mercoledì 16 dicembre 2015

LO SMARRIMENTO E OLTRE (Appunti per l'intervento di ieri sera a Misilmeri)


LO SMARRIMENTO E OLTRE

    Dal punto di vista fenomenologico, descrittivo, non c’è bisogno di spendere molte parole sulla frequenza e sull’intensità del senso di smarrimento da parte dell’uomo contemporaneo. Può non essere superfluo aggiungere che questa condizione esistenziale è un privilegio della nostra epoca: come osservava Malraux, siamo la prima generazione nella storia che non sa bene cosa ci stia a fare al mondo. Possiamo nominare in molti modi tale senso radicale di smarrimento e uno dei più eloquenti è “nichilismo”. Nietzsche l’ha saputo rappresentare in maniera anche letterariamente suggestiva nel famoso brano dell’uomo apparentemente folle che in pieno giorno cerca Dio al mercato con la lanterna accesa per annunziare che Dio è morto: “Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso ? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla?” Come ha spiegato in maniera convincente Heidegger , la morte di Dio non è una questione teologica (o non soltanto): è la metafora della scomparsa di valori perenni, di punti di orientamento universalmente condivisi. E’ l’eclissi della verità e dell’etica.
     In questa situazione chi di noi esercita pensiero è esposto a una duplice tentazione. La prima è di eccitarsi all’idea che – per dirla con Dostoevskij  – “se Dio è morto, tutto è permesso”. Che senza un padre occhiuto e repressivo comincia l’era della libertà piena: “senza tetto né legge”. Ma Foucault non è l’unico ad avvertirci che c’è poco da rallegrarsi: la morte di Dio preannunzia la morte dell’uomo. L’antropologo Ernesto Di Martino raccontava di un popolo nomade di aborigeni australiani, gli Achilpa, che ogni sera piantavano al centro del proprio accampamento un palo che, il giorno dopo, con la propria inclinazione, indicava la direzione da intraprendere. Quando una mattina trovarono il palo spezzato si lasciarono morire per lo scoramento causato dal disorientamento. Il palo infatti – ricorda John Berger – è la linea verticale che congiunge la terra al cielo, i defunti agli dei: potremmo aggiungere,  la memoria del passato allo slancio verso la trascendenza. Sino a quando c’è un palo intorno cui costruire la tenda c’è una “casa” da cui partire e a cui ritornare.
      Per evitare la vertigine dello smarrimento altri intellettuali  - specie se dediti a “professioni di aiuto” – cedono alla tentazione opposta: precipitarsi a offrire una ciambella di salvataggio ai naufraghi. E’ il salvagente della “normalità” statistica. “Non disperarti: fa’ come fanno tutti. Trovati un appiglio: la famiglia d’origine, un lavoro, una relazione affettiva stabile. Meglio ancora dei figli al cui futuro dedicarti. Forse anche qualche hobby di qualità – come la musica o i viaggi. E, se ne avverti l’esigenza, una pratica religiosa all’interno di una appartenenza ecclesiale”. Ma questa tattica non sempre funziona. In quello che ritengo il suo capolavoro, La dolce vita, Federico Fellini l’ha saputo raccontare da par suo: uno dei protagonisti ha tutto ciò che la vita può offrire (dagli affetti alla ricchezza economica, dalla sensibilità artistica al successo professionale), ma ciò non gli impedisce di togliersi la vita dopo aver soppresso i due bambini adorati. E quand’anche la strategia del “fare come tutti” funzionasse - come effettivamente in tanti casi - uscire dall’isolamento per entrare nella massa è una soluzione reale o il surrogato di una soluzione? Erich Fromm ce l’ha insegnato: prima di usare la psicoterapia per rendere il paziente conforme agli standard sociali, bisognerebbe sottoporre a psicoanalisi la società. Se fosse folle il modo di vivere della maggioranza, sarebbe davvero un servizio condurre il marginale, l’insofferente, il deviante ad assimilarvisi?
   Oggi non ci resta che abitare il nichilismo: senza il compiacimento di chi ci sguazza e senza la fretta di uscirne fuori a qualsiasi costo. Accettare di essere spogliati dalle certezze non vere del passato, ma senza rinunziare a cercare nuove prospettive più realistiche. Come ricorda Franco La Cecla, secondo il mito, “solo dopo essere riuscito a non farsi inghiottire dalla confusione e dal caos del labirinto, Teseo diventa un eroe fondatore e di una città come Atene”[1] . Possiamo riprendere, per analogia, dal punto di vista filosofico ciò che Bernard Welte ha sostenuto dal punto di vista teologico: la nostra generazione sta vivendo la dura prova di confrontarsi con il nulla, ma il nulla può essere il volto con cui si presenta il vero Dio. Il nulla è ciò che resta quando cadono le immagini illusorie di Dio, della verità, dell’etica. Il destino della nostra generazione  è di lasciarci guidare dalla “luce del nulla” ?
                                                                    Augusto Cavadi
                                                             www.augustocavadi.com

* Gli appunti del mio intervento di ieri alla tavola rotonda di Misilmeri


[1] Franco La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 19.

1 commento:

Mauro Matteucci ha detto...

Ciao Augusto,

ho apprezzato molto il contenuto del tuo intervento in occasione dell'iniziativa di Misilmeri. Con estrema onestà, senza cercare i soliti (e spesso miserabili espedienti) porti la tua analisi sullo smarrimento che colpisce l'individuo nella società attuale. Credo anch'io che si sia fatta strada una perdita progressiva dello spirito di libertà e di senso critico. E' meglio per molti nascondersi nei consolatori miti della famiglia, della religione o dei moderni social network (spesso ridotti ad autocompiacenti soliloqui), che guardare la realtà con libertà e autenticità di sentire. L'attenzione all'umano nella sua nudità e schiettezza è miserevolmente scomparsa, manca spesso un vero dialogo tra persone con conseguenze devastanti: solitudine e appunto, smarrimento. Questo, lo anticipò un grande educatore (che fu anche un sacerdote "inattuale") don Lorenzo Milani affermando: ogni anima è un universo di dignità infinita. Credo valga per tutti, credenti o laici, ma queste stesse mi sembrano categorie ormai obsolete. Con amicizia,
Mauro