venerdì 27 dicembre 2013

Conversazione con Stijn Vloeberghs


Stijn Vloeberghs


TESI DI LAUREA in Master in tourism

intitolata

Anti-mafia tours of Addiopizzo Travel in Sicily: Dark Tourism - Memory Market

Belgio, settembre 2013
(Lingua olandese)

Interview met Augusto Cavadi
(autore de La mafia spiegata ai turisti e de I siciliani spiegati ai turisti).


S: Qual è il suo ruolo nel movimento anti-mafia?
A: Come saprai, non ci sono dei ruoli ufficiali, istituzionali. Di fatto io mi sono ritagliato un ruolo di coscienza critica: nel senso che fin da quando, una trentina di anni fa, mi sono avvicinato in maniera più diretta al movimento anti-mafia, ho visto una sproporzione fra la passione emotiva, sentimentale, e la consapevolezza critica. Allora ho pensato che - viste le mie attitudini e il mio mestiere di professore - la cosa migliore fosse dedicarmi a ‘accorciare’ questo gap tra il sentimento e la ragione; e quindi fornire al movimento anti-mafia delle occasioni di informazione, di studio, di analisi, di progettazione. In quest’ottica mi sono sia iscritto al Centro siciliano di documentazione “Giuseppe Impastato”, nel cui ambito ho lavorato fino a 5 anni fa; poi nel 1992 ho fondato insieme ad altri amici la Scuola di formazione etico-pollitica “Giovanni Falcone”. Questi sono stati i due spazi, i due strumenti, di cui mi sono servito. Da 5 anni, per vari ragioni, ho preferito fare un passo indietro, rispetto al Centro “Impastato”, mentre continuo a lavorare come presidente dell’Associazione di volontariato culturale che è appunto la Scuola di formazione etico-politica “Falcone”.

S: Di che si occupa questa associazione?
A: Noi lavoriamo per progetti: se c’è una scuola pubblica o un centro sociale, una parrocchia o un sindacato, che ci chiede un momento di formazione dal punto di vista etico-politico, e quindi anche poi anti-mafia, noi ci mettiamo a disposizione. Per noi l’anti-mafia non può essere solamente ‘anti’: deve essere inserita in una proposta ‘per’: la proposta è di dare una coscienza etico-politica, all’interno della quale poi - come corollario, spesso inevitabile - uno non può accettare la mafia. E quindi, quando una di queste associazioni ci invita, noi programmiamo l’intervento: può essere una sera, possono essere tre giornate, possono essere incontri settimanali per due mesi…Anche gli argomenti li concordiamo: in genere si tratta di tematiche che hanno a che fare con la questione meridionale, la disoccupazione, le ideologie politiche del ventesimo secolo, il problema del consenso e del dissenso, la storia della mafia, la storia dell’anti-mafia. In genere, gli argomenti che noi offriamo sono questi, però ogni volta li calibriamo, li ri-orientriamo, secondo le esigenze della comunità che ci invita. faccio un esempio: andrò nel mese di aprile a parlare ai ragazzini della scuola media di Amandola che è un paesino delle Marche ed è chiaro che l’intervento sarà diverso rispetto a quando vado a parlare con i sindacalisti, i muratori, i falegnami di Torino. Insomma: cerchiamo di orientare l’intervento.

S: Qual è il suo rapporto con organizzazioni come “AddioPizzo” e “Libera”?
A: Sono iscritto a “Libera” e sono amico di “AddioPizzo” perché alcuni dei fondatori di “AddioPizzo” erano stati alunni della scuola in cui insegnavo molti anni fa o comunque avevano letto il mio libretto del 1992 (un libretto ripubblicato più volte, in migliaia di copie, che si chiama Liberarsi dal dominio mafioso, con sottotitolo Ciò che può fare ciascuno di noi qui e subito). Là avevo ipotizzato che anche sul piano economico si facesse un’opera sia di boicottaggio dell’economia illegale sia di promozione dell’economia legale. Quindi alcuni di questi ragazzi, poi diventati adulti, che hanno fondato “AddioPizzo”, una volta mi hanno detto: tu sei un po’ il nostro papà o il nostro zio, il nostro nonno forse… Tutte le volte che mi chiedono di incontrare delle comitive di studenti, o di operatori sociali o di preti, dò sempre la mia disponibilità.

S: E con “Libera”?
A: Si, con “Libera” mi comporto alla stessa maniera.

S: Fermiamoci un po’ su La mafia spiegata ai turisti: perché l’hai scritto, con quale scopo?
A: Lo scopo è quello che dichiaro nella Prefazione: annoiato di sentirmi rivolgere sempre le stesse domande sulla mafia (anche perché, per rispondere a queste domande di base, va via la prima ora dell’incontro e, in genere, dopo un’ora d’attenzione ci si stanca), ho pensato di fornire questo strumento e di incontrare soltanto quei gruppi che sono disposti a masticare e digerire prima questo ‘antipasto’; poi, sulla base di questo testo - dato per per letto - , possiamo poi approfondire e discutere. Altrimenti diventa noioso per me e, credo, anche poco utile per chi voglia andare al di là dei luoghi comuni. In sintesi: una alfabetizzazzione di base, per turisti ma anche per siciliani ignari, è ciò che volevo dare con questo libretto.

S: È stato difficile sintetizzare la trattazione della mafia - qualcosa di complesso - in poco più di 30 pagine?
A: No, non mi è stato difficile, perché come mestiere sono insegnante e ho anche la passione del giornalismo: sia come insegnante che come giornalista tendo alla sintesi, è qualcosa che opero prima di tutto per me e poi conseguentemente per gli altri. Mi spiego: quando ho studiato un problema, e vi ho riflettuto, anche se sono solo, ho bisogno di dirmi quali siano i nuclei essenziali. Perciò è un libretto che ho scritto in un’oretta di tempo. Certamente presupponeva venti anni di studi analitici precedenti. E, come capita spesso nella vita, libri che mi avevano impegnato per anni, sono stati letti forse da pochi specialisti; questo, invece, ha avuto – per tutta una serie di coincidenze fortunate – un successo internazionale. La decisione dell’editore italiano di farlo tradurre in tante lingue, per venderlo ai turisti stranieri in Italia, ha portato anche il “New York Times”, la BBC e le televisioni di mezz’Europa a chiedermi interviste. È stato un successo assolutamente sproporzionato (ride).

S: Adesso è sopratutto per stranieri ma all’inizio l’intenzione era solo di informare gli italiani?
A: No, è stato destinato subito a tutti i turisti turisti. E quando pensavo ai turisti, pensavo ai turisti italiani e ai turisti stranieri. È chiaro che quando l’ho cominciato a presentare in Italia, di solito l’ho presentato nella versione italiana, ma la versione inglese e francese sono venute poco dopo. Qualche collega che insegna nelle scuole mi ha fatto notare: “Ma forse i primi turisti sono i nostri studenti perché non è detto che, se si è nati in Italia o in Sicilia, si sappiano queste cose.” Magari da bambino ho sempre sentire parlare della mafia, ma in termini molto più simile di scenegiati televisivi, e non sulla base di analisi storiche, sociali, politiche corretta.

S: Sulla seconda pagina hai scritto che gli italiani e i siciliani hanno ancora più pregiudizi in paragone con gli stranieri: come va inteso?
A: Allora, ci sono due tipi di ignoranza, no? L’ignoranza di chi sa di essere ignorante per cui, tu che vieni dal Belgio, mi chiedi: “Augusto, spiegami qualcosa della mafia perché dalle mie parti non c’è”. Questa è l’ignoranza positiva. Poi c’è l’ignoranza di chi da bambino ha sentito parlare della mafia, in termini cosi sicuri e cosi dogmatici, da non avere nessuna curiosità. E’ questo genere di ignoranza che si nutre di tutta una serie di luoghi comuni, di stereotipi : “Prima la mafia era buona, poi è diventata cattiva”; “la mafia non ha mai ammazzato i bambini, non ha mai ammazzato donne, non ha mai ammazzato preti prima di don Puglisi nel 1993. …”. Quando queste scempiaggini te le senti ripetere fin da bambino, te ne fai una convinzione cosi profonda, che quella ignoranza diventa presuntuosa, inattaccabile. L'ho constatato anche sulla mia pelle. Non è stato facile, quando ho conosciuto già trentenne il Centro studi “Impastato” , dire a me stesso: “Tu sei uno che è che nato a Palermo; che si è laureato a Palermo in filosofia; che insegna filosofia, storia, educazione civica a Palermo da tanti anni… eppure non sai veramente che cos’è la mafia.” Ammetterlo è stato un atto di grande onestà intellettuale.
È vero che in giro non c’è nolta consapevolezza di questa ignoranza. Quando proponi un corso di aggiornamento, molti professori qualificati e molti dirigenti scolastici pur preparati in altri settori, ti obiettano: “No, basta: ormai, sulla mafia sappiamo tutto; ne abbiamo sentito parlare troppe volte.” Poi se vai a verificare, a sondare, vedi che tutta questa conoscenza non c’è: alla fine il siciliano medio sa sulla mafia quello che sa il milanese medio, perché la fonte per tutti e due sono stati romanzi come Il Padrino e sceneggiati televisivi come La Piovra. Che l’uno abiti a Palermo e l’altro a Milano non comporta conseguenze differenti perché il cittadino di Palermo non ha letto una sola pagina un po’ più scientifica rispetto al coetaneo di Milano.

S. Allora attribuisci la responsabilità dei pregiudizi sulla mafia a certi romanzi e a certi film?
A: No, non soltanto. C’è tutta una letteratura etnologica - fiabe, racconti, proverbi, rappressentazioni teatrali - che, sin dall’Ottocento, ha dato alla mafia una visione romanzata, avventurosa, mitica. Come sappiamo, anche nei casi in cui l’eroe viene rappresentato in maniera negativa, è comunque il protagonista: incosciamente è proprio su di lui che si concentra la simpatia, o almeno la solidarietà, dello spettatore. Se poi lo spettatore è una persona totalmente ignorante o un bambino, questo processo di identificazione con Toto Riina, o Salvatore Giuliano, è un meccanismo quasi inevitabile. L’abbiamo visto qualche anno fa quando in televisione è stata trasmessa una fiction a puntate, Il capo dei capi, tutta dedicata a Totò Riina. Nelle scuole elementari i bambini, il giorno dopo, scherzavano sulla fiction, ma l’identificazione più frequente era avvenuta con Totò Riina, di certo non con il capitano dei carabinieri che l’aveva contrastato.
Prima di andare avanti, voglio fare una precisazione. Ti ho detto poco fa che i pregiudizi dei siciliani sulla mafia sono più difficili da smontare rispetto ai pregiudizi degli stranieri. In genere è così perché i pregiudizi dei siciliani sono di soggetti sicuri di sé, mentre il milanese o lo svedese possono avere un’immagine sbagliata, ma sono più disposti a correggersi. Ora vorrei aggiungere che questo fenomeno non toglie che ci possono essere siciliani disposti a mettersi in crisi (ti ho ricordato pocoi fa il mio stesso caso autobiografico) così come, all’opposto, ci sono degli stranieri che vengono con in testa già una teoria e cercano soltanto conferme. Quando Leoluca Orlando era sindaco di Palermo per la prima volta, un giornalista dell’Europa del Nord si è presentato a lui per intervistarlo sulla mafia con un giubbotto antiproiettile. Orlando l’ha mandato, giustamente, al diavolo perché è chiaro che dall’intero servizio televisivo allo spettatore medio sarebbe rimasta impressa solo un’idea: che a Palermo non puoi camminare e fare il giornalista se non hai il giubbotto antiproiettile. E questo è profondamento falso. E chiaro, per tornare al tema del mio libretto, che, se uno viene col giubbotto antiproiettile, sarà difficille spiegargli che il turista in Sicilia è la persona più al sicuro: la mafia ha bisogno del turista per guadagnare, per far funzionare alberghi e ristoranti. A darle disturbo sono il giornalista siciliano o il magistrato siciliano che non accettino la mafia, non certo il giornalista che viene della Svezia o il turista che viene dagli Stati Uniti.

S: Quindi ci sono film, diciamo, negativi, ma…
A: …girano anche film positivi.

S: Questo voglio chiedere, perché ti riferisci per esempio a I cento passi che ha avuto molto successo sopratutto in Italia. Quindi i film possono anche cambiare in meglio l’immagine della mafia e della Sicilia in generale?
A: Sì sì. I film, ma in generale direi l’arte. Mi sono concentrato sui film perché sono la forma d’arte più popolare: soprattutto per uno straniero è più facile che abbia visto un film nella sua lingua che non abbia letto la traduzione dall’italiano di un romanzo o di una poesia. Però in generale è chiaro che l’arte ha questa grande capacità di comunicare: se le idee di cui l’artista si fa portatore sono sbagliate, l’arte può fare molto male; se sono giuste può fare molto bene (intendo più di un libro di saggistica, di storia o di sociologia, che viene comunque letto da pochi interessati).

S: Nel tuo libretto hai distinto quattro tipi di film: quale tipo di film può essere utile nel senso di mostrare la realtà autentica della mafia?
A: Secondo me, se si escludono i film apologetici, come Il Padrino di Coppola, negli altri tre generi (quelli atipici, quelli storici e quelli che hanno una fonte letteraria) si possono trovare film buoni o meno buoni. Tra quelli atipici, ad esempio, includo i film ironici: ed è ovvio che ci può essere un humour un po’ stupido, ma anche un’ironia genialmente efficace come in Johnny Stecchino di Roberto Benigni. Stessa differenza all’interno dei film di impianto storico: alcuni sono spaventosamente noiosi, altri come Il giudice ragazzino sono davvero riusciti. Anche i film che vengono dalla letteratura talora tradiscono bei romanzi, talaltra li traducono in maniera pregevole. In conclusione direi che tutti i tipi di film possono aiutare più o meno a capire la mafia tranne quelli anche involontariamente apologetici (perché dovrebbe essere chiaro che il termine si riferisce non tanto all’intenzione ‘soggettiva’ del regista quanto al risultato ‘oggettivo’, preterintenzionale).

S: Perché hai deciso di aggiungere un allegato su Peppino Impastato?
A: Nella storia della lotta alla mafia tutte le vittime hanno, indubbiamente, la medesima dignità. Altrettanto indubbiamente ci sono state delle vite più significative, più eloquenti, e delle vite simbolicamente meno clamorose . Se io muoio facendo la scorta di un magistrato è, come dire, un po’ nell’ordine delle cose; se, come nel caso di Peppino Impastato, sono figlio di una famiglia mafiosa - e ho cercato di fare antimafia con la cultura, con la politica, con la mobilitazione sociale dei miei coetani - , le mie scelte danno alla mia figura un profilo altamente simbolico. Quindi, non potendo evocare le centinaia di vittime che sono debitamente ricordate in altri libri curati proprio dal Centro “Impastato”, ne ho scelto una.

S. Un altro allegato è dedicato proprio al Centro siciliano di documentazione “G. Impastato”.
A. Anche se non faccio più parte del Centro “Impastato”, è rimasta una grande gratitudine per quello che ha significato nella mia vita e per quello che continua oggetivamente a operare. Quindi là c’è una miniera di testi e di documenti. Se c’è un viaggiatore che dice: “Io voglio studiare di più il fenomeno mafioso e la storia dell’antimafia.”, la prima indicazione che gli do è di recarsi al il Centro “Impastato” o per lo meno di visitarne il sito in internet.

S. Un altro allegato ancora elenca altre associazioni che a Palermo sono impegnate a fare l’anti-mafia…
A. Sì, da “Libera” a “AddioPizzo” a molte altre, in modo di dare l’idea che non c’è solo il Centro “Impastato”. Più in generale: che a Palermo non c’è solo la mafia, ma anche un’anti-mafia attiva.

S. Cosa hai imparato dalla prima edizione del libretto?
Ho cercato di far tesoro di alcuni suggerimenti. Per esempio la traduttrice russa mi ha suggerito di allargare la prospettiva e di scrivere un secondo testo (che poi è effettivamente uscito col medesimo editore Di Girolamo): I siciliani spiegati ai turisti (i siciliani, non solo la mafia dunque). Ho poi anche appreso a quanti equivoci è esposto ogni nostro atto. Una rivista russa, che si chiama “Italia” e in cui ogni articolo è pubblicato in italiano e in russo, mi ha intervistato sulla traduzione in russo del mio libretto e, per finire, mi ha chiesto: “Non prova alcun pudore nell’arrichirsi, sfruttando un fenomeno brutto come la mafia?”. La domanda mi ha stupito, ma anche divertito. Ho risposto che forse mi avevano scambiato per qualche autore di grido, come Roberto Saviano, e che – poiché guadagno un po’ meno di trenta centesimi per ogni copia venduta - interpretavo la loro domanda come un augurio per il futuro. Avrei risposto fra alcuni decenni, quando sarei davvero diventato ricco…

S: Hai detto: “Ho scelto Peppino Impastato come un esempio, un simbolo”. Il movimento anti-mafia ha bisogno di questi eroi-martiri, per cambiare le cose?
A: La risposta è sì, ma a certe condizioni. I martiri laici, un po’ come i martiri cristiani, servono come modelli di vita, a patto però che non li si isoli su una nicchia, su un altare, dicendo: “Sono uomini speciali, io sono un povero mortale, non potrò fare come Peppino Impastato o come Giovanni Falcone”. Questo è un problema che abbiamo dibattuto anche in questi mesi da quando abbiamo saputo che il 15 maggio don Pino Puglisi sarà proclamato beato. È un fatto positivo, ma può trasformarsi in un fatto negativo. Mi spiego: che la chiesa cattolica dica che un prete deve combattere la mafia e che, se muore, la sua morte vada riconosciuta come martiro, è un grande passo in avanti. Questo però non dovrebbe significare perdere la memoria della concretezza storica della paura che un don Puglisi ha provato. Se la beatificazione dovesse servire per metterlo sull’altare, e dire: “Egli era speciale, quindi gli altri preti possono benissimo continuare la vita di sempre”, questa beatificazione si risolverebbe in un boomerang. Per questo, con alcuni amici, abbiamo scritto su padre Pino Puglisi, che abbiamo conosciuto personalmente, un libro in cui, per la prima volta, la sua vicenda esistenziale è inserita nella storia di Brancaccio, nel contesto sociale del suo quartiere e nel contesto ecclesiale della chiesa cattolica palermitana. In cui facciamo vedere che c’è stato nello stesso parroco palermitano un cammino di consapevolezza. Insomma, nessuno di noi nasce con il volto di un anti-mafioso. Ci si può diventare, se la vita presenta delle sfide e se uno è disposto ad accettare questa sfida.

S: Quindi, resta importante alimentare come un fuoco la memoria di chi ci ha preceduto? E’ per questo che ha pubblicato anche la raccolta di interviste e racconti di vita Gente bella. Volti e storie da non dimenticare?
A: Certo, perché dimenticare i caduti dell’anti-mafia è come dimenticare, in genere, le vittime innocenti di tutte le tragedie del mondo. E seppelirli una seconda volta. Purché la nostra memoria non sia archivistica, ma – per riprendere un teologo della liberazione sudamericano - una sovversiva: non una memoria puramente antiquaria, museale, ma una attualizzante.

S: Una domanda a proposito di consapevolezza: se la mafia è in questa fase più nascosta da prima, adesso il rischio è forse più grande di…
A: …di sottovalutarla?
S: Sì.
A: Indubbiamente. Non è un caso che, nei dibattiti in occasione dell’ultima campagna nazionale per le elezioni politiche, non ho mai sentito una volta la parola mafia.

S: Strano! Ma è vero che mafiosità sia del tutto esterna ed estranea rispetto alla mentalità siciliana?
A: E’ una questione da affrontare con precisione chirurgica. E’ ovvio che mafiosità e sicilianità non possano essere considerati sinonimi (e questa è la tentazione dei non-siciliani). Ma dovrebbe essere altrettanto ovvio che non si può neppure affermare il contrario, cioè che i siciliani sono puri e che la mafia è a Roma (e questa è la tentazione dei siciliani). Fare dei siciliani delle vittime è un’operazione sicilianista: un’operazione ideologicamente para-mafiosa, filo-mafiosa, che tende ad attribuire sempre ad altri la responsabilità dei nostri mali. Si cercano i colpevoli altrove: i francesi, gli spagnoli, i Borbone, i Savoia… E’ vero che le dominazioni straniere non ci hanno fatto bene, ma nessun influsso culturale esterno può fare male se già il terreno non è predisposto ad accogliere i germi negativi e a respingere gli input positivi. Insomma, la vera verità secondo me è che essere siciliano non significa né essere automaticamente mafiosi né non esserlo automaticamente. Ritengo che nella mentalità siciliana ci siano, come nella mentalità dei Paesi in tutto il mondo, elementi favorevoli ed elementi sfavorevoli al radicarsi del sistema mafioso. Perché però nel Meridione italiano questo sistema ha attecchito più che in Svezia o in Australia? Le ragioni sono molteplici e non tutte note. Tra queste ragioni ci dovremo abituare anche ad annoverare la libertà degli uomini. Se non fosse fuori luogo, direi la creatività degli uomini che possono inventare qui un sistema di dominio che altrove non viene inventato o viene solo importato per imitazione. Un certo storicismo, intrecciato con un certo sociologismo, ci inducono nell’errore di voler trovare in ogni analisi storica solo motivazioni oggetive trascurando il fattore imponderabile della soggettività. Lo dico semplicisticamente: se dieci siciliani decidono quasi due secoli fa di fondare Cosa Nostra e dieci lussemburghesi, nello stesso periodo, pur avendone l’occasione, non lo fanno, il risultato è che la mafia in Sicilia è molto più radicata che nel Lussemburgo. E’ in gioco l’imprevedibilità del libero arbitrio individuale…Certo poi le opzioni dei singoli hanno diversa fortuna a seconda dei contesti storici e cultutrali: un certo sistema economico, una certa politica nazionale, una certa religiosità medieterranea…Sono tutti segmenti, ma non illudiamoci di poter costruire una mappa completa e definitiva. Per ritornare alla tua domanda, e chiudere questa risposta, non c’è dubbio che la mafia si sarebbe estinta senza agganci a Roma, a New York, a Marsiglia, a Medellin, a Tirana; ma da questo a negare che sia un fenomeno originariamente siciliano ce ne passa ! Con una formula sintetica direi che ha la testa in Sicilia e diramazioni in tante altre parti del mondo. Si potrebbe aggiungere che alcune di queste diramazioni – come la ‘ndrangheta calabrese – sono in grado di superare in efficacia e pericoloistà lo stesso prototipo.

S: È anche per spiegare questa strana situazione che hai scritto I siciliani spiegati ai turisti?
A: Mi sono spinto a una schematizzazione che ogni tanto fa arricciare il naso degli specialisti in scienze umane, ma a cui sinora credo profondamente. Premetto che in Sicilia abitiamo circa cinque milioni di persone. Fonti investigative, sulla base anche di dichiarazioni di mafiosi collaboranti, individuano un millione circa di cittadini siciliani mafiosi e amici dei mafiosi; l’esperienza trentennale di militanza nel movimento antimafia mi testimonia che esiste un altro milione di cittadini siciliani che hanno scelto di schierarsi nettamente contro la mafia. Fra filo-mafiosi e anti-mafiosi in servizio permanente effettivo si colloca una palude di tre milioni di siciliani incerti, illusoriamente neutrali, sostanzialmente indifferenti: questa maggioranza di siciliani sono dei tiepidi che non riescono a schierarsi né con la mafia né con l’anti-mafia. Sono l’hard core dell’isola e la guerra non avrà fine sino a che questa maggioranza silenziosa non deciderà da che parte schierarsi.
Dell’ambivalenza di questa ampia fetta di siciliani mi sono occupato anche nel libretto che ho scritto dopo quello sulla mafia. Una contraddizione fra tante? Siamo un popolo particolarmente ospitale (è normale accogliere un amico a casa per non mandarlo in albergo oppure accompagnare a piedi un turista sconosciuto da una piazza all’altra); ma non fai in tempo per degustare tanta accoglienza e…zac, un ragazzino ti scippa il portafoglio o il tassista ti fa pagare il doppio del dovuto. Avrei dovuto scrivere - ci sto pensando conversando con te - che non per caso una delle caratteristiche della nostra alimentazione migliore è l’agrodolce.

S: Agrodolce?
A: Sì, molti piatti sono giocati sul contrasto dell’agro e del dolce, dell’aceto e dello zucchero, che messi insieme danno un sapore che non è né aspro né mieloso. Quasi un simbolo dell’ambivalenza siciliana…

S: Però potrebbe essere la somma del buono di due lati. Ma spostiamoci dalla cucina al turismo in generale: quale potrebbe essere l’importanza del turismo nella lotta contro la mafia?
A: Dobbiamo partire dal fatto che il turismo è uno dei campi che ha arricchito la mafia. Il compito è di togliere, in maniera graduale ma decisa, spazi all’inquinamento mafioso e incentivare, promuovere, favorire il turismo pulito. Ecco perché ritengo che gli itinerari turistici proposti da “AddioPizzoTravel”, da “Libera” e da altre organizzazioni locali siano una trovata geniale. Aggiungo subito che il turismo pizzo free non è un cammino facile: se devi ospitare una comitiva, questa deve scegliere fra due preventivi. E il preventivo etico può arrivare al doppio di quello comune perché, in quello ordinario, puoi avere il ristorante che non ti rilascia la fattura integrale o l’albergo che non mette in regola le cameriere e quindi gli costano la metà rispetto a un’albergatore onesto. Non sono difficoltà insormontabili, ma voglio dirlo per evitare che si faccia poesia scavalcando la prosa quotidiana. C’è una strada lunga e in salita per rendere conveniente la legalità. Che l’onestà paghi è vero in prospettiva, non è vero nell’immediato: la politica deve rendere già da ora conveniente rispettare le regole e dannoso violarle.

S: In un libro di venti anni fa – Liberarsi dal dominio mafioso – si legge come sottotitolo: Che cosa può fare ciascuno di noi qui e subito. Ti chiedo: i turisti stessi posono fare qualcosa contro la mafia?
A: Il massimo che può fare un turista è ciò proviamo a fare noi consumatori abituali in tutto il mondo: andare nel negozio del commercio equo e solidale pur sapendo che il sacchetto di caffè lo paghiamo una volta e mezzo rispetto al supermercato; accontentarsi di consumare un po’ meno caffè pur di contribuire con i nostri soldi a far rispettare i diritti dei contadini del Sud- America. Il turista in Sicilia può fare ciò che dovrebbe fare ovunque: sforzarsi di essere un consumatore critico. Inoltre può fare un’altra cosa (ma si tratta di qualcosa che riesce solo automaticamente, spontaneamente): riportare in patria una’immagine adeguata, realistica, della Sicilia. Raccontare la Sicilia come è davvero: non un luogo paradisiaco di rose e gigli, ma nemmeno un inferno infestato da attentati e battaglie per strada. Raccontare che la Sicilia è un’isola molto bella, dal punto di visto naturale, artistico, storico; e molto travagliata dallo sforzo di una consistente minoranza di siciliani nel cercare di liberarsi dal dominio mafioso, soprattutto convincendo la nutrita maggioranza di indecisi.

S: Quali aspetti della realtà mafiosa dovrebbero essere messi a fuoco ai turisti nel cosro delle loro visite?
A: Penso che della mafia o se ne parla in tutte le sue articolazioni o è meglio tacerne. La mafia è mafia perché è un mix: non è solo militare, non è solo politica, non è solo economica, non è solo culturale. Se sottolineamo un solo aspetto a dispetto degli altri, non parliamo più di mafia ma di altro. Aggiungo che non basta dire la verità intera sulla mafia: bisogna dirla inseparabilmente dalla verità intera sull’antimafia. Quando ho presentato La mafia spiegata ai turisti a un folto numero di guide turistiche della mia città, una di loro mi ha chiesto: “Ma noi, ai turisti, dobbiamo dire o tacere la verità sulla mafia ?”. Mi è stato spontaneo rispondere ciò che risponderei anche oggi: ”Dovete dire la verità, ma la dovete dire tutta: che Palermo è la capitale della mafia ma che è anche, inscindibilmente, la capitale dell’anti-mafia. La verità è questa: da 150 anni abbiamo il cancro e da 150 anni lo combattiamo. E’ falso che siamo sani, è falso che siamo morti: non siamo né sani né morti, siamo in lotta per la guarigione.

S: Allora, secondo te, anche le autorità turistiche comunali e provinciali dovrebbero usare la mafia come tema per promuovere la città?
A: La questione è indubbiamente delicata. Non auspicherei una sopravvivenza in eterno della mafia per alimentare l’attrazione turistica della città. Ma sino a quando la mafia c’è, gli enti preposti dovrebbero promuovere una presentazione quanto più oggetiva possibile della mafia e dell’anti-mafia. Se fossi il sindaco di Palermo o il presidente della Regione, comprerei migliaia dei miei libretti e li darei in giro per il mondo a tutti gli operatori turistici… (ride). Al di là della battuta umoristica, se non con questo libretto si dovrebbe comunque attuare un’operazione del genere: invece non si parla della mafia perché si ha paura di scoraggiare il turismo, ma è proprio il silenzio sulla mafia che la rende miticamente minacciosa agli occhi dei potenziali visitatori. Il risultato è che tutto questo aspetto della storia e dell’attualità della Sicilia rimane come una specie di tabù: come in certe famiglie, un segreto che tutti conoscono, ma di cui nessuno parla.

S: Segreti pubblici?
A: Non so se la formula ossimorica è frequente in Belgio. Da noi si dice: segreti di Pulcinella. Ciò di cui sono convinto, al di là dei modi di dire, è che, quando vado a casa di una persona dove c’è stata una tragedia, penso sia meglio che una volta se ne parli apertamente e poi basta. E’ molto peggio, invece, dire a sé stessi: “Io lo so, ma devo fare finta di non saperlo; tu sai che io lo so, ma devi fare finta che io non sappia”. Le guide turistiche e la mafia: non si può affidare tutto al caso. Sinora, se ho capito bene, c’è la guida preparata che a domanda del visitatore risponde; quella che fa finta di non capire la domanda; quella che improvvisa una risposta zeppa di sciocchezze perché non si è preparata…

S: Ma, secondo te, qual è la percezione da parte dell’uomo della strada di queste iniziative anti-mafia come il turismo pizzo free?
A: Nella media borghesia, per quel poco o tanto che sono conosciute, sono apprezzate. Purtroppo ci sono strati popolari che neppure sanno che esistono “Addiopizzo” o “Libera”. Una delle tragedie del movimento anti-mafia è che la mafia riesce essere trasversale rispetto a tutti ceti sociali, mentre l’anti-mafia attuale è un fenomeno di élite, riservato a fasce di borghesia illuminata. Non è stato sempre così: per esempio i Fasci italiani, tra il 1892 e il 1894, sono riusciuti a convolgere i contadini in una lotta per la terra contro i grandi feudatari che si servivano non solo dell’esercito, ma anche dei mafiosi per sparare sui dimostranti. Questo coinvolgimento, veramente popolare, non siamo riusciti a realizzarlo a cavallo fra il XX e il XXI secolo: speriamo di riuscirci attraverso le scuole che sono, insieme alle chiese, le uniche ad arrivare agli strati popolari. Ma anche qui occorrerebbe una strategia più intelligente di quelle comunemente adottate: se si fa un lavoro di spot pubblicitari (spesso purtruppo è cosi, il maestro e la maestra non hanno gli strumenti né culturali né pedagogici per costruire un percorso organico), allora ci si limita ad una retorica dell’antimafia che non incide nela mentalità effettiva delle nuove generazioni. Un’altra speranza di entrare nei ceti popolari è alimentata dall’arte: quando si riesce a fare qualche film, qualche sceneggiato televisivo, di buona fattura, riusciamo a parlare anche agli strati sociali meno istruiti. Se continuiamo a organizzare solo manifestazioni, dibatti, presentazioni del libri…siamo sempre quella stessa centinaia di palermitani che ci incoraggiamo a vicenda.

S: Già convinti?
A: Già convinti.

S: Riprendiamo l’accenno alle scuole. Si può trasferire il messaggio anti-mafia restando nell’ambito di un’aula o pensi che le gite scolastiche siano essenziali per cambiare prospettiva e respirare aria diversa?
A: Nelle class si può fare educazione su mafia/anti-mafia, purché si inserisca, come ti dicevo poco fa, in un’ottica di educazione politica più in generale. Ma soffriamo di un grosso equivoco in Italia. “La politica resti fuori dalle scuole” si ripete. Se si intende dire vi devono restare fuori i partiti, i volantini elettorali, mi pare ovvio. Non così ovvio se vanno via fuori dalle scuole non soltanto le controversie tra i partiti, ma proprio l’educazione politica. E questo è un disastro che ha, tra mille altre conseguenze, il fatto che, quando si introduce il discorso mafia/anti-mafia, lo si affronta senza le premesse (politiche) e senza le conseguenze (politiche). E quindi è un tronco di discorso, incompleto nella diagnosi e nella terapia.
Passo alla seconda parte della domanda: è utile uscire dall’aula, partire, viaggiare lontano dall’ambiente siciliano? Per risponderti brevemente, devo informarti che in Italia (non so se è così anche da voi in Belgio) abbiamo tre formule: il gemellaggio con un’altra scuola, lo stage e il viaggio d’istruzione. Credo molto nel gemellaggio e nello stage; molto meno nel viaggio d’istruzione. Il viaggio d’istruzione è più che altro un pretesto per fare vacanza: quello che si può veramente imparare nel viaggio d’istruzione è minimo rispetto all’investimento di tempo.

S: Ed è utile il viaggio d’istruzione di altre scolaresche in Sicilia?
A: Dipende se queste classi, italiane o straniere, che arrivano In Sicilia abbiano o meno dei referenti qualificati. Se una scuola arriva qua e vuole capire la mafia soltanto passeggiando per strada, affidandosi al caso, o magari visitando qualche lapide mortuaria, sono sicuro che non ne capisca molto di più di quanto ne sapesse prima di partire. Addirittura può peggiorare le sue opinioni: se capita che una alunna viene scippata, i compagni penseranno di aver sperimentato la mafia confondendola con la micro-criminalità ovunque diffusa. Diversamente vanno le cose quando una scuola si legge prima qualche paginetta, prenota un appuntamento con qualcuno di noi studiosi del luogo, magari incontra pure qualche testimone dell’antimafia. Comunque, sia gli studenti siciliani che vanno fuori sia gli studenti che vengono in Sicilia, dovrebbero avere almeno una conoscenza sommaria della storia italiana e della Costituzione italiana. E in Italia non è frequente che uno studente legga, almeno una volta nella vita, la Costituzione italiana per intero.

S: Veramente neppure io ho mai avuto in mano la Costituzione del Belgio… Ti ringrazio del tempo che mi hai dedicato. Quando avrò pubblicato la mia tesi in fiammingo ti farò avere almeno la parte che riguarda la nostra conversazione di oggi.

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