mercoledì 31 agosto 2016

AGLI INSEGNANTI ITALIANI DI OGNI ORDINE E GRADO


AGLI   INSEGNANTI    DELLE    SCUOLE   DI  OGNI  ORDINE   E    GRADO

Cara Collega, caro Collega,

su mia proposta la sezione palermitana del  Cidi (Centro di iniziativa democratica degli  insegnanti) organizza per mercoledì 28 settembre 2016 una Giornata di aggiornamento per gli insegnanti di tutte le scuole (dalla primaria alla secondaria superiore).
Ti consiglio di esaminare con un po’ di attenzione il programma perché si tratta di un’occasione davvero rara, se non addirittura unica: basta andare su www.cidipalermo.it


In sintesi la giornata prevede due tipologie d’incontro.
La prima parte è destinata agli insegnanti che desiderano avere un’informazione chiara e completa sulla Philosophy for children (Filosofia con i bambini) secondo il metodo Lipmann: un metodo  (elaborato anche come Philosophy for cityzen e Philosphy for community) che viene adottato anche nelle scuole elementari e medie per stimolare, partendo da vari contenuti disciplinari, un atteggiamento mentale critico, rispettoso degli interlocutori, cooperativo.
Questa prima parte della giornata è condotta da Maria Rosalba Lupia (Cosenza), una delle pioniere della Philosophy for children in Italia.

La seconda parte della giornata è più specificamente dedicata ai docenti di filosofia che desiderino confrontare il proprio stile di insegnamento  (tradizionale) con approcci innovativi proposti da due dei massimi esperti italiani di didattica della filosofia: Mario Trombino (Bologna) e Mario De Pasquale (Bari).

Ti prego di decidere con consapevolezza se cogliere al volo, o meno, questa preziosa opportunità di aggiornamento che potrebbe essere il primo passo di una serie periodica di seminari di approfondimento e di scambi d’esperienze.

Cordialmente,
Augusto Cavadi

martedì 30 agosto 2016

"LEGALITA' " SECONDO MARIA D'ASARO


“Niente di personale”  
20.8.2016

LEGALITA’

Il grande merito di un piccolo libro – Legalità,  a cura del prof. Augusto Cavadi (Di Girolamo, Trapani, 2013, €7) -  è quello di condensare chiaramente in poche pagine i concetti essenziali di un’idea e una pratica, quella di legalità appunto, spesso fraintesa e poco “agita” dagli italiani. Nel saggio, l’autore ci ricorda innanzitutto che le leggi sono l’impalcatura della convivenza sociale e della democrazia e che nascono per difendere i diritti di tutti, soprattutto dei meno forti e dei meno fortunati. Cavadi chiarisce poi la differenza tra legalità e legalismo, sottolineando che la legalità può degenerare in legalismo se non si accompagna alla saggia ricerca della giustizia: “Una legalità senza ricerca della giustizia è una legalità morta, senza speranza. La sfera giuridica non è autonoma rispetto alle più ampie sfere dell’agire politico e del giudizio etico.” La legalità quindi rimanda alla giustizia come suo fondamento e alla politica per il suo pieno compimento.
Cosa deve fare quindi un buon cittadino? Il libretto propone un convincente sentiero esistenziale che comporta sinteticamente tre tappe importanti: 1) conoscere le leggi: “L’arte di vivere la legalità (…) non può che iniziare dalla conoscenza, da una corretta e completa informazione delle norme”; 2) discernerne il fondamento alla luce di alcuni strumenti importanti, quali la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Costituzione italiana; 3) rispettare le leggi se non confliggono con i predetti ordinamenti legislativi: “Quando una norma, stabilita seconde procedure legali, non confligge con la nostra coscienza morale, essa va rispettata con fedeltà.” Di conseguenza, come ulteriore fattore di ricchezza immateriale, dovrebbe rientrare nel ”pacchetto” di componenti del PIL, oltre alla quantità di beni e servizi di uno Stato, anche: “il grado di convinzione con cui i cittadini condividono le sue regole”. Infatti “senza una legalità democratica interiorizzata – vissuta non per paura delle sanzioni, ma  come fattore irrinunciabile di bene comune – tutti gli altri tesori di una civiltà poggiano su basi instabili.
A sostegno delle sue affermazioni, Cavadi cita Gandhi che, pur ribadendo che la disubbidienza civile è un diritto intrinseco del cittadino, afferma: «Un democratico è un amante della disciplina»; di conseguenza solo chi normalmente obbedisce alle leggi acquista il diritto alla disobbedienza civile: “Solo chi dimostra di sapere rispettare le leggi giuste a costo di rimetterci soldi, carriera, la stessa vita, ha il diritto di opporsi … a quelle leggi che, dopo un attento esame e un sereno confronto con gli altri cittadini degni di fiducia, gli dovessero risultare ingiuste e/o immorali.” Infatti “opporsi alle leggi ingiuste è un diritto, ma … anche un dovere. I martiri di tutte le religioni lo hanno dimostrato”. C’è poi una cartina di tornasole che ci consente di distinguere la resistenza per ragioni etiche a norme sostanzialmente ingiuste dal ribellismo per ragioni di interesse privato: “Chi resiste alla legalità ingiusta è disposto a pagare le conseguenze della propria disobbedienza (…) Nei casi estremi … è disposto persino a lasciarsi uccidere per denunziare il vero volto dell’istituzione che traveste di legalità la sua volontà di dominio e di oppressione.”
Le pagine finali del libro, che presentano anche una panoramica sui diversi volti dell’illegalità, sono un vibrante richiamo alla partecipazione politica, l’unica possibilità che, in un sistema democratico, consente di mutare una legislazione imperfetta in una migliore: “La politica è la risposta creativa senza la quale ogni possibile resistenza all’illegalità istituzionale o si spegne per stanchezza o diventa eversione distruttiva.” Cavadi invita quindi i lettori a un paziente e vigile esercizio di partecipazione democratica, a partire dalle assemblee di condominio e da quelle del Consiglio comunale per arrivare ai contesti legislativi istituzionalmente più ampi ed elevati, evitando le sirene dello scoraggiamento, del qualunquismo, dell’astensionismo e la tentazione della delega in bianco.
 Chiudendo allora Legalità, libretto prezioso che merita di essere adottato come ausilio educativo/didattico in tutte le scuole superiori del nostro paese, ci rimangono alcune preziose “perle” civiche: la consapevolezza del legame ineludibile tra legalità, giustizia e politica e il desiderio di offrire il nostro personale contributo all’aumento del PIL, inteso stavolta come Prodotto Interno di Legalità. Perché, come ci ricorda lo studioso Umberto Santino nella citazione all’inizio del libretto: “Gli eroi (come Socrate, come Giacomo Ulivi, partigiano morto nella lotta di liberazione contro un regime ingiusto) continueranno a morire se gli uomini comuni non impareranno a vivere” .

                                                                                              Maria D’Asaro 

http://www.nientedipersonale.com/2016/08/20/legalita-il-libro-di-augusto-cavadi

OPPURE

http://maridasolcare.blogspot.it/2016/08/legalita-niente-di-personale.html

domenica 28 agosto 2016

ANCHE IN SICILIA CI SONO SEGNI CONCRETI DI SPERANZA


“Repubblica – Palermo”
18.8.2016

PICCOLI SEGNI DI CIVILTA’
La vita quotidiana è difficile ovunque, in Sicilia un po’ più che ovunque. Maleducazione, corruzione, qualche volta intimidazione mafiosa, solitamente disaffezione per il bene comune (dalla battigia delle spiagge al funzionamento di un servizio pubblico): ce n’è abbastanza per chiedersi se fruire di tante bellezze naturali e artistiche valga lo stress di convivere con conterranei indegni. Ma proprio perché l’andazzo è così asfissiante, ogni tanto dobbiamo emergere dall’acqua e prendere respiro a pieni polmoni rallegrandoci di cose che vanno bene. E di belle sorprese le mie giornate recenti sono, per fortuna, ricche.
  Visito Castellammare del Golfo. La ricordavo una cittadina anonima, ingolfata perennemente da auto inutilmente in colonna per il passìo serale, sporca come la media dei comuni isolani: dopo alcuni anni la ritrovo restaurata, con zone pedonali, pulita e popolata da turisti sorridenti. Passo dalla Biblioteca comunale per consultare dei titoli e trovo un ambiente limpido, luminoso, ordinato, dotato di wifi gratuito: tutto il personale, dalla signora all’ingresso sino al direttore, si rivela di una disponibilità stupefacente.
   Ritorno a Palermo e – sollecitato dalle notizie di cronaca – visito Romagnolo. Ci andavo a fare il bagno, da bambino, con mamma e papà: non eravamo  nella condizione economica di permetterci la più rinomata Mondello. Poi, per mezzo secolo, l’abbandono e la desolazione di quella riviera da cui Monte Pellegrino si offre come allo sguardo ammirato di Goethe all’arrivo in piroscafo da Napoli. Adesso è tornata come allora. Non so per quanto tempo (le Forze dell’ordine abitualmente evitano il controllo delle coste siciliane), ma intanto è una bella novità che fa bene al cuore.
    Sempre a Palermo il mio simpaticissimo suocero novantenne mi chiede dei chiarimenti sul suo conto corrente che non so dargli. Ci rechiamo insieme all’ufficio postale dell’Arenella: anche qui troviamo accoglienza pronta, ascolto paziente, risposte parziali che  - dopo un’ora – diventano complete grazie a una telefonata al nostro domicilio da parte del direttore con cui ci eravamo consultati.
    Un’amica da giorni accudisce il marito all’Hospice per malati terminali dell’Ospedale civico. Mi riferisce dell’ambiente lindo, della professionalità e della gentilezza di tutto il personale sanitario e parasanitario. Il clima è così umano e il servizio così accurato che il paziente chiede, preoccupato, alla moglie quanto stia costando ogni giorno la sua permanenza in quella clinica di lusso. Ovviamente è tutto gratuito grazie al servizio sanitario nazionale.
   Vado per il bagno a mare nella spiaggetta pubblica di Vergine Maria e, mentre mi espongo un po’ al sole, osservo prima un giovane, poco dopo  una signora di mezza età, che nell’andare via raccolgono in un sacchetto di plastica i rifiuti che incontrano nel sentiero di ritorno a casa. Mi rallegro interiormente: allora né mia moglie né io siamo pazzi isolati. Siamo in tutto quattro, ma non posso escludere che prima e dopo la mia permanenza in spiaggia qualche altro abbia avuto la stessa sollecitudine per lo spazio comune. Mi ritornano in mente gli episodi dei giorni precedenti che ho appena evocato e, per un momento, mi abbandono a un interrogativo seducente: non è che, piano piano, i siciliani civili stanno diventando maggioranza statistica rispetto ai trogloditi sinora imperanti?  Non è che arriverà il momento in cui a lasciare l’isola non dovranno essere gli osservanti delle norme e i devoti del bello, ma gli irriducibili della cafonaggine?

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

sabato 27 agosto 2016

LE VACANZE FILOSOFICHE SON FINITE. LA RICERCA CONTINUA...

Anche quest'anno le Vacanze fiosofiche per non...filosofi (di professione) - svoltesi in Valtellina - si sono chiuse. Una convergenza  di fattori positivi (la disponibilità relazionale di tutti i partecipanti, il clima atmosferico eccezionalmente bello per una zona di montagna a oltre 1700 metri sul livello del mare, l'accoglienza cordialissima dei gestori dell'albergo e la professionalità di tutto il personale alberghiero...) ha valorizzato i contributi sia di quanti hanno proposto temi di riflessione (relazioni, seminari, laboratori, serate musicali...) sia di quanti hanno arricchito gli incontri con commenti, domande, osservazioni critiche, esperienze personali, intuizioni estemporanee, approfondimenti sulla base delle proprie competenze pregresse. Materiali di vario genere saranno presto reperibili, come al solito, nel sito "vacanzefilosofiche.altervista.org". E' molto probabile che, come è avvenuto negli ultimi anni, parte dei materiali presentati saranno rifusi in un libro autonomo a più voci edito da Diogene Multimedia (Bologna). 
Intanto, ovviamente, la ricerca del nostro giro di amici  - "pensatori" come li chiama Guido Martinoli (riferendosi non ai grandi profili della storia, ma alla qualità antropologica di cui tutti potenzialmente disponiamo) o, come  forse ancor più modestamente potremmo definirci, "cercatori di senso" - continua in varie sedi d'Italia, in vari contesti locali, con il coinvolgimento di persone differenti.
Personalmente segnalo sin d'ora tre appuntamenti già programmati:  
* lunedì 19 settembre 2016, a Bologna, Cena antropologica condivisa prendendo spunto dal mio recente libretto Filosofare in carcere. Un'esperienza di filosofia-in-pratica all'Ucciardone di Palermo, Diogene Multimedia, Bologna 2016.
* mercoledì 28 settembre 2016, a Palermo, Giornata di aggiornamento pedagogico-didattico a cura del CIDI di Palermo: Maria Rosalba  Lupia (Cosenza), Mario Trombino (Bologna) e Mario De Pasquale (Bari) presenteranno alcune nuovi metodi per filosofare (non solo in ambiente scolastico, ma anche in contesti comunitari più ampi): per informazioni ulteriori e iscrizioni andare sul sito www.cidipalermo.it
* da venerdì 28 aprile a lunedì 1 maggio 2017 , a Castellammare del Golfo (Trapani), Quarta edizione del Festival della filosofia d'a-Mare: un insieme di eventi e pratiche filosofiche destinato, soprattutto, a quanti amano la filosofia pur non essendo filosofi di mestiere.

Intanto, in attesa di prossimi incontri, buona ripresa post-estiva a tutte e a tutti voi (e un po' anche a me, anche se dal 1 settembre inizierà  - con mia comprensibile  letizia -  la vacanza scolastica più lunga della mia vita...:)  )

sabato 20 agosto 2016

CI VEDIAMO A S.CATERINA VALFURVA (SONDRIO) DA OGGI A VENERDì 26 AGOSTO 2016 ?

Dopo l'intensa giornata (18/8) di ricerca spirituale 'laica' alla "Fattoria sociale" di Bruca , in quel di Segesta, siamo volati in un bel gruppo in Valtellina, ai confini con la Svizzera. Da oggi a venerdì 26 agosto 2016 si svolgeranno i seminari della Vacanza filosofica per non...filosofi (di professione): se qualcuno è da queste parti e ha piacere di salutarci o mi chiama al cellulare o viene direttamente all'Hotel "S. Caterina" del suggestivo borgo di S. Caterina Valfurva.

Augusto/Adriana/Maria/Giorgio/Salvatore e Maria Antonietta/Simonetta etc. etc.
Da Bergamo a qua si sono aggiunti Franco, Elena, Andrea e Giuliana.
Qua abbiamo trovato Elio, Concetta, Nino etc.etc. (ancora non li ho incontrato tutti perché il primo appuntamento è a cena).

venerdì 19 agosto 2016

ATLETE IN HIJAB E ATLETE IN BIKINI: SCANDALO A RIO ?


“Niente di personale”

16.8.2016



ALCUNE  ATLETE MUSULMANE DEVONO GAREGGIARE IN HIJAB. INVECE LE DONNE CRISTIANE…



Se non l’avete letto, leggete la breve nota di Alberto Caprotti sulla pagina web di “Avvenire” (il quotidiano della CEI, Conferenza episcopale italiana: insomma dei vescovi italiani) a proposito dell’atleta (donna) dell’Arabia Saudita che ha accettato, pur di partecipare ai Giochi olimpici, di correre i 100 metri piani interamente paludata dallo “hijab di ordinanza”: www.avvenire.it/Sport/Pagine/A-Rio-cento-metri-di-libert-La-saudita-Kariman-ha-gi-vinto-.aspx

E’ un pezzo due volte interessante: per quello che dice e per quello che non dice.

E’ interessante perché mette in evidenza il coraggio della saudita Kariman Abuljadayel , “il simbolo del futuro, della donna musulmana che si mette a correre”, accettando lo svantaggio – rispetto alle concorrenti che sfoderano “braccia lucide, sguardi aggressivi, body sgargianti” – di essere l’unica infagottata come “una tartarugona impacciata”, “la sola ad essere coperta, a non mostrare le gambe, a chinare gli occhi”.

Ma è interessante quel che il collega di “Avvenire” tace. E’ significativa l’assenza di un accenno  - almeno solo un accenno – autocritico sul dato di fatto che, un secolo fa o giù di lì, in molti Paesi a maggioranza cristiana sarebbe stato impensabile avere tante atlete disinibite come le nostre contemporanee. La paura del corpo, soprattutto del corpo femminile, è stata la regola  - dopo la fine del  Rinascimento  - nelle chiese cattoliche, ortodosse e protestanti. E se la situazione oggi, per fortuna, è cambiata, una firma cattolica di un giornale cattolico dovrebbe ammettere che ciò è avvenuto non  grazie al Magistero ecclesiastico ma nonostante esso. Senza Illuminismo, senza Romanticismo, senza Movimento femminista, senza Sessantotto…le nostre atlete si sarebbero distinte ben poco dalle colleghe musulmane (da alcune fra le tante colleghe musulmane: molte altre partecipano ai Giochi senza abbigliamenti punitivi). Se il potere politico in Occidente non si fosse, faticosamente, sganciato dal potere religioso  - come purtroppo non è avvenuto in alcuni Paesi islamici – oggi le atlete cristiane correrebbero col velo e le tuniche. O, più probabilmente, non correrebbero per nulla.

  La riprova? L’assenza totale, e ritenuta ovvia, di suore non solo dagli stadi olimpici (si può sempre sostenere che gli impegni di preghiera e di apostolato impediscono di dedicare tempo agli allenamenti, a differenza degli impegni familiari e professionali delle altre donne), ma dalle palestre, dalle piscine, dai campi sportivi. Una donna ‘consacrata’ a Dio (e in tutto e per tutto dipendente dal governo clericale maschile) deve nascondere ogni centimetro della propria pelle, ogni filo dei propri capelli, ogni curva del proprio profilo. La moglie di un operatore della Rai mi confidava il suo scandalo nel vedere giovani preti (che accompagnavano la troupe televisiva per le rubriche ‘religiose’ della domenica) trattenersi piacevolmente, in piscine di alberghi di lusso, con segretarie altrettanto giovani in topless. Non so se tale scandalo fosse giustificato né sino a che punto. Ma ciò che mi scandalizza di più è l’accanimento  - puntualmente documentato dall’agenzia di stampa “Adista” (www.adista.it) - di diverse autorità vaticane contro le Congregazioni di suore statunitensi che chiedono timidi passi di apertura al mondo e di parificazione con i confratelli maschi. Forse le donne cattoliche devono prendere “alla lettera” la punizione biblica di “lavorare col sudore della fronte” e di “partorire con dolore”, mentre gli uomini, più esperti in teologia biblica, hanno capito che si tratta di “metafore” e “esagerazioni retoriche”…



Augusto Cavadi




www.nientedipersonale.com/2016/08/16/alcune-atlete-musulmane-devono-gareggiare-in-hijab-invece-le-donne-cristiane/

lunedì 15 agosto 2016

GLI ITALIANI FRA INDIVIDUALISMO E FAMILISMO SECONDO ARNALDO NESTI


“Centonove”
4.8.2016

NESTI E LA CRISTIANITA’ DEFUNTA

Leggere queste pagine di Arnaldo Nesti (Individualismo familismo. Spunti di storia e antropologia sociale degli italiani, Gabrielli, S. Pietro in Cariano – Verona 2016, pp. 155, euro 13,80) è un po’ come rifare, con l’autore, una chiacchierata in trattoria, senza fretta, nella magia della Firenze medievale. Dall’alto dei suoi ottanta e passa anni  -  trascorsi a vivere e a studiare e a viaggiare e a dialogare – Nesti getta uno sguardo preoccupato sull’Italia di oggi, oscillante fra “individualismo” e “familismo”, ma in ogni caso ben lontana dal senso dello Stato e, soprattutto, del bene comune. E prova a capire come ci siamo ridotti così e come potremmo emergere dal pantano.
  L’originalità della sua lettura è contrassegnata dalla specializzazione professionale dell’autore che ha insegnato per decenni Sociologia della religione all’Università di Firenze ed è tuttora direttore del Centro Internazionale di Studi sul Fenomeno Religioso Contemporaneo (CISRECO) di San Gimignano: egli infatti ritiene (sulla scia di illustri predecessori come Machiavelli) che la storia italiana sia, nel bene e nel male, legata a doppio filo con le vicende della Chiesa cattolica. Poiché quest’ultima sta attraversando una delle crisi più gravi della sua vicenda bimillenaria – culminata nelle dimissioni clamorose di Benedetto XVI - non c’è da stupirsi che l’ethos civile degli italiani ne risenta in misura altrettanto preoccupante: un popolo ‘laico’ può sopravvivere alle disgrazie di una delle tante chiese istituzionali diffuse fra la gente, ma un popolo ‘cattolico’ (e forse più clerico-dipendente che credente) non può che restare stordito e vagare incerto come un gregge di pecore senza pastore.
  Ma, senza entrare per ovvie ragioni nel merito della dettagliata ricostruzione di Nesti dal Risorgimento al Renzismo, non possiamo esimerci da qualche notazione di approfondimento. La crisi della Chiesa cattolica non è, come potrebbe sembrare sfogliando le cronache, una crisi dovuta a scandali contingenti, dalla pedofilia al riciclo di soldi sporchi attraverso gli istituti bancari vaticani: queste porcate (in versioni più o meno note e più o meno aggiornate) ci sono sempre state e fanno parte della dimensione mondana di ogni comunità religiosa. Ciò che è in gioco è qualcosa di più radicale. Il cristianesimo è nato come un movimento (provvisorio) perché Gesù e i suoi primi discepoli (Paolo apostolo incluso) ritenevano imminente la fine del mondo. Ma questa “apocalisse” non si è realizzata e la comunità dei  seguaci di Gesù dovette attrezzarsi per il lungo periodo: diventò un’istituzione gerarchica, con i suoi dogmi e i suoi riti, i suoi tribunali e i suoi concordati con i poteri politici. Il cristianesimo (fede, pensiero, vita) divenne cristianità (tradizione, civiltà, morale): con la situazione paradossale che molti nascevano cristiani (in quanto appartenevano alla società cristiana) ma potevano essere miscredenti, agnostici o atei (in quanto non accettavano il messaggio cristiano).
 Ora la diagnosi che, secondo il libro, accomuna Dossetti, Martini, lo stesso Nesti è che la cristianità (nata con l’imperatore Costantino nel IV secolo) è morta; i cristiani devono rassegnarsi e fare buon viso a cattivo gioco (un po’ come è avvenuto quando il papa ha perduto Roma e ciò gli ha dato un’autorità morale che non aveva da sovrano dello Stato pontificio). I cristiani devono riscoprire la propria fede, le proprie convinzioni evangeliche, e mollare – senza nostalgia – l’epoca in cui le scuole, gli ospedali, persino le banche erano ‘cattoliche’. Monsignor Mansueto Bianchi, che firma la Postfazione, ritiene che con papa Francesco saremmo nella strada giusta: procediamo, lentamente ma decisamente, verso “una Chiesa in cui il vangelo è ‘di più’ rispetto al diritto, all’etica, all’organizzazione e quant’altro”. Ma – è questa la mia obiezione – la questione è ancora più grave. Detto in soldoni: in crisi non è solo la cristianità (in senso storico-sociologico) ma lo stesso cristianesimo (cioè il vangelo di Gesù e le sue interpretazioni ortodosse). Di questa gravità abissale nel libro di Arnaldo Nesti non mi pare che ci sia traccia. Sembrerebbe che basterebbe la conversione della “cristianità” per risolvere la questione. Però una Chiesa povera, libera dalla sete di dominio, meno ossessionata dal sesso che non si stanca di condannare a ogni piè sospinto…sarebbe già per questo una Chiesa convincente? L’onestà e la coerenza sono condizioni necessarie della testimonianza: ma sono anche sufficienti? Oppure anche i cristiani più puliti si troverebbero – si troveranno, si ritrovano – a fare i conti con interrogativi scientifici e filosofici, etici ed esistenziali, immensi, ai quali neppure il cristianesimo più ‘puro’ è in grado di rispondere?  Benedetto XVI cede davanti al trionfo della “trinità infernale” (potere, denaro, sesso) dei suoi vescovi e dei suoi preti; ma, forse, ancor di più, davanti al  “mutismo di Dio” (da lui stesso evocato) che tace al cospetto delle  tragedie dei viventi. Insomma: ammesso che la cristianità ritrovi la sua “spina dorsale”, anche il cristianesimo dovrebbe rivedere sé stesso, la propria identità teologica, il proprio messaggio. Il recupero di un comportamento dignitoso da parte di chi si presenta come cristiano sarebbe il primo passo: il secondo, più impegnativo, sarebbe la revisione profonda del suo messaggio all’umanità. Per il primo passo papa Francesco sembra attrezzato: lo è anche per il successivo? Eppure temo che senza una teologia più sobria e fedele al vangelo delle origini sia vano sperare in un incisivo rinnovamento dell’etica dei cristiani. Se ai membri della cristianità, assediati dalle domande angoscianti che assillano il resto dell’umanità, si offrono non le risposte semplici e modeste del Maestro di Nazareth - bensì delle dottrine mirabolanti che pretendono di risolvere ogni dubbio e diradare ogni nebbia - nell’intimo di sé stessi i cristiani resteranno scettici. Sostanzialmente increduli. E l’ipocrisia è l’anticamera di ogni cinismo pratico.


Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

sabato 13 agosto 2016

I SICILIANI SPIEGATI AI TURISTI (OTTAVA PUNTATA)


“Il Gattopardo”
luglio 2016

I SICILIANI SPIEGATI AI TURISTI
(OTTAVA PUNTATA)

   Tra le domande più difficili che il turista si pone : “Perché voi siciliani trattate così male le bellezze naturali e artistiche della vostra isola?”
   In alcuni casi una risposta si intuisce. C’è una spiaggia suggestiva o una collina da cui si ammiri un panorama incantevole? Ci costruisco la mia “villetta”: se ciò impedisce la fruizione ad altri, pazienza! Ci sono zone archeologiche ricche di reperti storici interessanti? Me ne approprio per abbellire il salotto o per rivenderli all’estero: se ciò impoverisce il patrimonio dei musei regionali, pazienza! In tutti questi casi non si può accusare il siciliano di cecità: vede la bellezza, la riconosce, l’apprezza sino al punto da… impadronirsene. Se mai, lo si può accusare di miopia: concentrato sull’interesse privato immediato non sa guardare all’interesse pubblico futuro. Non sospetta che una Sicilia sfigurata nel territorio e depredata dei tesori artistici offrirà meno ragioni di attrazione agli stranieri  - e dunque minori opportunità di lavoro ai figli.
   Ma se in casi come questi   una logica, sia pur perversa, si rintraccia, in altri si ha l’impressione di trovarsi al cospetto dell’assurdo. Perché parchi naturali e archeologici devono essere sommersi da rifiuti? Perché zone balneari devono essere infestate da musica chiassosa sino alle ore piccole? Perché le città devono essere sfregiate da discariche a cielo aperto, da cacche di cani, da edifici abbandonati orribilmente mutilati? Perché sugli autobus non sale mai un agente di pubblica sicurezza che interrompa l’arrogante dominio di ogni genere di molestatori, dalla banda di ragazzini che urlano al borseggiatore solitario? Perché servirsi di un taxi pubblico dev’essere lusso straordinario e non alternativa ordinaria? Perché tratti autostradali non certo brevi (come da Palermo a Mazara del Vallo) devono restare – nonostante la disoccupazione imperante - del tutto privi di pompe di benzina e di bar? Questi e altri sono fenomeni davvero patologici: rivelano, nel siciliano ‘medio’,  riserve  di autolesionismo difficile da decifrare.
   Qualcuno, ogni tanto, tira fuori l’ipotesi di un difetto congenito. Ma è ipotesi doppiamente smentita: sia dal fatto che i siciliani che emigrano imparano presto a comportarsi bene all’estero sia dal fatto che i turisti che arrivano imparano presto a comportarsi male in Sicilia. Impeccabili parigini attraversano le strade senza cercare le strisce pedonali; gruppetti allegri di svedesi in bici trovano divertente passare col rosso; statunitensi  - solitamente ligi alle norme - entrano nei bus dalla porta d’uscita e ne escono dall’altra in cui si entra. Evidentemente la certezza dell’impunità sistemica scatena in ogni cittadino del mondo le stesse pulsioni trasgressive…Un amico di Friburgo mi spiegava di provare il bisogno psicologico insopprimibile di trascorrere almeno un mese l’anno in Sicilia: scatenarsi, con l’aiuto di abbondante alcol, senza timore di sanzioni gli consentiva di affrontare rinfrancato gli undici mesi di dura disciplina che lo attendevano in Germania.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

mercoledì 10 agosto 2016

"MOSAICI DI SAGGEZZE" SECONDO BEPPE PAVAN



“Viottoli”, 1/2016

SPIRITUALITA’ CREATIVA

Augusto Cavadi ci racconta, in MOSAICI DI SAGGEZZE. Filosofia come nuova antichissima spiritualità (Diogene Multimedia, Bologna 2015, pp. 357, € 25,00), l’avventura umana e spirituale che può essere vissuta da chi sceglie come propria guida la filosofia e impara a “pensare da sé”, ovvero tenta “di risolvere con mezzi propri e indipendenti da ogni autorità il problema dell’esistenza” (p. 25). Avventura personale e per ciò stesso creativa, perché diversa per ogni uomo e ogni donna che “rinunzia a ricette o formule che possono, nel concreto, prescrivere luoghi, modi e tempi” della propria vita e della propria ricerca spirituale.
Qui la consonanza di pensiero si è rivelata consonanza di vita: non solo tra me e lui, ma anche tra le sue scelte e l’esperienza delle nostre comunità. La delusione accumulata nel “mondo cattolico, imbevuto di spiritualità e povero di critica”, e nel “mondo universitario, dichiaratamente critico ma privo di spiritualità” (p. 280), invece che all’indifferenza e alla chiusura l’ha spinto piuttosto a cercare e a proporre altre forme e altre pratiche per alimentare la propria vita spirituale. Incontrando l’adesione di tante persone.
Nell’Appendice del volume – le ultime 15 pagine – descrive queste pratiche, che provo a sintetizzare qui di seguito, grato per l’emozione che mi ha procurato il riscontro con le nostre pratiche in CdB e nei gruppi di autocoscienza maschile.

Vacanze filosofiche
“Dal 1996 a oggi le vacanze filosofiche per non-filosofi sono state organizzate puntualmente ogni estate, intorno a interrogativi filosofici di immediato impatto esistenziale: il dolore, la felicità, il tempo, il linguaggio, la giustizia, il sacro, la politica...”. Una settimana estiva in qualche bel luogo di montagna, all’insegna della laicità e della spiritualità, dove si partecipa” senza filtri ideologici né confessionali”, con la “massima libertà” di espressione di sé e “con l’unico impegno di ascoltare le ragioni altrui”, evitando qualsiasi tentazione di “proselitismo religioso o politico”.
Ed è un evento spirituale, perché “i partecipanti sono invitati a mettersi in gioco non solo come cervelli che pensano ma anche come soggetti che cercano col cuore in senso biblico”, cioè con l’intero di sé.

Cenette filosofiche
Ogni 15 giorni, sul modello del Simposio platonico o dei Discorsi a tavola di Lutero: la mensa è il luogo a cui “si conviene da parti diverse”, in cui “ci si alimenta per fortificarsi” e in cui “si passano di mano in mano in mano pietanze che ciascuno è libero (ma sempre con un sorriso di gratitudine) di accettare o rifiutare”.
Si parte dalla lettura, fatta a casa da ciascuno, di un testo adottato di ciclo in ciclo e “la parola è sin dall’inizio ai non-filosofi presenti che possono chiedere a qualche filosofo di mestiere dei chiarimenti esegetici... o proporre considerazioni personali”.
Sul piano del metodo tre sono i principi ispiratori fondamentali: l’accordo tra pensiero ed esperienza personale; la non-violenza, che invita a evitare atteggiamenti negativi, ostili, nei confronti dei discorsi altrui; ma non basta astenersi dall’aggredire: bisogna saper adottare un atteggiamento davvero positivo nei confronti di ogni persona. Perché tutti sono consapevoli che ci si incontra “non per riempire spazi vuoti ma per sostenersi a vicenda in una riflessione filosofica”.

Domeniche di chi non ha chiesa
Una volta al mese, “a turno, qualcuno mette a disposizione la casa e si candida ad offrire uno spunto di riflessione comunitaria (un brano musicale, una poesia, una pittura, una pagina di filosofia...): poi, per poco più di un’ora, in atmosfera di raccoglimento, chi vuole socializza brevemente le risonanze interiori che gli sono state suscitate dall’input iniziale... e restituisce al gruppo intuizioni, ricordi, propositi, sentimenti, progetti... senza paura di essere criticato né volontà di conquista”. Poi si pranza in convivialità.
Fondamentale è che “a suggerire i temi di meditazione sia una persona ogni mese diversa: troppo facile sarebbe altrimenti ricostituire una struttura gerarchica attorno a un guru-maestro-illuminato, una struttura insomma verticistica e clericale che rappresenta uno degli aspetti deteriori delle esperienze religiose” (p. 285).
Raccolgo ancora due riflessioni dal racconto di Cavadi:
  1. “Non può esservi conoscenza senza una comunità di ricercatori, né esperienza interiore senza comunità di quanti la vivono. Comunità s’intende in senso diverso da Chiesa o ordine”.
  2. Alle “domeniche di chi non ha chiesa” partecipano sia persone senza appartenenza ecclesiale sia cattolici e protestanti che frequentano abitualmente le rispettive comunità: “Questa convivialità delle differenze potrebbe risultare, in futuro, segno premonitore della società che ci aspetta: una società che riesca, finalmente, a gettarsi alle spalle delle contrapposizioni (tipicamente occidentali) fra in credere e il pensare”.

Seminari di teologia critica
Una volta al mese, “per quanti, soprattutto se lontani da appartenenze ecclesiali, desiderino un’occasione di studio e di conversazione senza barriere né reti di emergenza (...) per esplorare le tematiche teologiche in una prospettiva razionale, aconfessionale, laica nell’accezione più positiva e aperta dell’aggettivo”. Proposta accolta con entusiasmo da persone che, da sole, avevano trovato “difficoltà quasi insormontabili” a leggere certi testi teologici a causa del “linguaggio specialistico”.

Celebrazioni comunitarie
A poco a poco, grazie agli incontri periodici raccontati fin qui, “si è andato creando un giro di amici e conoscenti... che ha trovato spontaneo sperimentare – con lo stesso taglio e con la medesima intenzionalità -  l’invenzione di modalità inedite per celebrare nascite, matrimoni, morti”.
Senza seguire “rituali predeterminati”, ma anche senza “abbandonarci all’improvvisazione totale che comporterebbe distrazione e abbassamento di tensione emotiva”, hanno preparato delle tracce essenziali, lasciando che i presenti si esprimano liberamente.
La considerazione “complessiva” di Cavadi nasce dalla constatazione che ci sono persone che semplicemente disertano i luoghi del sacro e altre che si rassegnano a usufruire da “clienti” dell’offerta liturgica tradizionale. Lui ritiene che “ogni atto che non nasce da convinzione meditata, ma solo dal conformismo sociale, è poco dignitoso. Senza contare che perpetuare gesti ipocriti insegna a diventare ipocriti, a perdere fiducia in se stessi e negli altri” (p. 293).
E conclude augurandosi che un giorno diventi prevalente, anche nelle comunità cattoliche, l’idea “che trasformare le chiese in fabbriche del sacro e i preti in funzionari del divino, senza chiedere un percorso di conversione consapevole a giovani e adulti, davvero liberi di autodeterminarsi, è solo un modo per perpetuare gli equivoci e differire la scoperta della verità oggettiva”.Ho sentito questi stessi pensieri risuonare nelle parole di uomini e di donne – soprattutto di donne – che negli ultimi anni abbiamo incontrato e ascoltato: a Torino, a Roma, a Verona... e in tanti libri, articoli, online... Chiosando le parole di Giovanni Franzoni a Verona, durante il recente incontro nazionale delle CdB: “Non con un atto d’imperio il papa può eliminare il papato, ma lasciandoselo scippare”, penso che non saranno i preti a mollare la loro presa sul sacro: tocca a noi, uomini e donne in libertà, riappropriarcene. Come sempre.
Questa “comunità filosofica” animata da Augusto Cavadi mi sembra un segno dei tempi che cambiano e un’anima nuova non solo per la splendida terra di Sicilia.
Beppe Pavan

martedì 9 agosto 2016

L'ITALIA RIPUDIA IL RIPUDIO DELLA GUERRA (NONOSTANTE LA COSTITUZIONE)




“Nientedipersonale”
8.8.2016

L’Italia ripudia il ripudio (costituzionale) della guerra


Pochi conoscono ancora, sebbene sia attivo anche in Italia da molti anni, il Movimento internazionale “We are church” (www. we-are-church.org/it), un movimento di milioni di cattolici che – in anticipo di molto sulle sia pur timide aperture di papa Bergoglio – chiede che nella loro chiesa si ritorni alla autenticità del vangelo e alla democrazia dei primi secoli del cristianesimo.
  E’ di questi giorni un intervento di Vittorio Bellavite, il coordinatore nazionale, a proposito della decisione del governo Renzi di  partecipare alla guerra in Libia contro il sedicente Stato Islamico. Cosa sostiene, in sintesi, questo documento emanato a Roma il 6 agosto 2016?  I punti essenziali sono sei. I primi due richiamano dati di cronaca di queste ore: “Giovedì 4 agosto in Parlamento, alle Commissioni Esteri e Difesa, si è discusso della concessione da parte del Governo italiano delle basi militari ai droni e ai cacciabombardieri USA per il loro intervento in Libia. I ministri della Difesa e degli Esteri Pinotti e Gentiloni, snobbando il Parlamento, non si sono presentati inviando due sottosegretari. Nessun voto è previsto sulle decisioni del Governo, che violano l’art. 11 della Costituzione. Per quanto il fatto sia incredibile, ieri venerdì 5 agosto  i due maggiori quotidiani (“Corriere della Sera” e “Repubblica”) non hanno pubblicato niente su questo incontro. Ciò testimonia del basso livello a cui sono giunti  nel nostro Paese, almeno in questo momento, l’attenzione e l’impegno su questioni vitali per la collocazione internazionale dell’Italia e per la stessa moralità dell’azione di governo. Ugualmente è molto scarsa la consapevolezza dei gravi comportamenti del nostro governo che continua a permettere l’esportazione di armi prodotte in Italia verso paesi (Arabia Saudita e Qatar) che ne fanno un uso criminale in aperta violazione della legge n.185 sul commercio delle armi (su questa questione la ministra Pinotti continua a mentire di fronte alle ripetute recenti denunce del movimento pacifista)”.
    Il portavoce di “Noi siamo chiesa” (forse la denominazione inglese sarebbe stata meglio tradotta, meno letteralmente,  con “Anche noi siamo la chiesa”) passa dunque, anche in quanto sollecitato “dai frequenti forti ammonimenti  di papa Francesco sulla <<terza guerra mondiale a pezzi>> ”, ad indicare quattro punti su cui l’opinione pubblica (specialmente, ma non esclusivamente, cristiana) dovrebbe essere più insistentemente invitata a una presa di coscienza interiore e a una presa di posizione politica:
1)   “Qualsiasi riflessione sulla situazione in Libia non può che partire da un giudizio aspramente critico sull’intervento di tipo neocoloniale che nel marzo 2011 ha sconvolto la Libia ed ha aperto la strada alla divisione del paese, allo scontro fratricida tra le varie tribù ed anche all’arrivo dell’Is ed all’emergenza profughi. La guerra costò 25.000 morti e danni immensi (un paese che era nelle migliori condizioni in Africa ora è in difficoltà economiche gravissime), fu condotta in violazione del diritto internazionale e di ogni principio di moralità nei rapporti tra gli Stati. Il Governo italiano accettò di partecipare concedendo l’uso di sette basi aeree e, in seguito, di una flotta di cacciabombardieri, violando così in modo sfacciato lo stesso Trattato di amicizia con la Libia  firmato nel 2009”. 
2)    “Inoltre un onesto  approccio alla situazione libica si può solo fondare su una generale presa di coscienza di cosa è stato  il passato coloniale italiano,  quando l’invasione del 1911 costò al popolo libico centomila fucilati e impiccati e un dominio durato più di trent’anni”.
3)    Alla luce di queste premesse storiche, suonano del tutto condivisibili le opinioni recentemente espresse da padre Alex Zanotelli (“Questa offensiva viene percepita come una nuova guerra coloniale contro un paese arabo-musulmano. Sarebbe un conflitto per il petrolio e magari per spaccare il paese in tre stati, altro segnale tipico dei disegni coloniali”) anche in sintonia con Angelo del Boca (“In un solo caso l’Italia può intervenire, nell’ambito di una missione civile  di pace e dietro la precisa richiesta dei due governi di Tripoli e di Tobruk, che oggi si affrontano in una sterile guerra civile. Ma anche in questo caso, l’azione dell’Italia deve essere coordinata con altri paesi europei e con l’Unione Africana (UA)”. Dovrebbe essere chiaro, inoltre,  che “un intervento come quello avviato dagli USA, che il governo italiano condivide e a cui collabora, non ha alcuna efficacia per quanto riguarda il problema dei profughi  ed assoggetta il nostro paese a possibili attentati terroristici, guidati o suggeriti dall’IS”.
4)    “Le forze pacifiste sono troppo silenziose, c’è come una rassegnazione , una assuefazione che non c’è stata in altri momenti. La situazione è complessa, lo sappiamo, la viviamo. Siamo comunque obbligati a dire che questo intervento militare è nella linea dei tragici errori/crimini costituiti dall’invasione dell’Afghanistan del 2001, dall’aggressione all’Iraq nel 2003 e alla Libia nel 2011 e dagli interventi in Siria, tutti contro ogni  legge umana e ogni precetto evangelico e tutti inoltre  fallimentari per quanto riguarda lo stesso loro esito militare e politico.  Speriamo che nel mondo cattolico italiano le voci consapevoli della gravità della situazione si attivino, che le autorità ecclesiastiche, tanto loquaci su tante questioni, non stiano zitte in una comoda neutralità”.

Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

www.nientedipersonale.com/2016/08/08/litalia-ripudia-il-ripudio-costituzionale-della-guerra/

domenica 7 agosto 2016

I MUSULMANI NON VANNO BENE NE' SE METTONO BOMBE NE' SE VANNO A MESSA


“Repubblica – Palermo”
3.8.2016

IL DIFFICILE CAMMINO DEI CATTOLICI DAL CARDINAL RUFFINI A PAPA FRANCESCO

Anche la Cattedrale di Palermo ha ospitato, durante la messa di domenica 31 luglio, una delegazione di musulmani recativisi in segno di solidarietà dopo l’assassinio del parroco francese per mano di due fanatici sedicenti islamici. Un segno confortante in un momento storico di lacerazione. Ma la cosa non è andata giù a una schiera (minoritaria se pur non esigua) di persone: da teologi vicini all’Opus Dei (mons. Antonio Livi) a vaticanisti della RAI (Aldo Maria Valli) e persino di giornali ‘progressisti’ (Sandro Magister dell’ “Espresso”) , passando per fedeli comuni abituati a chiamare i musulmani con l’epiteto (per loro offensivo) di  “maomettani”.
  La questione non è semplice. E’ una di quelle cartine di tornasole che evidenziano differenze radicali all’interno del mondo cattolico, prima ancora che tra il mondo cattolico e gli altri universi religiosi e culturali. Come ricordano i meno giovani fra noi, negli anni Sessanta si svolse a Roma il Concilio ecumenico Vaticano II, assemblea di tutti i vescovi del mondo convocati da Giovanni XXIII (che aprì il Concilio nel 1962) e da Paolo VI (che lo chiuse nel 1965).  Il Concilio emanò una serie di documenti sulla fede, sulla Bibbia, sulla chiesa, sui sacramenti, sui rapporti con le altre religioni, con gli atei, con l’intera umanità. Ma non fu un lavoro pacifico. I conservatori, capitanati dall’arcivescovo di Palermo, Ernesto Ruffini, e di Genova, Giuseppe Siri, volevano ribadire gli insegnamenti degli ultimi quattro secoli; i riformatori volevano apportare cambiamenti incisivi che riportassero i cattolici allo spirito evangelico dei primi secoli e alla grande tradizione del primo millennio. Il risultato fu ambiguo: in ciascun documento c’era abbastanza per dare ragione agli uni e agli altri. Giovanni Paolo II e soprattutto Benedetto XVI hanno dato un’interpretazione ‘continuista’ del Concilio; la maggioranza dei teologi e dei preti vi ha visto l’inizio di una rivoluzione troppo a lungo differita e adesso riconosce in Francesco un provvidenziale esponente della linea innovatrice.
Così ogni discorso, ogni gesto, ogni decisione di questo papa (per quanto gesuiticamente prudente) costituisce occasione di disputa.  Persino quando non si pronunzia – come non si è pronunziato esplicitamente sulla presenza dei musulmani nelle chiese cattoliche – il suo silenzio è motivo di divisione: tace perché approva o tace perché dissente? Alla base di ogni dilemma contingente ferve una questione radicale: che cattolicesimo si vuole? Il cattolicesimo identitario, dogmatico, convinto di essere portatore di tutta la verità e solo di verità, occidente-centrico, gerarchico e normativo o piuttosto un cattolicesimo transnazionale, critico, docile alle lezioni della storia e della scienza, dialogico, fraterno e rispettoso della coscienza dei fedeli?
Nel maturare una propria risposta personale andrebbero considerati almeno due criteri. Il primo: non può essere questione di gusti. Non si tratta di optare secondo le mode o le preferenze soggettive. Si dovrebbe studiare attentamente la storia della teologia cristiana dalle origini ai nostri giorni: ma sappiamo che lo studio in generale, e lo studio della teologia in particolare, non rientrano fra gli sport più popolari (neppure fra gli opinion makers).  Secondariamente: mentre ci si affanna sulle (irrinunciabili) differenze fra cristiani, ebrei e musulmani non ci si accorge che  - nella percezione comune – si tratta di dispute sempre meno comprensibili. Le tragedie del XX secolo non hanno messo in questione questa o quella confessione religiosa, ma l’idea centrale comune a ogni monoteismo: l’idea stessa di un Dio che abbia a cuore il destino degli esseri umani – anzi, di tutte le creature viventi. Chi si accalora tanto sul modo di adorare Dio non si accorge che la nozione stessa di fede religiosa è sotto processo, imputata di alimentare le violenze più atroci. Questo il papa venuto dalla fine del mondo l’ha capito benissimo: per questo a Cracovia ha sottolineato che la vera differenza è fra il fondamentalismo (ebraico, cristiano o islamico) e la fedeltà a un Dio intrinsecamente “misericordia”.
Augusto Cavadi

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