sabato 31 ottobre 2015

"PER UNA SCUOLA BUONA" SECONDO GIORGIO GAGLIANO

Care e cari, Giorgio Gagliano (il mio ex-alunno e attuale amico che molti di voi conoscono) ha pubblicato un breve saggio con proposte concrete di riforma della scuola: Per una Scuola Buona, www.ilmiolibro.it, Roma 2015.
Vi segnalo l'opportunità, gratuita, di fare un regalo a voi e un regalo a lui.
Cliccando sul link
 http://ilmiolibro.kataweb.it/talent-scout/concorso/129572/page/2/ 
potete visionare il libro, scaricarne una copia, recensirlo: voi leggerete gratis delle pagine davvero acute, egli avrà una possibilità in più di essere prescelto dall'editore come autore esordiente da pubblicare in cartaceo.
Buona lettura e (se volete) buona scrittura !
Augusto
www.augustocavadi.com

venerdì 30 ottobre 2015

BRUNO VERGANI SULLA SCAPPATOIA GNOSTICA DI "COMUNIONE E LIBERAZIONE"

Sono contento di apprendere che Bruno Vergani (nel suo mitico blog www.brunovergani.it) continua a trovare spunti di riflessione sui suoi temi prediletti dal mio 'mosaico'.

LA SCAPPATOIA GNOSTICA
 Sappiamo che l’articolato movimento filosofico e religioso dello gnosticismo separava nettamente lo spirito dalla materia, l’anima dal corpo; notorio che diffusosi specialmente nel contesto cristiano dei primi secoli esaltava spirito e anima disprezzando materia e corpo, un dualismo che portava all’ascetismo estremo ma anche a furiose dissolutezze derivanti dalla relativizzazione di corpo e materia: è quel nonnulla di corpo che pecca e l’insignificante materia che si contaminano quaggiù, mentre la personale sublime anima eterna immortale e il supremo spirito divino permangono indenni lassù.
Nel suo saggio sulla spiritualità filosofica «Mosaici di saggezze» Augusto Cavadi a metà libro affrontando il tema del «Distacco dalle cose proprie» gli gnostici li tira in ballo con pertinenza. Sappiamo che la tematica del distacco è cruciale in numerose confessioni religiose e non di rado valutata così portante da essere, ad esempio in ambienti monastici cristiani, codificata e istituzionalizzata attraverso l’obbligatorio voto di rinuncia volontaria al diritto di proprietà od al suo uso.
Qui Cavadi prendendo distanza da pauperismi masochistici approfondisce psicologicamente la tematica citando Matthew Fox, teologo ex domenicano statunitense. Da una parte accetta la tesi di Fox quando valuta illusorio che «la profondità della spiritualità consista nell’abbandonare le cose», in quanto «la conversione spirituale richiede di abbandonare l’atteggiamento di dipendenza» e che dunque: «il “lasciare andare” (letting go), o abbandono, diventa davvero importante quando ci rendiamo conto che non sono le cose che dobbiamo abbandonare, ma gli atteggiamenti nei confronti delle cose, […] In questo si trova la libertà». Osservo che l’aveva già detto, prima di Fox, Paolo ai Corinzi, invitandoli a vivere “come se” non avessero, come se non godessero, come se non possedessero, come se non ne usassero, pur anche di fatto avendo, godendo, possedendo e usando, ma qui Cavadi pone alla puntuale e condivisibile asserzione di Fox un vigoroso “tuttavia”, scorgendo in tale verità l’evidente rischio di gnostiche derive e spiritualistici equivoci. Cavadi precisa: «Sono abbastanza distaccato, nell’intimo dal lusso? Allora non ho alcuna necessità di rinunziare a tutte le occasioni di vacanze nel corso dell’anno o dell’acquisto all’acquisto di una automobile più potente ogni due anni […]: tanto, dentro di me, sono immune da ogni avidità!» e continua risolvendo: «Una simile scappatoia gnostica la si evita solo contemperando l’essenziale (la distanza interiore) con l’accidentale (la rinunzia esteriore). E sarà l’indigenza media intorno a noi - indigenza provocata dalle ingiustizie sistemiche nel pianeta - a stabilire il criterio di equilibrio della nostra sobrietà».
Non escludo che sia fissato all'argomento, ma fulminea mi torna alla mente la recente dichiarazione [1] di una ciellina sottoposta ad esame nel processo Maugeri, quello relativo alla sanitopoli lombarda con più ciellini imputati di associazione a delinquere e illeciti arricchimenti, compresi memores domini che hanno fatto promessa di povertà. La signora riferiva che come regalo di compleanno i suoi amici le avevano regalato un pellegrinaggio a Lourdes con volo privato.
Avevo già analizzato nel merito tale deriva assiologia tribale e triviale, deriva con - devo ammettere, omaggiando i protagonisti - risvolti comici seppur da avanspettacolo ragguardevoli. Avevo spaccato il capello in quattro indagando i paradossali motivi di quel bizzarro distacco da un possesso individuale del denaro e delle cose, ma non dall’utilizzo personale nel possesso di gruppo. Avevo spiegato questa fattispecie di deriva dove la morale non poggia sul comportamento umano in rapporto all'idea condivisa che si ha del bene e del male relata all'imputabilità del soggetto - concezione bollata da quelle parti moralistica -, ma su una singolare teoria etica di appartenenza al gruppo sacramentale: più fai parte più sei nel giusto, più fai parte e più vali, più appartieni e più sei redento, prescindendo dal personale agire. Mi ero attardato a inquisire, enucleare, spiegare, precisare ed esporre ritengo puntualmente alcune bislacche concezioni etiche dei protagonisti, ma l'intero quadro gnostico mi era proprio sfuggito.
www.brunovergani.it

mercoledì 28 ottobre 2015

LOREFICE NUOVO ARCIVESCOVO DI PALERMO: COSA LO ASPETTA ?


  “Repubblica – Palermo” 28.10.2015



IL MESSAGGIO DI FRANCESCO



     Papa Francesco ne ha combinate un’altra delle sue. Alla cattedra episcopale più prestigiosa e ambita della Sicilia ha nominato non uno dei numerosi vescovi che, più o meno espressamente, vi aspiravano, bensì un semplice parroco di provincia. Quasi sconosciuto nella zona occidentale, è noto per la sua attenzione ai poveri e per la sua ammirazione nei confronti della persona e dell’opera di don Pino Puglisi.

   Il segnale conferma due direttive dell’attuale pontificato: che aver fede significa non tanto difendere dogmi e dottrine teologiche più o meno accreditate in Vaticano, quanto riattualizzare l’annunzio di liberazione di Gesù di Nazareth rivolto a tutti e a tutte, agli impoveriti della terra in maniera prioritaria. Inoltre, e conseguentemente, che il pastore deve essere prima di tutto ed essenzialmente un cuore sensibile, non un abile diplomatico o un fedele burocrate del sacro.

    Tuttavia è lecito sperare che il nuovo arcivescovo sia puro come una colomba ma astuto come un serpente: perché la diocesi che viene a guidare non è per nulla un soggiorno turistico. Negli anni del dopoguerra il cardinale Ernesto Ruffini la resse con guanto di ferro, facendo molte cose buone sul piano sociale e molti disastri sul piano della commistione fra potere religioso e potere politico. Subito dopo il papa nominò arcivescovo di Palermo il cardinale Francesco Carpino, un ecclesiastico mite proveniente anche lui della provincia di Siracusa (la Sicilia “babba”). Lo conobbi abbastanza da vicino. Dopo soli tre anni si dimise. Confidò agli amici: “I preti di Palermo mi stavano uccidendo lentamente. Il papa ha insisitito, ma non ce l’ho fatta a resistere alle tensioni”.

    Poi lo sostituì Salvatore Pappalardo che – a modo suo - provò a gestire la difficile situazione della diocesi: ma i cambiamenti di immagine risultarono molto più eclatanti delle modifiche di sostanza.  Dopo il vescovo di “Sagunto assediata mentre a Roma si chiacchiera”, si sono succeduti Di Giorgi prima e Romeo dopo: due personaggi di cui sarà difficile ricordare qualcosa di particolarmente brutto o di eminentemente bello.

    Monsignor Lorefice, se ha accettato l’incarico, sa che non sarà una passeggiata. C’è da augurarsi che la parte migliore del cattolicesimo palermitano, in sintonia con la parte più civile della cittadinanza, non lo lasci solo nell’inevitabile scontro che lo ttende con la mafia dentro e fuori la Chiesa di Dio che è in Palermo.



Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

martedì 27 ottobre 2015

SE I PROTESTANTI PIANGONO, NON MI PARE CHE I CATTOLICI ABBIANO TANTO DA RIDERE


“Riforma”  27.10.2015

IL COLLASSO PROTESTANTE E…CATTOLICO


Nel suo ultimo editoriale su “Riforma”, Fulvio Ferrario commenta – tra l’altro – un passaggio della Lettera al papa di 13 cardinali preoccupati di eventuali aperture del Sinodo sulla famiglia su temi caldi come la comunione ai risposati e la piena accoglienza degli omosessuali: “Il collasso delle chiese protestanti liberali nell’epoca moderna, accelerato dal loro abbandono di elementi chiave della fede e della pratica cristiana in nome dell’adattamento  pastorale, giustifica una grande cautela nelle nostre discussioni sinodali". Da osservatore della vita ecclesiale, di formazione e lunga militanza cattolica (anche se approdato da una ventina di anni a posizioni oltre-cristiane), vorrei aggiungere alle (secondo me) fondate osservazioni del teologo valdese almeno un’altra considerazione: da quale nave giunge l’invito a vedere in abbandono la barca protestante? Fuor di metafora: il “collasso” in termini di partecipazione attiva alle celebrazioni liturgiche, che sarebbe in atto nelle chiese protestanti, è un fenomeno esclusivo delle chiese più ‘aperte’ alle istanze della Modernità? Non so se si verifichi in ambienti che conosco pochissimo perché proprio non riesco a sostarvi più di dieci minuti (mi riferisco ad alcune chiese evangelicali centrate su figure carismatiche al cui confronto la devozione dei cattolici verso i vescovi e il papa rischia di risultare tiepida), ma so con certezza che si verifica negli ambienti (che conosco meglio e che in parte continuo a frequentare) cattolici.
   Dopo trent’anni di egemonia wojtyliana e ratzingeriana (papi non certo lassisti in fatto di etica sessuale) le chiese cattoliche della mia regione (la Sicilia) sono allo stremo. Nonostante la secolarizzazione sia avanzata molto più lentamente che in altre aeree europee industrialmente più  ricche (comprese molte aree del Settentrione italiano), perfino dalle nostre parti le statistiche parlano chiaro: diminuiscono le richieste di battesimo, ancora di più di prima comunione, di cresima e di matrimoni religiosi; calano i frequentanti le lezioni di religione cattolica; per non parlare del crollo delle domande di ammissione sia al presbiterato sia nei conventi e nei monasteri. Frequenta abitualmente la messa domenicale non più del 10 % della popolazione a cui va aggiunto non più di un altro 20% che la frequenta saltuariamente: il che significa che circa il 70% dei Meridionali non partecipa alla messa né abitualmente né saltuariamente.
   Se questo quadro è, sostanzialmente, attendibile vuol dire che lo “scisma sommerso” di cui ha scritto anni fa il filosofo cattolico Pietro Prini sta diventando secessione palese. E, in questo contesto, un cardinale dovrebbe avere un po’ di remore nel denunziare il “collasso”  di consenso delle chiese protestanti ‘storiche’.
    Poiché svolgo  la professione di filosofo-consulente, non sono abituato a dare consigli (tanto meno se non richiesti); ma, se proprio fossi indotto a darne uno ai pastori della chiesa cattolica, ne darei volentieri…due.
    Il primo sarebbe di non valutare le scelte ecclesiali col metro del possibile consenso numerico. Proprio chi è fedele al vangelo non può preoccuparsi delle conseguenze ‘promozionali’ delle sue decisioni: alcune norme etiche si cambiano solo se traducono meglio l’annunzio del Regno di Dio. Tutto il resto è effetto collaterale secondario.
      Il secondo consiglio sarebbe di capire che la crisi degli altri crstiani non deve rallegrare nessun crstiano, ma interrogare tutti quanti: perché la gente non si trova più coinvolta dalla passione evangelica? Perché cresce il numero di quelli che si definiscono atei? E perché – dato ancor più grave – cresce il numero di quelli che sono totalmente estranei e indifferenti all’alternativa fra credere e non-credere?
     Insomma ci sarebbero problemucci un po’ più consistenti  della discussione sulla comunione ai divorziati o sulla vita sessuale privata degli omo-affettivi…

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

domenica 25 ottobre 2015

MP3 CON L'INTERVISTA DI GENNARO IORIO AD AUGUSTO CAVADI SULLA SPIRITUALITA' LAICA

Venerdì 23 ottobre 2015 sono stato ospite della Radio dell'istituto "Cavazza" di Bologna.
Un acuto e puntuale collega, Gennaro Iorio (con la regia di Damiano Storelli), mi ha intervistato per circa un'ora a partire dal recentissimo Mosaici di saggezze. La filosofia come nuova antichissima spiritualità (Diogene, Bologna 2015).
Se qualcuno avesse interesse potrebbe ascoltare la conversazione cliccando sul seguente link o, in alternativa, scaricare l'MP3 e archiviarlo per una possibile audizione futura:

mercoledì 21 ottobre 2015

CI VEDIAMO SABATO 24 OTTTOBRE 2015 A MILANO ?


Per gli amici lombardo-veneti.

SABATO 24 OTTOBRE 2015 ( ore 11:00-13:00) all' Expo Gate – Via Luca Beltrami (di fronte al Castello Sforzesco) di Milano, parteciperò a un incontro pubblico sul tema:
Ragazzi, vogliamo fare una rivoluzione?

Con la regia di Romolo Perrotta, interverrò insieme a  Mario Capanna e Giorgio Rivolta. 

Questo l'invito dell'editore Pietro Condemi (Ipoc di Milano):
Dal Sessantotto a oggi, sebbene siano stati raggiunti alcuni risultati, molto rimane da realizzare
per una società più giusta e più democratica. E lo scenario è cambiato radicalmente:
globalizzazione, crisi economica, sottoproletariato cognitivo, nuovi e vecchi mass media.
Ma non possiamo gettare la spugna: troppo è il disagio, troppe le ingiustizie e la nostra vita
diventa giorno per giorno sempre più difficile. Cosa possiamo fare? Come cambiare la
nostra società? Attraverso la testimonianza di chi ancora si impegna, tanto sul piano teorico
che su quello pratico, si delinea un “percorso rivoluzionario” che non può che chiamare in
causa il singolo soggetto affinché, attraverso una presa di coscienza etica e culturale, si
faccia motore di un cambiamento in grado di permettere a noi tutti e alle generazione future
di vivere in una nazione, se non in un mondo, più giusto.


Libri Ipoc: Ernesto Baroni, Giorgio Rivolta, Libertà personale e bene comune. Cinque
rivoluzioni per cambiare se stessi e il mondo, IPOC, Milano, 2011
Paolo Bartolini (a cura di), Psiche e città. La nuova politica nelle parole di analisti e filosofi,
IPOC, Milano, 2014
Augusto Cavadi, La rivoluzione, ma a partire da sé. Un sogno ancora praticabile, IPOC,
Milano, 2014
Fabrizio Elefante, La fiducia nella democrazia, IPOC, Milano, 2006
Davide Miccione, Lumpen Italia. Il trionfo del sottoproletariato cognitivo, IPOC, Milano, 2015
Romolo Perrotta, Mario Capanna. Storie di un impegnato, IPOC, Milano, 2015

* La sera di sabato stesso avrò il piacere di una cena tra amici a Bergamo. Chi fosse interessato a parecipare mi contatti al più presto.

lunedì 19 ottobre 2015

"MOSAICI DI SAGGEZZE": IL COMMENTO DI BRUNO VERGANI


Mosaici di saggezze: il commento di Bruno Vergani


Al «Credi in Dio?» - Domanda che dalle nostre parti sovente contiene il sottotesto: «Sei cattolico o ateo?» - Rispondo: «Con Lui ho un flirt complicato», come merita una domanda mal posta nel suo implicito imporre e costringere ad un dualistico aut aut tra fideismo e ideologismo, fra teismo e nichilismo. Il saggio Mosaici di saggezze, filosofia come nuova antichissima spiritualità (Augusto Cavadi, Mosaici di saggezze
Filosofia come nuova antichissima spiritualità
,
Diogene Multimedia, Bologna 2015, pp. 357) ,  del filosofo Augusto Cavadi analizza e spiega il perché di questo erroneo imperversante approccio e indica ragionevoli e praticabili alternative di emancipazione da tale miope, asfittico, provincialismo. L’opera, oltre all’inequivocabile taglio filosofico pluralistico-aconfessionale sintetizzato nel titolo, affronta con taglio ritengo inedito la complessa, anzi ciclopica, questione spirituale della, e nella, filosofia. Prefazione di Orlando Franceschelli, esponente valoroso del naturalismo filosofico, uomo di pensiero abile - più del cane antidroga dell’aeroporto con l’hashish - nel subodorare, identificare, estrarre e smantellare, tracce occulte anche infinitesimali di clericalismi e integralismi religiosi, come pure ideologicamente areligiosi, dunque, in qualche modo confessionali. Presenza che chiarisce e rassicura, dalle prime pagine, del taglio filosofico e laico di un libro sulla spiritualità e “spirituale”; spirito evidentemente inteso come entità che si rivela ed esprime - non in antagonismo con materia, corpo e Natura - come moto personale e universale di pensiero, sentimento e volontà, alla ricerca del vero, del bello, del giusto, suggerendo «cammini ragionevoli per abitare, con serenità e se possibile con allegria, il groviglio delle nostre esistenze.»
Quello che subito colpisce del saggio - oltre al piacevole disorientamento procurato dell’oggetto libro in sé con copertina, grafica e impaginazione, evocanti un corposo catalogo dell’Ikea - è la profusione di citazioni che strutturano buona parte dell’opera, oltre a quasi mille note purtroppo non a piè di pagina, ma tutte da meritarsi con continue aperture e chiusure del volume in quanto poste alla fine. Citazioni tanto copiose che nei primi capitoli il lettore si sentirà un po’ spiazzato perché apparentemente orfano dell’Autore, del suo peculiare stile, di quel “tu” con il quale interloquire; un iniziale effetto collage che nel prosieguo della lettura apparirà, via via, sempre più familiare e piacevole, una sorta di progressiva messa a fuoco che vedrà dal collage prendere forma, coerente col titolo dell'opera, eleganti mosaici. Si potrebbe ritenere che tale metodo derivi principalmente dalla pluridecennale esperienza professionale di insegnante di filosofia dell’Autore: probabilmente vero ma sicuramente parziale. Il punto è che Cavadi se ne impipa del personale protagonismo e correlati sfoggi d’erudizione: nel percorso sullo spirituale,  esso stesso  spirituale, sviluppato nel saggio, suo e dei tanti dei quali riporta citazioni - trattati con pari rispetto da Patti Smith (la cantante) a Kant, seppur con differenti valutazioni - sceglie di porsi come discreto regista e comprimario. Nello svolgersi del libro affiora intermittente una vera e propria storia della filosofia, beninteso storia spirituale, fresca e accattivante perché compenetrata dal percorso autobiografico dell’Autore che giunto a maturità rendiconta un’articolata testimonianza del suo vissuto e della personale ricerca: testamento a babbo vivo che dona al lettore eredità universale proficua e nel contempo impegnativa in quanto percorso di lavoro e di vita «intrinsecamente interminabile».
In merito alla citatologia digredisco annotando che sovente imperversa in donne e uomini di pensiero e azione caratterizzati da approccio clericale o esasperatamente ideologico, altrimenti accademico specializzato settorialmente oltremisura; soggetti che ripetono ossessivamente solo e sempre gli stessi - di solito non più di un paio - autori e testi “sacri” di riferimento, citatologia che Costanzo Preve giudicava, ritengo puntualmente, «parente povera della filosofia». Nel saggio di Cavadi invece, agli antipodi da quanto sentenziato da Preve, le citazioni irrompono eterogenee e universali e nel contempo legate da un fil rouge che le articola razionalmente e esteticamente. Questo peculiare dire di Cavadi “a modo suo e a modo loro” stimola una fluttuante, libera e pluralistica espansione di pensiero nel lettore. Citazioni disparate scelte, criticamente analizzate e vagliate dall’Autore che preciso esprime, quando lo ritiene necessario, puntuali distinguo oltre a individuare, talora con motivata durezza e avulso da hegeliane interpretazioni di sacralità della storia, eventuali limiti, rischi di derive e plateali dannosità. Un pluralismo irriducibile e impenitente ma non buonista. Ricordo che in un vangelo apocrifo si narra degli apostoli che attraversando i campi s’imbatterono in una carcassa di cane in putrefazione e san Pietro, che stava davanti, disse: «Maestro, scostati», ma Gesù, al contrario, andò avanti e fermandosi a un passo dal cane esclamò: «Che denti bianchi!» [1] . Cavadi a differenza di quanto qui narrato di Gesù dice la carogna, ma uguale a lui i denti bianchi è sempre abile nel coglierli.
Nei primi capitoli vengono analizzati natura e scopi della filosofia, la peculiare matrice spirituale, i proficui motivi per cui filosofare e esposte altre e differenti matrici spirituali : orientale, New Age, psicologica, l’opera è ricca di citazioni spiazzanti, su questa ultima matrice psicologica emerge come e quanto Freud fosse più spirituale di Jung. Il saggio sbroglia il complesso rapporto storico della filosofia e delle spiritualità a matrice filosofica con la spiritualità in genere, e quella delle religioni rivelate e istituzionalizzate, dinamiche d’antagonismo e di reciproche contaminazione e compenetrazioni talvolta proficue, come anche deleterie. Qui il saggio con semplicità espositiva diventa complesso com’è complessa la tematica affrontata: dalle notorie tematiche di Agostino che cristianizza il platonismo platonizzando così il cristianesimo e Tommaso che segue percorso simile con l’aristotelismo, a passaggi minori poco conosciuti e sorprendenti come, ad esempio, il copyright “Esercizi Spirituali” e correlate pratiche tutte della filosofia greca classica, solo in seguito “rubate” e fatte proprie dal cattolicesimo. In questo sbrogliamento oltre a circostanziare talune evidenti arroganze dei monoteismi storici e connessi monopoli spirituali, come pure di alcune ideologie, sono ben analizzate e denunciate le responsabilità della filosofia medesima nel suo avere soventemente abdicato, in sterili intellettualismi, alla sua vocazione spirituale; vocazione universale di indagine al significato e fine dell’esserci, dell’Altro, della Natura, della finitudine, della sofferenza, della soddisfazione personale e collettiva e correlate prassi di vita. Territori che se lasciati vuoti dalla filosofia vengono inevitabilmente, come accade nei processi della fisica, colmati e colonizzati da chi si trova da quelle parti. Il prestante invito e la testimonianza di Cavadi per una filosofia capace di spiritualità pensata e vissuta non cade nell’equivoco del massimalismo, coerente al suo pluralismo invita ad una spiritualità anche «oltre la filosofia per mezzo della filosofia». Descrive inoltre «come fra parentesi» differenti modelli di spiritualità “laica” alternativi alla filosofia stessa: letteratura; musica - “leggera” inclusa -; pittura; ricerca storica e artistica; scienze “dure”, fino alla gastronomia e allo sport.

     Il saggio espone costellazioni di filosofi moderni e postmoderni dove Cavadi sceglie, per evidenti esigenze di condensazione, una ventina di gemme che si sono distinte per lo specifico e diretto contributo ad una filosofia spirituale, talora loro malgrado - come Feuerbach o Fichte - dove l’Autore individua, enuclea e palesa la peculiare spiritualità in modo convincente. Capitoli davvero preziosi per chi, non filosofo di professione come il sottoscritto, desidera apprendere agilmente snodi cruciali della spiritualità filosofica moderna e postmoderna.

La seconda parte del libro dedicata allo sviluppo e all’applicazione pratica dettagliata le «Linee essenziali di una spiritualità filosofica». Veri e propri esercizi spirituali laici, dove lo stile di scrittura si fa ancora più diretto e fruibile, s’incrementano le annotazioni autobiografiche e diminuiscono, in parte, le citazioni che appaiono forse più valorose per la loro immediatezza e incisività. Indicazioni di metodo pratiche mai moralistiche, ma frutto e nel contempo pianta del corretto filosofare. Docilità critica alla lezione delle scienze, presenza a sé e agli altri, capacità di auto umorismo, accettazione della propria finitudine, saggia gestione delle critiche altrui, equilibrio negli stili di vita, distacco, gratitudine… Percorso pratico di saggezza, dunque, di soddisfazione. Il libro si congeda poeticamente con una commovente (muoversi insieme) poesia di David Maria Turoldo e chiude con un “Dossier Operativo”: non poteva finire che così questo percorso spirituale, dossier che non indica eventuali nebulose ipotesi di lavoro future, ma rendiconta e invita a quanto Cavadi è stato abile a implementare e imprendere da decenni, percorso ben anticipato nella prefazione di Franceschelli. Momenti pratici e precisi di spiritualità operativa e comunitaria: Vacanze, Week - end e cenette filosofiche, Domeniche di chi non ha chiesa, seminari di teologia critica, celebrazioni comunitarie.  
Nell’intero libro un solo motivo di personale titubanza, inizialmente nebuloso, mi è stato chiarito grazie a una decina di citazioni con approccio e taglio mistico che l’Autore riporta di Marco Vannini:  non solo non  mi sono piaciute, ma, nonostante i distinguo e le precisazioni di Cavadi, non le condivido nel merito percependole cubetti del mosaico un po’ fuori posto. Citazioni purtroppo serie (quanto sarebbe qui utile un po’ di umorismo Zen con la consapevolezza di un Thomas More), che estrapolo e condenso attento a non distorcerle: “fondo dell’anima”; “personale anima abile nel raggiungere sublimità al di sopra della natura” - qui l’arguto Franceschelli nella prefazione, nonostante l’inequivocabile effluvio di sostanza stupefacente, ha amichevolmente glissato; “La grazia è senza perché […] appare come l’universale, ove non è più l’io”;  “magica forza” dove Vannini si trova specularmente d’accordo con Hegel - per speculare intendo come si diceva negli anni ’70 degli opposti “ismi” che s’incontrano, a riguardo mi tornano alla mente i desaparecidos dei regimi argentino e cileno, dove i militari hanno ucciso spietati migliaia di cittadini moderati e estranei al conflitto, ma sovente graziavano i reali e diretti nemici organizzati e armati: si sa, tra militari ci si può anche intendere. Un approccio mistico indifferente a qualsiasi «conoscenza della conoscenza» (Morin), contiguo all’occultismo favorente totalitarismi - su questo Cavadi in altri passaggi ha colto puntualmente potenziali rischi di derive autoritarie - in quanto più poggiato sull’emozione che sul cosciente e razionale pensiero. Forse esagero ma non possiamo escludere che l’ineffabile è tale non perché sublime ma perché non contiene nulla. Se contiene, dice e dice bene e bello (a pagina 126 un illuminante Wittgenstein risolve la problematica), ma sul nulla può attecchire di tutto: un individuo che afferma un potente, impersonale, soprannaturale profondo dell’anima potrebbe alzarsi una mattina e, coerente con sè stesso, pontificare al mondo senza alcun perché che tale forza, per azione di una gratuita universale potenza magica, è lui medesimo. E’ accaduto nei totalitarismi e correlati olocausti, accade ai piccoli guru nelle derive New Age. Appare dunque necessario integrare con un’accurata analisi la relazione tra l’umano pensiero e il sacro e viceversa. Sacro evidentemente prodotto dal pensiero del soggetto fin dai primordi, eppure tarlo potenzialmente esautorante e il soggetto e il pensiero, sia in versione annichilente che di ebbra esaltazione. Relazione del pensiero col sacro; della razionalità con l’emozione; del plausibile con l’occulto paradisiaco o infernale che sia, per la quale ritengo proficuo permanga, affermando il primato della ragione produttrice di sano, e tutto sommato anche di santo, una consapevole e dialettica dicotomia.  
Consapevole d’aver voluto recensire il saggio con la congruità che merita ma, per evidenti limiti di personali competenze, di non esserci riuscito, termino un po’ migliore grato all’Autore e a tutti i suoi amici di percorso. 
                                                                      Bruno Vergani   

Pubblicato in Recensioni

 


[1] Cfr. R. Dunkerley - a cura di -, The Unwritten Gospel. Ana and Agrapha of Jesus, Allend and Unwin Ltd, London 1925, p. 84.

venerdì 16 ottobre 2015

CI VEDIAMO GIOVEDI' 22 OTTOBRE A BOLOGNA ?

Care e cari dell'Emilia- Romagna,

   sarò felice di incontrare chi di voi vorrà/potrà a Bologna, il prossimo giovedì 22 ottobre, per la presentazione del mio libro sulla spiritualità laica (da oggi acquistabile, oltre che via internet, anche in alcune prestigiose librerie italiane).
   Nel link il necessario per incontrarci.
   Augusto

> http://www.diogenemagazine.it/eventi-old/in-programma/285-mosaici-di-saggezze-di-augusto-cavadi-presentazione-a-bologna-22-ottobre-2015.html

giovedì 15 ottobre 2015

QUI IL TESTO COMPLETO DEL PEZZO DI OGGI SU "REPUBBLICA-PALERMO"


“Repubblica – Palermo”, 15. 10. 2015

PINO , Il “GIARDINIERE”  DI VERGINE MARIA


    Quando si lascia la borgata di Vergine Maria, in direzione  dell’Addaura, s’incontra una piccola rotonda ornata di piante, arbusti e fiori. Il panorama, con le pareti dolomitiche di Monte Pellegrino alle spalle e l’intero golfo di Palermo davanti, è incantevole. Sino a due anni fa era un angolo – uno dei tanti della nostra città – a perdere: rifiuti di ogni genere lo apparentavano a una sorta di discarica a cielo aperto.  Ma a un certo punto qualcuno ha detto basta al degrado, risultato velenoso della strafottenza dei cittadini e della inefficienza dell’Amia. Così, a sessant’anni suonati, Pino Prestigiacomo ha deciso di  rimboccarsi le maniche per fare qualcosa di concreto..
    Ogni mattina  - dopo l’allenamento di corsa podistica e prima di dedicarsi al suo giardino - dedica almeno un’ora alla pulizia della villetta pubblica davanti casa. Gli chiedo il perché e la risposta gli risulta così ovvia che stenta a formularla: “Qui la mia famiglia abita da generazioni, ci sono nato e cresciuto; qui  mi sono sposato, ho fatto due figli meravigliosi: è un po’ casa mia, come potrei non curarmene?”. Pino ama questi luoghi al punto che - quando rievoca vicende storiche, canzoni, personaggi, leggende, piatti tipici, tecniche di pesca… - non sempre riesce a trattenere le lacrime.  “Ma non è stancante, con il sole o con la pioggia, ogni santo giorno?”. Pino risponde con un’alzata di spalle. Quasi a dire che questo impegno civico è nulla se confrontato ai quasi quarant’anni di lavoro duro ai Cantieri Navali, dove ha introiettato vari generi di veleni che hanno già ucciso tanti suoi compagni. Così ogni giorno – feriale o festivo - si china a raccogliere le cartacce, le lattine di coca-cola e le bottiglie di birra vuote che ragazzi della zona e viaggiatori di passaggio abbandonano nelle aiuole della deliziosa terrazza verde sul mare. Spazza via anche le feci dei cani e, se necessario, innaffia le piante. Non potrebbe sopportare che anche questo angolo restasse, come il resto della splendida costa, una discarica a cielo aperto: affidato agli interventi sporadici di invisibili operatori ecologici comunali.
    Come di norma per ogni innamorato, neanche Pino viene compreso. E perciò deriso  o addirittura denigrato. “Perché non se ne sta quieto sullo sdraio a godersi in pace la pensione? Crede forse che avrà la medaglia la valore civile? O ha già un piccolo salario supplementare dal Comune e si vergogna a dire che è ridotto a fare lo spazzino?”. Ma, si sa, l’amore non sente neppure sarcasmi e maldicenze. Anzi, diventa persino contagioso. Così Giovanni Bellante, Settimo Trapani e qualche altro, quando possono e vogliono, si affiancano a lui per alleggerirgli la fatica quotidiana.
    Quanti sono i Pini in città? Dieci, cento; forse anche mille. Alcuni (come Giovanna Tarantino) realizzano orti condivisi dalle parti di Villabate, altri (come Maria D’Asaro) si prendono cura dei fiori nelle aiuole pubbliche della zona Oreto, altri ancora (come Jan Mariscalco) attuano blitz improvvisi per innestare piante in terreni abbandonati all’incuria.  Una goccia, comunque, nel mare dell’indifferenza e della cafonaggine.
                                                                                        Augusto Cavadi
                                                                          www.augustocavadi.com

martedì 13 ottobre 2015

GIUSEPPE LO PRESTI: LA RISCOPERTA DI UNO SCRITTORE MALEDETTO


“Centonove” 8.10.2015


 


IL CACCIATORE RCOPERTO DI CAMPANELLI




    Un giornalista (fallito) di buona estrazione borghese è in una cella di manicomio. Perché ci è finito? Il romanzo  - scritto in forma autobiografica – è il tentativo di risposta narrativa. E scorre per intero sul registro linguistico paradossale-ma-non-troppo della lucida follia, del matto che appare tale essenzialmente perché non accetta la follia abituale su cui si adagiano i così detti sani. Una mamma possessiva, una sorella anaffettiva, uno psichiatra prigioniero dei parametri della ‘normalità’ sono solo alcuni dei fattori che portano il protagonista  - il signor “B” – alla ribellione interiore, alla trasgressione esteriore e infine alla detenzione. Egli sembra stritolato dalla contraddizione fra la sua antropologia pessimista (“E’ caratteristico dell’uomo normale pensare soltanto al proprio piacere, coltivare l’indifferenza e nuocere al prossimo senza neppure accorgersene”) e l’aspirazione a un mondo diverso e migliore (“un modo di vivere dal quale siano esclusi l’ingiustizia, la sciocchezza e la strage degli innocenti”). Vuole attraversare questa contraddizione lacerante con le sole armi della ragione (ritenendo falso, illusorio e deprimente tutto ciò che denominiano “amore”) e finisce con l’essere “condotto all’assurdo da un eccesso di ragione”. O, per lo meno, dall’essere così considerato dal contesto sociale che preferisce l’ordine alla giustizia (proprio come il Dottor “A” il cui mondo era “ordinato come l’armadio della biancheria di una borghese”, senza la minima “mescolanza tra le mutande e le camicie, tra le calze e i fazzoletti”).

   Il cacciatore ricoperto di campanelli (Stampa Alternativa, Viterbo 2015, pp. 175, euro 14,00) non è un inedito. Era già uscito, per i tipi della Mondadori, nel 1990 riscontrando un certo successo per la somma di due motivazioni principali: lo stile, sanguigno e assai poco accademico, e l’autore. Questi, infatti, era un siciliano  - Giuseppe Lo Presti – che aveva scritto il romanzo in carcere, dove era stato rinchiuso per varie azioni criminali (compiute come militante del gruppo di estrema destra NAR) e da cui uscirà qualche anno - dopo la pubblicazione dell’unica sua opera edita - per gravi ragioni di salute che lo porteranno alla tomba, trentasettenne, nel 1995. Ma è chiaro che, adesso, le vicende personali dell’autore non possono più influenzare la sorte del libro: che vale ciò che vale indipendentemente dal “luogo” in cui è stato concepito e generato.

     Se oggi possiamo ritrovare in circolazione quel testo letterario (abbinato all’inedito Vittorino testa di bue, altro romanzo breve meritoriamente strappato all’oblìo) lo dobbiamo a Salvatore Mugno che – scrittore egli stesso – non si stanca di riportare alla luce, mettendole a disposizione di un più vasto pubblico, opere poco conosciute o ingiustamente dimenticate. Egli ha inoltre arricchito questa nuova edizione con un ampio saggio critico che dà conto anche dei giudizi lusinghieri espressi da autorevoli lettori come Aldo Busi e Geno Pampaloni.



Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

domenica 11 ottobre 2015

POCO CREDENTI, MA DEVOTISSIMI


“GATTOPARDO”
Bimestrale – agosto /settembre 2015

PIU’ PRATICANTI CHE CREDENTI

Nel mondo occidentale le indagini sociologiche documentano la tendenza dei cristiani a dichiararsi sempre più spesso “credenti, ma non praticanti”. Il visitatore è dunque sorpreso nel constatare che in Sicilia la tendenza è inversa: molti sono “praticanti, ma non credenti”.
 Le chiese sono ancora abbastanza affollate, soprattutto in occasione di battesimi, cresime, matrimoni e funerali; per non parlare di ricorrenze più solenni come i Misteri pasquali a Trapani o la festa di sant’Agata a Catania. A fronte di questa partecipazione così massiccia ci si aspetterebbe una “fede” minimamente consapevole: ma qui la sorpresa è spiazzante. Che significa essere cristiani? Ponete la domanda a un siciliano “medio” e avrete delle risposte tragicomiche. La mancanza di informazione catechistica domina sovrana: per alcuni la “Santa Trinità” sarebbe costituita da Gesù, Giuseppe e Maria; per altri santa Rosalia o Padre Pio sarebbero così potenti da fare “miracoli” con o senza il consenso di Dio. Non è un caso che talora i preti, sconfortati da tanta confusione teologica, si consolino affermando che i fedeli saranno salvati dall’ottavo sacramento: l’ignoranza.  Ancora più desolante appare il fenomeno dal punto di vista della coerenza etica: quasi che la pratica liturgica esaurisse il compito del fedele e lo esentasse da qualsiasi istanza di sincerità, giustizia, attenzione ai deboli, rispetto dell’ambiente e delle cose pubbliche.  Dappertutto nel mondo si registra lo iato fra convinzioni interiori e comportamenti quotidiani: ma, dalle nostre  parti , non si sospetta neppure che certi messaggi ideali implichino atteggiamenti conseguenti.
E’ una schizofrenia che impressionò anche J. G.  Seume, viaggiatore a cavallo fra Settecento e Ottocento. Come racconta nel suo Passeggiata a Siracusa nell’anno 1802, un funzionario delle imposte, col quale il turista tedesco di confessione protestante si trova a tavola, viene a sapere che sta conversando con un “eretico”. A questo punto “l’omaccione lasciò cadere dalla paura coltello e forchetta  e mi guardò come se già bruciassi nell’inferno; mi fece allora alcune domande circa il nostro sistema religioso in merito alle quali io gli dissi il meno possibile e nella maniera più accorta.  L’uomo era sposato, aveva a casa tre bambini e doveva, secondo le sue aperte confessioni, avere ogni notte per comodità e durante ogni viaggio, dappertutto una ragazza. Bestemmiava fra l’altro e s’esprimeva in latino e in italiano come un mozzo , ma non poteva comprendere come si potesse vivere senza credere al papa e senza preti”. Ma si sa: per un siciliano, i non-cattolici (dai cristiani ortodossi agli ebrei) sono “miscredenti”, proprio come gli immigrati (dall’Asia meridionale all’Africa settentrionale) sono “turchi” (o, per i più raffinati cultori di geopolitica, “marocchini”).

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

giovedì 8 ottobre 2015

CELESTE PACIFICO SU "LA RIVOLUZIONE, MA A PARTIRE DA SE' "


“Madrugada”, n.99, settembre 2015-10-03

Augusto Cavadi,
La rivoluzione, ma a partire da sé.
Un sogno ancora praticabile,
Ipoc, Milano 2014,
pp. 106, euro 16,00


   A fronte del disimpegno, così diffuso e avvertito soprattutto nelle giovani generazioni, l’autore propone quattro “orientamenti” all’impegno. Il libro non è una guida ma una “ipotesi di lavoro” per chi è desideroso di interpretare la realtà e di gestire con coerenza la propria vita.
   Tra questi orientamenti uno di interesse specifico è il darsi un progetto esistenziale, che non vuol dire programmare - abitudine assai diffusa oggi da giovani e meno giovani - quanto avere un orientamento di valore-guida.
    Un libro attuale che si può leggere per capitoli separati, in momenti diversi della giornata e della propria vita e, perché no ?, anche in luoghi e in contesti differenti.
     Nel suo libro, Augusto Cavadi riflette insieme al lettore sull’impegno nella vita personale e comunitaria e lo fa attraverso l’indicazione di tre componenti: impegno personale nella formazione culturale; impegno sociale per gli altri e con gli altri e impegno politico in quanto ogni azione sociale, per quanto basilare, resta insufficiente e ha bisogno di ampiezza d’orizzonti, di lungimiranza strategica.
    Avere il “senso” dell’essere significa non solo imparare a vedere ma anche ad amare le cose per quello che sono. Così, l’esistenza personale e collettiva sembra realizzarsi davvero solo entrando in un circolo virtuoso, nel quale conoscere consente di desiderare, il desiderio porta a conoscere per meglio fruire, la fruizione amorosa spinge a conoscere più approfonditamente. Senza l’esperienza della contemplazione amorosa, o dell’amore contemplativo, non vi è felicità. Per l’autore è felice colui che vede ciò che ama. La presenza dell’oggetto amato rende felici. Non vi è felicità senza amore...

Celeste Pacifico

martedì 6 ottobre 2015

PICCOLI UOMINI NON CRESCONO MAI


“Centonove”
24.9.2015

PICCOLI UOMINI NON CRESCONO MAI

      A giudicare dal titolo, il libro di   Annabella Di Vita   ( Piccoli uomini non crescono mai ovvero adotta un uomo a distanza, Avia, Palermo 2013,  pp. 241, euro 12,00) sembrerebbe destinato alle donne. Invece è istruttivo, almeno altrettanto, per i maschietti che vogliano conoscere meglio sé stessi. D’altronde chi ama e/o odia gli uomini più del “secondo sesso”? E, come già avvertiva Nietzsche, l’odio – come e ancor più che l’amore – acuisce la vista.
   Ma, innanzitutto, a che genere letterario appartiene questo testo? Difficile rispondere. E’ un manuale di istruzioni su come trattare i partner maschili; ma, poiché scorre su un registro linguistico ironico, è anche (o forse più) un’esercitazione di umorismo (sottile, gradevole, mai volgare). Solo qualche esemplificazione per farsi un’idea di questo intreccio di tagli, di toni, di intenti.
     Cominciamo dall’incipit: “Il masochismo delle donne è come l’herpes, rimane silente per anni e si manifesta violento quando un uomo le coinvolge. La nostra bravura nel farci calpestare è pari a quella di un tapis roulant. Noi, tutte, sappiamo perfettamente a cosa andiamo incontro, ma ci attacchiamo a quell’uno per mille di possibilità che , questa volta, lui s’innamori follemente di noi”.  Eppure, le donne non possono fare a meno dei maschi, “simpatici esserini” qui solitamente denominati “anfibi” (distinti in “ranocchi-rospi” e “ranocchi-girini”), a meno che esse non si rassegnino  a “una vita piatta, senza adrenalina e senza i brividi ddel brancolare totalmente nel buio”. Perché? L’autrice suggerisce alle lettrici  cinque ragioni:

“ *   l’odore della pelle;
·      che gli opposti si attraggono;
·      che vi fanno tenerezza così soli a nuotare nella melma;
·      che cercano di sfuggirvi se cercate di prenderli;
·      che il loro buffo saltare, senza una meta concreta, vi mette allegria”.

   Ma cosa può fare di tanto sbagliato una donna per far sgattaiolare via il suo ranocchio del momento? L’elenco sarebbe interminabile. Il filo conduttore è comunque unico: opprimere l’altro con la massa di sogni, desideri, aspettative, illusioni che di solito una femminuccia impara a coltivare dai primi vagiti. E dimenticare che gli esponenti del “sesso forte” (o quasi)  sono “dotati di un timer come le docce a pagamento. Nel caso gli chiediate di ascoltarvi, il loro timer suonerà al quindicesimo minuto. Niente tempi supplementari”.
      Se nel libro, come nota Giovanni Nanfa nella Prefazione, si registra “un pessimismo che non precipita mai nel sarcasmo perché stemperato dalla vena umoristica” (sottolineata dalle vignette spesso divertenti disegnate da Vanni Quadrio e dalle citazioni di autori classici come Oscar Wilde: “Solo chi non sa dove sta andando può arrivare lontano”), non manca neppure “l’ottimismo che nasce dallo sguardo benevolo verso noi piccoli uomini senza i quali la vita delle donne sarebbe davvero noiosa” .
   Un ottimismo, comunque, moderato. L’autrice, infatti, riporta delle statistiche (“Per rilassarsi il 90% delle donne dichiara di leggere un buon libro. Il 90% degli uomini preferisce fare sesso”) e pone  una inquietante  “domanda spontanea”: “con chi mai lo faranno se tutte le donne stanno leggendo?”. Personalmente evinco due conclusioni: che il 90% dei maschi è sessualmente frustrato; che evitano la frustrazione solo i maschi che preferiscono leggere nel novanta per cento del tempo e stanno con donne che, nelle medesime proporzioni,  preferiscono fare sesso.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com