domenica 27 dicembre 2015

QUESTO IL LIBRO CHE SARA' PRESENTATO A PINEROLO (TO) LA SERA DEL 29 DICEMBRE 2015

Come preannunziato, martedì 29  dicembre 2015 presenterò a Pinerolo (Comunità "Viottoli", Vicolo delle Craceri 1a) il mio Mosaici di saggezze. Filosofia come nuova antichissima spiritualità, Diogene Multimedia, Bologna 2015).
  Intanto Maria D'Asaro ne ha pubblicato una bella recensione sul numero di "Centonove" in edicola:


E’ possibile vivere una spiritualità slegata da una fede religiosa? Che ruolo ha la filosofia nella ricerca di una tale spiritualità? Quali contributi ci offrono in proposito i filosofi antichi e moderni? In Mosaici di saggezze. Filosofia come nuova antichissima spiritualità  (Diogene Multimedia, Bologna, 2015, € 25,00) Augusto Cavadi risponde in modo esauriente a tali interrogativi, affermando che la spiritualità non è prerogativa solo delle religioni e che il pensiero filosofico ha le carte in regola per illuminare i percorsi di saggezza dell’umanità. Per quantità e qualità della materia trattata, il lettore ha in mano un libro assai ricco e complesso: se ne suggerisce perciò una lettura lenta e meditata, la più adatta a gustare e ‘digerire’ appieno le molteplici riflessioni che il testo contiene; riflessioni che l’autore intreccia comunque con brillante maestria,  consentendo di fruire appieno della robusta poliedricità dell’opera grazie a una esposizione chiara e scorrevole. 
Vinto il timore reverenziale verso un testo impegnativo sì, ma sicuramente alla portata di uomini e donne che, alla ricerca di un senso della vita e del mondo, non si sottraggono alla fatica del pensare, Mosaici di saggezze si rivela un libro necessario, addirittura di “servizio”, perché, pur senza pretendere la palma dell’originalità, colma una lacuna nel panorama filosofico: recupera infatti alcuni filoni spirituali della filosofia occidentale e traccia le linee essenziali di una possibile - multiforme e intrinsecamente inesauribile - spiritualità filosofica. Operazione possibile perché l’autore - alla maniera socratica “filosofo di strada” senza steccati e senza frontiere - è capace di spaziare laicamente nell’universo delle riflessioni incarnate nel tempo dai singoli pensatori, costruendo ponti e connessioni tra le diverse ‘offerte’ spirituali. Perché è proprio l’esercizio del pensiero a rendere possibile una spiritualità, anzi un mosaico di saggezze e di spiritualità, a patto che, sottolinea l’autore “ci riconciliamo con la costellazione dei termini imparentati con il vocabolo ‘spirito’ (…) e restituiamo al termine … la sua costitutiva polifonicità (…): ciò che noi siamo nel nucleo più intimo e ciò che possiamo diventare al culmine della nostra fioritura”.  Così intesa, la spiritualità non può che essere di per sé inclusiva; e la filosofia “non può sottrarsi al compito cui sembra chiamarla l’epoca storica che attraversiamo: vigilare criticamente contro ogni travestimento perverso dello spirituale, (…) ma anche contribuire in positivo alla rinascita e diffusione di un’autentica dimensione spirituale dell’esistenza personale e collettiva”.
Non è facile condensare in poche righe la straordinaria ricchezza del testo: Mosaici di saggezze  fornisce utili riflessioni sul senso della filosofia oggi, “l’amica ritrovata” che serve a non dare nulla per scontato ed è il miglior antidoto ai diversi fanatismi; evidenzia le connessioni inscindibili tra filosofia, etica e politica, ribadendo il legame tra la riflessione filosofica sulla vita individuale e l’azione sociale e politica e indicando nell’ortoprassi il fine ultimo della ricerca filosofica; ci offre poi un’analisi illuminante sulla svolta pratica della filosofia e un’ampia disamina sulla sua valenza intrinsecamente spirituale e terapeutica; ancora, nei capitoli “Costellazioni della modernità” e ”Costellazioni della contemporaneità”, il libro propone imperdibili approfondimenti sulla spiritualità di pensatori del calibro di Giordano Bruno, Pascal, Montaigne, Feuerbach, per citarne alcuni, e, tra i contemporanei, Ellul, teorico della decrescita, Hans Jonas, Gadamer ed Edgar Morin: proprio Morin ci esorta, tra l’altro, a “implementare ogni politica con generose doti di etica e ogni etica con forti iniezioni di spiritualità”.
Il testo infine, non a caso scritto in prima persona, riesce persino a com-muoverci, perché le sue pagine toccano profondamente la nostra mente e il nostro cuore, attraverso una sorta di costante e feconda risacca filosofico/esistenziale. E allora: la spiritualità filosofica ci salverà? Luc Ferry afferma che compito ultimo della filosofia è comunque il riconoscimento del suo limite:“L’amore della saggezza deve in un certo senso eclissarsi per dare spazio … alla saggezza stessa. Essere saggio (…) è semplicemente  vivere con saggezza, il più possibile liberi e felici, riuscendo infine a vincere le paure che la finitezza ha suscitato in noi”. E Cavadi gli fa eco, suggerendo l’abbraccio felice tra amore e filosofia:“La filosofia può salvare dal non-senso solo se si prende sul serio la sua valenza esistenziale, mistica (…) ma in questo vissuto non può mancare l’esperienza dell’amore. La filo-sofia è completa solo se è anche sofo-filia. (…) Nessun amore della sapienza è veramente tale se non, anche, sapienza dell’amore”  .    
Maria D’Asaro, “Centonove” n.32 del 24.12.2015

sabato 26 dicembre 2015

CI VEDIAMO MARTEDI' 29 DICEMBRE 2015 A PINEROLO (TORINO) ?


Martedì  29  dicembre  alle ore 20,45  a Pinerolo (Torino), 
presso la comunità di base "Viottoli" (in vicolo delle Carceri 1 ),
introdurrò una conversazione pubblica sul tema della SPIRITUALITA’ LAICA
a partire dal mio ultimo libro MOSAICI DI SAGGEZZE. Filosofia come nuova antichissima spiritualità  (Diogene Multimedia, Bologna 201). 
Alle 19, per chi vuole, cena autogestita: "da ciascuno secondo le sue abilità, a ciascuno secondo il suo appetito" (Karl Marx, rivisto e adattato per l'occasione :)  )

giovedì 24 dicembre 2015

DI AMORI SICILIANI E DINTORNI


“Siciliapiu.info” 21.12.2015



AMORI SICILIANI E DINTORNI





    La storia della Sicilia si può rivisitare da diverse angolazioni: per esempio rievocando celebri personaggi storici (che vi sono nati o vi sono morti) oppure delitti famigerati oppure ancora opere d’arte lasciate in eredità da epoca in epoca. Nel suo D’amore in Sicilia (Flaccovio, Palermo 2015, pp. 227, euro 13,00 – disponibile anche in e-book) Antonino Cangemi ha privilegiato, come recita il sottotitolo, un altro filo rosso: Storie d’amore nell’Isola delle isole. Intrecciando gradevolmente la sensibilità del letterato con la puntuale precisione dello storico, Cangemi racconta diciassette  storie amorose che vanno dal XVI secolo (La baronessa di Carini e Ludovico Vernagallo) ai nostri giorni (Topazia Alliata e Fosco Maraini).

 Ogni lettore scoprirà quali vicende lo intrigheranno maggiormente e, di conseguenza, gli si imprimeranno più fortemente nella memoria. Personalmente sono rimasto colpito in modo particolare da Luigi Pirandello e Marta Abba (il sui senso sfuggirebbe del tutto se non si leggesse dopo aver letto Luigi Pirandello e Antonietta Portulano) e da Gli amori infelici di Rosa Balistreri. Una chiave di lettura istruttiva la fornisce nella Prefazione Matteo Collura: “Parlare d’amore, in Sicilia, può significare invadere territori che appartengono all’onore, alla sacralità della famiglia, al bene più prezioso che una donna custodisce in sé, spesso l’unico patrimonio su cui contare” (almeno sino alla eroica ribellione, negli anni Sessanta del secolo appena trascorso, raccontata in Franca Viola e Filippo Melodia: ribellione nella quale un ruolo decisivo ebbe il papà di Franca, ugualmente resistente ai pregiudizi del passato e alle minacce dei mafiosi).

    Nel complesso il libro conferma due adagi. Il primo riguarda in particolare “l’Isola delle isole” e, come ricorda all’inizio della sua prima storia Cangemi, è stato formulato con acutezza di sguardo da Sebastiano Aglianò (nel suo Che cos’è questa Sicilia?) : “La vita del siciliano si svolge attorno a due poli fissi : il denaro e la donna, la roba di Mastro don Gesualdo e l’onore di compare Alfio”. Il secondo adagio, valevole su tutto il pianeta, ben oltre i confini della Sicilia, è racchiuso in un aforisma del simbolista francese Henri de Régnier: “L’amore è eterno finché dura”.



     Augusto Cavadi

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martedì 22 dicembre 2015

L'AUTOBIO-BIBLIOGRAFIA DI MARCELLO BENFANTE


“Centonove”  11.12.2015

MARCELLO BENFANTE LETTORE

     Chi di voi ricorda qual è stata la prima volta che è riuscito a leggere una scritta? E, poi, qual è stato il primo libro che ha letto per intero? E, ancora dopo, qual è stato il primo volume acquistato con i propri risparmi ? Personalmente, non ricordo nulla di tutto questo. Perciò sono rimasto stupito della memoria, per così dire anche affettiva, che ha consentito a Marcello Benfante di scrivere la  sua singolare Autobibliografia del lettore da giovane (Plumelia, Bagheria 2015, pp. 132, euro 8,00): una ricostruzione puntuale, dotta e divertente della sua storia di lettore bambino prima, adolescente dopo. Che è poi, in larga parte, l’ “autobibliografia” della  generazione dei sessantenni di oggi.
    Stimolato e supportato a casa dallo zio Gianni (che gli leggeva i fumetti) e a scuola dal maestro Teo Falco, “magico affabulatore”, il piccolo Marcello decifrò per la prima volta l’insegna di un “Elettrauto”. Poco dopo chiese e ottenne di acquistare a sei anni Robinson nell’isola dei corsari di Carl Memling  perché attratto sia dalle immagini di copertina sia dalla parola  “corsari” (più iammaliante di “pirati”). Un altro amore a prima vista l’autore lo provò alla stazione ferroviaria di Palermo per il fascicolo La camera di Horus. Il mistero della grande piramide, disegnato , con “perfezione inarrivabile”, da Edgar Pierre Jacobs. Suggerito dalla neo-nata televisione, invece, l’incontro con le avventure di Ivanhoe (“uno dei più solari eroi della mia felice infanzia”), originariamente narrate nel 1820 da Walter Scott. Senza ancora sapere di essere in buona (e insospettabile) compagnia – Borges, Che Guevara, Sepùlveda, Paco Ignacio Taibo II  – diventa lettore devotamente appassionato di Sandokan. Ed oggi Benfante asserisce con convinzione: “Che il fascismo abbia innalzato Salgari al rango di un piccolo vate della sua  ideologia volontaristica e bellicosa è una odiosa quanto assurda mistificazione. I protagonisti dell’epopea salgariana sono sempre ribelli quasi asociali il cui carisma è un’aura maledetta e il cui potere è un gorgo autodistruttivo”.
   Nel fatidico 1968 all’autore accade l’incontro “fortuito” e “soprattutto fortunatissimo” con Sherlock Holmes, “il vero antesignano del detective privato, nonostante la sua evidente discendenza dal Dupin di Poe”: “Fu amore a prima vista. Sherlock Holmes è rimasto sempre, non solo il mio investigatore prediletto, ma anche il personaggio più affascinante di tutte le mie letture giovanili”. Egli “appartiene alla dimensione del mito. Risolutore di ferali indovinelli come Edipo. Uccisore di mostri come Teseo , Perseo e San Giorgio. Salvatore di fanciulle e cercatore di Graal come un cavaliere della Tavola rotonda. E’ al tempo stesso un archetipo e un prototipo”.
 A diciassette anni Marcello ha la possibilità di occupare un settore tutto suo della libreria di casa: “il primo mattone di una biblioteca personale, destinata a diventare un piccolo labirinto privato, è stato un volume di Vladimir Majakovskij”. Non senza aspirazioni  - o velleità – rivoluzionarie, egli viene folgorato dall’incipit dell’antologia: “Sono un poeta. Per questo sono interessante. Di questo scrivo. Di tutto il resto, solo se è decantato dalla parola”.  Con gli anni l’infatuazione ideologica passerà, non l’ammirazione per la valenza lirica e la fervida immaginazione del poeta russo. Così le sue produzioni resteranno al loro posto accompagnate, via via, da altre opere di altri autori: nonostante la laurea in filosofia conseguita da Benfante, saranno sempre più prevalentemente opere di letteratura.  Un percorso comune a molti pensatori del Novecento che, come Heidegger e Gadamer, troveranno nella voce dei poeti quelle indicazioni istruttive che la pura speculazione logica ed epistemologica sembra non essere in grado di offrire.
   Chiudendo questa “autobibliografia” per riporla nella propria biblioteca, il lettore del “lettore da giovane” non può non chiedersi  - con una punta di malinconia – se non siamo già entrati in una nuova era della conoscenza, dominata dalle immagini e dai suoni, in cui nessun altro potrà mai narrare di aver letto tanto.
                                                                          Augusto Cavadi
                                                                www.augustocavadi.com

                                                     

lunedì 21 dicembre 2015

IL SOTTOPROLETARIATO COGNITIVO SECONDO DAVIDE MICCIONE


“Comunicazione filosofica”, 35


     Ci sono libri che un cittadino riflessivo non dovrebbe ignorare. Lumpen Italia. Il trionfo del sottoproletariato cognitivo (Ipoc, Milano 2015) di Davide Miccione è uno di questi. Come spesso accade per i testi ‘necessari’, il bibliotecario avrebbe difficoltà a collocarlo in un settore disciplinare: esso infatti si occupa di tematiche solitamente affrontate da varie angolazioni (dalla sociologia alla pedagogia, dalla politica alla psicologia sociale), anche se si tratta essenzialmente di un’opera filosofica. Non tanto perché l’autore è uno dei più originali (e meno valorizzati) pensatori del panorama italiano contemporaneo, quanto per la mossa che ha dato vita al libro: puntare il dito su un dato talmente evidente da non essere più considerato nella sua estensione né nella sua gravità. Il dato è la sottoproletarizzazione cognitiva della popolazione italiana. Trasversalmente rispetto agli strati socio-economici, si registra un impoverimento non solo delle nozioni ritenute un tempo patrimonio comune dei cittadini adulti istruiti, ma  - ciò che più preoccupa – della curiosità di capire come funziona il mondo. In sovrappiù, cresce la fierezza della propria ignoranza e della propria nolontà di conoscere. La povertà intellettuale è arrivata al punto non solo di non riconoscersi come tale, ma addirittura di interpretarsi come ricchezza.
      In una prima parte del volume Miccione traccia una sorta di “fenomenologia dell’ignorante ipermoderno” attraverso sia l’osservazione personale sia gli studi di specialisti (come Graziella Priulla, autrice de L’Italia dell’ignoranza. Crisi della scuola e declino del Paese, o Tullio De Mauro, autore de La cultura degli italiani ). Gli elementi per ricostruire l’identikit di questo nuovo Lumpen sono ricercati nelle aule universitarie e scolastiche prima, fuori dalle istituzioni deputate alla formazione delle generazioni più giovani dopo. Nonostante sia impossibile in questa ricostruzione non sorridere davanti a certe perle (come l’aspirante scrittrice che sogna un futuro costernato di successi letterari), la tonalità emotiva è di seria mestizia: che prospettive di progresso effettivo si aprono a una popolazione in cui l’omologazione culturale è avvenuta non mediante il riscatto degli sfavoriti, bensì il degrado dei privilegiati?
  Il quadro dello sfascio del sistema formativo sarebbe abbastanza preoccupante da solo, ma uno sguardo ai risvolti politici “nelle piazze” lo rende – se possibile – ancor più tragico. E’ quanto emerge dalla seconda parte del volume in cui si esaminano alcune metamorfosi patologiche. La destra aristocratica e istruita di un Einaudi, di un Malagodi, di uno Scalfaro o di un Montanelli è diventata la “lumpendestra” di Berlusconi, Bossi, Casini: uno schieramento per il quale l’ignoranza diffusa non è un “problema, ma una continua fonte di opportunità, anzi essa è addirittura il prerequisito che ha permesso di cannibalizzare la vecchia e meno incresciosa destra in doppiopetto”. Non più confortante la situazione a sinistra: “costruirsi una minima cultura resta sempre una scelta che ogni singolo individuo deve fare. A una classe dirigente resta il dovere di non essere preda anch’essa dell’illetteralismo, di non vellicare i basti istinti del popolo, di mostrare quanto si tenga in considerazione la cultura, di eliminare ogni tipo di ostacolo sociale ed economico e di manovrare carota e bastone per indurre i vecchi e nuovi ignoranti a curarsi un po’ di più della propria mente. Insomma spetta fare tutto il contrario di ciò che accade adesso”. Se ciò vale per i governi di centro-sinistra (Prodi, D’Alema)  incuneatisi nel ventennio “ipnomediatico” (Tommaso Labranca), ancor più lo si può ribadire per “un leader berluscoide come Matteo Renzi, che merita una riflessione a parte” (anche alla luce della categoria “nuovi barbari” proposta da Baricco). Il risultato finale – almeno sino a questo momento storico in cui Miccione lancia i suoi accorati appelli – è che, a destra come a sinistra, “l’idea di un mondo dove governanti e governati possano scambiarsi di posto” e “si provi a uscire e a far uscire ogni cittadino dalla minorità, è un sogno che nessuno è più interessato a sognare, per alcuni anzi è un incubo”.
   Come è facile intuire, il ceto politico non avrebbe potuto da solo provocare un disastro culturale di tali proporzioni senza la complicità di protagonisti esterni rispetto ad esso. L’autore di questo prezioso libro si sofferma in particolare su due: la Chiesa cattolica (almeno sino a papa Francesco escluso) e il mondo degli intellettuali. La prima, dalla Controriforma in poi, ha accettato e costruito al proprio interno un “doppio registro elitista-popolare”  per il quale è necessario che “in eterno vi sia tanto il teologo che l’ignorante, tanto il gesuita sapiente quanto il superstizioso devoto dei santi, nonostante di quest’ultimo, versione religiosa e vintage dell’ignorante ipermoderno, nel Vangelo non si dicesse, diversamente dal povero (Mt, XXVI, 11), che siamo destinati ad averlo sempre con noi”. Oggi però questo gioco rischia di capovolgersi in un boomerang: se l’ignorante è troppo ignorante, gli mancherà persino l’alfabeto elementare per dirsi – o meno – cattolico. Gli diventerà impossibile, linguisticamente, “far parte di una religione che sia qualcosa in più di una nebbiolina dolciastra ed emotivistica per cui la New Age risulterà ben più attrezzata rispetto alla possente struttura teorica, storica e liturgica della Chiesa”. Anche il ceto intellettuale ha le sue responsabilità: tende a chiudersi autoreferenzialmente, accettando di ignorare la gente comune quanto di essere da questa ignorato, nell’illusione che una minoranza di illuminati possa sopravvivere al naufragio generalizzato. E’ la prevalenza del modello atomistico, monadico, rispetto al modello illuministico e romantico del “dotto” come maestro e stimolatore delle masse. Si può e si deve essere critici nei confronti del passato, senza ingenue idealizzazioni, ma come non ricordare – e Miccione lo ricorda – che grazie a intellettuali quali Croce e Gentile i problemi della scuola e dell’università erano al centro del dibattito nazionale? Oggi vale il si salvi chi può (tanto più che, fuori dagli atenei, la gente non immagina a cosa si sono ridotti gli studi universitari). Ma si sottovaluta che tattiche individuali senza strategie collettive sono destinate al fallimento.
  Quali che siano i passaggi storici e le responsabilità di vari attori, la situazione attuale è dominata  - in ogni categoria sociale – da questo “sottoproletariato cognitivo” che “non è interessato alla politica, non contestualizza la propria situazione, non è disponibile a federarsi per aumentare il proprio potere, sospetta di tutti ma cade in ogni tranello”. Insomma: siamo in presenza di un cancro che avanza nel silenzio generale e che erode le radici stesse di ogni democrazia. Detto così, può suonare ancora astratto: la democrazia non è un valore assoluto, ma un mezzo (forse il meno inadeguato sinora escogitato) per avvicinarsi alla giustizia nella libertà. Possiamo dunque, con Miccione, ridirlo meglio: il sottoproletariato cognitivo è, prima di tutto, un pericolo per sé stesso. Solo con la sua diffusione pervasiva si può spiegare “l’assenso di persone con reddito da lavoro, e non da capitale, a politiche che favoriscono il progressivo spostamento dell’economia italiana dal lavoro al capitale, dall’industria alla finanza”.
    Il quadro è preoccupante, ma l’autore  - da buon filosofo ‘pratico’ – non se ne lascia paralizzare e passa dalla diagnosi (molto più ampia, documentata e articolata di quanto sia riuscito a sintetizzare in poche righe)  alla terapia. Guidato da un assunto di principio: la crisi  morale e civile in cui si dibatte il nostro Paese (e, se non è l’unico nella melma, non c’è da consolarsene) è, in radice, un difetto cognitivo. Socraticamente, Miccione pensa che, al dominio del”non sapere di non sapere” (tipico degli ignoranti impenitenti), bisogna opporre un “sapere di non sapere” che sia propedeutico al voler sapere, almeno l’essenziale. Dal punto di vista più operativo, infine, “cinque proposte per iniziare a desottoproletarizzare l’Italia”: “aumentare i finanziamenti per tutto il comparto cultura”; ripristinare i concorsi pubblici; ridimensionare il ruolo della famiglia nei processi educativi; recuperare i minori “dispersi” dal punto di vista scolastico; valorizzare “l’acquisizione di titoli di studio” da parte di detenuti come “unico parametro per ottenere sconti di pena”. Insomma, ce n’è abbastanza per apprendere e per darsi da fare. Almeno per i lettori ancora immuni dal morbo dell’ossimorica “educazione all’ineducazione”.



                              Augusto Cavadi
                      www.augustocavadi.com

domenica 20 dicembre 2015

LESSICO DELLA DIFFERENZA: SESSO, GENERE E ORIENTAMENTO SESSUALE (Palermo, 21 dicembre 2015, ore 16.00)


Gli appunti per il mio intervento al convegno di oggi
(lunedì 21 dicembre 2015, ore 16.00)
presso la Fonderia Oretea (Palermo)

Lessico della differenza: sesso, genere e orientamento sessuale

    Secondo Confucio gli imperi crollano quando i cittadini smettono di comunicare e i cittadini smettono di comunicare quando usano le parole senza precisarne il significato. Il dibattitto sulla “ideologia gender” – che  sta occupando l’opinione pubblica italiana - non è, almeno ai miei occhi,  di facile soluzione: proprio perché sono possibili legittime differenze di valutazione è opportuno non moltiplicarle inutilmente, e dannosamente, per difetto di precisione semantica.
   Il mio servizio è molto elementare: fissare un dizionario minimo che renda possibile intendersi a vicenda o per concordare o per discordare. Le parole chiave sono tre: sessi, generi e orientamenti sessuali.
    Il sesso è fondamentalmente determinato da un insieme di caratteri biologici (che vanno dai cromosomi a segni esteriori come i genitali).
      L’identità di genere è fondamentalmente determinata da un insieme di caratteri psico-sociologici: si può appartenere con nettezza al sesso maschile o femminile dal punto di vista anatomico  pur senza riconoscersi emotivamente, affettivamente, socialmente nella propria identità sessuale. Infatti  “il genere non è qualcosa che uno è ma qualcosa che uno fa. È un insieme di pratiche, simboli, luoghi e significazioni” [1].
     Dalla identità sessuale e dalla identità di genere va distinto l’orientamento sessuale: chi è maschio e chi è femmina (sia tale da sempre o come punto di arrivo di un percorso di identificazione) può avvertire desideri eterosessuali o omosessuali o bisessuali.   Importante: “Mentre l’identità di genere si riferisce al rapporto con se stessi, l’orientamento sessuale si riferisce a quello con gli altri”.[2]

      Questa triplice categorizzazione (per sesso, per genere e per orientamento sessuale) può essere letta attraverso due griglie interpretative principali che, per comodità, potremmo denominare logica binaria o logica  variegata.
       Vediamo, in concreto, come funzionano questi due approcci ermeneutici dalle tre angolazioni focalizzate.
·            Dal punto di vista del sesso: in una logica binaria si nasce o maschi o femmine, tertium non datur (almeno in linea di principio). Qualora si diano (in linea di fatto) degli organismi di incerta collocazione biologica e anatomica  - è il caso di “soggetti intersessuati” – si ritiene ovvio che i genitori, con l’intervento di un chirurgo, sciolgano l’ambiguità e decidano per l’uno o l’altro sesso. Dieta, sport, integratori alimentari faranno il resto accentuando  - secondo i casi -  i caratteri sessuali maschili (per esempio con la pratica del pugilato) o i caratteri sessuali femminili (per esempio con la danza classica). In una logica variegata si problematizza il diritto dei genitori e della medicina di decidere ciò che la natura ha lasciato indeterminato nel neonato (“ermafrodita”).
·      Ancora maggiore è la differenza delle due logiche dal punto di vista dell’identità di genere. Anche qui la logica binaria ammette come ‘normale’ solo il genere maschile e il genere femminile. In una logica variegata , invece, si contemplano dei casi di “diversità” che non vengono stigmatizzati come patologici.  Sono i casi in cui si registra una discrepanza fra dato anatomico (sesso) e dato esistenziale (genere). Chi si scopre in queste condizioni è davanti a un bivio: vivere la propria “non conformità al genere” senza decidersi unilateralmente per nessuno dei due generi ‘canonici’ - in questi casi si parla di persone “transgender”; oppure, per particolari motivi, decidere di adeguare nettamente (con cure ormonali e/o  interventi chirurgici) la propria fisionomia sessuale alla nuova identità di genere (insomma il proprio corpo alla propria mente) - come avviene nel caso dei “transessuali”. Nell’uso comune, il vocabolo transgender ha perduto l’originalità semantica e ha finito col designare la multicolore galassia di quanti non si identificano con un solo sesso/genere.  Potrebbe non essere superfluo specificare che vivere la condizione di transgender o di transessuale non sono strade che si imboccano alla leggera: nessuno ne affronterebbe i  costi sociali se non fosse indotto da esigenze interiori autentiche.
·      Ovviamente le due logiche si divaricano anche rispetto alla tematica dell’orientamento sessuale. Per la logica binaria la relazione eterosessuale è  ‘normale’ e ‘anormale’ (e quindi da curare o almeno da tollerare) ogni relazione omosessuale (sia gay che lesbica) o bisessuale. La logica variegata,  al contrario, rifiuta ogni differenza fra ‘normalità’ e ‘anormalità’ anche per quanto le relazioni sessuali. Essa “propone infatti di leggere non più in modo dualistico-lineare la sessualità umana, intendendola come rappresentazione ed espressione di una verità che il corpo naturalmente afferma, ma di riconoscere la varietà e la complessità delle pratiche e dei desideri umani  nonché il loro strutturarsi come ambito di formazione identitaria”[3].

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com


[1] Giuseppe Burgio, La pedagogia e il queer. Sessi, generi e desideri nel postmoderno, in M. Stramaglia (a cura di), Pop pedagogia. L'educazione postmoderna tra simboli, merci e consumi, Pensa Multimedia, Lecce 2012, pp. 25-40.
[2] AA.VV., Gender: che cos’è e cosa non è, www.sipsis.it, p. 6.
[3] Giuseppe Burgio, La pedagogia e il queer. Sessi, generi e desideri nel postmoderno, cit.

sabato 19 dicembre 2015

OLTRE LA POLEMICA SUL GENDER (Palermo, lunedì 21 dicembre, ore 16.00 Fonderia Oretea)





Educazione,

         Differenze di genere,

                                     Scuola
Oltre la polemica sul gender

Palermo, lunedì 21 dicembre, ore 16.00
Fonderia Oretea, Piazza Tarzanà

Chair:

Valentina Mangiaforte (Insegnante al liceo scientifico G. D’Alessandro - Bagheria)



Interventi:

Augusto Cavadi (Filosofo Consulente)

Lessico della differenza: sesso, genere e orientamento sessuale



Elena Mignosi (Docente di Teorie, Strategie e Sistemi dell'Educazione, Università di Palermo)

Prima infanzia ed educazione alla diversità: metodologie didattiche e formazione dei docenti



Vittoria Castagna (Dottoranda in Formazione Pedagogico-didattica degli Insegnanti, Università di Palermo)

Infanzia, O.M.S. e modelli di genere: la collaborazione scuola-famiglia



Valentina Chinnici (Presidentessa CIDI – Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti, Palermo)

Tra femminicidio e bullismo: i progetti di educazione di genere a scuola



Ida Pidone (Associazione professionale Proteo Fare Sapere)

Il dibattito sul Gender: chi coinvolge, quali pratiche mette in campo, quale cultura può modificare?



Dibattito





Cidi e Proteo sono enti riconosciuti dal Miur per la formazione.

La partecipazione da' diritto al rilascio dell'attestato ai fini dell'aggiornamento a chi ne faccia richiesta

venerdì 18 dicembre 2015

IL SESSO SECONDO ELIO (NON QUELLO DELLE STORIE TESE)


E. Rindone, Vivere la sessualità. Quanto ci condizionano le idee degli Antichi ?, www.ilmiolibro.it, Roma 2015 (per visionarlo gratis: http://reader.ilmiolibro.kataweb.it/v/1162496/vivere-la-sessualit_1164077)

QUI DI SEGUITO LA PREFAZIONE DI AUGUSTO CAVADI


Una difficile eredità

La mia generazione, a cavallo fra il XX e il XXI secolo, ha conosciuto trasformazioni epocali in molti settori della vita: la sfera sessuale non è stata tra le meno sconvolte.
Dal punto di vista economico-sociale la famiglia non è più l’unico quadro di riferimento entro cui si apprende e si esercita la dimensione sessuale; dal punto di vista giuridico-politico lo Stato è sempre meno autorizzato a sindacare le scelte sessuali dei cittadini adulti; dal punto di vista filosofico-culturale, alcune acquisizioni freudiane fanno ormai parte del senso comune; dal punto di vista sociologico (dai Rapporti Kinsey in poi) nessuno oserebbe scommettere sull’identità fra ciò che si dichiara sul sesso e ciò che avviene davvero sotto le lenzuola; dal punto di vista medico, per via della pillola anticoncezionale del dottor Pincus, “i futuri libri di storia elencheranno il 1960 a fianco del 1492: l’anno cioè della scoperta, se non di un nuovo mondo, di un nuovo modo di vivere nel mondo” (M. D. Sahlins); dal punto di vista teologico-religioso, nessuna chiesa cristiana che sia esegeticamente onesta può usare la Bibbia per approvare o condannare questo o quell’altro comportamento sessuale dal momento che nei Libri sacri i codici morali ospitati sono differenti secondo le regioni e le epoche.
I giornali, i libri, il teatro, le arti figurative e soprattutto il cinema hanno raccontato queste metamorfosi e, raccontandole, hanno contribuito ad accelerarle.
Quale comportamento si confà all’uomo ‘comune’, all’uomo della strada, attraversato e soverchiato da processi così complessi e così incisivi nella concretezza e nella quotidianità? Sappiamo la risposta dall’abitante delle caverne al pilota delle astronavi: adeguarsi alla direzione del vento che soffia più forte, seguire la maggioranza per non apparire – prima di tutto a sé stesso – un emarginato.
In ogni generazione, però, vi sono alcuni che non accettano né le consuetudini inveterate né le mode passeggere e vogliono provare, pur nella consapevolezza dei pregiudizi di cui non possono liberarsi del tutto, a pensare con la propria testa. A informarsi, a capire, a riflettere, a confrontarsi: e, via via, a plasmare di conseguenza l’esistenza.
Sono i filosofi autentici, che solo in parte coincidono con i filosofi professionisti, dal momento che ci sono filosofi di mestiere che preferiscono lasciarsi trascinare dalle correnti più gagliarde e filosofi in incognito (che in alcuni casi non sanno neppure di esserlo) che non abdicano al diritto-dovere di farsi guidare dalla ragionevolezza.
In questa fatica, talora piacevole sempre arricchente, la serietà impone di scavare sino alle radici dei fenomeni contemporanei. Che è esattamente quanto – in maniera scorrevole, non priva di passaggi umoristici ma sempre rigorosa – propone Elio Rindone in questo nuovo saggio.
Le radici o, meglio, alcune radici della cultura occidentale moderna e contemporanea sono riconducibili soprattutto a tre filoni: quello greco-romano, quello ebraico-cristiano e quello (o meglio l’intreccio di filoni) cattolico-medievale. Che sono le tre concezioni della sessualità indagate dall’Autore con un obiettivo esplicito: rintracciare, nominare e sottoporre al vaglio critico quella difficile eredità culturale che, anche a nostra insaputa, condiziona i nostri orientamenti etici attuali nella sfera sessuale.
La consapevolezza della tradizione nel cui alveo ci troviamo a navigare, senza averlo scelto, può metterci nelle condizioni di relativizzare quelle norme e quei divieti che ci sono stati presentati, o silenziosamente inculcati, come eterni, immutabili e universali.
L’essere umano, infatti, non è solo natura ma anche storia: meglio ancora è una natura storica. Per cui, la permanenza di alcune costanti ontologiche si manifesta nel variare delle modalità con cui comprendiamo ed esprimiamo – incarniamo insomma – tali costanti.
Ma, una volta stabilita la mutevolezza storica dei criteri morali, si possono trarre due conclusioni opposte. O la deresponsabilizzazione (visto che tutto cambia, viviamo alla giornata affidandoci alle circostanze casuali) o la responsabilità di calibrare e verificare nuovi criteri (visto che non possiamo ciecamente fidarci di nessun modello del passato, impegniamoci a elaborarne uno nostro – sia pur perfettibile e non definitivo).
Chi, come Elio Rindone, propende per questa seconda via – più impegnativa ma più rispettosa della nostra dignità di persone – saprà trarre dalla storia trascorsa almeno un indirizzo di fondo: la sessualità è una dimensione antropologica troppo preziosa per essere demonizzata o idolatrata, e quindi rovinata dalla rimozione fobica o dall’enfatizzazione inflazionante.
Esattamente come l’intero essere umano, la sessualità – parafrasando Pascal – si colloca all’equidistanza fra il “niente” e il “tutto”. Se per “sessualità” non s’intende, riduttivamente, la “genitalità” ma, più ampiamente, la nostra tensione erotico-affettiva, si potrebbe scoprire – insomma – che essa è tanto necessaria quanto insufficiente per la nostra completa, armonica, autorealizzazione.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

mercoledì 16 dicembre 2015

LO SMARRIMENTO E OLTRE (Appunti per l'intervento di ieri sera a Misilmeri)


LO SMARRIMENTO E OLTRE

    Dal punto di vista fenomenologico, descrittivo, non c’è bisogno di spendere molte parole sulla frequenza e sull’intensità del senso di smarrimento da parte dell’uomo contemporaneo. Può non essere superfluo aggiungere che questa condizione esistenziale è un privilegio della nostra epoca: come osservava Malraux, siamo la prima generazione nella storia che non sa bene cosa ci stia a fare al mondo. Possiamo nominare in molti modi tale senso radicale di smarrimento e uno dei più eloquenti è “nichilismo”. Nietzsche l’ha saputo rappresentare in maniera anche letterariamente suggestiva nel famoso brano dell’uomo apparentemente folle che in pieno giorno cerca Dio al mercato con la lanterna accesa per annunziare che Dio è morto: “Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso ? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?” Come ha spiegato in maniera convincente Heidegger , la morte di Dio non è una questione teologica (o non soltanto): è la metafora della scomparsa di valori perenni, di punti di orientamento universalmente condivisi. E’ l’eclissi della verità e dell’etica.
     In questa situazione chi di noi esercita pensiero è esposto a una duplice tentazione. La prima è di eccitarsi all’idea che – per dirla con Dostoevskij  – “se Dio è morto, tutto è permesso”. Che senza un padre occhiuto e repressivo comincia l’era della libertà piena: “senza tetto né legge”. Ma Foucault non è l’unico ad avvertirci che c’è poco da rallegrarsi: la morte di Dio preannunzia la morte dell’uomo. L’antropologo Ernesto Di Martino raccontava di un popolo nomade di aborigeni australiani, gli Achilpa, che ogni sera piantavano al centro del proprio accampamento un palo che, il giorno dopo, con la propria inclinazione, indicava la direzione da intraprendere. Quando una mattina trovarono il palo spezzato si lasciarono morire per lo scoramento causato dal disorientamento. Il palo infatti – ricorda John Berger – è la linea verticale che congiunge la terra al cielo, i defunti agli dei: potremmo aggiungere,  la memoria del passato allo slancio verso la trascendenza. Sino a quando c’è un palo intorno cui costruire la tenda c’è una “casa” da cui partire e a cui ritornare.
      Per evitare la vertigine dello smarrimento altri intellettuali  - specie se dediti a “professioni di aiuto” – cedono alla tentazione opposta: precipitarsi a offrire una ciambella di salvataggio ai naufraghi. E’ il salvagente della “normalità” statistica. “Non disperarti: fa’ come fanno tutti. Trovati un appiglio: la famiglia d’origine, un lavoro, una relazione affettiva stabile. Meglio ancora dei figli al cui futuro dedicarti. Forse anche qualche hobby di qualità – come la musica o i viaggi. E, se ne avverti l’esigenza, una pratica religiosa all’interno di una appartenenza ecclesiale”. Ma questa tattica non sempre funziona. In quello che ritengo il suo capolavoro, La dolce vita, Federico Fellini l’ha saputo raccontare da par suo: uno dei protagonisti ha tutto ciò che la vita può offrire (dagli affetti alla ricchezza economica, dalla sensibilità artistica al successo professionale), ma ciò non gli impedisce di togliersi la vita dopo aver soppresso i due bambini adorati. E quand’anche la strategia del “fare come tutti” funzionasse - come effettivamente in tanti casi - uscire dall’isolamento per entrare nella massa è una soluzione reale o il surrogato di una soluzione? Erich Fromm ce l’ha insegnato: prima di usare la psicoterapia per rendere il paziente conforme agli standard sociali, bisognerebbe sottoporre a psicoanalisi la società. Se fosse folle il modo di vivere della maggioranza, sarebbe davvero un servizio condurre il marginale, l’insofferente, il deviante ad assimilarvisi?
   Oggi non ci resta che abitare il nichilismo: senza il compiacimento di chi ci sguazza e senza la fretta di uscirne fuori a qualsiasi costo. Accettare di essere spogliati dalle certezze non vere del passato, ma senza rinunziare a cercare nuove prospettive più realistiche. Come ricorda Franco La Cecla, secondo il mito, “solo dopo essere riuscito a non farsi inghiottire dalla confusione e dal caos del labirinto, Teseo diventa un eroe fondatore e di una città come Atene”[1] . Possiamo riprendere, per analogia, dal punto di vista filosofico ciò che Bernard Welte ha sostenuto dal punto di vista teologico: la nostra generazione sta vivendo la dura prova di confrontarsi con il nulla, ma il nulla può essere il volto con cui si presenta il vero Dio. Il nulla è ciò che resta quando cadono le immagini illusorie di Dio, della verità, dell’etica. Il destino della nostra generazione  è di lasciarci guidare dalla “luce del nulla” ?
                                                                    Augusto Cavadi
                                                             www.augustocavadi.com

* Gli appunti del mio intervento di ieri alla tavola rotonda di Misilmeri


[1] Franco La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 19.