mercoledì 3 settembre 2014

ETICA MONOTEISTICA, PANTEISTICA E ATEA

Care e cari,
   a quanti di voi mi hanno chiesto come siano andate queste vacanze filosofiche per non...filosofi (a Saltino - Vallombrosa dal 21 al 27 agosto 2014, con più di 30 partecipanti) dedico questi appunti di cui mi sono servito per introdurre uno dei due incontri conclusivi.

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Anche la XVII edizione delle “Vacanze filosofiche per non…filosofi” è riuscita secondo le più ottimistiche previsioni: non solo dal punto di vista delle presenze (da 30 a 35 secondo le giornate), ma soprattutto dal punto di vista dell’intensità affettiva e intellettuale degli scambi.
     Dalla sera del 21 agosto 2014 alla mattina del 27  si sono avvicendati momenti differenti attraversati, e collegati, dal filo rosso del tema prescelto: l’etica. Dopo una prima conversazione informale di presentazione reciproca, Elio Rindone (Roma) ha evocato  - in tre tappe – l’origine dell’etica nel pensiero occidentale. In un seminario di filosofia non si poteva non cominciare con i Greci con i quali si è configurata ciò che oggi chiamiamo etica: Socrate, infatti, attesta la consistenza oggettiva dei valori per via intuitiva, Platone e Aristotele cercano di offrirne una fondazione razionale, argomentativa, addirittura ontologica (inserita, cioè, in una visione globale dell’essere e dell’essere umano in particolare). Per i Greci il culmine dell’etica è la giustizia: dare a ciascuno ciò cui ha diritto. Negli stessi secoli, in Medio-oriente, si va configurando la concezione biblica dell’etica. E’ una concezione, ovviamente, variegata e non di rado contraddittoria, al punto che un esegeta ha potuto affermare che nella Bibbia non c’è un’etica dal momento che ce ne sono troppe. Eppure è possibile rintracciare una linea di continuità che dai profeti arriva a Gesù di Nazareth: la giustizia è necessaria ma insufficiente. La convinzione che Jahvé ama gratuitamente e universalmente può ispirare negli uomini un atteggiamento analogo: al di là della giustizia, dunque, è possibile sperimentare nella storia anche l’agape, o amore-dono. Il Medio-evo tenta, anche su questa tematica, la sintesi fra la sapienza greca e la saggezza ebraica. Ma con molte criticità. Il filone più speculativo (Tommaso d’Aquino) preserva la razionalità greca ma a prezzo di rinunziare alla peculiarità un po’ folle dell’agape; il filone più sentimentale (Bonaventura di Bagnoregio) preserva la follia dell’agape (Francesco che bacia il lebbroso) ma a prezzo di rinunziare a una legittimazione logico-argomentativa.
       L’imprevista assenza di Mario Trombino mi ha ‘costretto’ a improvvisare un seminario su tre esponenti dell’Età moderna che  - come è noto -  inizia convenzionalmente con Cartesio. Egli vuole applicare il metodo ‘matematico’ non solo alla metafisica (spiritualità dell’anima e esistenza di Dio) ma anche alla morale. Il dato storico è che non riesce a compiere il passaggio da una morale ‘provvisoria’ a una morale ‘definitiva’: forse l’approccio analitico non è adatto a spiegare l’imprevedibilità della storia dei singoli. Ma il programma-sfida di Cartesio viene ripreso dal monista (non monoteista!) Spinoza che offre un’etica estremamente dettagliata, a partire dall’unico Assoluto (la Sostanza “Dio ossia Natura”) sino ai dettagli di  come sia conveniente agire per ogni individuo, manifestazione particolare della Sostanza. Se i singoli, propriamente parlando, non esistono perché ognuno di noi è la sfaccetattura di un unico immenso Poliedro, un’etica “dimostrata col metodo dei matematici” è possibile: un’etica tanto più perfetta quanto più radicale è stata la sua negazione della libertà umana.
        Ma ha senso un’etica se non esiste la libertà di seguirla o di disattenderla? Kant pensa di no. Sulla prospettiva kantiana ci siamo soffermati sia io sia, meno brevemente di me, Alessandro Roani (Fabriano).  Si può dimostrare che l’uomo è libero? Se lo si vuole dimostrare secondo il  percorso tradizionale (di tipo speculativo-metafisico), la risposta di Kant è nettamente negativa. Perciò egli propone un cammino nuovo: l’imperativo categorico è la ratio cognoscendi (la chiave per conoscere) la libertà umana, la quale a sua volta è la ratio essendi (la  condizione ontologica) dell’imperativo categorico.  In altre parole: sappiamo di essere liberi (o, meglio, lo crediamo per “fede filosofica”) perché la ragione ci comanda di trattare gli altri sempre anche come fini e mai solo come mezzi delle nostre azioni; ma, se non fossimo liberi, questo comando della ragione sarebbe… irragionevole. Alessandro Roani ha proseguito l’excursus storico ricordando che la difesa della libertà umana operata da Kant non convince Schopenhauer: a suo parere la nostra libertà è quella dei burattini manovrati da una Volontà assoluta, cieca, che è il Fondamento della natura e della storia. L’etica non è obbedienza a questa Volontà, bensì liberazione da questa Volontà.
        Nietzsche condivide la convinzione di Schopenhauer secondo cui “in principio non era un Logos, bensì l’Assurdo”, ma non le sue conseguenze ascetiche: più che emanciparsi dalla Volontà, bisogna emancipare la Volontà dalle pastoie dei moralismi di ogni risma. Nietzsche può essere assunto a simbolo del passaggio dalla Modernità alla Contemporaneità, per i cui labirinti ci ha guidato Francesco Dipalo (Bracciano). Egli ha ricordato come, a giudizio del pensatore tedesco, l’uomo  - lungi dallo sterilizzare il flusso inarrestabile della Volontà di potenza- debba assecondarlo e farsene veicolo creativo di nuovi valori, al di là della distinzione di bene e di male (insostenibile dopo la “morte di Dio”). In Nietzsche si profila dunque un “nichilismo positivo” che, per molti versi, riprende convinzioni e pratiche ellenistiche e – secondo alcune dichiarazioni di Nietzsche stesso -  non è molto differente dal buddhismo: accettare che la vita sia divenire, impermanenza, lungi dal gettarci nella disperazione del naufrago che ha smarrito ogni appiglio stabile, ci apre a una nuova esperienza del sacro. Esistere è liberarsi dalle illusioni dei falsi sostegni e abbandonarsi ad un oceano senza sponde In-finito, In-determinato; a quel Ni-ente che ci ospita in vita e ci attende in morte (Nirvana).

                           Augusto Cavadi    (www.augustocavadi.com)

2 commenti:

Giovanna Audino ha detto...

Ringrazio tutti per l’interessante seminario ed anche perché sono stata molto bene con gli altri partecipanti . Certo preferirei che nei prossimi anni gli argomenti trattati fossero svolti anche con riguardo alla filosofia del ‘900 che credo sia più vicina alla nostra sensibilità ed ai problemi attuali. Ma forse è una mia particolare attenzione al contemporaneo anche nelle arti e nella cultura. E purtroppo conosco poco le correnti filosofiche dell’ultimo secolo.
Un saluto a tutti. Giovanna Audino

Anonimo ha detto...

"…secondo alcune dichiarazioni di Nietzsche stesso - non è molto differente dal buddhismo".
Quali dichiarazioni, ad esempio?