mercoledì 3 febbraio 2016

LA FEDE NON E' FIDEISMO, LA SPERANZA NON E' SPERANZISMO


“Madrugada”, dicembre 2015

SPERANZISMO VERSUS SPERANZA LAICA


    Spero di non morire giovane, ma neppure tanto vecchio e decerebrato  da non essere più padrone del mio corpo; spero di essere accompagnato, sino al momento di spirare, dalla comprensione affettuosa di una compagna; spero di non dover mai sperimentare in prima persona l’assurdità della guerra, ma neppure di finire i miei giorni in condizioni di passiva schiavitù; spero di poter  assistere, prima di lasciare questo strano mondo, alla scomparsa – o quasi – di carestie ed epidemie dalla faccia della terra…La lista delle cose sperate è virtualmente indefinita, eppure comprende un pugno di desideri comuni alla maggior parte – se non proprio alla totalità – dei mortali.
    Un motto avverte, cinicamente, che “chi di speranza vive, disperato muore”: solo un’esplosione irragionevole di pessimismo? Ritengo di no. Ci sono molti modi di “sperare” che ci introducono, sia pur cortesemente, nelle braccia della disperazione. Tra queste modalità autolesionistiche della speranza evidenzierei, se mi è concesso  brevettare un neologismo, lo speranzismo: l’assolutizzazione, decontestualizzante, della speranza. Lo speranzismo sta alla speranza come il fideismo sta alla fede. Proprio come il fideismo, è cieco; non si chiede, preliminarmente, in che direzione e su quali indizi orientare il proprio slancio; non si interroga sulle implicazioni e sulle conseguenze del proprio atteggiamento. Rischia, a ogni passo, di scambiare l’originale con le copie contraffatte. E, proprio perché si nutre di illusioni, si condanna alla delusione.
     Come funzionerebbe, invece, una speranza autentica, adulta, consapevole? Sarebbe molto attenta a smascherare gli spacciatori di false speranze (i quali, spesso, sono riconoscibili perché vivono esattamente come se non sperassero in ciò che suggeriscono o predicano agli altri). Inoltre accetterebbe volentieri il supporto del buon senso, dell’esperienza, della competenza scientifica, della rettitudine etica, senza la pretesa di bastare a sé stessa. Dunque suggerirebbe a chi non vuol morire giovane di curare un po’ la salute psico-fisica; a chi non vuol morire solo, di curare un po’ le relazioni affettive e amicali; di chi non vuol più assistere a guerre né vedere morire gente di fame e di malattie, di impegnarsi un po’ in politica. Una simile forma laica di speranza non esclude nessun’altra modalità ulteriore, teologico-confessionale; anzi, è la sola che può offrirle un fertile terreno dove fiorire.
     Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

1 commento:

Bruno Vergani ha detto...

Caro Augusto sto leggendo «Gesù simbolo di Dio» del gesuita americano e (moderatamente?) eretico Roger Haight, Fazi (collana Campo dei fiori), che a pagina 26 dice riguardo la fede - ritengo con te - così: “Il contenuto della fede (ovvero ciò che si crede) è espressione della fede e come tale è distinto da essa”, ovvero faith (fede) e beliefs (possiamo tradurlo con credenze) sono correlate ma non equivalgono. Fede, dunque, forte ma non fissa, in quanto correlata estemporaneamente, mutevolmente, dinamicamente, con il suo contenuto.