lunedì 17 marzo 2014

Arte contemporanea alle Isole Egadi: il catalogo


“MEDITERRANEA”.
Arte contemporanea Isole Egadi
Secondo testo introduttivo (pp. 12- 14)
 
Uno sguardo filosofico. Cioè ingenuo e stupito.

    E’ sempre con animo incerto, diviso, che il filosofo visita una mostra di arti grafiche, pittoriche, plastiche. Egli non è un competente e, se vuole davvero fruire di ciò che gli si offre in visione, sa che deve riguadagnare lo sguardo profano del bambino o del primitivo: lo sguardo ingenuo e stupito che, a mio avviso, fa da criterio del giudizio estetico. Infatti, qualora un’opera non comunicasse niente a chi è privo di laurea in storia dell’arte, sarebbe un’opera mediocre, al massimo discreta: non certo un capolavoro (i capolavori parlano a tutti, di ogni età e in ogni età).
      E’ vero, però, che, se onesto intellettualmente, il filosofio sa di non avere un occhio vergine: sa, infatti, di essere condizionato pre-giudizialmente da una tradizione di pensiero che non ha mantenuto nei confronti dell’arte un atteggiamento univoco, costante. Per un verso alcuni filosofi occidentali hanno guardato l’arte con sospetto (Platone) o, comunque, come manifestzione dello spirito inferiore alla razionalità filosofica (Hegel); per altri versi, però, altri pensatori non meno rilevanti hanno riconosciuto all’arte il privilegio di cogliere l’Assoluto (Schelling), di dire l’Indicibile (Heidegger), ben al di là dei limiti della logica filosofica.
    Come uscire dalla contraddizione fra ingenuità e pregiudizi culturali? Ognuno di noi (filosofo o non filosofo che sia, comunque visitatore e spettatore) cerca la sua via. Personalmente, come primo passo, dico a me stesso: l’immediatezza naif del tuo sguardo è una méta cui tendere, non un presupposto da dare per scontato. Come secondo passo, poi, proprio perché consapevole di questi possibili condizionamenti culturali, cerco di attenuarne gli effetti soppesandoli criticamente e facendo in modo che si bilancino a vicenda. Mi spiego in concreto: entro in ogni galleria d’arte a piedi scalzi ma con la fronte dritta. A piedi scalzi, senza il senso di superiorità di un Platone o di un Hegel, perché là dove si cerca la Bellezza si calpesta suolo sacro, laicamente sacro; con la fronte dritta, senza complessi di inferiorità epistemici alla Schelling o alla Heidegger, perché gli artisti possono avere consapevolezza del carisma sociale di cui sono portatori solo se aiutati da filosofi di mestiere o da sé stessi in quanto anche filosofi. E comunque dal filosofare.

***

     L’insieme di opere esposte nelle isole Egadi, di cui questo libro è documento a memoria, mi ha colpito per almeno tre caratteristiche.
     La prima è la permeabilità di molte opere ai colpi della contemporaneità storica. Pur senza cercare, tradendo sé stessi, il riferimento promozionale alla cronaca, vari autori non hanno fatto nulla per nasconderne le tracce: come non avvertire, in questa o in quell’altra installazione  (una per tutte: quella che, forse a dispetto dell’autrice, Kazumi Kuriara, a me è parsa una veste femminile  nobilissima ma lacera), l’eco della tragedia di tanti immigrati che approdano alle coste siciliane con i vestiti a brandelli, segno visibile di ben più gravi lacerazioni dell’anima? Come non riconoscere, nel labirinto metallico di Jano Segura, la sensazione di intrappolamento che proviamo nella situazione storica che attraversiamo, quasi groviglio di vie senza uscita?

   Una seconda caratteristica è la ricerca di incorporare nella gratuità estetica una qualche funzionalità tecnica. Penso, a titolo puramente esemplificativo, alle plantane e  alle lampade di Ino Virzì. In questo tentativo di fondere l’utile e il dilettevole traspare, non so quanto intenzionalmente nella coscienza degli autori, la convinzione che la bellezza non può essere fruita solo in spazi appositi, quasi relegati dal tessuto sociale, ma va incontrata ed esperita nella quotidianità. Non so se essa, secondo la tesi di Dostoevskij, sia in grado di “salvare il mondo”: ma so che può renderlo meno orribile, meno inabitabile, se davvero si infiltra nelle pieghe dell’empiria e trasfigura gli oggetti che tocchiamo dalla mattina alla sera.

    Una terza caratteristica, infine, che mi salta agli occhi guardando alcune di queste opere è la geniale povertà dei materiali. Il pesce di Luca Mannino      ad esempio, è frutto di riciclo di sbarrette di ferro, di molle, di viti, di chiodi: di pezzi, si direbbe, raccattati dal cestino dei rifiuti di un’umile officina meccanica. Non so se anche agli altri visitatori, ma a me evoca un verso di De André: “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”. Evoca questa fede nel riscatto di ciò che la società, iperproduttiva al punto da stare suicidandosi per eccesso di produzione, scarta, espunge. Forse sollecitati – anche inconsciamente - da una delle più nere recessioni economiche della storia repubblicana, gli artisti più sensibili vogliono farsi silenziosi ma efficaci profeti di un invito a invertire la tendenza sinora predominante allo spreco, al gettar via senza neppure chiedersi se ci sono voragini abbastanza grandi da poter accogliere i fiumi di rifiuti che vi riversiamo irresponsabilmente.
    La zattera di salvataggio di Franco Fratantonio può essere adottata a cifra sintetica dell’intera esposizione: i naufragi della politica e dell’economia mietono vittime, fuori e dentro l’Europa, che non avranno mai giustizia. Almeno su questa Terra. Eppure qualche scialuppa, ancora inutilizzata, giace sulla spiaggia in attesa di essere afferrata e valorizzata. Qualcuna si chiamerà impegno civile, qualche altra mobilitazione politica. E qualche altra ancora creazione estetica.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

1 commento:

Bruno Vergani ha detto...

Vedo una precisa analogia, che seppur meritevole di sviluppo, approfondimento e distinguo, penso approvi:
«Qualora un saggio, una conferenza, una lezione, filosofica non comunicasse niente a chi è privo di laurea in filosofia, sarebbe un intervento mediocre».