domenica 3 aprile 2016

LA CRISI DELLE SCUOLE CATTOLICHE (PRIMO INTERVENTO)


“Repubblica – Palermo”
31.3.2016

LA CRISI DELLE SCUOLE CATTOLICHE NON E’ SOLO ECONOMICA

      Il calo d’iscrizioni nelle scuole cattoliche in Sicilia  – di cui si è occupato un servizio della nostra testata - è certamente legato a contingenze finanziarie, soprattutto al combinato disposto  di riduzione dei contributi pubblici e impoverimento dei bilanci familiari. Ma sarebbe un po’ riduttivo limitarsi a questo livello di analisi. Al di sopra, o al di sotto, agiscono infatti motivazioni culturali su cui varrebbe la pena accendere le luci della riflessione. Mi riferisco, innanzitutto, al mutamento di mentalità politica: fasce sempre più nutrite di popolazione capiscono che lo Stato non può esigere imposte senza offrire servizi. Chi  - volentieri o a collo storto – paga le tasse ha imparato a pretendere la gratuità (o quasi) del soddisfacimento di alcuni diritti primari come la sanità e l’istruzione. La credibilità dello Stato dipende sempre di più dalla sua capacità di essere, e di mostrarsi, Stato sociale: Welfare State.
      Ma il mutamento culturale riguarda anche il punto di vista ideologico-pedagogico. Una motivazione tradizionale induceva molti genitori a iscrivere i figli in scuole cattoliche per garantirgli un ambiente protetto, una sorta di  serra extra-territoriale in cui potessero evitare le influenze negative di ideologie pericolose (più o meno imparentate con lo spettro del comunismo) e ricevere un’educazione religiosa. Ma, dopo la crisi delle “grandi narrazioni”, la prima di queste due ragioni è venuta meno: in quale scuola statale un ragazzo corre il rischio di diventare “troppo” di sinistra ? Si può discutere se questa scomparsa sia un bene o un male per la società, ma non si può certo negare che sia un dato oggettivo e notorio. Spendere soldi per difendere la progenie da nefasti influssi rivoluzionari sarebbe come investirli in tende protettive anti-tempeste di sabbia al Polo Nord. Nell’epoca del “pensiero unico” - intessuto di individualismo, competitività, rampantismo sociale, liberismo economicista, lusso esibizionistico, xenofobia – è da questa “visione del mondo” che, se mai, le famiglie dovrebbero tentare di difendere i figli. Però non passa neppure dall’anticamera del cervello: una solida formazione borghese-perbenista, ai nostri giorni, può riuscire sempre utile nella vita. 
       Ma, almeno, funziona la seconda motivazione? Le scuole cattoliche, dalle materne alle medie superiori, assicurano una formazione religiosa maggiore delle scuole statali? Basta interrogare gli ex-alunni e soprattutto le ex-alunne per sapere che la risposta è negativa.
        E’ negativa se, un po’ sommariamente, s’intende per “educazione religiosa” l’affezione alle pratiche liturgiche, alla preghiera personale o di gruppo, allo studio delle Scritture. La precocità  ( e non di rado l’insistenza) di alcune forme di catechesi ottengono  - di norma – l’effetto contrario a ciò che si propongono: messe e novene, ritiri spirituali e raduni oceanici in piazza San Pietro, provocano un senso di sazietà che qualche volta assomiglia al disgusto. Per non parlare degli effetti controproducenti di omelie unilateralmente incentrate sulla “purezza sessuale” e sui modelli di “famiglia cattolica”. Espressioni come “I miei figli non vogliono sentir parlare di religione: sono stati otto anni a scuola dalle suore” sono ormai diventate dei ritornelli.
       La situazione non appare molto diversa se, in accordo con le nuove prospettive teologiche di cui anche papa Francesco si sta facendo portavoce, intendiamo per “educazione religiosa” – ben al di là dell’addestramento a pratiche confessionali - la formazione di una coscienza evangelica. Sono le scuole cattoliche una palestra di sincerità con sé stessi e con gli altri, di cooperazione fra compagni di classe, di sobrietà nei consumi, di solidarietà verso gli strati sociali più deboli, di legalità democratica, , di attenzione all’ambiente? Anche sulla base di recenti esperienze professionali devo, con tristezza, rispondere anche qui negativamente. E’ una tradizione che viene da lontano:  ho sulla punta della lingua vari nomi di protagonisti attuali della cronaca politica che, educati in prestigiosi istituti cattolici, non hanno certo offerto  testimonianze esemplari dal punto di vista etico. Non che – invece – nelle scuole statali quei principi (che sono anche evangelici, ma condivisi dalle coscienze laiche più mature) siano coltivati meglio: ma, se non si vede nessuna differenza (e qualche volta la si nota a vantaggio delle scuole statali) , a che pro le famiglie dovrebbero impegnarsi a spendere di più ?

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
  

1 commento:

Maria D'Asaro ha detto...

Disamina interessante. E poi la tempesta della "liquidità sociale" (ben preconizzata da Zygmunt Bauman) non risparmia nessuno ...