina nel semplicismo.
L’incipit del testo è spiazzante e svela subito la cifra originale dell’analisi: ‹‹La parola legalità…è una parola simpatica? A prima vista non si direbbe. Essa ci richiama ordini, divieti, rimproveri, talora castighi…››. Da lì parte la disamina, al tempo stesso elementare e dotta, della legalità.
Il rispetto delle regole e delle leggi in particolare, ci dice Cavadi, per quanto possa comportare degli oneri, è fondamentale per garantire la civile convivenza. Ma il rispetto delle leggi non è facile: la legalità, perché non sia confonda col “legalismo”, l’ossequio acritico dei precetti, e non scivoli nell’illegalità, deve essere accompagnata dalla ‹‹ricerca della giustizia››. Il che richiede un ‹‹paziente esercizio››, che conosce tante tappe: quella della “conoscenza”, innanzitutto, senza la quale non si accede alla successiva, quella del “discernimento”. Per potere distinguere le leggi giuste da quelle ingiuste ( e ve ne sono state tante nella storia, si pensi a quelle razziali) occorre conoscere le norme e orientarsi seguendo la guida di provvedimenti cardini come la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” dell’Onu nel 1948, la “Convenzione dei diritti dell’uomo” del 1950, la “Costituzione italiana”. A queste due prime tappe ne seguono altre: la “fedeltà” e la “resistenza”, anch’esse strettamente connesse. Le leggi giuste vanno interiorizzate, fatte proprie, seguite perché condivise; e se le leggi giuste si rispettano, pure a costo di sacrifici, si è nelle condizioni di potere disobbedire a quelle che stridono con la propria coscienza (si pensi alla lezione di Gandhi). L’esercizio –faticoso- della legalità pretende che la resistenza alle leggi ingiuste non si limiti a una pratica negativa: alla disobbedienza deve far seguito la proposta, l’affermazione, attraverso la partecipazione al confronto politico, di ciò che è giusto e perciò legale.
La dissertazione di Cavadi ha il dono della sinteticità (il libro conta appena 70 pagine) ed è ricca di citazioni colte, che spaziano dalla filosofia alla teologia, tali però da non appesantire il tono discorsivo e piano. Si potrebbe dire che Cavadi, in questo stimolante pamphlet, riveli le sue tante anime: quella del docente e del pedagogista, per gli aspetti didattici del testo, quella del filosofo e del teologo, per i rinvii ai maestri del pensiero e a pagine religiose, quella del giornalista, per la capacità di dire molto con poche parole: multis paucis.