sabato 14 giugno 2014

COSA SCRIVE (troppo generosamente) MARIA D'ASARO SUL MIO "LA RIVOLUZIONE, MA A PARTIRE DA SE'"


“Centonove” 13. 6. 2014-06-13

CAVADI E IL SENSO DELLA VITA





“Devi essere tu quel cambiamento che speri di vedere nel mondo”, affermava Gandhi nel secolo scorso. In armonia con l’esortazione del Mahatma, Augusto Cavadi nel saggio La rivoluzione, ma a partire da sé  (IPOC, Milano, 2014, € 16) si chiede se anche nella società odierna, “liquida” e senza certezze, valga ancora la pena impegnarsi per cambiare in meglio il mondo. La sua risposta è senz’altro positiva. Ed è argomentata in modo tale da parlare alla mente e al cuore del lettore, con un apprezzabile “understatement” comunicativo,  che evita toni e pretese da “guru”: è come se infatti l’autore ci prendesse amichevolmente per mano, proponendoci, quasi sottovoce, le sue ponderate riflessioni esistenziali.

Cavadi registra innanzitutto la crisi, nel mondo occidentale, di tutti i massimi sistemi: religioni storiche, ideologie politiche, fede nelle potenzialità degli individui. Ma, nonostante il crollo delle “grandi narrazioni”, con Vasco Rossi che mette persino in musica questa nostra incertezza “voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa  vita (e questa storia) un senso non ce l’ha”, l’uomo contemporaneo continua ad avere un’enorme “fame di senso”, come sottolineava con sagacia lo psicoanalista Victor Frankl, sopravvissuto ai lager nazisti. Ecco allora l’urgenza di trovarlo, un senso alla vita e di darsi anche un progetto per realizzarlo, perché non siano gli altri a decidere per noi: “è importantissimo prendere coscienza di ciò che, oggi, ispira la nostra esistenza (…): se scopriamo che si tratta di un valore reale (…) cercheremo di vivere con più coerenza il nostro progetto esistenziale; se al contrario scopriamo che si tratta di un valore troppo esiguo … gli concederemo minor spazio nell’economia della nostra esistenza”. Fondamenti essenziali su cui poggiare il proprio impegno nel mondo sono allora la fedeltà al reale, intesa come fedeltà alla Terra e alla Storia, la fiducia nell’essere umano, nonostante i suoi limiti e fallimenti, e la fiducia nell’Amore, anche senza un preciso e codificato orizzonte religioso confessionale.

Ci sono poi alcune condizioni necessarie perché la dimensione personale dell’impegno possa avere radici solide e profonde: la vigilanza intellettuale: “osservare ciò che accade nella storia; documentarsi (…), riflettere per farsi un giudizio critico”; la capacità di fruire della bellezza: “a che scopo liberare gli uomini della miseria economico-sociale se non per aprire loro una prospettiva sulla bellezza in tutte le sue manifestazioni?”; la cultura della sobrietà e del rispetto ecologico; il dialogo senza riserve fra tutti gli uomini. Perché possiamo mettere una “giunta” alla società e lasciarla un po’ migliore di come l’abbiamo trovata (il termine “giunta” è mutuato  dal vocabolario del nonviolento Aldo Capitini) Augusto Cavadi sottolinea poi l’opportunità che ognuno di noi rifletta, secondo la sua formazione e sensibilità, sulle parole e sugli esempi di vita di maestri quali Socrate, Buddha o Gesù Cristo,  e ricerchi in se stesso e stimoli negli altri “ciò che significa giustizia o bellezza, amicizia o santità”: perché una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta”.

L’autore ci esorta anche a impegnarci - nel nostro quartiere e nella nostra città, come in associazioni con un respiro e un raggio d’azione nazionale e internazionale - con un atteggiamento interiore contraddistinto dalla gratuità, dalla continuità, dalla socialità, dall’attenzione privilegiata agli ultimi, nella consapevolezza però che “se sono uno studente che non studia, un docente che non si aggiorna, (…) un commerciante che evade il fisco, un funzionario che accetta tangenti … non ho il diritto di illudere me e gli altri attraverso alcuna forma di volontariato”. E, dopo aver sottolineato con le toccanti parole di Giacomo Ulivi, il partigiano ucciso a 19 anni per il suo impegno antifascista, la necessità della partecipazione di tutti alla gestione della cosa pubblica, l’autore suggerisce alcuni criteri per restituire lievito e sostanza all’impegno politico: l’importanza di scegliere rappresentanti politici dotati di un buon bagaglio intellettuale e morale, capaci di operare delle scelte coraggiose, pronti a rischiare l’insuccesso (“ciò che dobbiamo cercare è la vittoria delle cause giuste, non la vittoria in quanto tale”), decisi a scegliere la nonviolenza come metodo ordinario di lotta, capaci di coniugare la micro-politica con gli orizzonti internazionali.

Nelle ultime pagine del saggio, davvero illuminanti  le riflessioni con cui l’autore ci invita a superare, proprio al fine di realizzare la rivoluzione a partire da sé, “la schizofrenia sociale per cui si è cristallizzata una rigida divisione del lavoro fra ‘contemplativi’ e ‘tecnici’ (…) mentre: “un’antropologia lucidamente attenta a tutte le sfaccettature dell’essere umano non può esimersi dall’elaborare una sempre più approfondita filosofia della prassi: non per contrapporre contemplazione e azione, ma per evidenziare la loro comune radice, la loro reciproca appartenenza e il loro unico fine”. Alla fine Cavadi ci presenta alcuni “compagni di viaggio”: testi letterari, filosofici e religiosi ai quali è debitore per le sue scelte “rivoluzionarie”. A questo punto, per approfondire adeguatamente modelli, metodi e prospettive della rivoluzione a partire da sé, forse alle cento pagine del libretto se ne sarebbe addirittura dovuta aggiungere qualcuna in più. Il testo è comunque un ottimo spartito in cui la partitura musicale dell’impegno è suggerita con grande maestria. Sta a noi lettori arricchire i suggerimenti di Cavadi con le nostre consapevoli “note” esistenziali.                                                 Maria D’Asaro (“Centonove” n.23 del 13.6.2014, p.32)

1 commento:

Maria D'Asaro ha detto...

Nessun eccesso di generosità: il saggio è utile, illuminante, scorrevole. Buona domenica.
Maria D'Asaro